riporto un articolo del giornale ''il secolo XIX''
La rivelazione Nel '55, i servizi segreti italiani affondarono in Russia la corazzata Giulio Cesare per conto della Nato
MoscaIl 29 ottobre del 1955 otto uomini-rana agli ordini dei servizi segreti italiani avrebbero fatto saltare in aria nel porto di Sebastopoli, in Crimea, una corazzata ceduta dall'Italia all'Urss nel quadro delle riparazioni dei danni per la seconda guerra mondiale. La missione degli uomini-rana avrebbe provocato così la morte di oltre seicento marinai a bordo della corazzata.
La corazzata era la Giulio Cesare, ribattezzata Novorossisk dopo la consegna all'Unione Sovietica nel 1949, e la pista tricolore è rievocata con dovizia di particolari dalla rivista "Itoghi" in occasione del cinquantenario.
All'epoca, il Cremlino sostenne che la tragedia era stata innescata da alcuni incendi accidentali a bordo ma, a detta della rivista russa "Itoghi", le cause rimangono misteriose e l'ipotesi più accreditata è l'affondamento dovuto a bombe a orologeria piazzate da sabotatori italiani sulla chiglia.
Nel numero da ieri in edicola la rivista moscovita cerca però di risolvere «uno dei misteri più tetri della guerra fredda» sulla base di una fonte piuttosto approssimativa e di seconda mano. Un certo Niccolò, che avrebbe fatto parte dei "magnifici otto" entrati in azione a Sebastopoli nell'ottobre 1955, oltre vent'anni dopo, nel 1997, avrebbe vuotato il sacco con un imprecisato ex-ufficiale della marina sovietica residente negli Stati Uniti.
I servizi segreti italiani - all'epoca - avrebbero agito per conto della Nato al fine di impedire che la ex-Giulio Cesare fosse equipaggiata di lanciamissili a testata nucleare. I servizi avrebbero trovato un complice entusiasta nel capo degli uomini-rana della Decima Mas e cioè il principe Junio Valerio Borghese, che già nel 1949 avrebbe giurato vendetta per la cessione della corazzata, un episodio da lui vissuto come «un atto di disonore».
Se si crede al fantomatico Niccolò (presentato come l'unico di quell'impresa ancora in vita), gli uomini-rana furono portati al largo della Crimea da una nave mercantile italiana adibita ufficialmente al trasporto di frumento. Dal "mercantile" sarebbero stati lasciati in mare il 26 ottobre. Avrebbero poi raggiunto la costa con un mini-sommergibile. A quel punto gli otto uomini-rana avrebbero organizzato una piccola base a terra. Da lì avrebbero infine piazzato le mine a tempo sotto la corazzata. Concluso la loro operazione, sarebbero stati recuperati al largo di Sebastopoli da un altro mercantile di comodo, due giorni dopo l'esplosione della corazzata Giulio Cesare.
Durante una vacanza in Florida, Niccolò avrebbe raccontato all'ex-ufficiale sovietico, conosciuto casualmente, che, durante la posa delle mine in acque dalla visibilità estremamente ridotta, una borsa con attrezzature varie e alcuni pezzi di un "maiale", lo uno speciale mezzo subacqueo d'assalto, caddero sul fondale e non fu possibile recuperarli perché si dovette fuggire in fretta e furia.
Niccolò avrebbe anche mostrato al suo interlocutore una foto nella quale lo si vede assieme agli altri sette uomini-rana prima dell'inizio dell'audace operazione.
La rivista "Itoghi" aggiunge di suo che all'epoca soltanto due Paesi della Nato - Italia e Gran Bretagna - avevano l'expertise per gesta simili.
Non è ad ogni modo la prima volta che gli uomini-rana italiani sono tirati in ballo a Mosca per l'esplosione della ex-Giulio Cesare. Nel 1999 il quotidiano "Segodnia" scrisse addirittura che l'azione rientrava in un più ampio piano di «invasione dell'Urss», bloccato dalla Nato all'ultimo momento.