Visto che nessuno sapeva nulla su questa unità, ho cominciato a fare delle ricerche. Sono così incappato su un articolo russo, pubblicato dalla rivista “Морская кампания”. Per poterlo leggere, l'ho dovuto dapprima passare sull'OCR, con i suoi inevitabili errori, e poi sul traduttore di Google. La traduzione in Italiano era incomprensibile, quella inglese era accettabile, ma sfortunatamente contiene degli errori proprio in alcune parti cruciali (quelle più tecniche) con alcune parole non tradotte o di diverso contesto. A tutto ciò dovete aggiungere i miei errori, visto che non sono pratico di termini navali. Ovviamente, si tratta solo di un sunto/traduzione libera. Il nome dell'autore non era identificabile tramite l'OCR, usando la tabella dei caratteri cirillici ho tradotto S.V. Patyanin o Patianin:
Negli anni '30, l'Italia è uno dei pochi paesi che conserva una flotta Mas. Questa flotta è però composta da imbarcazioni di piccolo dislocamento, veloci, ma di corto raggio, con poca propensione a tenere il mare e scarsa stabilità in combattimento. Nel 1934 la Regia Marina sentì pertanto l'esigenza di naviglio di dislocamento maggiore, circa 50t per 30m, che poteva essere usato sia per il siluramento, sia per compiti antisommergibili che per la posa delle mine. Questo naviglio avrebbe potuto operare a notevole distanza dalle basi, indipendentemente dalle condizioni meteo, pur costando meno del relativo naviglio specializzato, sia per la costruzione che per il mantenimento, oltre ad essere riproducibile in larga scala. Il progetto venne affidato alla Baglietto: l'unità venne identificata come Mototorpediniera e non come MAS, evidenziando ulteriormente la differenza di compiti tra queste classi. Il progetto prevedeva un'unità di 51,5 t standard, 68 a pieno carico, con una lunghezza di 32 m, larghezza di 5,25, pescaggio di 0,667. L'armamento previsto era di 4 siluri da 450m, 2 mitragliatrici Breda da 13,2, una da 6,5, due lanciatori per 6 bombe di profondità da 50kg, due ricevitori sonar tipo C (!!! forse voleva dire IDROFONI, ndr). L'unità era mossa da 4 motori diesel Fiat V1616 da 3000 cv complessivi, più un motore ausiliario a benzina Fiat J-108 da 13cv. La riserva di carburante era di 10t normale, 16t max, più 500kg di lubrificante o 1500kg al massimo carico. L'autonomia stimata era di non meno di 2000 miglia a 15 nodi e velocità max non inferiore a 35 nodi. Il progetto di Baglietto prevedeva uno scafo a V, che si apriva fino a 110º nel fondo. Per garantire robustezza strutturale e al contempo leggerezza, lo scafo sarebbe stato costruito in alluminio. Altra grande innovazione sarebbe stato l'uso di motori diesel. Va notato che, prima degli Italiani, a quell'epoca nessuno (tranne forse la Germania) aveva esperienza sulla costruzione di imbarcazioni veloci con motori Diesel. L'unica unità, il Mas 437, dotato di due diesel Fiat v1616, alla fine del 1934 stava ancora completando le prove a mare. Purtroppo, non c'era altra scelta, poiché i normali motori a benzina non avrebbero permesso l'autonomia richiesta. Il progetto Baglietto venne così approvato e, il 27 maggio 1935, venne iscritto nelle liste della Regia Marina come “Stefano Turr”. A giugno, cominciò la costruzione presso la C.M.A. «Costruzioni Meccaniche Aeronautiche S.A. a Marina di Pisa. Il materiale per la costruzione fu fornito dalla "Canadian Aluminum Corporation". La costruzione fu abbastanza spedita e il 9 maggio 1936 la “Stefano Turr” discese in mare pronta per le prime prove. La particolare costruzione permetteva un doppio fondo lungo tutta la lunghezza della scafo. Il materiale usato era l'Aclad, con una forza tensionale di 38-40kg al cm² e un relativo allungamento del 15-20%. I fogli avevano una superficie pressoché piatta, al fine di facilitarne la costruzione, in caso di guerra, da parte di cantieri minori, ed erano uniti con rivetti di duralluminio aeronautico. I compartimenti stagni erano collocati nelle sezioni 8, 11, 15, 29, 40, 48 e 57, e condividevano la divisione dello scafo in 8 compartimenti. Il primo era costituito dalla prua e dal pozzo dell'ancora. Il secondo era il deposito delle munizioni, il terzo il magazzino. Il quarto, il più grande, comprendeva il quadrato ufficiali, quello sottufficiali, la cabina del comandante e del secondo, quella ufficiali e sottufficiali. Nel quinto e sesto erano collocati i quattro motori diesel e il deposito del carburante ausiliario. Nel settimo c'erano gli alloggi dell'equipaggio che, a differenza degli ufficiali, dormiva su semplici amache. Nell'ottavo c'erano i depositi di carburante e acqua. Per diminuire la forza d'impatto dell'onda, a metà scafo c'era un gradino di 0,5 m. Gli Italiani rimasero fedeli a se stessi, creando una plancia chiusa, al contrario degli altri paesi che preferivano una plancia aperta per le motosiluranti. L'armamento definitivo vedeva 2 mitragliatrici da 13,2 su affusto fisso, una da 6,5 mobile, 12 bombe da 50kg e 4 siluri da 450mm, pesanti 860kg, con una testata di 200kg, capaci di 46 nodi con un raggio di 4000m. Il motore diesel Fiat V1616 aveva superato a stento i test di durata al banco. Era un 16 cilindri a V a semplice azione, con cilindri di 160mm di diametro e corsa al pistone di 180mm. Avviamento ad aria compressa. Ogni diesel raggiungeva la potenza massima di 750 cv a 1800 giri al minuto. Due dei motori, quelli più esterni, avevano la marcia reversibile. Il motore ausiliario Fiat J-108 a benzina funzionava da generatore. L'equipaggio era di 16 persone, 2 ufficiali, 4 sottufficiali e 10 marinai. La mototorpediniera era stata dipinta in grigio cenerino chiaro e grigio scuro nelle parti immerse. Codice di identificazione era “TU”. Nei test del giugno-agosto 1936, la Turr fallì nel raggiungere la velocità prevista, il miglior risultato furono 34,62 nodi con un dislocamento di 49t. A pieno carico, la velocità massima fu di soli 30-32 nodi. Visti i continui problemi ai motori, in settembre il programma di prove fu sospeso e i motori rinviati alla Fiat per una completa revisione e dei possibili miglioramenti. Nell'aprile del 1937, i motori furono reinstallati, ma le nuove prove portarono a numerosi malfunzionamenti, (in particolare le frequenti rotture provocarono delle fratture dell'albero motore). I motori furono quindi nuovamente rinviati alla Fiat. In attesa del loro ritorno, furono effettuati dei miglioramenti all'imbarcazione, specie nella prua (qualcosa riguardante l'ancora e gli spruzzi, ma non è chiaro). I motori tornarono solo nell'aprile del 1938. La Turr fu quindi inviata a La Spezia per delle prove che continuarono sino a novembre. Fu quindi accertata la reale autonomia dell'unità. Con 10t, a 25 nodi, la Turr passava le 750 miglia con tutti e quattro i motori accesi, con un consumo di 13,33 kg per miglio. A pieno carico di nafta (16t), superava le 1145 miglia con 17,9 nodi e quattro motori, o 1582 miglia a 13,6 nodi e due motori o 3800 nodi a 6,6 nodi e un solo motore. Il 9 gennaio 1939 la vedetta “Stefano Turr” fu ufficialmente inclusa nella Regia Marina e unita alla 1ª flottiglia MAS, distretto navale del Tirreno settentrionale. La Spezia divenne la sede dell'unità. Nel corso del 1939, la Turr partecipò a numerosi esperimenti sull'uso dei siluri e sulla posa delle mine, durante i quali furono numerosi i guasti ai motori. Inoltre, si accertarono dei seri problemi di corrosione che costrinsero la Turr a ritornare alla base senza compiti operativi. La Turr non partecipò a operazioni di guerra, evidenziando il totale fallimento del progetto. Nell'aprile del 1941, gli Italiani catturarono in Yugoslavia 6 motosiluranti tedesche, subito incluse nella flotta. Benché simili in dislocamento, questi trofei di guerra superavano l'analoga unità italiana in tutti i parametri, velocità, armamento, autonomia e tenuta del mare, tanto da essere riprodotte dai cantieri italiani. Di conseguenza, nel luglio del 1941 la Turr fu radiata. Rimase abbandonata nell'arsenale di La Spezia, fino a quando fu demolita nel 1947-48. L'esperienza della IIGM dimostrò che questo tipo di unità era superiore alle più leggere Mas. Il progetto della Turr fu un passo nella direzione giusta, ma fallì a causa dei materiali di costruzione, soggetti ad una eccessiva corrosione dell'acqua marina e dei motori inaffidabili. Per la stessa ragione, non andò avanti un altro progetto, proposto nel 1938, di una imbarcazioni di 50 t, dotato di motori Isotta Fraschini Asso 1000. Il progetto, proposto alla marina Spagnola nel 1940, fallì poco prima della firma del contratto.