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PELLICANO

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Risposte pubblicato da PELLICANO

  1. Le catteristiche dell’ acqua di alimento

    Il problema delle caratteristiche e della qualità dell’ acqua di alimento, fondamentale per la vita e l’ efficienza delle caldaie, fu stranamente trascurato in quasi tutte le marine, meno che nella US NAVY.

    Il trattamento dell’ acqua in caldaia fu tra le principali cause di avarie, continue, nella Reichsmarine, anche per la scelta effettuata di passare ad altissime pressioni e temperature.

     

    Bisogna fare una piccola riflessione, senza entrare in dettagli di fisica e termodinamica: l'acqua assorbe più calore delle sostanze inorganiche comuni, per un aumento di temperatura dato.

    Si espande di 1600 volte quando evapora per formare vapore a pressione atmosferica.

    Il vapore può trasportare grandi quantità di calore.

    Queste proprietà particolari dell'acqua ne fanno un mezzo ideale per il trasporto e la trasformazione dell’ energia.

     

    Tutte le acque naturali contengono una quantità estremamente variabile di materiale dissolto e in sospensione cosi come gas dissolti. La quantità di minerali dissolti presenti nell'acqua varia da 30 g/l nell'acqua di mare a un range compreso fra 0.005 e 1500 mg/l nell'acqua superficiale, ma il vero problema non è la quantità ma la facilità di eliminare i componenti dissolti.

     

    Le impurità dell'acqua causano problemi non solo nelle caldaie ma anche nell’ intero ciclo e di conseguenza bisogna porre la massima attenzione alla qualità dell'acqua utilizzata per generare il vapore.

     

    Per semplicità possiamo dire che le impurità sono presenti sotto forma di sali disciolti generici (solfati cloruri e carbonati), e come tali possono venire all’ origine, rifornimento da fonti esterne o evaporatori/dissalatori ma anche da sopravvenute avarie nel circuito chiuso di bordo come ad esempio, tra le più frequenti, da perdite al condensatore, oltre che da cattivo funzionamento dell’impianto di evaporazione/distillazione.

     

    I sali disciolti nell’acqua alimento possono depositarsi in caldaia sotto forma di incrostazioni oppure essere trascinati dal vapore. Le incrostazioni si formano quando per il sale disciolto viene superato il limite di solubilità a seguito della concentrazione della soluzione; si formano anche per variazione della temperatura, a cui la solubilità è legata, oppure per l’influenza di altre sostanze presenti in soluzione.

    Le condizioni di precipitazione sono strettamente connesse con il fenomeno dell’evaporazione sulle superfici di scambio termico e variano da caldaia a caldaia.

    Le incrostazioni in caldaia sono dannose perché riducono notevolmente il coefficiente di trasmissione del calore: ne deriva un sensibile aumento della temperatura dei tubi, con conseguenti arroventamenti locali, seguiti da rotture e scoppi.

     

    Uno dei fenomeni più disattesi e dannosi riguarda il fatto che la solubilità dei sali disciolti nel vapore diminuisce man mano questo si espande ed anche se si evitassero depositi in caldaia e le sostanze trascinate arrivassero nelle turbine, le si depositerebbero sui distributori e sulle giranti, provocando una diminuzione di rendimento delle macchine.

     

    Il trattamento dell’ acqua in caldaia è stato uno dei processi più gelosamente riservati e custoditi dalla US Navy, se dovessimo fare un parallelo, quasi para lla cura con cui all’ epoca dei dirigibili non fu mai ceduta fuori degli USA la tecnologia dell’ elio in sostituzione del pericolosissimo idrogeno.

     

    Il servizio dell’ acqua di alimento delle caldaie ed interventi relativi

    Negli impianti marini a vapore, e soprattutto in quelli navali, si fa ricorso normalmente ad acqua distillata, generalmente di produzione “propria”, realizzata in alto mare: la evaporazione/distillazione in acque costiere e portuali comporterebbe la presenza di Sali7imporità, quali i silicati, molto dannosi e più difficili da rimuovere, sia nell’ impianto evaporatore sia nell’ acqua prodotta.

    Ovviamente nelle basi navali, cosi come negli impianti terrestri di generazione elettrica, si fa ricorso alla distillazione, ma il rifornimento da queste fonti era nel possibile evitato dalle unità navali.

     

    L’ uso dell’ acqua distillata è imposto dal fatto già citato che le acque contengono - in percentuali estremamente variabili secondo i luoghi - alcuni Sali, quali:

    • Cloruro di Sodio
    • Cloruro di Magnesio,
    • Solfato di Magnesio, solfato di calcio,
    • Carbonato di Calcio.

    Qualora tali Sali venissero immessi in caldaia con l’ acqua di alimento non evaporerebbero e depositandosi aumenterebbero gradualmente la loro concentrazione, con le seguenti conseguenze:

    1. Formazioni di incrostazioni durissime (dovute principalmente alla precipitazione di Sali di calcio e magnesio), difficilmente rimovibili, che ostacolano la trasmissione del calore e portano all’ arroventamento del metallo, con perdita delle sue caratteristiche meccaniche;
    2. Formazione di acidi liberi che corrodono il metallo dei generatori di vapore edegli utenti;
    3. Generazione di fenomeni elettrolitici, per l’ aumentata concentrazione salina e per la presenza di contatto di metalli diversi o di diversa lavorazione, con la conseguenza di concentrazione delle corrosioni;
    4. Evaporazione tumultuosa, anch’ essa dovuta all’ aumentata concentrazione salina, con la conseguenza di trascinamento di acqua da parte delle bolle di vapore che scoppiano in ritardo sulla superficie libera; l’ acqua trascinata deposita i propri Sali all’ interno dei fasci tubieri del surriscaldatore, nelle tubo latore, nelle valvole, ed infine come già citato sulle parti fisse e mobili delle turbine. Queste incrostazioni ostacolano la trasmissione del calore, abbassano il rendimento delle motrici, riducono la vita utile degli apparati.

     

    Se si presta si attenzione a tali fenomeni, e si vuole evitarli, occorre definire le caratteristiche dell’ acqua di alimento e stabilire procedure rigidissime di controllo ed azione a cadenze molto strette, quali i turni di guardia a bordo, quali:

    1. capacità di trasformare i Sali di calcio e magnesio, tanto in soluzione quanto già precipitati sotto forma di depositi od incrostazioni, in precipitati pulverulenti che non aderiscono sulle superfici metalliche;
    2. controllo ed intervento sull’ alcalinità dell’ acqua, mantenendola comunque superiore a 7, per evitare le corrosioni dovute a formazione di acidi (nella MMI si manteneva a 9,5 a 11):
    3. concentrazione salina totale bassa in modo da evitare ebollizioni tumultuose.

    Le tolleranze su alcali, sali, silicati, fosfati, etc. diventano minime, anche e soprattutto come tempi di reazione, con l’ elevarsi di pressione e temperatura di esercizio, e considerando che il trattamento ed i controlli relativi dovevano essere effettuati da personale anche non specificamente qualificato (come negli impianti terrestri) e comunque anche in condizioni operative critiche, fu uno dei fattori che indusse la US Navy a non spingersi oltre nell’ adozione di caldaie ad altissima pressione e temperatura.

     

    L’ acqua distillata, ottenuta nella maggior parte dei casi in “proprio” dalla distillazione dell’ acqua di mare, quando l’ unità era in mare aperto, contiene comunque – seppure in basse percentuali – tutti i Sali presenti nell’ acqua da cui proviene ( opportuno per questo evitare gli estuari ..). E’ quindi necessario quando possibile un trattamento chimico nell’ acqua inviata alle casse di bordo, ma è soprattutto necessario intervenire con continuità nell’ acqua in ciclo al fine di conferire all’ acqua di alimento le caratteristiche richieste.

     

    Il trattamento chimico viene generalmente effettuato introducendo direttamente in caldaia un preparato correttivo, nelle dosi e con la periodicità che sono una delle principali responsabilità del personale di guardia.

     

    Lo studio del trattamento dell’ acqua in caldaia ha occupato i tecnici di tutte le Marine, dando spesso origine ad azioni di intelligence, ed ha rappresentato un problema mai totalmente e soddisfacentemente risolto.

     

    L’ altra caratteristica dell’ acqua di alimento è quella di essere “deaerata”, ossia priva di ossigeno libero, che esalterebbe tutti i fenomeni di corrosione: la deaerazione, a ciclo continuo, deve intervenire con sicurezza in quanto esistono inevitabilmente molti punti in cui l’ aria filtra nei circuiti. Il tema della deaerazione come impianto è trattato con gli ausiliari, le tubolature e la sistemazione dell’ A.M., ma in questa sede occorre ribadire che i gas liberi o disciolti nell’ acqua (ossigeno assorbito dall’ aria e CO2 proveniente dalla decomposizione dei bicarbonati, ossia dallo stesso trattamento) sono perico9lissimi per le corrosioni a cui danno luogo.

    L’ ossigeno si combina con l’ idrogeno atomico agevolando la dissoluzione del ferro, agendo poi come ossidante e trasforma l’ idrato ferroso in idrato ferrico, che precipita e provoca una nuova dissoluzione del ferro: un circuito pernicioso per rimpiazzare l’ idrato ferroso ossidato. La CO2 da parte sua da luogo alla formazione di bicarbonati.

     

    Occorre ricordare come il 60/70% delle avarie manifestatesi nelle caldaie sono dovute ad imperfezioni nel trattamento acque delle caldaie.

  2. Facendo seguito all’ interessante post di Helsingor sulle valvole , un cenno particolare merita la regolazione di alimento delle caldaie, mentre la trattazione dei circuiti relativi viene descritta a parte, nel post relativo alla sistemazione generale dell’ apparato motore.

     

    L’ acqua di alimento, prima dell’ ingresso nel collettore superiore veniva fatta circolare l’ acqua nei riscaldatori di alimento o nell’ economizzatore situato sullo scarico al fumaiolo dei gas combusti.

    Ovviamente per ragioni di sicurezza, i circuiti di alimento dovevano essere duplicati: ogni caldaia aveva due sistemi di alimentazione, “principale” e “ausiliario”, indipendenti tra loro, ognuno servito da una pompa, ciascuna in grado di fornire da solo alla caldaia l’ acqua necessaria per la massima produzione di vapore prevista.

    Le due tubolature di alimento erano collegate al collettore superiore della caldaia attraverso due “valvole di alimento”, anch’ esse – rispettivamente- “principale” ed “ ausiliaria”: le caratteristiche di queste valvole erano quelle di non ritorno, ossia venivano mantenute aperte dalla maggior pressione esercitata dalle pompe di alimento rispetto alla caldaia ma si chiudevano automaticamente ed istantaneamente (il fungo della valvola era staccato dall’ asta) in caso di caduta della pressione di alimento per evitare svuotamenti della caldaia.

    I tempi di reazione su tali valvole erano talmente ridotti, per l’ immissione dell’ acqua in caldaia, che le stesse erano collegate a sistemi automatici che nel corso del tempo risultarono sempre più complessi (ed affidabili) detti autoregolatori dell’ acqua di alimento.

    Si è gia detto che la caratteristica delle valvole di alimento è quella di avere il fungo staccato dall’ asta: la funzione dell’ asta è quindi di regolare l’ alzata del fungo e quindi la quanti di acqua da immettere in caldaia

    La regolazione dell’ apertura della valvola di alimento è stata oggetto nel tempo di automatismi sempre più sofisticati, completamente automatici, detti autoregolatori di alimento.

     

    Schema essenziale della valvola automatica di alimento

    119p5x4.jpg

     

    Come si è detto l’ evoluzione delle caldaie marine, e la ricerca di maggiore flessibilità di esercizio e di pesi sempre minori, portò a contenere in caldaia una quantità di acqua molto limitata rispetto alla produzione oraria di vapore ed erano soggette, soprattutto in manovra delle unità militari, a rapidissime variazioni di regime, per cui divennero necessari sistemi che consentissero di riportare altrettanto rapidamente alla normalità il livello di acqua nel collettore, evitando tanto le conseguenze di un livello troppo basso (danneggiamento per arroventamento dell’ attacco dei fasci tubieri)quanto troppo alto (trascinamento di acqua con pericolosi colpi di ariete nelle tubolature).

    La complessità dei sistemi di autoregolazione era altissima, considerando che potevano agire o per variazione del titolo del vapore, in conseguenza della variazione di livello in caldaia, oppure – nelle caldaie più recenti, per variazione del flusso del vapore attraverso il surriscaldatore in funzione diretta della maggiore o minore richiesta delle motrici.

    Ovviamente era indispensabile la massima attenzione umana e la possibilità di immediato intervento manuale.

  3. Rispondendo ad Alfa Bravo, anticipo alcune considerazioni, comunque già introdotte nel post delle caldaie. Consideravo e considero ancora che una trattazione più ampia del tema possa aprirsi a valle di una “stabilizzazione” generale del tema della propulsione a vapore e della sistemazione degli apparati motore.

    La propulsione a vapore, per le potenze erogabili, era di fatto l’ unica soluzione negli anni 30.

     

    Al di la dell’ opinabilità degli indirizzi e delle specifiche della regia Marina che ponevano come priorità assoluta la velocità, il vero problema e la vera condizionante era l’ arretratezza , l’ indisponibilità e la chiusura all’ innovazione dell’ industria navalmeccanica italiana. La colpa della RM fu l’ incapacità di imporre l’ innovazione, ma d’ altra parte esisteva un cortocircuito della lobby industriale che bypassava la RM imponendo commesse a ripetizione.

     

    Il punto non è ciò che fecero le altre Marine, ma ciò che non fece la Regia Marina, o ciò che l’ industria italiana dell’ epoca impedì alla RM di raggiungere.

     

    Per la mancanza di materiali adeguati, per la cieca pervicacia su modelli ormai superati, con un binomio di fattori pressione/temperatura vapore che portavano a valori eccessivi l’ esponente peso a.m./potenza erogata, con altrettanto importanti implicazioni negative sui consumi e quindi sull’ autonomia, le unità italiane costruite negli anni 30 risultarono totalmente sbilanciate, a sfavore di armamento, protezione, abitabilità, dimenticando che l’ abitabilità è condizione essenziale dell’ efficienza operativa.

    Il fenomeno era più acuto quanto minore il dislocamento delle unità: sacrificando tutto alla velocità e sbilanciando gli esponenti di peso a favore dell’ apparato motore (ricordiamo che la velocità cresce con il quadrato della potenza..!!) bisogna ricordare come emblematico il caso delle torpediniere che furono le più impiegate in guerra per il prevalente compito di scorta della R.M.

    Quale esempio basta ricordare che partendo da un dislocamento standard originale di circa 750 T per le torpediniere e 900 T per gli avvisi corta, l’ adeguamento di dotazioni ed armamento comporto tra il 25% ed il 30% di aumento del dislocamento, con il decadimento delle prestazioni.

    Basti pensare che la sola adozione di caldaie un poco più avanzate (seguendo il modello molto cautelare della US Navy senza cadere negli estremi tedeschi, risultati inaffidabili), con tutte le implicazioni favorevoli a valle, nel ciclo vapore, avrebbe comportato almeno una riduzione del 30% nella riduzione dell’ esponente di peso e nei volumi necessari, con il risultato di unità di buone prestazioni, più adeguate alla minaccia e molto più “bilanciate”.

     

    Il problema reale non fu la R.M. ma fu un’ industria italiana cieca ed obsoleta, un’ industria con troppe connessioni e protezioni politiche che ancora a distanza di tempo è stata ed è sopravalutata.

    =================

    Non so se questo è il post giusto per questa discussione, che impone un ampio dibattito, approfondimenti ed il contributo di molti; forse è meglio in questa sede continuare a dare la priorità ad un approfondimento ed un livellamento tecnico su tutti gli aspetti degli apparati motore a vapore. Lascio ogni decisione al nostro moderatore

  4. Le reti di tubolature

    Riprendendo lo schema del ciclo vapore, una volta definita l’ ubicazione (pesi/volumi) dei diversi componenti dell’ apparato motore occorre studiare la maniera più idonea a collegarli tra loro, e pure in forma ridondante, con incroci e/o duplicazioni di circuiti per soddisfare quelle esigenze di sicurezza in combattimento di cui si è già parlato.

    t655j9.jpg

     

    http://i61.tinypic.com/t655j9.jpg

    I requisiti principali delle reti tubolature erano (ed in parte sono ancora) i seguenti:

    1. il loro insieme deve essere il meno possibile complicato
    2. Le manovre degli organi inseriti su di esse devono effettuarsi rapidamente e possibilmente comodamente come accesso
    3. Permetter un facile accesso per visite, manutenzioni e smontaggi
    4. Assicurare con opportuni percorsi e posizioni dei rubinetti, lo svuotamento totale e sicuro (spurgo) delle tubolature)
    5. Assicurare, in particolare per le navi militari, il funzionamento dell’ apparato motore anche in caso di rotture di tubi od avarie di certi apparecchi o blocchi

    Va ricordato che il vapore surriscaldato è un gas puro, inodore ed invisibile le cui perdite o trafilamenti, soprattutto quando il personale deve agire o transitare in passaggi angusti, possono letteralmente segare in due un corpo umano.

    Le tubolature più importanti di un apparato motore a vapore, che spesso attraversavano vari locali, con tutti i problemi di passaggio, dilatazione e tenuta sulle paratie stagne, erano:

    1. Tubolatura acqua di alimento (comprendente sia la parte estrazione condensato, che quella di trattamento acqua, che quella di mandata in caldaia)
    2. Tubolature del vapore principale (generalmente surriscaldato, altissima pressione ed altissima temperatura)
    3. Tubolature del vapore ausiliario ( che poteva essere di vapore saturo o de surriscaldato, comunque pressioni e temperature notevoli)
    4. Tubolature del vapore di scarico
    5. Tubolature di spinta nafta
    6. Tubolature dell’ olio di lubrificazione (servizio motrici e riduttore)

    Come è già stato illustrato in altra sede l’ immissione del vapore nelle tubolature doveva seguire un iter meticoloso, con tubolature asso lutate prive di liquido e porate gradualmente in temperatura; inutile poi parlare della cura nelle coibentazioni e nella loro conservazione 8il micidiale amianto, in tutte le sue forme.

    Oltre ai rischi delle tubolature vapore, di ogni genere, il grande pericolo sulle tubolature nafta ed olio erano piccole perdite o fori che potessero portare alla nebulizzazione del liquido infiammabile, che si sarebbe acceso immediatamente a contatto con le parti calde . Un pericolo incombente che portò a incidenti disastrosi, come nel caso della Tn Michelagelo (il cui a.m. era di tipo militare ..)

     

    E’ interessante notare che la progettazione era effettuata solo su disegni in piano, e l’ integrazione, per evitare interazioni tra le diverse reti , era effettuata attraverso un modello in scala 1:25 dell’ apparato motore: questa scala permetteva definire i vari spezzoni di tubi o condotti con la sagomatura opportuna e le relative flange, ed i singoli pezzi del modello, anche minimi, venivano poi portati in officina per essere pantografati a misura reale, per evitare lunghe e costose misure a bordo e tempi morti nell’ allestimento. Questi modelli – costosissimi –erano delle vere opere d’ arte, ed alcuni di essi sono conservati nell’ Accademia Navale di Livorno.

  5. Considerazioni generali sulla disposizione degli apparti motore a vapore

     

    Nella progettazione di un apparato motore, già definite la potenza da sviluppare e lo spazio disponibile a bordo, il primo problema che si presenta è quello di stabilire il numero di gruppi propulsori (ossia, nel caso del vapore, il sistema costituito da caldaie-ausiliari - motrice collegata – riduttore – linea d’ assi – elica) da adottare, ed una volta definito questo primo parametro occorreva definire il numero di caldaie tra le quali doveva essere ripartita la produzione di vapore (con il solito riferimento: vapore di maggiore pressione e temperatura = caldaie più leggere – eventualmente meno caldaie).

     

    Per le unità militari evidenti ragioni di sicurezza r manovrabilità impongono che i gruppi propulsori siano almeno due, anche se un tempo su unità maggiori (come le corazzate e le portaerei) si sono avuti quattro gruppi; lo standard generale è stato ed è su due gruppi.

     

    Per quanto riguardava il vapore, ed il frazionamento dei generatori di vapore, occorreva tener presente che il il peso, l’ ingombro, il costo, riferiti alla potenza unitaria, diminuivano grandemente con l’ aumento della potenza (riferimenti anche di cui sopra).

    Risultava quindi conveniente – dal punto di vista teorico ed economico - frazionare il meno possibile l’ apparato generatore (le caldaie), con vantaggi sulla semplificazione delle tubolature, la diminuzione di aperture e fumaioli, riduzione del personale per condotta e controllo.

    Per contro l’ adozione di generatori di grande potenza avrebbe portato, eventualmente, alla conseguenza che i caso di avaria anche di un solo generatore, la diminuzione di potenza sarebbe stata eccessiva, in particolare per le navi militari, dove assumeva importanza prioritaria poter non solo suddividere la potenza ma “incrociarla” tra i due (o più) diversi gruppi motori.

     

    La sistemazione dei generatori (caldaie e loro accessori) doveva comunque soddisfare le esigenze di compartimentazione e galleggiabilità della nave.

    I fattori che determinavano il frazionamento più conveniente dell’ apparato generatore (le macchine erano un diverso problema) erano molteplici, in particolare riguardo alle aperture (fumaioli compresi) e privavano su ogni altra considerazione di sistemazione di volumi e pesi; definito il frazionamento si trattava di di posizionare gli apparati nello scafo, in genere secondo i seguenti concetti informatori:

    1. sistemare le motrici più a poppa possibile, allo scopo di ridurre la lunghezza delle linee d’ assi, e cercare di sistemare le caldaie immediatamente vicine, generalmente a proravia, delle motrici, allo scopo di ridurre la lunghezza delle tubolature di vapore e concentrare nel piu breve spazio possibile tutto l’ apparato motore ed i relativi ausiliari;
    2. distribuire i vari componenti dell’ apparato motore in modo che se se rimanesse inutilizzato uno qualsiasi dei macchinari od addirittura tutto un locale macchine, si possa mantenere in moto la nave con le restanti parti in efficienza. Duplicazione ed incrocio dei circuiti, con le motrici separate tra loro, come compartimentazione, da almeno un gruppo caldaie.

     

    Dagli schemi più comuni già illustrati si evince che la soluzione più seguita è stata la b), con la suddivisione delle motrici in gruppi separati. La soluzione a), come relativa eccezione, soprattutto per le unità di minore dislocamento, o meno recenti, era imposta generalmente dalla mancanza di spazi.

    Va inoltre notato che in molte sistemazioni era usuale che la linea d’ assi della motrice prodiera attraversasse almeno un locale caldaie poppiero, con la conseguenza di dover rialzare il basamento di almeno una caldaia, complicando in tal caso le tubolature di alimento, vapore e servizi.

     

    La priorità per le navi militari era (e rimane, con differenti soluzioni oggi in voga) comunque quella di elevare il grado di sicurezza di funzionamento dell’ apparato motore in combattimento ed in caso di avarie in combattimento.

  6. Ritengo vada fatto un rapido riepilogo di certi passaggi nonché un cenno alla “corsa” del vapore (o delle caldaie) che ebbe il suo apice negli anni trenta, combattuta tra vari gruppi industriali, potenti lobbies internazionale che agivano trasversalmente in vari paesi (compresa la non “navale” Svizzera) e coinvolsero, in certi successi ma anche in numerosi e drammatici sbagli, le principali Marine, senza che né l’ industria italiana nè la Regia Marina neppure si affacciassero al balcone di questa tenzone, con pesanti ripercussioni sulle costruzioni italiane dell’epoca.

     

    La stagione dei trattati navali, a cominciare da quello di Washington, impose un ripensamento delle costruzioni navali, con nuovi concetti di distribuzione dei pesi, soprattutto con l’ alleggerimento dei componenti più pesanti e di maggiori dimensioni, quelli dell’ apparato motore (esponenti di peso più equilibrati, in un quadro di rigide limitazioni del dislocamento totale che imponeva dare maggior enfasi a protezione ed armamento)

     

    Abbiamo già detto che la necessità di disporre di apparati motore di grande potenza, mancando di fatto alternative affidabili, impose e generalizzò la propulsione a vapore (turbine) e lo studio e sviluppo di cicli di elevato rendimento (basso consumo) che permettessero anche la riduzione dei pesi, soprattutto dell’ elemento più pesante ed ingombrante, la caldaia, possibilmente riducendone il numero a bordo grazie a maggiore e migliore erogazione del vapore. Particolare attenzione e requisito fondamentale, oltre all’ affidabilità del generatore, era rivolta ai tempi di approntamento ed alla facilità di condotta .

     

    L’ attenzione sulla condotta portò immediatamente a tre “scuole”,

    • quella inglese che prendeva prioritariamente in considerazione due aspetti, la mancanza di operatori preparati e la larvata possibilità di utilizzare diversi combustibili,
    • quella tedesca che per ridurre i pesi ed ottenere prestazioni elevate anteponeva a qualsiasi altra considerazione la sofisticazione delle caldaie e del ciclo (ed in operazioni si confrontò con serissimi problemi, sia ignoti, sia noti, come quello dell’ impreparazione degli operatori),
    • quella statunitense che alla fine puntò tutto sull’ affidabilità dei componenti, e sulla necessità di condurre operazioni continuative ed estremamente prolungate con personale mediamente preparato, comunque in generale più preparato di quello di altre Marine (operazioni continuative di sei mesi in mare da parte di unità sottili non furono un’ eccezione nella US Navy) ;

    anche altre marine, soprattutto la francese, tentarono soluzioni autonome, sino a installazioni operative, ma senza grandi successi e senza molta diffusione.

     

    Abbiamo già menzionato che esistono due indici che permettono di valutare l’ efficienza e l’ottimizzazione di un AM a vapore: il peso per CV erogato, il consumo specifico (Gr per CVh), mentre semplificando all’ estremo, e quasi provocatoriamente, ogni considerazione tecnica potremmo affermare che maggiore è la pressione e la corrispondente temperatura del vapore erogato dalle caldaie, maggiore è la potenza erogabile e possibilmente il rendimento di un AM a vapore, anche se tale incremento complica il ciclo e può pregiudicarne l’ affidabilità .

     

    L’ aumento della temperatura e della pressione del vapore imposero l’ uso di materiali speciali (dall’ acciaio alle guarnizioni, per esempio,) di difficile reperimento (come nel caso dell’ Italia, che dipendeva in gran parte da importazioni, anche da paesi potenzialmente avversari) e di complicata lavorazione; al di la di una colpevole miopia industriale e di una negativa pressoché totale all’ innovazione, l’ industria meccanico/navale italiana, creata su matrice inglese e basata su licenze, ed in alcuni casi investimenti, inglesi, fu presto distaccata nella corsa verso motrici avanzate e di alto rendimento ed affidabilità.

    Altrettanto colpevolmente la Regia Marina non impose all’ industria nazionale radicali cambi e specifiche adeguate, anche se bisogna riconoscere che nella maggior parte dei casi la stessa Regia Marina era tagliata fuori dal circuito decisionale basato su un rapporto diretto Regime-Lobbies finanziarie/industriali, che a loro volta agivano in cartello, ripartendosi monopolisticamente certi settori produttivi.

    Mentre l’ industria italiana si limitò a lavorare senza eccessivi cambi od innovazioni sulle licenze disponibili all’ inizio degli anni 30 (od addirittura precedenti), sia per le unità navali che per i transatlantici veloci che divennero l’ emblema del regime, negli altri paesi (meno nel regno Unito) si sviluppò una corsa verso l’ introduzione di caldaie di elevate prestazioni, ad alta pressione con vapore surriscaldato; le ricerche e lo sviluppo degli apparati furono facilitati da installazioni sperimentali dedicate in terra (Royal Navy e Reichsmarine), da istituti specializzati (US Navy), dall’ integrazione/ sperimentazione dei cicli su impianti di generazione elettrica terrestri, in alcuni casi sulla trazione ferroviaria (Stati Uniti).

    Inutile dire che tali supporti e presupposti mancarono totalmente in Italia.

     

    I traguardi di questa corsa erano molto ambiziosi e – con il senno di poi – spesso al di fuori della portata delle tecnologie dell’ epoca. Questo spiega perché molte promettenti soluzioni del momento non ebbero seguito, e neppure successivi impieghi. Paradossale è il caso delle caldaie Velox, che rappresentarono il “must” (del tutto teorico) della fine degli anni 30. Questo tipo di caldaie generò molte aspettative, al punto che molti progetti navali e mercantili furono modificati od addirittura disegnati per il loro impiego (anche tardivamente in Italia), ma in effetti tali apparati non solo non furono mai messi a punto, ma in pratica non esistevano neppure a livello di prototipo navale. Le caldaie Velox navali, caso estremo, erano una soluzione intermedia, se non di ripiego, di un percorso della svizzera Brown Boveri ( subito imitata dalla Sulzer) che dopo un decennio, agli inizi degli anni ’50 portò, alle turbogas industriali e di generazione elettrica terrestre: sono anche tuttora un esempio della spregiudicatezza commerciale (si potrebbe anche definire scorrettezza) e della manipolazione di informazioni tecniche e di un progetto molto teorico da parte di questo importante gruppo. La storia di questo progetto e della sua manipolazione meriterebbe un racconto a parte.

     

    I traguardi di tutti i costruttori, in ogni paese, erano tanto ambiziosi da delineare quasi una macchina ideale, ed alcuni prefiguravano:

    • poca acqua/vapore in ciclo, non solo per ridurre i pesi ma anche per adeguare rapidamente le richieste alle variazioni di andatura (peccato che, tra gli altri limiti, gli automatismi dell’ epoca non fossero adeguati..)
    • rapido se non immediato approntamento da freddo (problema di materiali ma soprattutto di riduzione dei volumi e dei fluidi in ciclo)
    • attività di combustione, ossia combustibile bruciato per mq di superficie irradiata o volume della camera di combustione (si ricorse a soluzioni di camere di caldaie pressurizzate, che si scontrarono soprattutto con la difficoltà di disporre di turbo soffianti a gas di scarico di caratteristiche meccaniche e con materiali troppo avanzati per l’ epoca)
    • combustione perfetta con grande concentrazione della combustione –e quindi del calore – in specifiche aree della caldaia (anche in questo caso , tra gli altri limiti, gli automatismi dell’ epoca non erano adeguati, mancava uno standard dei combustibili, non potevano realizzarsi polverizzatori meccanici sufficientemente potenti e di sicuro funzionamento continuativo..)
    • Alta temperatura del vapore (necessità di acciai speciali che mantenessero resistenza e caratteristiche meccaniche ad alta temperatura)
    • Altissime pressioni del vapore (necessità non solo di acciai speciali per i componenti caldaia ma di accessori, quali guarnizioni e valvole, che mantenessero resistenza e caratteristiche meccaniche ad alta temperatura)
    • Circolazione forzata nei fasci tubieri (al contrario della circolazione naturale a “termosifone” con tubi di caduta che è quella più conosciuta). (soluzione molto complicata, teoricamente valida perché permetteva fasci tubieri orizzontali o sub orizzontali, ma richiedeva pompe di alimento - e circolazione – di altissime prestazioni sia come pressioni, sia come temperatura, sia come portata, al limite per lo stato dell’ arte dell’ epoca e di scarsa affidabilità come funzionamento continuativo)
    • Numerosi spillamenti e/o ricircoli del vapore per aumentare il rendimento, diminuire il consumo specifico e quindi aumentare l’ autonomia (estrema complicazione nei circuiti di bordo, soprattutto sulle unità navali, con influenza su volumi/spazi ed anche sui pesi).
    • Ciclo chiuso del vapore (negli apparati italiani esisteva ancora il “pozzo caldo”)
    • Ottimizzazione di tutto il ciclo vapore, con preriscaldamento di acqua di alimento e preriscaldamento aria di combustione, inserimento di un deareatore per l’ acqua di alimento (totalmente sconosciuto negli am italiani), efficienti dissalatori e stretto controllo dell’ acqua di alimento (distillata, pura, ossia senza sali e senza ossigeno libero grazie anche ad adeguati trattamenti chimici ..) .

    Negli Stati Uniti dopo limitati esperimenti a bordo di poche unità su caldaie molto avanzate (si disponeva d’ altronde di una grande massa di dati grazie alla diffusissima generazione terrestre a vapore, con impianti molto moderni), a valle di un forte scontro tra i due principali costruttori, Babcock e Foster Wheeler, e della quasi imposizione dell’ onnipresente ed onnipotente studio di progettazione Gibbs&Cox, si abbandonò ogni velleità in questa corsa a prestazioni e valori estremi e si adottò uno standard di alte prestazioni ma assolutamente subordinato all’ affidabilità degli apparati, alle capacità di produzione di massa, alla facilità di condotta da parte di operatori comunque ben preparati, grazie all’ preparazione generale del paese ed alla continuità di servizio, di ruolo e di destinazione tipica della US Navy; tale standardizzazione del ciclo vapore è rimasta praticamente inalterata per i successivi 50 anni, sino alla fine dell’ era del vapore.

     

    La Reichsmarine puntò immediatamente su caldaie ad altissima pressione (sino a 160/190 Kg cmq) ed alta temperatura (sino a 680°C), che avrebbero permesso apparati motore leggeri e potenti per le unità minori, ma si scontrò sempre con problemi di conduzione (anche per aver dismesso troppo presto le installazioni di prova in terra che avrebbero potuto trasformarsi in un centro di formazione.

    La sola formazione a bordo si aggravò anche per la rapida rotazione degli equipaggi di una Marina troppo in crescita per esigenze di guerra, e le avarie si moltiplicarono; uno dei principali ostacoli, del tutto inaspettato, fu il trattamento dell’ acqua di alimento, ed i problemi della purezza dell’ acqua e del trattamento della stessa, mai totalmente risolti, furono una delle principali cause di avarie.

     

    Le navi a vapore tedesche risultarono poco affidabili, per la complessità degli impianti e la loro sofisticazione, ed il fenomeno era tanto noto e temuto che la Reichsmarine puntò più di ogni altra marina sulla propulsione diesel, anche per le grandi navi (anche se la maggior parte degli apparati motore furono comunque a vapore.

    Facendo un’ analisi poco più approfondita, a causa dei precedenti problemi “di dentizione”, gli equipaggi tendevano ad attribuire le colpe delle avarie al progetto ed alla qualità degli impianti di propulsione e non all’ inesperienza ed improprie procedure operative.

    Si creò cosi un circuito vizioso, non riuscendo a stabilire procedure operative corrette, come nel caso dell’ acqua di alimento, le avarie tendevano a riprodursi, con unità continuamente non pronte.

    I problemi erano ovviamente più acuti per le unità sottili,in particolare torpediniere e cacciatorpediniere, dove si creò il mito dell’ inaffidabilità; la causa è anche da ricercarsi nel fatto che queste erano le prime unità ad adottare i nuovi apparati, con equipaggi non adeguatamente formati sugli stessi. E’ d’ altra parte evidente che maggiore è la sistemazione, più faccile ne è l’ accesso con maggiore affidabilità.

    Rispetto a Ct e torpediniere, gli A.M degli incrociatori pesanti dettero migliori sisultati, ed accettabili furono quelli delle corazzate, d altra parte Bismarck e Tirpitz beneficiarono di una maggiore conoscenza del sistema e dei suoi effetti. Non bisogna d’ altra parte dimenticare che queste unità furono progettate per propulsione turboelettrica, e quando si scartò questa ipotesi ne fu beneficiata la nuova ipotesi di spazi, maggiori, e pesi, minori, che permise notevoli miglioramenti nelle sistemazioni e nella loro accessibilità

     

    Per la preparazione e l’ impegno profuso in parallelo da Industria e Reichsmarine, l'affidabilità dei diversi sistemi di propulsione diesel risultò insuperabile. Si tratta ovviamente di un confronto improprio, perché i sistemi diesel avevano prestazioni sostanzialmente inferiori a parità di peso. Tuttavia, rispetto ai nuovi impianti a vapore surriscaldato ad alta pressione utilizzati sulla maggior parte delle navi da guerra, i motori diesel utilizzati per le corazzate tascabili, S-Boat, dragamine e numerose altre unità presentarono minime difficoltà ed un bassissimo tasso di avarie ed indisponibilità delle unità.

    Quale considerazione generale, conclusiva, si può affermare che la proliferazione di nuovi progetti di caldaie e di ciclo vapore, e l’ impegno di grandi gruppi industriali, sempre con consistenti appoggi governativi e spesso con il coinvolgimento delle principali Marine da Guerra , riguardò – per sommi capi – i seguenti tipi di caldaie, che riprendevano in toto od in parte le specifiche/traguardi di cui sopra, comunque tutte da classificarsi tra quelle di alta ed altissima pressione:

    • La Mont
    • Benson
    • Loeffler
    • Schmidt-Hartmann
    • Velox

    Una stagione di studi e progetti, di successi ed anche utili insuccessi, che definì il successivo cinquantennio e l’ era del vapore, con enormi progressi per tutta l’industria metalmeccanica e navale, una stagione i cui effetti non toccarono l’ arrogante industria italiana (solo sul Conte Rosso si sperimentò l’ uso di una caldaia Loeffler in sostituzione di due caldaie cilindriche, ma non si sono rintracciati i risultati di tale sperimentazione.

    Molte di queste caldaie si rivelarono inadatte all’ uso navale, mentre negli anni successive quasi tutte, pur con cicli ed ausiliari complicati, trovarono valido impiego nella generazione terrestre di energia elettrica

     

    La Regia Marina era talmente consapevole del gap tecnologico esistente che alla fine degli anni 30, sull’ onda della moda del momento e delle più avanzate tendenze, arrivò ad ipotizzare l’ impiego di caldaie importate per le nuove grandi navi veloci.

     

    Resta tuttora inspiegabile, anche sul piano pratico e della stessa speculazione, il comportamento di tutta l’ industria metal-meccanica italiana: pur avendo a disposizione un “cliente sicuro”, ed avendo quindi la certezza di un ritorno economico su qualsiasi ricerca ed investimento avesse fatto, non partecipò nè si interessò minimamente alla competizione globale in corso, per di più in un momento in cui il regime puntava sulla Regia Marina e sui transatlantici veloci per una proiezione di immagine.

    Nemmeno la Regia Marina, che in tale contesto imponeva la velocità come primo requisito per le nuove costruzioni navali, anche a scapito di altre caratteristiche, e che avrebbe quindi dovuto essere la prima interessata, seppe imporre il minimo cambio tecnico, non parliamo di interventi radicali.

    La corsa ai primati di velocità si corse con apparati obsoleti ed inadeguati: bisogna anche prendere in considerazione il fatto che la Regia Marina ebbe sempre problemi sui combustibili e la loro qualità, in crescita dopo la stagione delle sanzioni, ma al contrario di altre Marine e di Paesi con più elevati indici educativi e di preparazione tecnica generale, non ebbe mai seri problemi di condotta e preparazione del personale, fattore che sopperì grandemente alle deficienze di partenza, ed all’ inadeguatezza delle scelte per le nuove costruzioni.

  7. Posted Yesterday, 10:02 PM

    temo che lo smaltimento dell'amianto a bordo di Ardito/Audace potrebbe rivelarsi davvero ostico, però hai più che ragione Giancarlo!

    mettiamoli cosi, diciamo che il DV sia solo l'inizio della Portsmouth italiana...

     

     

    Caro Marco

    l' amianto è una comoda scusa a corrente alternata ..

    Certamente l' amianto è pericoloso, a respirarlo quando polverizzato e comunque quando si lavora, e lo affermo come generazione che letteralmente ci metteva le mani in pasta quotidianamente e ne conosce le conseguenze; meno di un anno fa ho ed abbiamo subito la perdita di un compagno di corso per conseguenze di lunga esposizione.

    Si parla di amianto e non si considerano altri materiali e lavorazioni, tanto di tipo navale quanto civile, come lana di vetro, caton gesso ecc che hanno praticamente le stesse influenze e conseguenze, quindi siamo di fronte a strumentalizzazioni opinabili.

    Opinabili ma la magistratura è persino intervenuta contro l' affondamento programmato per costituire un parco marino, Ardito ed Audace più altre, in quanto dannose - amianto - per i pesci ...

    Quando è incapsulato (verniciato) e non soggetto a lavorazioni è innocuo, se no - a parire dai treni - tutta la popolazione italiana dovrebbe soffrire di tumori ecc

     

    Tutte le navi musealizzate negli altri paesi, dall' Intrepid al Belfast al Warrior per ricordare solo quelle pià citate anche in queste pagine, sono intatte con le loro coibentazioni originali.

     

    L' informazione opportuna fa anche parte delle campagne promozionali

     

  8. Sistemazione apparato motore

    Non abbiamo certamente esaurito i temi relativi alle caldaie, soprattutto alle caldaie navali, ma bisogna adesso considerare il contesto armonico in cui tali apparati devono collocarsi, ed il sistema che le circonda.

    Per stimolare una discussione di più ampio respiro, compresi gli aspetti storici e le conseguenze di alcune scelte sbagliate sugli apparati motori, come introduzione ad una nuova discussione, a continuazione una sequenza delle sistemazioni degli apparati motori sulle unità della MMi dal 1945 al 1960: questa impostazione comporta un’ analisi delle costruzioni della RM a partire dagli anni 30, considerato che la totalità delle navi post belliche, e più della metà delle navi a vapore in servizio sino agli anni 60, avevano apparati motore (e soprattutto caldaie) , risalenti a tale periodo.

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    Dagli schemi precedenti appare evidente l’ insostenibilità di progetti che sacrificavano ad una molto discutibile priorità nella velocità ogni soazio disponibile a bordo, e soprattutto aggiungevano pesi in necessari, in un momento in cui l’ esponente di peso delle unità navali avrebbe dovuto essere più equilibrato a favore di protezione ed armamento.

    Gli A.M. delle corrazzate erano un assurdo ingegneristico, per il numero e la collocazione delle caldaie, difficile anche da operare quando, per il tipo di caldaia adottata praticamente non poteva inserirsi alcun tipo di automazione e/o comando a distanza.

    E’ evidente l’ “affollamento delle sistemazioni, ancor più pernicioso sulle unità sottili, Ct e torpediniere o avvisi scorsa, soprattutto se comparato a quello molto compatto delle fregate e dei caccia delle prime realizzazioni postbelliche.

    Lo schema di Indomito ed Impetuoso, mutato da quello tipico della US Navy servi poi per definire uno standard nella MMI, seguito con poche modifiche (fondamentalmente il tipo di turbine, nella successiva e finale epoca del vapore nella MMI ( i due Doria, i due Impavido, i due Audace).

  9. .. scusate la voce fuori dal coro ... ma quando si penserà a musealizzare una vera nave ? e non mi riferisco al papocchio - sotto ogni aspetto - del Veneto ..

    perdemmo ogni opportunità di un ricordo significativo ed economico con le corvette classe Ape e neppure - soprattutto a la Spezia - si è pensato ai dragamine classe Alberi

    .

    Troviamo almeno un significato "tecnico" ed a misura di la Spezia e di una differenziazione da altre offerte .. perché non l' Ardito come ultima nave a vapore e soprattutto - riconosciuto a livello internazionale - la più avanzata applicazione del vapore ....

     

    Non me ne abbiano i colleghi sommergibilisti ma ....

  10. grazie ai preziosi suggerimenti ricevuti spero che si possano vedere le immagini che ho caricato senza ricorrere al dropbox

     

    LE CALDAIE MMI ( anteriormente R.M.)

    Contale definizione si indicava il tipo di caldaia – a tubi d’ acqua sub verticali – impiegate sulle navi della MMI sino agli 70, il cui apparato motore fosse stato costruito prima del 1945 (comprendeva anche San Giorgio e Sam Marco, ricostruite nel dopoguerra). Si trattava di caldaie triangolari di tipo inglese, Ammiragliato (Tanto tipo Yarrow come tipo Thornicroft) e pur avendo spesso forme diverse presentavano le stesse caratteristiche principali di funzionamento.

    A continuazione la foto di una di queste caldaie, a 5 collettori, al momento dell’ imbarco (la caldaia è priva di molte parti, ma in particolare della cassa d’ aria di cui a continuazione:

    2jf0yf5.jpg

     

    Lo schema di questa caldaia è riportato a continuazione, mettendo in evidenza tanto il percorso del vapore quanto la presenza di murature refrattarie. 2whgodw.jpg

     

     

    Tali caldaie, che in varie versioni sono state lo standard delle costruzioni navali italiani dagli anni 30 e quindi delle unità che sono state impiegate nella 2ìgm, hanno prestazioni molto inferiori a quelle delle caldaie FW poi impiegate in Marina ma soprattutto hanno un peso molto superiore, il doppio in certe versioni.

    Visto che le caldaie sono l’ apparato più grande e pesante tra quelli imbarcati, e visto che l’ esponente di peso dell’ a.m. era preponderante sulle navi italiani prebelliche nelle spasmodica ricerca di alte velocità, risulta evidente come la scelta di apparati - ormai già superati al momento della costruzione di tali unità – fosse uno dei fattori critici delle inadeguatezze riscontrate.

    I componenti e le strutture risultavano chiodati, compresi le chiusure dei collettori, altro fattore che contribuiva all’ incremento di peso.

    In queste caldaie i fasci tubieri non proteggevano tutte le pareti della camera di combustione, con estese parti che rimanendo scoperte dovevano essere protette da materiale refrattario, in particolare il dorso e la parte inferiore delle pareti laterali. Al momento della loro costruzione non esistevano praticamente cementi refrattari e si ricorreva a mattoni refrattari, con la complicazione che in alcune zone anguste o particolarmente conformate era necessario ricorrere a mattoni sagomati (p.e. il caso dei coni dei bruciatori), costosi, pesanti, di difficile fornitura. La necessità di mattoni refrattari e la pratica di esagerare nel loro uso contribuiva all’ eccessivo peo di queste caldaie.

    Dallo schema precedente va notato che la posizione dei fasci vaporizzatori ed il flusso dei gas combusti è tale da permettere ai gaso combusti di lambire dai due lati il collettore superiore (duplice cassa a fumo). Questo complicava molto la sistemazione ed impegnava notevole spazio (ed aperture nei ponti). Tale percorso dei gas difficoltava l’ installazione degli economizzatori, che avrebbero dovuto essere doppi, con il risultato che generalmente si preferì non installarli e ricorrere al preriscaldamento dell’ acqua di alimento con vapore di scarico.

    La conseguenza di queste difficoltà e degli interventi correttivi, vere limitazioni sul ciclo termico e sul ciclo vapore, ebbe pesanti ripercussioni sul rendimento delle caldaie, e quindi sui consumi, e pertanto sull’ autonomia.

    Il tiraggio forzato di queste caldaie avveniva pressurizzando lievemente i locali, secondo lo schema a continuazione, con notevoli complicazioni anche per la vita a bordo, per il personale, e per l’ uso di spazi oltre che per un’ ulteriore aumento dei pesi:

    33wbmag.jpg

     

    L’ aria comburente veniva immessa in caldaia attraverso il frontale della caldaia . Tale frontale era chiamato “cassa d’ aria”, suddivisa in multipli compartimenti chiamati cassonetti.

    La foto a continuazione evidenzia quanto complicata e voluminosa fosse la cassa d’ aria

    2eulcax.jpg

     

    I compartimenti erano almeno pari al numero dei bruciatori, in molti casi di più.

    Ogni cassonetto era munito di due portelli orizzontabili regolabili per il controllo della quantità d’ aria, mentre i polverizzatori penetravano per un tratto nei cassonetti; all’ interno di ogni cassonetto si trovavano dei diaframmi e dei condotti troncoconici coassiali alle canne dei bruciatori ; in questo modo si generavano due flussi di aria comburente, una definita primaria che investiva il getto di carburante all’ inizio della combustione , ed un’ altra definita secondaria che passava tra il esterno ed il bordo dell’ apertura in caldaia in modo da creare turbolenza e migliorare le condizioni di combustione.

    2n9euz8.jpg

     

    Come si vede un sistema estremamente complicato, che precludeva ogni possibilità di controllo automatico della combustione, obbligava ad un’ oculata condotta manuale bruciatore per bruciatore ed imponeva la presenza in caldaia di numerosi fuochisti, che operavano in condizioni difficili sia per il calore sia per i disagi propri di un locale in pressione.

    La sistemazione con garitte non permetteva poi il rapido abbandono dei locali in caso di incidente.

  11. In tutta questa discussione, concentrata sulla Enrico Fermi, è sempre mancato un altro dato interessante: in Italia è esistito un altro progetto, molto avanzato di nave a propulsione nucleare . la Turbonave Leonardo da Vinci, sino a ben oltre la impostazione fu progettata nelle tue variabti, Turbonave tradizionale, con quattro caldaie Amsaldo Foster Wheeler tipo M a due fornaci 8 quelle poi adottate) o apparato motore nucleare, di fatto lo stesso della Fermi, come j.v. Fiat / Ansaldo

    Essendomi dedicato principalmente alle navi militari non ho mai messo le mani su questo progetto, al di la di una informazione generica.

  12. Mi trovo ad un bivio, tra la mia incapacità (o impossibilità) di postare foto e schemi e la necessità di non raffreddare la discussione.

    Sperando che funzioni ho scelto la via di postare un link al mio drop box per un documento con l' intera mia nota sulle caldaie, con relativi schemi, in pdf, e di postare comunque il testo mancante a continuazione.

    https://dl.dropboxusercontent.com/u/34981230/Cenni%20sull%27%20evoluzione%20degli%20AM%20a%20vapore%20nella%20MMI.pdf

     

    Le problematiche trattate sono ad intregrazione di quelle già introdotte precedentemente da altri (Helsingor in particolare), che eventualmente potremmo seguire ancora, sia in questo post sia aprendone un altro sulle diverse componenti dell' A.M. sia in altra parte, come approfondimento od analisi di incidenti, sia su navi militari che mercantili (dove

    assunsero proporzioni catastrofiche).

     

    A continuazione il testo a completamento dei precedenti posts, scuasandomi per la complicazione

    =====================================

     

    Prima di continuare questa breve descrizione delle ultime caldaie MMI, e' opportuno ricordare che nel progetto e nella storia di questi apparati per lungo tempo si confrontarono due scuole, quella dei tubi dritti e quella dei tubi curvi, via via sempre più' sagomati; l' adozione di tubi dritti rispondeva alla prioritaria esigenza di sostituire più' facilmente, anche con mezzi di bordo, tubi scoppiati ed usurati (eliminando perdite di vapore) in un' epoca in cui non erano disponibili materiali di alta qualità, mentre l' adozione di tubi curvi e poi via via sagomati - certamente di difficile sostituzione - che permettono un maggio sfruttamento del calore in caldaia ed un efficace controllo del passaggio dei gas caldi di combustione corrisponde alla progressiva disponibilità di tubi di acciaio speciale e di alta resistenza al calore.

    La pratica di sostituzione dei tubi con soluzioni di emergenza ed addirittura con mezzi di bordo fu progressivamente abbandonata, sostituita dall' altrettanto complicata e difficile procedura di otturazione delle due estremità dei tubi usurati (operazione che comportava ovviamente lo spegnimento delle caldaie interessate, il loro raffreddamento e la loro ventilazione per accedere ai collettori, procedure successive che necessitavano di vari giorni continuativi, con pesanti ripercussioni sull' approntamento dell' unità.

     

    Il passaggio al secondo tipo di caldaia, la "matrice statunitense", postbellico, limitato ai tipi FW, Foster Wheeler, segnò anche una profonda rivoluzione dell' industria italiana, colmando un gap tecnologico ultra ventennale ( come esempio la FW apri una filiale in Italia, e tutti e tre i principali costruttori di caldaie acquisirono le relative licenze e si adeguarono alle stesse).

    Come si può notare dagli schemi successivi siamo di pronte a soluzioni strutturali e forme totalmente diverse da quelle già trattate in precedenza. Si è persa la conformazione a sezione “triangolare”, e siamo di fronte a caldaie più compatte, sviluppate relativamente in verticale, con ridotta superficie in pianta, nelle quali il miglior controllo del passaggio dei gas combusti permette di ridurre l' uso dei refrattari e quindi il peso della caldaia mentre le ridotte dimensioni in pianta ne permettono la sistemazione affiancate per madiere (in larghezza) anziché per chiglia (lunghezza)

     

    Caldaia FW a doppio focolare (tipo DD642 e successivi di costruz. bellica, ) - schema 2-1

    Questo schema viene riportato anche come riferimento ad altri tipi di caldaie adottati dalla US Navy (per esempio Aviere ed Artigliere avevano caldaie Babcock) ma Il tipo maggiormente impiegato nella MMI fu il tipo D a focolare singolo, ed a questo si fa riferimento per gli approfondimenti (schema 2-2)

     

    Caldaia FW a unico focolare, tipo D (anche Caldaia FW MMI), - schema 2-2

    In questo caso i collettori inferiori sono uno a sezione circolare, cui fa capo il fascio vaporizzatore principale, ed altri due, novità assoluta per l' Italia, a sezione quadrata cui sono collegati due fasci, vere proprie pareti di tubi vaporizzatori, esposte al calore di irraggiamento, che servono anche per raffreddare un fianco ed il dorso della caldaia ( ed a ridurre l' uso di materiali refrattari.

    Esistono poi due altri collettori quadrati, di entrata ed uscita del surriscaldatore, di cui tratteremo in seguito: la scelta dei collettori quadrati era dovuto alla maggiore facilità di accesso e lavoro per la mandrinatura dei tubi e la tenuta dei numerosi portelli di ispezione -

     

    Con queste caldaie, di costruzione nazionale, le cui varianti trovarono largo impiego nella Marina mercantile ed in costruzioni per l' estero, si colmò un gap industriale di miopia e disattenzione delle solite lobbies che dominarono le commesse del ventennio, i cui indirizzi la RM aveva inutilmente cercato di opporsi: tra il 1937 ed il 1940 si svilupparono una serie di studi del GN sugli a.m. delle contemporanee costruzioni estere, a cominciare dai transatlantici che in realtà tutti avevano a.m. di derivazione militare. Costruzioni all' altezza dei tempi, caldaie dove temperature e pressioni erano molto elevate e comportarono l' adozione di accorgimenti costruttivi e soprattutto di acciai speciali resistenti ad alte temperature finalmente resi disponibili dall' industria nazionale.

     

    Una grande novità fu la modalità con cui veniva introdotta in caldaia l' aria comburente; prelevata dai ventilatori ( elettrici e turbo) non veniva immessa in locale ma sospinta in una intercapedine che circonda tutta la caldaia. In tal si ottennero i vantaggi di preriscaldare l' aria comburente, di contribuire al raffreddamento della struttura e quindi ridurre pesi e volumi di refrattari ed isolamenti, ma anche di evitare la sovrappressione del locale caldaie, reso così più abitabile per il personale ma anche di maggiore semplicità costruttiva eliminando le garitte di accesso che dovevano compensare la differenza di pressione con gli altri locali navi. Anche se concepito per altri fini, rendimento termico e riduzione pesi, è evidente il contributo di tale sistemazione per ridurre (anche se non eliminare), la contaminazione in ambiente dei locali in condizioni di guerra NBC .

     

    Caldaia FW a unico focolare, tipo D (anche Caldaia FW MMI), - schema 2-3

    Vista in assonometria; notare la complessità delle guarniture del collettore superiore

     

    In quanto alla sequenza e percorsi dei fluidi, l' acqua di alimento prima di essere immessa nel collettore superiore percorre un fascio di tubi alettati, detto economizzatore, sistemato all' uscita della caldaia, verso il fumaiolo, che recupera il calore dei gas allo scarico. Un fascio tubiero comunque molto sollecitato dovendo sopportare le pressioni di spinta delle pompe di alimento, che ovviamente devono mandare ad una pressione superiore a quella di esercizio della caldaia (pressioni dell' ordine superiore dei 50 kg/cmq)

    Come tutte le parti e componenti delle caldaie, occorre tener conto degli spostamenti per dilatazione, più complicati e difficili da affrontare quando siamo in presenza di materiali di diversa natura.

     

    Come indicato nell' assonometria precedente, 2-3, uno degli elementi costruttivi tipici di queste caldaie e' la complessità del collettore superiore, assolutamente diverso dal caso della "matrice inglese" : e' condizione necessaria ed indispensabile che il vapore (saturo) prelevato per il passaggio nel surriscaldatore sia privo di gocce, acqua allo stato liquido. L' eliminazione dell'acqua trascinata dal vapore saturo avviene obbligando il vapore stesso ad un tortuoso percorso, prima attraverso dei separatori a ciclone ( separazione centrifuga) e poi attraverso filtri a lamelle (separazione meccanica).

     

    Il surriscaldatore e' costituito da due fasci di tubi ad U, sistemati orizzontalmente, intestati su collettori quadrati posizionati parallelamente in verticale.

    Questa e' una delle grandi differenze rispetto ai surriscaldatori delle caldaie RM che generalmente avevano un unico collettore diviso longitudinalmente in due camere grazie ad un diaframma .

    .

    Caldaia FW tipo D - schema surriscaldatore - schema 2-4

    Tale sistemazione permette l' adozione di materiali differenziati, più idonei, nel caso in esame il collettore di uscita, a più elevata temperatura, e' costruito in acciaio al cromo-molibdeno.

     

    In questi tipi di caldaie, e direi ad ulteriore complicazione ed affollamento del collettore superiore, e' sistemato un desurriscaldatore, costituito da un tubo ad U posizionato nella parte bassa per tutta la lunghezza del collettore , in modo da rimanere sempre immerso nel liquido.

    Tale apparecchiatura ha una duplice funzione: la più importante e' quella di mantenere costantemente un flusso di vapore attraverso il surriscaldatore, anche nel caso di variazioni di andatura e fermata dei principali utenti, le motrici.

    E' necessario preservare il surriscaldatore, posizionato nella zona più critica della caldaia: il passaggio del vapore saturo attraverso il surriscaldatore assorbe calore ed esercita una funzione refrigerante nei confronti del fascio tubiero , posizionato in un ambiente con temperature oscillanti tra 900 e 1200*C.

    La seconda funzione del desurriscaldatore, operativa, e' quella di abbassare la temperatura di parte del surriscaldato da 450*C a circa 300*C: con tali temperature e con pressione ridotta, tramite valvola riduttrice, a circa 30 kg/cmq.

     

    Tali misure sul ciclo portano a condizioni ottimali del vapore destinato all' azionamento dei macchinari ausiliari, permettendo che gli stessi siano di costruzione più leggera senza dover sempre ricorrere aad acciai speciali e strutture rinforzate; questa misura comporta comunque un miglioramento del rendimento del ciclo; il calore in eccesso viene in tal modo recuperato cedendolo all' acqua di alimento, in cui il desurriscaldatore e' immerso.

     

    Il circuito del vapore con caldaia FW - schema 2-5

     

    Lo schema indicato, con il particolare del riscaldatore nafta, si riferisce al periodo sino agli anni 70, quando il combustibile per le caldaie navali (diverso e più “raffinato” da quello delle unità mercantili, in quanto più fluido) era il Navy Twenty Point ( codifica NATO) sostituito poi, in fase finale dell’ era del vapore, dal gasolio, non tanto come misura ecologica quanto da esigenze di standardizzazione logistiche di “combustibile unico”.

    Anche se di breve durata nella vita operativa della MMI, si trattò di un passaggio sostanziale, con importanti modifiche al ciclo ed alla condotta delle caldaie e degli apparati ausiliari.

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    Considerazioni sui rendimenti e la rischiosità di questi tipi di caldaie

    Il passaggio dalle caldaie di “matrice inglese” Tipo RM/MMI alle caldaie di “matrice statunitense” Tipo FW, il tipo standardizzato sulle unità MMI della ricostruzione postbellica, fu reso possibile dall’ introduzione nell’ industria nazionale di nuove tecnologie, nuovi impianti, nuove tecniche di lavorazione e dal costante miglioramento delle caratteristiche meccaniche e metallurgiche dei materiali resi disponibili dalla siderurgia nazionale per la costruzione dei generatori di vapore: il ricorso a materiali importati fu minimo e ridotto a casi di economia di scala nella richiesta, tale da non giustificare l’ avvio di una produzione nazionale anche se ne esisteva la possibilità (ad esempio casi isolati di pannelli di acciaio al cromo per il convogliamento dei gas di scarico).

     

    Le nuove caldaie permisero aumenti di rendimenti sino a valori prossimi sino allo 0,9 (!!!), grazie ad uno sfruttamento ottimale del calore sviluppato, per l’ aumentata pressione del flusso di aria comburente, diminuzione delle sezioni di passaggio dei gas combusti, riduzione del volume delle camere di combustione (o fornaci), aumento nella percentuale di superficie riscaldante irradiata, incremento della velocità dei gas combusti, tutti fattori che comportano l’ aumento del coefficiente di trasmissione del calore.

     

    Le caldaie sono risultate meno ingombranti anche per l’ adozione di bruciatori molto efficienti che permettevano di bruciare efficientemente grandi quantità di combustibile (all’ epoca nafta), molto compatti ed in grado di adeguarsi rapidamente alle richieste per variazione di andatura (pericolose quelle in riduzione): le caldaie stesse – per i ridotti volumi di acqua in ciclo – potevano adeguarsi rapidamente alle necessità di produzione di vapore.

     

    In base alla tardiva conoscenza delle esperienze tedesche e sufficiente edotti dei tentativi statunitensi, esistevano conoscenze e condizioni teorico/tecniche per ulteriore miglioramento delle prestazioni dei generatori, sia come processo sia in relazione alla sempre nuova e migliore disponibilità dei materiali impiegabili, ma la MMI puntò sull’ affidabilità e durata, visto che tali teorici miglioramenti si sarebbero tradotti oltre che in un incremento dei costi di acquisizione ed installazione ed una complessità dei circuiti e delle installazioni non sempre favorevole in una unità militare e negli spazi disponibili, oltretutto con maggiori difficoltà di condotta.

    Già nelle caldaie FW tipo D, e nel ciclo illustrato, le prestazioni raggiunte rendevano la condotta difficoltosa nelle continue variazioni tipiche di una nave militare, ed imponevano grande specializzazione ed esperienza da parte del personale addetto ed il continuo adeguamento delle apparecchiature di controllo, automazione e sicurezza.

     

    Come semplice riferimento ed esempio di queste difficoltà tipiche dell’ impiego navale (militare) , le caldaie imbarcate sui CCTT, basta ricordare che il collettore superiore, a livello, conteneva circa 1000 Kg di acqua e che un improvviso consumo e la diminuzione di livello corrispondente a soli 400 Kg portava a scoprire i legamenti dei primi fasci vaporizzatori , con gravi problemi di surriscaldamento e pericoli di avarie ed inutilizzazione della caldaia. Il tempo per vaporizzare 500 Kg di acqua era di circa 20” , e tale era quindi il lasso di tempo a disposizione degli operatori non solo per percepire la diminuzione di livello ma anche per attuare i provvedimenti necessari e ripristinare i livelli. Un minimo di ritardo, ed un sempre possibile errore, avrebbe compromesso irrimediabilmente la caldaia; non basta certo dotare la caldaia di automatismi capaci di intervenire in tempi infinitesimi per agire su diversi fattori ed azioni (regolazione dell’ alimento, flusso d’ aria, combustibile) per ottimizzare ed adeguare la combustione, ma bisogna contare su personale allenato a gestire in qualsiasi modo l’ operazione.

     

    Le evoluzioni dell’ era del vapore hanno sempre giocato su fattori multipli e valori infinitesimali che portavano al miglioramento del ciclo, a maggiori rendimenti e pertanto ad una apparente diminuzione dei costi operativi (anche se a fronte di una maggiorazione dei costi costruttivi), è stata la strada seguita molto anticipatamente, forse precipitosamente, dalla Reichsmarine e poi – dopo le primi crisi energetiche – dagli armatori privati. Tipico è il caso degli spilla menti progressivi di vapore durante l’ espansione che anziché andare a cedere il suo contenuto termico nel condensatore lo riportava direttamente nell’ acqua di alimento, ma l’ implementazione di tali processi ha portato a tante e tali complicazioni nell’ impianto (maggiori tubolature, preriscaldatori, valvole, automatismi, ecc) tali da non renderli convenienti per impianti navali (militari), primariamente per ragioni di peso ed ingombro, secondariamente per ragioni di manutenzione.

  13. Grazie Marco per il prezioso aiuto, ma c' e' stata una invesione degli schemi

    Gli chemi postati sono quelli delle caldaie moderne, ma andavano invece inseriti 1-1 ed 1-2 relativi alle caldaie RM. Appena arrivo rinvio tutto

    Grazie

  14. Caro helsingor,

    A me i pdf, uno con il frontespizio d uno con tutto il testo, si aprono peRfettamente, scaricandoli direttamente senza passare da drop box

    Il volume e' una vera chicca, testimonianza anche della cura dedicata da sempre mella Marina Italiana, RM e MMI, alla formazione del personale

  15. Evoluzione delle caldaie nella RM a partire dagli anni 30, in servizio nella MMI sino agli anni 60.

    Se esaminiamo gli ultimo cinquant’ anni di vita del vapore nella MMI, limitandoci alle sole navi di linea e maggiori, si possono identificare due “famiglie” di apparati, quelle di concezione e matrice inglese (caldaie Ammiragliato) adottate dalla RM, e quelle di matrice e concezione USA adottate dopo la guerra dalla MMI, sia per le navi cedute dalla US Navy sia per le nuove costruzioni.

    La prima “famiglia si riferisce alle caldaie triangolari (definite Regia Marina) a tre o quattro collettori, con surriscaldatore.

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    CALDAIA TIPO R.M. /MMI a 3 collettori con surriscaldatore - Schema 1-1

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    CALDAIA TIPO R.M. /MMI a 3 collettori con surriscaldatore - Schema 1-2

    Gli schemi precedenti riguardano l’ apice dello sviluppo prebellico della produzione italiana (30 anni di evoluzione che alla fine segnava già un distacco da altre Marine), produzione segnata da una certa miopia dell’ industria, ma anche condizionata dalla scarsità nel paese di acciai di elevata qualità, scarsità ancora più acuta per manufatti quali tubi e collettori (con il difficile passaggio per questi dalla chiodatura alla saldatura, che avrebbe permesso pressioni di esercizio più elevate e macchine piu leggere).

    Per inciso la forma triangolare delle caldaie di concezione e matrice inglese deriva dalla più antica combustione a carbone, con la possibilità di alimentare la fornace in contemporanea da due fronti).

    Schematicamente la caldaia è costituita da collettori di acciaio, collegati tra loro da fasci di tubi di acciaio (per quanto possibile ad elevata resistenza); tra i fasci tubieri è ricavata la camera di combustione rivestita internamente, soprattutto nelle zone non interessate da tubi da uno o più strati di mattoni refrattari, sigillati con pasta refrattaria.

    L’ acqua di alimento – ad elevata pressione, ovviamente superiore alla pressione di esercizio della caldaia, i riferiscono – tramite apposita pompa di elevate caratteristiche ed affidabilità, arriva al collettore superiore tramite uno o più tubi, collegati e terminati in modo da poter distribuire uniformemente l’ acqua di alimento, relativamente più fretta di quella già in ciclo nella caldaia.

    L’ esigenza fondamentale è quella di mantenere l’ acqua in caldaia a livello il più possibile costante, agendo sulla mandata delle(e) pompa(e) di alimento: l’ operazione, controllata attraverso i livelli, è stata via via oggetto di automazione. Risultano con acqua (stato liquido) sia i fasci tubieri che i collettori inferiori.

    Il calore trasmesso dalla camera di combustione ai fasci tubieri, nell’ operare la vaporizzazione dell’ acqua la mette in movimento (effetto termosifone) obbligandola a salire nei tubi più esposti alla fiamma ed a scendere in quelli più lontani, relativamente più freddi.

    Al variare dell’ attività di combustione e della produzione di vapore, il numero di tubi (o meglio file di tubi) in cui si verifica il moto ascensionale può variare, in aumento o diminuzione. Per assicurare in qualsiasi modo la discesa verso i collettori inferiori anche con forte attività di combustione, e quindi con una numero maggiore di file di tubi impegnate nel moto ascensionale, le caldaie sono dostate di una serie di tubi di maggior diametro sistemati esternamente alla camera di combustione, se non addirittura all’ esterno dell’ involucro. Questa sistemazione tipica e molto seguita nelle caldaie di matrice statunitense, era molto molto più limitata nelle caldaie di matrice inglese, tipo ammiragliato.

    Il vapore prodotto si raccoglie nella sommità del collettore superiore dal quale viene prelevato tramite un sistema in grado di separare nel possibile, per un percorso che induce centrifugazione, liquido da vapore.

    Il vapore cosi prelevato, vapore saturo, passa quindi al surriscaldatore che lo trasforma in gas perfetto; il surriscaldatore è diaframmato in modo da formare in pratica due camere separate, unite da un fascio ad U; il vapore saturo entra dalla parte a temperatura inferiore, perché più lontana dalla camera di combustione e viene poi convogliato attraverso alla parte a temperatura maggiore (in quelle più recenti di materiale diverso e più resistente alle alte temperature) per essere poi inviato agli utenti.

    E’ importante segnalare che l’ aria comburente. In questo tipo di caldaie, viene inviata alla camera di combustione, tramite le stesse aperture dei polverizzatori, diaframmate in modo da creare turbolenza, attraverso lo stesso locale caldaie che viene mantenuto per mezzo di potenti ventilatori (elettrici in avviamento e turboventilatori a regime, in leggera sovrappressione. La sovrappressione del locale serviva anche a limitare la possibilità dei ritorni di fiamma.

    Il combustibile veniva introdotto in camera di combustione attraverso polverizzatori meccanici, il pù largamente usato era il tipo Mejani, sistemati nella parte frontale delle caldaie e spruzzanti per opportuna miscelazione nella turbolenza appositamente creata nell’ aria comburente; il numero dei polverizzatori in uso era variabile in funzione della potenza richiesta, e nel caso di andature ridotte venivano accessi a rotazione per mantenere uniformità di temperatura.

    Si utilizzava nafta densa, preriscaldata, generalmente messa in pressione con pompe a vitoni, la polverizzazione avveniva tramite piastrine rimuovibili, con fori diversi a seconda dell’ attività di combustine richiesta: le piastrine tendevano a sporcarsi ed otturarsi rapidamente per la cristallizzazione della nafta, soprattutto quando di non eccelsa qualità, ed il sistema obbligava a continui interventi manuali complicati e pericolosi, di sostituzione dei polverizzatori, per manutenzione e sostituzione delle piastrine.

    Questo tipo di apparato motore, per conformazione e materiali, risultò notevolmente pesante, di notevoli dimensioni, soprattutto in pianta, penalizzando molto le costruzioni prebelliche italiane., soprattutto le siluranti dove in molti casi non si potevano istallare caldaie affiancate (sistemazione per madiere) ma solo in successione (sistemazione per chiglia).

  16. Gli a.m. a vapore della MMI nell' ipotesi di guerra nucleare

    Parte seconda: la difesa NBC ed il telecomando

     

    A partire dagli anni 60 la pratica di difesa NBC, nucleare, batteriologica e chimica, consisteva nel pressurizzare l' interno della nave, con un battente positivo di 20/25 mm hg, immettendo aria filtrata attraverso appositi sistemi purificatori, batterie che per semplificare diciamo a carbone attivo, in grado di trattenere il micro pulviscolo del fall out radioattivo, o neutralizzare gli agenti chimici o batteriologici, mentre tutta la nave operava sotto un "ombrello" protettivo e decontaminante di acqua nebulizzata prodotto da spruzzatori diffusi su tutti i ponti e le sovrastrutture, alimentati dal circuito antincendio ad alta pressione.

    Era ed e' il concetto di cittadella

    Tutto bene, tutto bello, ma come si doveva fare con gli apparati motore, che necessitano come comburente e come refrigerante di grandi volumi di aria che ovviamente non puo' essere filtrata, e diventa così non solo un veicolo ma un accumulatore del fall out, radioattivo o batteriologico o chimico?

    Soprattutto cosa si doveva fare con il personale che DOVEVA NECESSARIAMENTE presidiare ed operare le caldaie, il luogo a circolazione d' aria per antonomasia?

    I locali caldaie erano considerati alla stregua dei ponti scoperti, locali contaminati, al di fuori della cittadella ed il personale avrebbe dovuto(!!!) operare con maschere e tute stagne in ambiente ad alta temperatura, a turni ridotti, per poi essere sottoposto alle procedure di decontaminazione ogni volta che smontava; Soluzione rischiosa,poco credibile che di fatto creava posizioni ad altissimo rischio, se non addirittura ad ipotizzare personale sacrificabile.

    Sugli altri tipi di a.m. si arrivo' ad ipotizzare ed a sviluppare rapidamente impianti di telecomando totale mentre enormemente piu' complesso risultava il telecomando delle caldaie, basti pensare ad un esempio, il cambio dei polverizzatori.

    Le caldaie, ed in genere tutto il complesso dell' apparato a vapore, erano il sistema più automatizzato in quanto a controllo ma erano anche il piu lontano e difficile dal telecomando, anche per la sensibilità del presidio umano, unico per assicurarne l' affidabilità.

    Non dimentichiamo che siamo ancora lontani dall' era digitale. .... sia in termini di telecontrollo che di telecomando; gli automatismi erano ad aria compressa,delicatissimi (sistema Hagan), i telecomandi e gli azionamenti erano elettrici e/o pneumatici (nulla oleodinamico con olio in pressione per l' alta pericolosità dell' olio in pressione agli effetti dell' incendio, come dimostro' un catastrico incidente all' AM della Michelangelo).

    Nella MMI, ma anche caso importante a livello internazionale, si arrivo' al telecomando solo con Audace ed Ardito, che probabilmente nella storia navale rappresentano la punta più alta (e finale) degli apparati motore a vapore, un risultato ottimale, felice, ma fuori tempo massimo.

    Per inciso la MMI fu indecisa se realizzare queste unita' (le ultime prima della Legge Navale) a vapore od a gas: le licenze e le capacita industriali, anche innovative, erano disponibili, esisteva gia un' esperienza operativa propria, consolidata e positiva, della MMI in materia di TAG ma ancora una volta si ripresento' il ricorrente vizio italiano delle commesse assegnate sulla base di lobbies politico affaristiche che dovevano coprire incapacità di innovazione , adeguamento impianti, e aggiungo rinnovamento della classe dirigenziale dei cantieri e dell' industria.......

    La scelta fu tradizionale,tirata per i capelli, ma almeno si produssero delle ottime navi. .... Pensate che ciascuna delle centrali dei due AM dell'Ardito aveva come strumentazione 400 punti di controllo di funzionamento e circa 240 possibilità' di intervento in telecomando, in un momento in cui l' era digitale era fantascienza: centinaia di chilometri di cavi e tubicini di rame, che alimentavano tre centrali ( Pr - sn, Pp - dr, CP, centrale di propulsione) oltre i quadri locali. Un rompicapo che metteva duramente a prova il personale, a cui si richiedeva la conoscenza perfetta del sistema, funzioni e percorsi, ed una costante capacita' di intervento correttivo e manutenzione, in ogni condizione di mare.

    Il Veneto aveva un sistema simile, un po meno sofisticato ed ovviamente con relativamente migliori condizioni di accessibilità per i maggiori spazi a disposizione.

    Inviato da Ipad

  17. Non so se le seguenti considerazioni possono trovare giusta collocazione in questa discussione, ma la riguardano, anche per evitare duetti che, per quanto piacevoli, posso tenere al margine staccare altri utenti; come sempre passo la palla al moderatore,

    Con un progressivo incremento di appassionati del mare e di materie marittime e navali e con il proliferare di siti che permettono confronti e diffusione della conoscenza, occorre anche pensare alla qualità dell' informazione e ad una adeguata e moderna forma di cultura navale.

    L' apertura di archivi , la digitalizzazione e messa in rete degli stessi, le facilita' di accesso e condivisione hanno non solo permesso la nascita e la crescita di una nuova generazione di ricercatori, non più' elitesca, ma anche una diffusione di notizie e ricordi che nel migliori dei casi in passato erano archivi o raccolte personali o eredita di famiglia, non fruibili per la conoscenza.

    Un caso concreto, positivo, immediato, e' quello che sta postando e mettendo in comune Helsingor.

    Parlando di cultura ed educazione marittima, ma soprattutto navale, si pone pero' un problema, che definirei del "come" e "perché"

    Molti, moltissimi, sono attratti, ovviamente, dagli avvenimenti, e proliferano soloni e pseudo storici che sofisticano su particolari, come date, minuti e secondi di qualche scontro, diversi a secondo delle fonti. Spesso eruditi dedicati all' auto celebrazione, e bastano rapide scorse sui vari siti per rendersi conto di acerrime e spesso squallide contese, da parte di personaggi che hanno spontaneamente assunto il ruolo di tenutari della verità'.

    Gli appassionati, soprattutto i più giovani, attratti dagli avvenimenti, e quindi dal "come" mancano spesso delle basi e degli strumenti per gli approfondimenti, per i "perché".

    In quasi tutti i siti, i vari forum, manca la sostanza del " perché", mancano i percorsi guidati per una maggiore e migliore cultura navale, cominciando dalla semplificazione dei concetti, al limite della stupidita e della provocazione.

    Ci si dedica, come storia, all' analisi degli scontri, come se , nel caso le navi, fossero " cose" omogenee.

    Le navi non sono cose, sono vive, sono il risultato della vita, del successo o degli errori di molti, e bisogna cercare di conoscere e capire.

    Non si può parlare di storia navale senza conoscere la nave, in ogni sua epoca e contesto, non come guscio navigante che si muove, partecipa ad azioni, ma come e perché nasce, come funziona, come si svolge la vita ed il servizio a bordo, di quale contesto industriale e produttivo ne e' espressione, e così via.

    La conoscenza e' volatile, basti pensare al caso del vapore che dopo poco più di un secolo di uso pressoché totale, a meno di vent' anni dalla sua " dismissione" e' diventato il grande sconosciuto, come queste pagine dimostrano, eppure senza la conoscenza di questo, come degli altri sistemi propulsivi, non si può' ( o non si potrebbe) fare alcuna analisi seria della storia navale del secolo scorso.

    Questo sito dispone di una sezione tecnica, che in questi anni e' stata fonte preziosa non solo di informazioni, ma di formazione e culturizzazione; E' una caratteristica, una eccellenza di questo foro che lo distingue da altre iniziative e soluzioni, che andrebbe ulteriormente valorizzata, propagandandola anche all' interno delle altre discussioni e sezioni dello stesso forum e spingendo la partecipazione, a cominciare dalle domande, senza timori di apparire stupidi nel chiedere un chiarimento. Non occorre ne' si devono fare trattati di ingegneria, ma trattare di tutto e di tutto un po' ; la tecnica navale non e' solo ingegneria, ma e' soprattutto "buona pratica" e questa va messa a comune denominatore.

    In questa linea vorrei che cercassimo di continuare e sviluppare questa discussione, cercando di stabilire dei moduli che siano sempre più partecipativi e soprattuto replicabili.

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