Nell'ormai lontano 2005 ho vissuto una interessante esperienza facendo il giro del mondo, da Ovest a Est, come passeggero a bordo di una portacontainer della compagnia francese CMA-CGM.
Allora il fenomeno della pirateria non era così diffuso come oggi e stavamo navigando nell'Oceano Indiano quando il comandante mi disse che presto avremmo dovuto prepararci a fronteggiare possibili attacchi da parte di pirati provenienti dall'isola di Socotra, dalle coste dello Yemen, della Somalia e dell'Eritrea. Pensavo che scherzasse e gli risposi che un grande scrittore italiano, Emilio Salgari, aveva ambientato alcuni suoi romanzi nel mondo dei pirati e così avremmo potuto fare un tuffo nel passato.
Il comandante apprezzò la battuta, ma mi confermò che si trattava di una realtà che avremmo dovuto affrontare, ma sarebbe sceso nei dettagli di lì a qualche giorno.
Quando ci trovavamo ad un giorno di navigazione da Socotra riunì tutto l'equipaggio e i due passeggeri (io e mia moglie) per dirci quali sarebbero state le contromisure per difenderci da eventuali attacchi. La tecnica dei pirati è di mettersi in scia della nave con barchini molto veloci e, giunti a pochi metri dalla poppa, lanciare un grappino per far presa sulla battagliola della poppa, dopodichè si arrampicano lungo la sagola che unisce il grappino all'imbarcazione: in pochi minuti salgono a bordo sette od otto pirati con l'obiettivo di prendere il controllo della nave. I gruppi più "dilettanteschi" sono dei semplici ladri, limitandosi a rubare oggetti di valore nelle cabine, saccheggiare la cassaforte della nave e farsi consegnare il denaro dai membri dell'equipaggio che vengono accompagnati uno ad uno nelle rispettive cabine con un coltello alla gola. Invece quelli più “professionali”, dopo aver operato come i “dilettanteschi”, portano la nave in un loro porto sicuro, sequestrano e tengono in ostaggio l’equipaggio, quindi fanno una richiesta di riscatto all’armatore per nave e carico.
Pertanto è essenziale impedire che questi delinquenti riescano a salire a bordo, in azioni che avvengono preferibilmente di notte. Come primo provvedimento il comandante della nave su cui mi trovavo fece fissare con delle sagole ai candelieri della battagliola, all'altezza del giardinetto, una manichetta antincendio a dritta e una a sinistra con la lancia angolata verso l’asse della scia, in modo che i due getti si unissero a pochi metri dalla poppa. Questo violento getto d’acqua nebulizzata rendeva pressoché impossibile l’abbordaggio.
Poi dalle 18:00 alle 07:00 tutte le porte che davano verso l’esterno, comprese quelle delle alette di plancia, venivano chiuse a chiave dall’interno. Il passo d’uomo tra la coperta e il ponte 1 delle due scale esterne (una a dritta e l’altra a sinistra) che collegano i vari ponti fino alla plancia fu sbarrato con una grata avvitata alla struttura del ponte 1. Infine la macchina fu portata spinta al massimo numero di giri continuativo. Tutto il personale quando si trovava in cabina doveva chiudere la porta a chiave e non aprire per nessun motivo a chi avesse bussato, ma telefonare all’ufficiale di guardia in plancia.
Queste precauzioni, che peraltro hanno avuto una durata di tre giorni, ci hanno consentito di transitare senza problemi nella zona a rischio pirati.
Ai giorni nostri il fenomeno si è espanso in altre parti del mondo, particolarmente Golfo di Guinea, Indonesia e Golfo del Messico. Forse se il comandante del Remas avesse adottato le precauzioni che ho descritto sopra, questo incidente non sarebbe successo.