Vi allego un appunto del genitore sul progetto "GUGLIELMO MARCONI" - Primo battello nucleare italiano ... mai costruito.
Buona Lettura !
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Alla fine degli anni '50, quando la Marina stava ancora operando la sua ricostruzione, si definirono i lineamenti di quello che si voleva dovesse essere il nostro strumento navale: una Marina necessariamente piccola ma di qualità. Non più una Marina fatta prevalentemente di dragamine, ché quello era il compito assegnatoci nel quadro strategico mediterraneo, ma qualcosa di più. Ciò era nel pensiero dei vertici della Marina ma, soprattutto, in quello dell'allora Ministro della Difesa, Giulio Andreotti, che resse quel dicastero per circa 7 anni. Si vararono discreti programmi di costruzioni navali, con certe coraggiose ambizioni. Per esempio, l'installazione di missili Polaris (le cosiddette "uova d'oro") a bordo del vecchio GARIBALDI, prima marina europea a battere questa strada, anche se poi senza seguito. Ma seguito universale ebbe, invece, l'adozione degli elicotteri per la lotta antisom quando, prima Marina al mondo, li imbarcammo sulle fregate cl. "FASAN".
In questa temperie, non poteva rimanere trascurato il mezzo subacqueo nucleare, che col suo primo esemplare, il NAUTILUS, aveva destato interesse il tutto il mondo. Così, nel 1959 viene annunciato l'inserimento di tale progetto nei programmi di costruzioni. Si sarebbe chiamato GUGLIELMO MARCONI, progettato guardando alla cl. "SKIPJACK" americana, con una potenza propulsiva di 15.000 HP e una velocitàin immersione di oltre 20 nodi.
Va da sé che una tale realizzazione avrebbe richiesto la collaborazione degli Stati Uniti, tanto per la fornitura del reattore (si mirava all'SW5, della Westinghouse, raffreddato ad acqua pressurizzata) quanto, soprattutto, per l' approvvigionamento del combustibile nucleare, del quale non disponevamo affatto.
All'epoca, i rapporti con gli USA era ottimi e Andreotti cominciò a fare i suoi passi presso il governo americano; soprattutto col suo omologo Mc Namara, che in quel momento aveva molto peso. Pur non arrivando ad impegni formali, Andreotti ottenne il consenso del Governo americano e la promessa da parte di Mc Namara della necessaria assistenza, sì che, ancora nel 1963, egli poteva affermare in Parlamento che l'impresa proseguiva regolarmente.
Fu, quindi, sviluppato il progetto (mi pare che Giampiero ne abbia rintracciato qualche piano al Ministero) e fu istituito a S. Piero a Grado, fra Livorno e Pisa, il CAMEN (Centro Applicazioni Militari Energia Nucleare). Il sottoscritto, in una rovente giornata dell'estate 1959, resa ancor più penosa dalla divisa ordinaria bianca col collo "strozzacani", presenziò di comandata alla posa della prima ordinata su una scalo dei Cantieri Tosi di Taranto.
In verità, in Marina non mancarono perplessitàsulla faccenda, peraltro non del tutto infondate. Al di làdel lustro e del prestigio che ne derivava e dell'indubbia ricaduta tecnologica, la realizzazione del MARCONI poneva anche qualche problema. Primo fra tutti, il necessario supporto tecnico-logistico, molto più complesso di quello necessario ad un battello convenzionale, e per il quale non eravamo minimamente preparati. E poi, la considerazione che un solo battello, a fronte dell'elevatissimo costo, non avrebbe cambiato significativamente il nostro peso fra le Marine occidentali. Tuttavia, l'entusiasmo c'era.
Senonché, verso la fine del '63, la situazione mutò. Vuoi perché in Italia cominciavano a vedersi le prime avvisaglie di un'apertura verso oriente (come, ad es., la Fiat a Togliattigrad); vuoi perché, nel quadro politico italiano, la sinistra si faceva sempre più attiva; sta di fatto che gli USA ritennero l'Italia sempre meno affidabile e si richiusero. Tirarono fuori la legge MacMahon, che vietava di esportare tecnologie strategiche (ma che non fu applicata nei confronti della GranBretagna, alla quale l'assistenza nucleare fu elargita a piene mani), e si rimangiarono tutte le promesse. Del resto, nonostante cinque anni di contatti, non esisteva un impegno scritto. Anzi, la Difesa americana chiuse ufficialmente l'argomento affermando che la Marina italiana, nel contesto strategico del momento, non aveva alcun bisogno di sommergibili nucleari. Insomma, il principale membro del cosiddetto "club atomico" ci chiuse la porta in faccia e l'impresa "Smg. MARCONI" abortì definitivamente. E, sempre per le stesse motivazioni, non ebbe seguito neppure il progetto della nave ausiliaria FERMI, sulla quale il CAMEN aveva dirottato i suoi studi nucleari: gli americani, fin da subito, ci negarono l'uranio. Peraltro, per scoraggiare una volta per tutte ogni ulteriore velleità, poco dopo l'Italia fu ... persuasa a sottoscrivere il Trattato di non proliferazione nucleare, tuttora vigente.
Questa è, in sintesi, la storia del mancato MARCONI atomico.
Amm. Attilio Duilio Ranieri
Taranto
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