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Efficiente e instancabile, l’esercito dei robot sottomarini
5000 prototipi in tutto il mondo attivi dalla tutela ambientale al recupero dei reperti
FRANCESCA TARISSI
Ad oggi nei fondali marini e oceanici di tutto il mondo ne circolano circa 5000. Li chiamano underwater robot, robot sottomarini, e costituiscono un piccolo esercito destinato a crescere di numero nei prossimi anni. In grado di navigare per ore in immersione a qualunque temperatura, si tratti delle altissime sprigionate dal magma di un vulcano marino in eruzione o di quelle gelide delle correnti del Polo, queste macchine rappresentano l’eccellenza di un settore della robotica, la robotica sottomarina, che è secondo per numero solo a quello industriale. A fronte degli 800.000 robot utilizzati nelle fabbriche e nelle industrie dei vari continenti, sono infatti i 5000 prototipi operanti nelle acque del globo a costituire non uno sparuto gruppetto di natanti evoluti, quanto la più promettente promessa di sviluppo economico dei prossimi anni. Lo sfruttamento delle risorse dei fondali, infatti, e l’incalcolabile quantitàdi dati e conoscenze di cui potenzialmente potremmo entrare in possesso, sono in grado di aprire nuove strade alla ricerca e allo sviluppo, sia per quanto riguarda il monitoraggio ambientale (previsione di tsunami, scoperta di nuove specie viventi ecc) che per l'industria farmaceutica e tecnologica. Senza tralasciare l’indotto rappresentato dall’individuazione e dal recupero dei reperti archeologici sottomarini, dalle operazioni di soccorso e salvataggio di vite umane e da una serie di usi militari.
«La sostituzione degli uomini con le macchine spiega Antonio Pascoal, Direttore del DSORDynamical Systems and Ocean Robotics Lab dell’Instituto Superior Técnico di Lisbona diventa fondamentale laddove si tratta di esplorare luoghi per noi inaccessibili. Grazie agli underwater robot, per esempio, abbiamo scoperto forme di vita completamente diverse da quelle terrestri. Mi riferisco a particolari batteri anaerobici che potranno essere molto utili al fine della comprensione delle origini della vita e anche per l’industria farmaceutica».
Gli fa eco Tamaki Ura, vero pezzo da novanta della robotica sottomarina mondiale, direttore dell’Underwater Technology Research Center dell’Universitàdi Tokyo: «I robot riescono a portare a compimento missioni realmente pericolose. Il nostro AUV r2D4, un robot autonomo che non necessita di essere collegato alla nave madre dal cavo ombelicale, ha per esempio eseguito la mappatura di uno dei crateri vulcanici più grandi del mondo, a 1000 metri di profonditàe con una corrente veloce oltre 3,5 nodi».
L’Italia, quarta al mondo e seconda in Europa per utilizzo di robot industriali, previsti sul territorio nell’ordine delle 63.000 unitàentro il 2007 (dati UNECE), punta ad ottenere anche in questo campo un posto al sole. Soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo, la produzione e la vendita all’estero di robot destinati alla salvaguardia e al monitoraggio ambientale, alla cantieristica, alla riparazione navale e alla logistica portuale. E se fino ad ora l’attenzione della ComunitàEuropea è rimasta focalizzata sui mari del nord Europa, i centri di ricerca di robotica sottomarina dei paesi del Mediterraneo (Spagna, Italia, Francia e Portogallo) stanno organizzando delle partnership per convogliare attenzioni e finanziamenti nel mare nostrum. "L’Italia", spiega Gianmanrco Veruggio del CNRRobotLab di Genova, "è un paese leader nelle tecnologie sottomarine, fortemente trainate dal polo tecnologico di La Spezia e dal CNR di Genova. Attraverso la collaborazione e la cooperazione con i centri di ricerca del sud Europa, vogliamo sviluppare un hitech che si distingua per eccellenza, capace di fronteggiare la concorrenza extraeuropea. Giàoggi le nostre macchine sono uniche, possono operare rilevazioni ambientali nei fondali dell’Artico, comunicare con la terraferma via Internet e inviare dati e informazioni per il controllo dello stato di salute dell’ecosistema marino".
"La sfida è renderli il più possibile autonomi"
Lo scienziato americano Dana Yoerger prevede sviluppi sorprendenti a profonditàsempre maggiori
Da ragazzino sognava di fare l’astronauta ma, invece che allo spazio, la sua vita ha finito col dedicarla al mare. Aria informale e modi affabili, a 51 anni compiuti Dana Yoerger è il direttore del Deep Submergence Laboratory di Woods Hole in Massachussets, il più grande istituto di ricerca oceanografica degli Stati Uniti. Salito alla ribalta circa vent’anni fa, quando Jason, un prototipo di robot sottomarino sviluppato sotto la guida di Robert Ballard, localizzò e identificò il relitto del Titanic, oggi Yoerger si divide tra lo studio degli abissi, il ritrovamento di reperti archeologici sepolti nei fondali oceanici e lo sviluppo di robot sottomarini all’avanguardia.
Come saràla prossima generazione di robot sottomarini?
«Credo che nei prossimi anni assisteremo ad un progresso molto serrato. Quello che stiamo cercando di ottenere con i nostri studi sono robot più resistenti, che abbiano un tempo di immersione più lungo, consumino meno, navighino più velocemente e dispongano di molte più capacitàe autonomia di quante non ne abbia il nostro fiore all’occhiello Abe, un AUV per il monitoraggio continuo e prolungato dei fondali oceanici, munito di sistema di posizionamento acustico».
E quali risultati avete giàottenuto con Abe?
«Abe ha scoperto anfratti che non conoscevamo e da cui esce acqua calda. E la cosa sorprendente è che ci sono animali che riescono a vivere in questo particolare habitat. Senza contare i rilievi ultra nitidi che il robot riesce a fare».
Non crede, però, che il proliferare di queste macchine possa interferire negativamente con l’ecosistema marino?
«I robot sono degli osservatori del regno marino e i benefici che traiamo dallo studio dei fondali, dalla possibilitàdi prevedere gli tsunami e dalle scoperte biologiche vale comunque la pena dell’impresa. Il disturbo è veramente piccolo se paragonato ai progressi in campo naturalistico che si possono ottenere».
Qual è la scoperta che più l’ha emozionata?
«Al Titanic devo essere grato per la notorietàche mi ha dato, però del Titanic si sapeva praticamente giàtutto: com’era fatto, cosa conteneva. Se devo essere sincero, l’aspetto che più mi piace è la possibilitàdi scoprire dettagli assolutamente nuovi, che possano farci progredire nella comprensione della realtàe della storia. Come localitàsottomarine mai esplorate prima o navi antiche affondate da secoli»
Pensa che un giorno vivremo sott’acqua?
«Personalmente spero proprio di no. Amo l’oceano ma sinceramente mi piace molto di più la mia casa, la mia famiglia, i miei amici e il cibo».