La condanna
Fu proprio la volontàdel cappellano King a far nascere i due processi sui massacri di Biscari. King raccontò tutto all'ispettore dell'armata - figura simile ai nostri pubblici ministeri -, che fece rapporto a Omar Bradley. La corte marziale contro il sergente West si aprì a settembre. L'accusa: «Omicidio volontario premeditato, per avere ucciso con il suo mitra 37 prigionieri, deliberatamente e in piena coscienza, con un comportamento disdicevole». I fanti italiani - poco meno di 50 - erano stati catturati dopo un lungo combattimento in una caverna intorno all'aeroporto di Biscari. Il comandante li consegnò al sergente con un ordine ritenuto «vago» dai giudici: allontanarli dalla pista dove si sparava ancora. Nove testimoni hanno ricostruito l'eccidio. West mette gli italiani in colonna, dopo alcuni chilometri di marcia ne separa cinque o sei dal resto del gruppo. Poi si fa dare un mitra e conduce gli altri fuori dalla strada. Lì li ammazza, inseguendo quelli che tentano di scappare mentre cambia caricatore: uno dei corpi è stato trovato a 50 metri. Davanti alla corte, il sergente si difese invocando lo stress: «Sono stato quattro giorni in prima linea, senza mai dormire». Dichiarò di avere assistito all'uccisione di due americani catturati dai tedeschi, cosa che lo «aveva reso furioso in modo incontrollato». Il suo avvocato parlò di «infermitàmentale temporanea». Infine, West disse ai giudici: «Avevamo l'ordine di prendere prigionieri solo in casi estremi». Ma la sua difesa non convinse la corte, che lo condannò all'ergastolo. La pena però non venne mai eseguita. Washington infatti era terrorizzata dalle possibili ripercussioni di quei massacri. Temeva il danno d'immagine sugli italiani - con cui era stato appena concluso l'armistizio - e il rischio di ritorsioni sugli alleati reclusi in Germania. Si decise di non mandare West in una prigione negli Usa ma di tenerlo agli arresti in una base del Nord Africa. Poi la sorella cominciò a scrivere al ministero e a sollecitare l'intervento del parlamentare della sua contea. Il vertice dell'esercito teme
che la vicenda possa finire sui giornali. Il 1° febbraio 1944 il capo delle pubbliche relazioni del ministero della Guerra sollecita al comando alleato
di Caserta un «atto di clemenza» per West: «Non possiamo - è il testo della lettera pubblicata da Stanley Hirshson nel 2002 - permettere che questa storia venga pubblicizzata: fornirebbe aiuto e sostegno al nemico. Non verrebbe capita dai cittadini che sono così lontani dalla violenza degli scontri». Così dopo solo sei mesi, West viene rilasciato e mandato al fronte. Secondo alcune fonti, morì a fine agosto in Bretagna. Secondo
altre, ha concluso la guerra indenne.
L'assoluzione
Invece il 23 ottobre 43 il capitano John C. Compton non cercò scuse: davanti alla corte marziale disse solo di avere obbedito agli ordini. Nel processo fu ricostruita la battaglia per la base di Biscari, combattuta per tutta la notte. C'era una postazione nascosta su una collina che continuava a bersagliare la pista. E una mischia feroce, con tiri di mitragliatrici e mortai, senza una linea del fronte. L'unitàdi Compton aveva avuto dodici caduti in poche ore. A un certo punto, un soldato statunitense vede un italiano in divisa e un altro in abiti «borghesi» che escono da una ridotta: sventolano una bandiera bianca. L'americano si avvicina e dalla trincea alzano le mani circa quaranta uomini. Cinque hanno giacche e maglie civili sopra i pantaloni e gli stivali militari. Il soldato li consegna al sergente ma arriva il capitano. Compton non perde tempo: dice di ucciderli. Molti dei suoi si offrono volontari: sparano in 24, esplodendo centinaia di pallottole sul mucchio degli italiani. Il numero esatto delle vittime resta incerto ma l'inchiesta si conclude con l'incriminazione del solo ufficiale per 36 omicidi, scagionando i suoi subordinati. E Compton in aula dichiara che l'ordine era quello, che doveva uccidere i nemici che continuavano a resistere a distanza ravvicinata. Inoltre precisa che quegli italiani erano «sniper», termine traducibile come «cecchini» o «franchi tiratori», e quindi andavano fucilati: una linea difensiva che sarebbe stata suggerita dallo stesso Patton. «Li ho fatti uccidere perché questo era l'ordine di Patton - concluse il capitano -. Giusto o sbagliato, l'ordine di un generale a tre stelle, con un esperienza di combattimento, mi basta. E io l'ho eseguito alla lettera». Tutti i testimoni - tra cui diversi colonnelli - confermarono le frasi di Patton, quel terribile «se si arrendono solo quando gli sei addosso, ammazzali». Alcuni riferirono anche che Patton aveva detto: «Più ne prendiamo, più cibo ci serve. Meglio farne a meno». Compton fu assolto. Il responsabile dell'inchiesta William R. Cook fu tentato di presentare appello: «Quell'assoluzione era così lontana dal senso americano della giustizia - scrisse - che un ordine del genere doveva apparire illegale in modo lampante». Ma nel frattempo Cook era caduto al fronte. Ironia della sorte, si crede che sia stato colpito da un cecchino mentre cercava di avvicinarsi a dei tedeschi con la bandiera bianca. La sua assoluzione è però diventato un caso giuridico, che ha cominciato a circolare tra il personale della giustizia militare statunitense dopo la fine della guerra. Un precedente «riservato» anche per evitare che influisca sui processi ai criminali di guerra nazisti. Poi nel '73 una traccia nei diari di Patton pubblicati da Martin Blumenson e nell'83 la prima descrizione completa nell'autobiografia del generale Omar Bradley. Oggi alcuni storici americani - assolutamente non sospettabili di revisionismo - ritengono che sulla base della sentenza Compton andavano assolte le SS fucilate per gli omicidi di prigionieri americani. E mentre negli Stati Uniti da 25 anni si pubblicano studi sul «massacro di Biscari» e le sue ripercussioni - il primo nel 1988 fu di James J. Weingartner, l'ultimo nel 2002 è stato di Hirshson - nel nostro Paese la vicenda è stata sostanzialmente ignorata. Vent'anni fa nel volume dello statunitense Carlo d'Este sullo sbarco in Sicilia, tradotto da Mondadori, la questione era relegata in un capoverso. Poi, ultimamente due introvabili scritti di storici siciliani e una pagina nel documentato volume di Alfio Caruso. Mai però un iniziativa per ricordare quei soldati, rimasti senza nome. Mentre persino Biscari non esiste più: oggi il paese si chiama Acate.
Quello che voglio dire e' che da ogni parte si sbaglia, ma negli USA chi sbaglia viene processato( anche se a volte la Ragion di Stato prevale , come dappertutto).
Cio' NON avviene pero' in TANTE altre Nazioni.
Pietro