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Marpola

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Tutti i contenuti di Marpola

  1. Marpola

    Assunzione Incarico

    Complimenti e buon lavoro (oltre che Buon Anno... naturalmente)! :s02:
  2. Marpola

    Nonostante Tutto.... è Natale!

    In effetti..... non ci resta altro da fare.... :s10: AUGURI!! :s20:
  3. E' passato un anno piuttosto difficile per il nostro Paese, e si preannuncia un 2012 ancora più preoccupante... :s06: Ma nonostante tutto è arrivato il Natale e, almeno per un momento, si ha tutti voglia di non pensare ai tanti problemi e di stringersi vicino agli affetti più cari e agli amici, sperando in un domani migliore. :s01: E' con questo spirito che auguro a tutti i Comandanti della Base Atlantica di trascorrre in serenità il Natale e di prepararsi ad affrontare un 2012 che ci si augura possa portare qualcosa di buono. :s10: TANTI AUGURI !
  4. Marpola

    I Wallpaper Di Betasom

    Semplicemente stupendi!!! :s20:
  5. Questo è il racconto di un marinaio... il racconto di un'esperienza che anche se lontana nel tempo resterà per sempre scolpita nella mia memoria... Quella volta che... Traversata a vela nel Tirreno in tempesta. 25 ottobre - 1° novembre 1972 – Mare Tirreno Ero partito dal porto di Taranto il 25 ottobre alle 13:35 con destinazione La Spezia, dove dovevo arrivare al massimo entro una settimana, per poter sistemare la barca e portarla a Genova in tempo per poter essere esposta al XII° Salone Nautico Internazionale, che apriva il 1° dicembre. Avevamo scelto la via mare perché, oltre ad essere l’elemento naturale della barca, era sicuramente il modo più economico rispetto ad un trasporto in nave o via terra. La “barca” era il “Sagittario”, uno scafo in lamellare di mogano fasciato di 15,45 metri di lunghezza fuori tutto, disegnato dall’architetto Carlo Sciarelli e costruito nel famoso cantiere di Mariano Craglietto a Trieste. Varato l’11 Aprile del 1972, il “Sagittario” era uno yacht da regata della Ia classe I.O.R. di proprietà della Marina Militare italiana, con una superficie velica di 94 mq. e un armamento a cutter, con genoa e trinchetta. Con questa barca il capitano di vascello Franco Faggioni aveva partecipato alla O.S.T.A.R. ’72, la quarta edizione della “Regata Transatlantica in Solitario”, impiegando poco più di 28 giorni di navigazione per coprire le quasi 4.000 miglia che separano Plymouth in Gran Bretagna da Newport negli Stati Uniti, passando per la rotta delle Azzorre. La regata O.S.T.A.R. del ’72 fu vinta dal francese Alan Colas, su un trimarano di 22 metri, il mitico “Pen Duick IV”, che impiegò meno di ventuno giorni per compiere la traversata su di una rotta molto più a Nord di quella percorsa dal C.V. Faggioni. La barca della M.M. italiana, che era un vero e proprio outsider, fece comunque un’ottima figura, arrivando settima in tempo reale sui 59 iscritti alla regata e terza tra i monoscafi, oltre che prima tra le quattro barche italiane partecipanti a quella edizione della O.S.T.A.R.. Visto il risultato prestigioso ottenuto, la Marina italiana decise di esporre la sua barca, in assetto da regata in solitario, al XII Salone Nautico di Genova, in modo che potesse essere ammirata dalle migliaia di visitatori appassionati di nautica. Non c’era molto tempo però. Il Salone di Genova avrebbe aperto i suoi battenti il 1° dicembre e la barca si trovava completamente in disarmo a Taranto. In fretta e furia Marivela Roma (il comando degli Sport Velici della M.M.) decise di allestire un piccolo equipaggio che avrebbe dovuto portare al più presto il “Sagittario” a Genova via mare, dato che era la soluzione più economica. Approfittando delle conoscenze di mio padre, io riuscii ad essere inserito nell’equipaggio che avrebbe dovuto trasferire la barca fino a La Spezia, per allestirla in modo da poter essere esposta al Salone Nautico. L’equipaggio era estremamente ridotto per una barca da regata così grande e impegnativa: solo cinque persone. Oltre al sottoscritto e al comandante C.C. Ferruccio Romanello e al nostromo Capo Simonelli di Marivela, c’erano solamente due marinai nocchieri di leva, Salvatore e Giovanni. Io ero parecchio emozionato. Un po’ per l’occasione unica di navigare su di una barca così famosa nell’ambiente velico internazionale e un po’ per l’idea di dover navigare in autunno per oltre 700 miglia, in mari difficili come lo Ionio e il Tirreno, facendo turni di guardia piuttosto pesanti, dato che l’equipaggio era ridotto all’osso. Arrivai al porto di Taranto il 23 ottobre mattina. Ero partito in treno da La Spezia la sera precedente e, una volta arrivato alla Sezione Velica della M.M. di Taranto, fui subito impegnato in un lavoro frenetico assieme agli altri miei compagni, per allestire la barca in un paio di giorni e metterla in condizioni di navigare. Il “Sagittario”, infatti, una volta terminata la regata in solitario, era stato disarmato ed era stato imbarcato nella stiva di una nave che l’aveva riportato in Italia dagli Stati Uniti. La barca era in acqua completamente disarmata. L’albero di 16 metri e le sartie erano appoggiati in terra sulla banchina accanto allo yacht e, internamente, lo scafo non era assolutamente attrezzato per una traversata con un equipaggio completo. L’interno era totalmente spoglio: tutti gli arredi, che sarebbero stati del peso inutile durante la regata, erano stati rimossi. C’erano solamente due cuccette (che avremmo utilizzato a turno), alcune amache e una piccola cucina basculante, mentre tutto il resto era stato trasformato in una grande officina per le riparazioni durante la navigazione e in una cala per i moltissimi sacchi di vele. Terminati i lavori di adattamento, armato l’albero e imbarcate le provviste e i rifornimenti necessari, partimmo da Taranto alle 13:35 di mercoledì 25 ottobre con rotta verso Sud e arrivammo al porto di Messina la mattina del giorno 27, dopo 230 miglia di navigazione fatta quasi tutta a vela e piuttosto tranquilla. Giusto il tempo di rifornirci Di nafta, acqua e viveri e, alle 15:45, ripartimmo da Messina con rotta verso Nord, decisi a non fermarci più sino all’arrivo a La Spezia. Il cielo nello stretto di Messina era piuttosto cupo e spirava un vento moderato da N-NE con mare forza 3. Alle 24:00 del 27 ottobre, mentre eravamo al traverso dell’isola di Stromboli, ricevemmo alla radio un avviso di burrasca nel Basso Tirreno, ma la navigazione proseguì tranquilla per tutta la notte. Alle 10:45 del giorno successivo ci trovavamo 60 miglia al traverso di Capo Palinuro, con vento da NE sui 20 nodi e mare forza 4 in aumento. La barca continuava a macinare miglia, mantenendo un buon passo sui 7 nodi. Alle 20:45 eravamo arrivati già 40 miglia al traverso dell’isola di Capri, con un vento sui 30-35 nodi e mare forza 6. Ci aspettava una notte piuttosto dura, con il vento dritto sul naso che rinforzava sempre di più e delle onde di 5-6 metri che spazzavano la coperta della barca inzuppandoci completamente. Avevamo già ridotto la velatura, ma, nonostante navigassimo di bolina con una mano di terzaroli alla randa e il solo fiocco yankee a prua, la nostra velocità era di 8 nodi costanti. La burrasca forza 7 preannunciata dal Meteomar si stava avvicinando molto rapidamente. A mezzanotte del sabato la burrasca ci aveva colpito in pieno. Avevamo percorso circa 190 miglia da quando avevamo lasciato il porto di Messina e ci trovavamo a circa 20 miglia a SW dell’isola d’Ischia. C’erano raffiche di vento a 40 nodi, ma la barca riusciva ancora a bolinare discretamente. Quello che ci preoccupava di più era il mare. Le onde ripidissime di 7-8 metri di altezza facevano saltare la barca come impazzita. Tutto l’equipaggio era in pozzetto ed era completamente fradicio e intirizzito dal freddo. Le cime e le scotte bagnate ci segavano le mani. Le manovre erano diventate molto faticose, a causa del freddo pungente e delle cinture di sicurezza che ci limitavano nei movimenti. Sotto coperta era un vero disastro. Durante un cambio di vela durato un po’ troppo a lungo, un’onda si era riversata all’interno dall’osteriggio di prua aperto per cambiare il fiocco e aveva allagato il quadrato. Alcuni dei paglioli di legno si erano spezzati per i grossi colpi ricevuti sotto alla chiglia della barca e galleggiavano sul pavimento allagato. Lo scafo, progettato per le onde dell’Atlantico, stava mostrando i suoi limiti strutturali nell’affrontare le onde corte e ripide del Mediterraneo e, ogni volta che cadeva giù da un’onda, prendeva un colpo tremendo che ne metteva in crisi la struttura. Toccò proprio a me, che ero il più giovane a bordo e non soffrivo il mal di mare, scendere sotto coperta a cercare di riparare i danni. Armato di chiodi e martello, cercai di rimettere a posto alcuni paglioli, in modo da poter camminare più agevolmente all’interno della barca senza mettere i piedi nella sentina allagata. Intanto le pompe di sentina elettriche e manuali, pur essendo azionate ininterrottamente, facevano una gran fatica a smaltire tutta l’acqua entrata all’interno dello scafo. Confesso che, data la mia poca esperienza, credetti che si fosse aperta una falla nello scafo... Dopo alcune ore, dato che la navigazione era diventata davvero dura, decidemmo di riparare nel porto di Ischia, facendo rotta 215 gradi, perché tentare di contrastare quel vento e quel mare in prua sarebbe stato assolutamente da incoscienti. Oltretutto, guadagnavamo ben poca strada al vento. Impiegammo oltre quattro ore a percorrere le poche miglia che ci separavano dall’isola. Facevamo una bolina stretta e avevamo issata poca tela a riva. A prua avevamo solo lo yankee da 12 mq., mentre alla randa da 33 mq. avevamo preso solo due mani di terzaroli, ma la barca, pur essendo parecchio sbandata, faceva ancora una discreta bolina. Il vento ormai soffiava costantemente sui 40-45 nodi, con raffiche che facevano schizzare verso l’alto la lancetta dell’anemometro. Fu una navigazione molto dura. Arrivammo stremati alla banchina del porto alle 04:30 del mattino di domenica 29 ottobre e non ricordo neppure di essere andato a dormire, perché verso le nove del mattino mi svegliai infreddolito con ancora la cerata addosso e i vestiti fradici. Misi la testa fuori dal tambuccio e vidi che sulla banchina c’era una piccola folla di curiosi attorno al “Sagittario”. Lo yacht da regata, con ancora il numero velico 58 assegnatogli per la traversata atlantica dipinto sulle fiancate, era sicuramente un’attrazione, ma, il fatto che fosse arrivato in porto di notte con quel tempo da lupi, destava sicuramente stupore e ammirazione. Alcuni pescatori, che all’alba non erano potuti uscire dal porto a causa del mare in burrasca, ci dissero più tardi di aver seguito da terra le nostre peripezie per centrare l’imboccatura del porto sotto vela e poi, una volta ammainata la tela, di aver ammirato la difficile manovra per accostare al molo dove c’eravamo ormeggiati. Quando gli dicemmo che eravamo della Marina Militare e non dei semplici diportisti, capirono che non eravamo stati solamente fortunati quella notte... Passammo tutta la domenica ad Ischia e, approfittando della bella giornata di sole con il vento che andava calando (una situazione tipica del mese d’ottobre in Mediterraneo, dopo una tempesta), stendemmo sulla battagliola ad asciugare tutte le vele, i sacchi a pelo e i nostri vestiti: all’interno della barca non c’era più niente d’asciutto! Ci ricordammo che erano quasi ventiquattro ore che non si mangiava qualcosa di caldo e, alle dieci e mezza di mattina ci mangiammo un chilo di penne all’arrabbiata come solo il nostromo Simonelli di Marivela sapeva cucinare, mentre alcuni isolani ci portarono del pane fresco e dell’ottimo vino bianco fatto in casa. La solidarietà, che in questi casi lega tutti i marinai di qualunque mare del mondo, venne fuori anche in quella occasione… Dopo aver pranzato io cercai un barbiere. Questi si stupì non poco vedendomi entrare nel suo negozio piuttosto malconcio e con la faccia incrostata di sale. Io gli chiesi soltanto di farmi un doppio shampoo e la barba e lui ci rimase abbastanza male per non avermi potuto tagliare i capelli, dato che a quell’epoca li portavo piuttosto lunghi sulle spalle. La sera ci concedemmo una ricca cena di pesce in un localino dell’isola e la mattina seguente, alle 08:30, salpammo da Ischia decisi a coprire le ultime 300 miglia nel più breve tempo possibile. Il mare era sceso a forza 3 e il vento sui 15-20 nodi che aveva girato a Maestro ci permise di dare tutta la tela di cui disponevamo: randa, genoa 2 e trinchetta per oltre 90 mq di vela!! Il “Sagittario” aveva ripreso a volare sull’onda, con punte di 11 nodi di bolina! Purtroppo il vento durò soltanto fino alla sera, quando ci trovammo al traverso di Fiumicino. Fu la classica quiete dopo la tempesta. Una bonaccia tremenda che ci costrinse a proseguire a motore alla velocità di 5-6 nodi fino a La Spezia, in totale calma di mare e di vento. Finalmente arrivammo alla Sezione Velica della M.M. di La Spezia. Erano le 11:05 di mercoledì 1° novembre. Era trascorsa una settimana da quando avevamo lasciato il porto di Taranto ed avevamo percorso 730 miglia in poco più di 155 ore di navigazione. A terra ad aspettarmi c’era l’ammiraglio (mio padre…), che mi disse "Bravo ragazzo!"... che per un figlio capellone di venti anni figlio del “Sessantotto” non era certamente un complimento da poco!! Ma l’avventura non era ancora terminata. Alcuni giorni dopo rimettemmo il “Sagittario” nel suo assetto da "navigazione in solitario" e, dopo averlo tirato a lustro, domenica 19 novembre lo portammo al Salone Internazionale della Nautica di Genova in una bella giornata di vento fresco, che ci permise di coprire le 55 miglia tra La Spezia e Genova in meno di 8 ore di navigazione a vela. Passai il fine settimana del 2 e 3 dicembre a Genova a bordo del “Sagittario” che, nel frattempo, era stato tirato in secco e, completamente armato con le vele a riva, faceva bella mostra di sé su di un’insellatura fuori del padiglione G del Salone Nautico, con tanto di passerella per i visitatori che facevano la fila per vedere l’interno della famosa barca che aveva partecipato alla regata transatlantica in solitario. Molte visitatrici del Salone mi chiedevano spiegazioni e informazioni sulla barca e io, come ogni marinaio che si rispetti, raccontavo un sacco di balle, come di "quella volta che...". (tratto da libro "Da solo nel relitto" di M. Polacchini, Magenes Editoriale, Milano 2009) PS Sono passati quasi quarant'anni da allora, ma... il ricordo di quella traversata nel Tirreno resta ancora tra i miei ricordi più belli... :s01: Il Sagittario nel mare in tempesta Piano velico del Sagittario Sotto spinnaker, in una bella giornata di sole
  6. Marpola

    Sottomarini E Navi Che Ancora Vivono

    LO SCUTTLING, OVVERO UNA NUOVA PROSPETTIVA PER IL TURISMO SUBACQUEO L’immersione sui relitti appassiona una larga fascia di subacquei, come me, e generalmente avviene su navi affondate per eventi bellici o incidenti. Da qualche anno, invece, partendo da esperienze che arrivano principalmente dall’America, molti relitti sono affondati appositamente per creare un’attrattiva turistica e incrementare l’economia locale. Sappiamo bene che tutte le strutture messe in mare possono fungere da barriere artificiali, ma ultimamente si sta particolarmente sviluppando l’affondamento delle navi da guerra, previa bonifica e nel rispetto delle condizioni di sicurezza ambientale. Si tratta della pratica dello "scutteling", cioè l’affondamento intenzionale di relitti in un basso fondale di zone particolari, fatto per promuovere interessi turistico-ricreativi e per il ripopolamento ittico del mare. L’affondamento di un relitto, infatti, crea una barriera artificiale sommersa, ottima per tutelare alcune aree marine dalla pesca illegale (infatti, le reti a strascico s’impigliano sui relitti e questo è un ottimo deterrente per la pesca) e nello stesso tempo in grado di richiamare grandi quantità di pesci e altri organismi marini, soprattutto offrendo appiglio alle forme sessili (quali spugne, gorgonie, ecc.). Inoltre, questo tipo di affondamenti fornisce spettacolari scenari per la subacquea ricreativa, magari in luoghi nei quali il fondale non presenta altre attrattive. Il relitto di una nave da guerra invece, può rappresentare una vera e propria attrazione aggiuntiva per i subacquei, oltre alla flora e alla fauna che in breve tempo lo popola. Ovviamente, per avere un efficace strumento di attrazione turistica e di promozione della subacquea, l’affondamento delle vecchie navi in disarmo deve avvenire dopo aver fatto una completa e costosa operazione di bonifica, rispettando le condizioni di massima sicurezza ambientale. Lungo le coste della Florida, ma anche a Cuba, in Canada, in Australia, in Messico, nella Columbia Britannica, in Cornovaglia,in Spagna o a Malta, c’è ormai da alcuni anni la prassi di affondare i relitti delle navi in disarmo e recentemente nei mari della Thailandia sono stati affondati una trentina di vecchi carri armati cinesi. Lo scutteling è un'operazione che a volte può costare anche diversi milioni di dollari, ma è un vero e proprio investimento che garantisce per moltissimi anni notevoli flussi turistici di appassionati di immersioni sui relitti. Oggi il massimo esempio di scutteling è stato realizzato dal governo maltese che negli ultimi anni ha intrapreso un programma cospicuo di affondamenti di vecchie navi intorno alle coste di Malta, Gozo e Comino per aumentare il numero dei luoghi per l’immersione subacquea. Intorno all’arcipelago maltese c’erano già parecchi relitti bellici, molti dei quali sono a profondità tali da poter essere visitati dai subacquei, ma questo ai maltesi non è bastato e hanno sviluppato un apposito piano di affondamenti mirati. Così oggi lungo le coste maltesi ci sono oltre 50 siti d’immersione costituiti da relitti affondati volontariamente. Negli Stati Uniti, invece, sino a oggi sono oltre 700 le navi affondate per creare barriere artificiali e nella sola Florida ce ne sono ben 380, molti dei quali sono definiti vere e proprie "oasi biologiche". Una di queste "oasi" è il relitto dell'USCG "Duane," che io ho visitato proprio questa estate: una bellissima nave della Guardia Costiera americana lunga 100 metri, piena di vita e davvero molto affascinante, circondata da bellissimi squali nutrice. In Italia, come il solito, le cose vanno molto a rilento. Già nel 1982 fu presentata in Parlamento una norma sull'affondamento volontario delle navi da pesca a fini di ripopolamento ittico (art. 21 della legge n. 41/1982), ma la norma fu abrogata dal D.Lgs. n. 154/2004. Passano molti anni e alla fine del 2010 è iniziato l’iter legislativo alla Camera dei deputati di due proposte di legge abbinate, la n. 3626 (Chiappori ed altri, Lega Nord http://www.camera.it/126?pdl=3626) e la n. 3943 (primo firmatario Di Stanislao, Italia de Valori http://www.camera.it/126?pdl=3943) su: "Disposizioni in materia di affondamento di navi radiate dai ruoli del naviglio militare per il ripopolamento della fauna ittica e la promozione del turismo subacqueo". L’articolo unico della proposta di legge – che farà molto discutere – autorizza il Ministero della difesa a definire, d'intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con le regioni territorialmente competenti, un piano di affondamento delle navi radiate dai ruoli del naviglio militare, con l'obiettivo di costituire zone di ripopolamento ittico, di incrementare il patrimonio culturale sommerso e di incentivare il turismo subacqueo (comma 1). Tali affondamenti sono eseguiti dalla Marina Militare previa bonifica delle navi, dalle quali sono asportati tutti gli elementi potenzialmente inquinanti e i materiali ritenuti pericolosi (comma 2). Il perfezionamento della bonifica deve essere certificato dalle competenti autorità del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (comma 3). E’ da notare che, riguardo alla bonifica delle navi da affondare e alle procedure di affondamento, la proposta di legge è troppo generica (anche perché si tratta di un’attività finora non prevista in modo specifico dalla normativa); perciò andrebbe prevista una disciplina più dettagliata, magari demandandone la definizione a un decreto interministeriale di attuazione che indichi in modo preciso i criteri e le norme tecniche da seguire. Adesso si tratta di vedere se l’iter di questo disegno di legge arriverà alla conclusione (come avvenne nell’82) e poi magari la legge sarà di nuovo abrogata... Si sono registrati pareri contrastanti in merito alla pratica dello scutteling e sarebbe interessante sentire cosa ne pensano anche gli iscritti a questo forum. :s10:
  7. Marpola

    I Relitti

    Ok Marco... mi rendo conto che nel mio report ho usato qualche termine da “addetto ai lavori”, che a molti può sembrare difficile da comprendere (un po’ come fate tutti voi quando parlate dei sommergibili...) e vi chiedo scusa. :s06: Si tratta di termini tecnici, spesso in inglese (poiché le didattiche subacquee sono quasi tutte di derivazione americana), dei quali solamente i subacquei praticanti conoscono il preciso significato. Cerco di rimediare “spiegando” alcuni di questi termini per aiutare nella lettura i non subacquei che avranno la pazienza di leggermi... :s02: Cominciamo con il definire che cos'è l’immersione tecnica (o tek dive). Si tratta di un tipo d’immersione subacquea che va oltre gli scopi ricreativi di un’immersione sportiva e che richiede un addestramento avanzato, una grande esperienza e un’attrezzatura specifica (più tecnica), poiché in questo tipo di immersioni non è possibile una risalita diretta in superficie nel caso insorgessero dei problemi sott’acqua. Sono, in ogni caso, considerate “tecniche” le immersioni che prevedono l’utilizzo di miscele respiratorie diverse dalla semplice aria, anche se sono fatte entro i limiti ricreativi dei 40 metri. Nelle immersioni tecniche sono utilizzate miscele ipossiche (povere di ossigeno) per gestire la tossicità dell’ossigeno in profondità, combinate con gas inerti (generalmente elio) per limitare la narcosi d’azoto. E sono utilizzate anche miscele iperossigenate (più ricche di ossigeno) diverse dalla miscela di fondo, per ottimizzare la decompressione (Nitrox o Ossigeno puro). Questo tipo d’immersioni quindi, sono caratterizzate da profondità e tempi che superano i confini della subacquea cd. “ricreativa”. Altre immersioni tecniche sono quelle che sono svolte in ambienti difficili, che presentano un notevole rischio nella conduzione dell’immersione, come ad esempio le immersioni in ambienti ostruiti come grotte e relitti, che non consentono mai una risalita diretta in superficie. La definizione d’immersione tecnica nasce da alcuni limiti imposti dalla fisiologia umana e dal comportamento dei gas disciolti nell’aria all’aumentare delle profondità e delle pressioni parziali dei singoli gas che formano la miscela respiratoria. Normalmente si assume per regola una respirabilità dell’aria all’incirca fino a 40 metri (massimo limite dell’immersione ricreativa), ma il calcolo non deve considerare la profondità, quanto piuttosto la pressione parziale dell’ossigeno contenuto nell’aria (PpO2). Le didattiche subacquee considerano sicura una PpO2 di 1,4 bar (alcune 1,6 bar) che si raggiungono respirando aria a una profondità massima pari a 56 metri (ovvero circa 66 metri per una PpO2 di 1,6 bar). Oltre questa soglia s’incorre nella tossicità dell’ossigeno che, agendo sul sistema nervoso centrale (CNS), può portare alle convulsioni e provocare gravi incidenti in immersione. Per questi motivi nelle immersioni profonde si utilizzano miscele diverse dalla comune aria (il Trimix, l’Heliox, e così via) che, pur limitando gli effetti negativi dell’iperossia (che è l’aumento della concentrazione di O2 nel corpo, specialmente nel sangue), aumentano altri rischi e quindi richiedono un addestramento specifico superiore a quello richiesto per un’immersione sportiva. Ma vediamo ora quali sono le due miscele respiratorie usate principalmente nelle immersioni tecniche: il Nitrox e i Trimix. Il NITROX è una miscela gassosa composta di ossigeno in proporzioni variabili, ma normalmente iperossica, cioè con una percentuale di O2 maggiore del 21% presente nell’aria atmosferica e, di conseguenza, contenuto di N2 inferiore al 78%. Il nome deriva dall’unione dei vocaboli NITRogen-OXygen (azoto-ossigeno). Le varie miscele nitrox vengono comunemente indicate con la sigla EAN (acronimo di Enriched Air Nitrox, cioè aria arricchita nitrox) seguita da un numero. Questo numero rappresenta la percentuale di ossigeno presente nella miscela. Ad esempio EAN32 indica una miscela respiratoria contenente il 32% di ossigeno e il restante 68% di azoto. Usato come miscela respiratoria nelle immersioni subacquee il nitrox presenta diversi vantaggi rispetto all’aria, ma ha bisogno di alcune precauzioni e per questo motivo il suo impiego forma oggetto di uno specifico corso. Il TRIMIX invece, è una miscela sintetica respirabile composta di tre gas: azoto (N2), ossigeno (O2) ed elio (He), miscelati in percentuali variabili, che è impiegata nelle immersioni profonde o di rilevante permanenza sul fondo e quindi è la miscela ideale per le cosiddette immersioni tecniche. Nel trimix la sostituzione di una parte dell'azoto presente nell'aria (circa il 78%) con una certa percentuale di elio permette di abbattere significativamente gli effetti della narcosi da azoto, in quanto l'elio è un gas inerte che ha un potere narcotico quasi nullo. Le percentuali dei tre gas che compongono il trimix sono variabili in funzione di vari parametri e vengono decise dal subacqueo in base alle caratteristiche dell'immersione, ovvero la durata, la profondità massima, la pressione parziale dell'ossigeno e dell'azoto e altri criteri di giudizio che sono valutati in sede di pianificazione dell'immersione. Una particolare attenzione va prestata alla valutazione degli effetti delle varie frazioni di ossigeno utilizzate, infatti, quando a causa della profondità l'ossigeno diventa tossico, cioè ad una MOD di circa 66 metri, si è costretti ad utilizzare miscele ipossiche (contenenti una frazione di ossigeno inferiore al 18%), ma va tenuto presente che sotto una certa percentuale l'ossigeno non viene più assorbito dall'organismo e quindi il subacqueo deve utilizzare miscele respiratorie differenziate (le cosiddette miscele di trasporto) per la fase di discesa e di risalita dell’immersione. Si possono distinguere tre tipi di miscele trimix: normossica con una frazione di ossigeno tra il 18% e il 21%; iperossica con una frazione di ossigeno superiore al 21% e ipossica con una frazione di ossigeno inferiore al 18%. La miscela trimix viene individuata segnalando la percentuale di ossigeno e quella d'elio presente nel gas, perciò, ad esempio, una miscela trimix composta dal 10% di ossigeno, 38% di azoto e 52% d'elio, si indica come "TMX 10/52". Sopra ho utilizzato il termine MOD. Ne spiego il significato. La MOD (Maximum Operative Depth) è la massima profondità alla quale può essere utilizzato il gas contenuto in una bombola, a seconda della pressione parziale dell’ossigeno (PpO2) che si deve utilizzare in fase di pianificazione dell’immersione, applicando la formula PpO2 = Pt x FO2 (cioè la pressione parziale dell’O2 è uguale alla pressione totale alla quota raggiunta moltiplicata per la frazione di O2 presente nel gas). Perciò, ad esempio, l’aria (nella quale la FO2 è il 21%) è respirabile senza danni al sistema nervoso centrale derivati dalla tossicità dell’ossigeno solo fino alla MOD di 66 metri circa [Pt = PpO2 / FO2 cioè 1,6 / 0,21= 7,612 che è la pressione totale presente a 66,12 metri di profondità]. Durante un’immersione tecnica il subacqueo deve pianificare qual è la “best mix”, cioè la migliore miscela respiratoria utilizzabile in immersione, data la pressione parziale massima dell’ossigeno e la pressione alla quota operativa. La best mix è una miscela i cui gas componenti non superano precisi limiti di pressioni parziali alla massima profondità programmata. In altre parole, le percentuali dei gas che compongono la miscela respiratoria sono stabilite dal subacqueo rispettando precisi valori di PpO2 e PpN2 (pressione parziale dell’ossigeno e dell’azoto) sul fondo e dell’elio (PpHe) se viene utilizzato. Spero di non avervi confusi e... annoiati troppo! :s02:
  8. Marpola

    Vedetta Atlantica

    Voglio ringraziare il C.te Mascellani per aver dato vita ad un opera che mi da grandissima emozione. Non vedo l'ora di averne una copia per arricchire la mia libreria dedicata alla nostra gloriosa Marina! Grazie!! :s20:
  9. Marpola

    I Rapporti Dal Raduno Di Genova

    Ringrazio tutti per lo splendido reportage che mi ha permesso (quasi...) di vivere il bellissimo raduno di Betasom. :s20: Impegni "sottomarini" non m hanno permesso di venire a Genova, ma mi auguro vi siano tante altre occasioni per incontravi tutti!! :s01:
  10. Complimenti Marco!! :s20: Non ho ancora potuto vedere la tua opera, ma conoscendo la passione con la quale ti sei dedicato a questo lavoro non ho alcun dubbio sul risultato finale. :s01: Io "Vedetta Atlantica" l'ho già letta tutta da un pezzo (.....ahahah :s02: ), ma voglio proprio vedere il risultato finale del tuo pregevole lavoro. Brindo a te Comandante! :s20: PS Mi è veramente dispiaciuto di non poter essere a Genova, ma come sai... ero immerso a oltre 50 metri nei fondali di Giannutri.... :s10: Alla prossima!!
  11. Marpola

    I Relitti

    Giannutri - 10 ottobre 2011 - h 11.42 Prof. max 52.4 m. - Run time 64 min. - Temp. min 15.4°C – Back gas 20/36 – Deco gas EAN50 Tornare sul relitto del "Nasim" dopo tanti anni mi emoziona parecchio. Da quando ci sono stato l'ultima volta mi sono avvicinato alle immersioni tecniche e ho iniziato a utilizzare il trimix. Sono sicuro che oggi sentirò la differenza. Ormeggiamo il gommone dell'Argentario Divers al pedagno attaccato al cassero di poppa del relitto e ci prepariamo alla discesa. Indossiamo i bibo e caliamo in acqua le nostre stage decompressive. Siamo in 5 subacquei. Saltiamo in acqua e ci raduniamo attorno al pedagno. Io ho un bibo 12+12 caricato a 240 bar di trimix 20/36 come back gas e una 7 litri caricata a 200 bar di EAN50 attaccata al fianco. Al segnale scendiamo osservando la cima che ci indica la direzione del relitto. L'acqua è cristallina e dopo qualche metro ecco la sagoma scura del relitto che appare sotto di noi. In breve arriviamo sopra la poppa del "Nasim", ci diamo un segno di ok e iniziamo il nostro giro attorno al cassero di poppa, curiosando con le nostre torce attraverso le varie aperture che si affacciano nel blu. Grossi scorfani rossi se ne stanno immobili quasi ipnotizzati dal fascio di luce delle nostre potenti lampade. Io nuoto lentamente, seguito dalla mia compagna che osserva incantata ogni minimo particolare della nave. Il trimix che respiro mi rende lucidissimo e mi permette di cogliere tanti piccoli particolari che non avevo mai osservato prima. Arriviamo alle due grandi eliche, poi torniamo indietro verso prua nuotando sopra la coperta che si trova alla nostra sinistra coricata su un fianco. La limpidezza dell'acqua ci permette di vedere il relitto nella sua interezza, con la prua che scende fino a 60 metri di profondità. Arrivati a mezza nave controlliamo gli strumenti, ci diamo un ok e decidiamo di risalire verso la costa anziché fare una noiosa decompressione nel blu. Nuotiamo per un tratto sopra il fondale di sabbia bianca dove qui e là si trovano i resti di alcune delle macchine trasportate dal traghetto. Ai 27 e ai 24 metri facciamo un minuto di deep stop, poi arriviamo alla quota dei 21 metri dove facciamo il gas switch, passando a respirare l'EAN50 che abbiamo nelle nostre bombole decompressive. Rimaniamo sui 21 metri per 3 minuti, poi, superata la scarpata, nuotiamo verso la costa dell'isola di Giannutri e intanto iniziamo la nostra decompressione programmata: 1' a 18 m + 1' a 15 m + 1' a 12 m + 2' a 9 m + 3' a 6 m. Lanciamo i nostri palloni e facciamo gli ultimi 6 minuti di deco a 3 metri. Poi risaliamo molto soddisfatti sul gommone, che intanto ci ha raggiunti in una caletta riparata dalle onde. Un tuffo davvero perfetto!! Sino ad oggi ho esplorato una venticinquina di relitti in Italia e all'estero, ma la mia voglia di "ferro" non si placa mai... Quando io mi immergo nel profondo sono... un cacciatore di emozioni.... L'importante è continuare a cercarle....! :s02:
  12. Marpola

    I Relitti

    Voglio darvi un'idea di che cosa significa per me fare un'immersione su un relitto. Ed eccomi qui durante il tuffo fatto pochi giorni fa a Giannutri, nell'Arcipelago Toscano. Qui sono al ritorno da una bellissima immersione sul relitto del m/t "Nasim II". Ma...che cos'è il "Nasim"? Ecco la sua storia. Sera dell’11 febbraio 1976. Acque dell’Arcipelago Toscano. Alle ore 20:30 il “Nasim II”, un mototraghetto battente bandiera panamense, di 707 tsl., lungo 66,5 metri, salpò dal porto di Livorno diretto ad Alessandria d’Egitto, nel Nord Africa. Il carico era formato da 49 automobili e da 16 rimorchi di camion, in parte nella stiva e in parte sulla coperta della nave. Superato il canale di Piombino, il “Nasim II” procedeva a circa 12 nodi di velocità, il mare era calmo, c’era pochissimo vento da Scirocco e la visibilità era buona. Poco dopo, in vista del promontorio dell’Argentario, la nave improvvisamente incontrò un muro di pioggia che la avvolse nelle tenebre più profonde. Fu così che alle ore 04:30 del 12 febbraio la nave, che avrebbe dovuto passare ad Est dell’Isola di Giannutri, andò a cozzare violentemente sugli scogli dell’isola, in un punto imprecisato tra Punta Secca e Punta Scaletta. L'urto violentissimo provocò uno squarcio nella parte prodiera del traghetto, che iniziò subito ad imbarcare acqua. Il comandante, nel tentativo disperato di salvare la nave, probabilmente tentò di invertire bruscamente la rotta, cercando di portare il “Nasim II” ad incagliarsi nel basso fondale di Cala Maestra, per evitarne l’affondamento. Ma la manovra di virata stretta, accentuata dal forte abbrivio della nave, non riuscì e il traghetto s’inclinò bruscamente sulla sinistra cominciando a perdere il carico d’automobili che si trovavano in coperta, dopodiché affondò rapidamente a poca distanza dalla costa, proprio davanti a Cala Maestra. Oggi la nave si trova adagiata sul fianco sinistro, su un fondale sabbioso tra i 48 e i 60 metri di profondità, con il ponte verso il mare aperto e la prua squarciata rivolta verso Nord. Il carico di macchine, invece, si trova disseminato sul fondale dai 33 metri di profondità in giù, fin sotto ad una scarpata che arriva sul fondo sabbioso e verso il largo supera i 60 metri di profondità. L’immersione Quella sul "Nasim" è un’immersione piuttosto impegnativa, perché la profondità è ben oltre i limiti delle immersioni ricreative e ci si trova immersi nel blu senza avere il riferimento visivo di una parete; inoltre si possono incontrare fastidiose correnti. Data la profondità del relitto anche un tempo di fondo piuttosto breve comporta la necessità di fare soste di decompressione che, se effettuate senza avere una barca d’appoggio in superficie, possono comportare ulteriori difficoltà. In compenso la visibilità nella zona del relitto è generalmente molto buona e, in certe giornate particolari, guardando dalla nave verso l’isola è possibile persino vedere il profilo della costa che dista un centinaio di metri! Ci sono due possibilità per pianificare l’immersione: scendendo in caduta libera sulla verticale della nave (possibilmente calando un pedagno fino alla murata di dritta del relitto, che si trova a circa 45 metri di profondità), oppure ormeggiando la barca davanti a Cala Maestra e nuotando verso il largo per un centinaio di metri seguendo la scia delle automobili che sono disseminate sul fondo sino quasi a sotto la imponente chiglia della nave.
  13. Marpola

    I Relitti

    Oggi vi voglio parlare delle immersioni sui relitti... la mia passione Già, i relitti... pezzi di ferro arrugginito per alcuni... per me uno degli obiettivi più affascinanti delle mie immersioni subacquee. I relitti non sono affatto dei rottami senza alcun valore, ma sono oggetti da rispettare e da proteggere. Quei "rottami" hanno sempre una storia da raccontare… una storia spesso tragica, molte volte accompagnata da vittime, che richiede rispetto. I relitti hanno un'anima e parlano... essi raccontano la loro storia a chi li sappia ascoltare nel silenzio delle profondità marine. Io nutro un profondo rispetto per i relitti e quando mi chiedono che cosa ne penso delle immersioni sui relitti e perchè mi affascinano così tanto, rispondo semplicemente che è il tipo di immersione che mi emoziona e mi attrae di più. Penetrare nel relitto di una nave affondata per me ha un fascino incredibile... è come un tuffo indietro nel tempo, alla ricerca di quell’attimo in cui la nave ha cessato la sua vita in superficie ed è divenuta preda del mare per sempre. Per me il tempo di immersione su un relitto non è solo quello trascorso sott’acqua, ma inizia molto tempo prima: da quando leggo una rivista e scopro un relitto che non ho ancora esplorato, a quando poi mi documento e raccolgo quante più informazioni possibile sulla nave e sulla sua storia, sul motivo per cui è affondata, su chi c’era a bordo, sul periodo storico in cui ha navigato e poi ancora fino a quando pianifico l’immersione, scelgo la miscela più adatta, calcolo i tempi di fondo e di risalita, scelgo il percorso... Ma la ricerca sull’interesse storico più o meno elevato di ogni relitto e la pianificazione della mia immersione sono sempre accompagnati anche dall’aspetto naturalistico. Infatti, ogni relitto fa nascere un reef artificiale: spesso i relitti vengono ricoperti in brevissimo tempo da flora multicolore, tanto da non distinguerli più dall’ambiente circostante. Nel relitto trovano sovente dimora aragoste, gronghi e murene, che tra le lamiere trovano delle ottime tane. Sullo scafo invece, prolifera la flora sessile e spesso si vedono dei bellissimi spirografi attaccati alle lamiere, mentre tutto intorno nuotano branchi di brune castagnole e di anthias rosa, ma si possono incontrare anche dentici, tanute, pesci luna, corvine e molto altro pesce. Da qualche anno si è scoperto che trasformare i relitti in barriere artificiali affondandoli è un metodo efficace per limitare la distruzione di preziose risorse naturali da parte delle reti a strascico e così, vista la rapida trasformazione degli oggetti sommersi in ottimi substrati per la flora e la fauna marina, si è cominciato anche ad affondare vecchie navi o altri oggetti idonei per creare dei reef artificiali. E’ davvero incredibile come la natura in pochissimo tempo si impadronisca del relitto e torni a farlo vivere...! Ma i relitti debbono essere rispettati da chi vi si immerge. La capacità dell’acqua di conservare, in assenza di aria, materiali organici come legno, tessuti, resti di viveri e altro ancora, fa sì che gli oggetti rimangano praticamente integri e contengano spesso un’enormità di informazioni preziose per gli studiosi. Ma quello che la natura riesce a salvare, molto spesso viene messo a rischio dal comportamento negligente o addirittura sconsiderato dell’uomo. Soprattutto il turismo di massa, che ha già messo a repentaglio la vita di tante barriere coralline del mondo e la caccia spietata ai "souvenir" da parte di subacquei senza scrupoli, costituiscono il rischio maggiore per questi spettacolari musei subacquei, già minacciati dall’effetto serra, dall’eccessiva e distruttiva pesca a strascico e dalle acque di scarico inquinanti. La situazione è grave e l’intrusione dell’uomo e i danni da lui provocati renderanno inevitabili dei regolamenti restrittivi o, addirittura, dei divieti di immergersi sui relitti di maggiore interesse storico. Chi è appassionato di immersioni sui relitti come me, si vedrà così privato di una delle maggiori emozioni che l’immersione subacquea riesce a dargli.
  14. Marpola

    Il Salotto Della Scuola Di Vela

    Ho letto solo ora.... :s07: e da vecchio velista che ha regatato per circa vent'anni, non posso fare altro che i complimenti per l'ottima iniziativa del corso teorico di vela, davvero ben fatto e d'immediata comprensione anche per i non pratici. Bravi!! :s20:
  15. Marpola

    Hanno Ammazzato La Star

    Leggo solo ora e mi prende una tremenda tristezza... :s06: Ho cominciato ad andare in barca a vela da piccolo, prima con i Dinghy 12', poi con gli Snipe e con le Star e da ultimo (prima di passare alle classi I.O.R.) con i Soling..... La Star assieme al Soling era la barca che ho amato di più e, secondo me, era la "classe olimpica" per eccellenza. E' un grave errore averla cancellata dalle Olimpiadi! :s06: Anche per me l'America's Cup è morta con l'abbandono dei 12 m. S.I. Il "mercato" sta uccidendo tutto oramai.... che grande tristezza. :s06: Vi assicuro che un mese fa, quando ero a Newport, Rhode Island, il cuore mi batteva forte di fronte a queste "barche".... barche che non moriranno mai!!
  16. Marpola

    Ancore e Cubie

    E per finire... una veduta d'insieme del South Street Seaport Museum a New York Arrivederci al prossimo viaggio.... :s02:
  17. Marpola

    Ancore e Cubie

    Qui invece sono a Newport, nel Rhode Island ed ecco un'altra bella ancora....
  18. Marpola

    Ancore e Cubie

    Facciamo un salto indietro ed ecco una bella ancora sul piazzale del South Street Seaport Museum di New York...
  19. Marpola

    Ancore e Cubie

    Molto più recente la portaerei INTREPID che si trova sull'Udson River di New York ed oggi è un bellissimo Museo dell'Aria e dello Spazio.... :s01:
  20. Marpola

    Ancore e Cubie

    Sempre a New York c'era il veliero "Perking" del 1911, con la sua bella ancora....
  21. Marpola

    Ancore e Cubie

    Buonasera amici. Sono stato un mesetto in giro per la East Coast deli Stati Uniti e ho "catturato" qualche ancora per gli amici di Betasom.... :s01: Cominciamo con le ancore a fungo del battello faro "Ambrose" del 1908, che si trova a New York....
  22. Marpola

    Delfini D' Acciaio - Le immagini

    Complimenti per l'iniziativa. :s20: Questo facilita di molto la lettura del bellissimo libro. Aspettiamo le foto complete... :s01:
  23. Il nome Artigliere mi ha fatto ricordare che mio padre c'è stato imbarcato nel '64... Sono andato a vedere le foto incorniciate degli imbarchi di mio padre e ne ho trovata una molto bella nella quale ci sono l'Aviere e l'Artigliere ormeggiati davanti alla punta della Dogana, in bacino San Marco a Venezia. I codici identificativi (D553 e D554) sono dipinti in rosso.
  24. Ringrazio il mio omonimo per le belle foto delle "mie navi": Corsaro II e Stella Polare. Ricordi bellissimi mi legano a quelle unità. Se trovi altre foto ne sarò felice. Grazie! Marcello Polacchini
  25. Marpola

    Il "bulbo"

    Complimenti per questo interessantissimo post! :s20: C'è sempre qualcosa d'interessante da imparare in questo bellissimo forum. Grazie! :s01:
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