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Recensione Di "fucilate Gli Ammiragli" Su La Repubblica Del 20.11.2014


GM Andrea

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Il 20 novembre 2014 è apparsa nelle pagine culturali (!) de "La Repubblica" una recensione, a firma di Stefano Malatesta, della ristampa di "Fucilate gli ammiragli" di Gianni Rocca, che di quel giornale fu condirettore.

Il testo è visibile per intero qui:

 

http://ilmiolibro.kataweb.it/booknews_dettaglio_recensione.asp?id_contenuto=3761076

 

Già il titolo è, per usare un eufemismo, indecoroso per un giornale a tiratura nazionale: "Il naufragio senza onore della Regia Marina"

Sottotitolo: "Le sconfitte, gli errori, le inesperienze e la fine della flotta italiana. Il falso mito della potenza navale costruito dal regime."

 

Il contenuto dell'articolo conferma da un lato la più plateale e compiaciuta ignoranza, nel senso letterale del termine, da parte dell'estensore del tema di cui sta trattando, dall'altro la faciloneria con cui affronta temi a lui del tutto alieni quali l'onore militare e la storia navale in generale.

 

Mi sforzo di non dire altro e lascio la parola alla lettera inviata ieri da Enrico Cernuschi a "La Repubblica", chiaramente non pubblicata

 

 

Egregio Direttore,

 

a scuola tutti noi lettori abbiamo studiato il Pascoli, col suo “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi di antico”. E’ proprio quello che ho provato leggendo una recensione apparsa oggi, 20 novembre, sul quotidiano da lei diretto in merito a un libro dedicato alla storia della Marina italiana. Intendiamoci, una recensione a beneficio della memoria di un ex condirettore della stessa testata non si nega mai, specie se si tratta della ristampa di un vecchio libro del 1987. Ma il guaio è proprio questo: siamo davanti a un testo basato su vecchie polemiche di sessant’anni fa, se non addirittura sulla feroce propaganda dei venti mesi di Salò.

La recensione riporta, infatti, una divertente serie di errori. Non esiste, per esempio, una “bombasiluro”, né l’aereo che affondò la nave da battaglia Roma era uno “stuka”, tutto il contrario, si trattava di un bombardiere orizzontale Do 217. Magari fosse stato un convenzionale Ju 87 o Ju 88! Non avremmo perso 1.352 uomini. Tralascio errori classici come la confusione tra dislocamento e tonnellaggio, l’arte marinaresca (seamanship) presente sui fogli matricolari italiani sin dai primi del Settecento e, pertanto, traducibilissima, e vengo al sodo.

Il riferimento al maresciallo tedesco Kesselring in merito alla “Marina della bella giornata” contraddice le 39.068 missioni e le 9.854.034 miglia percorse dalle sole navi da guerra maggiori italiane, dalle corazzate ai sommergibili, nei 1.185 giorni del conflitto 1940-1943, non certo tutti caratterizzati da sole splendente e calma piatta. In realtà le navi tennero il mare ogni giorno e ogni notte, allora come oggi e sempre, con ogni tempo. Un giornalista come Giorgio Bocca, autore di una grande intervista a quel condottiero del III Reich condannato a Venezia nel 1947, ci sarebbe andato più piano prima di abbeverarsi a certe fonti. Le esercitazioni di tiro dei grossi e medi calibri non soffrirono, inoltre, mai di deficienze di munizionamento; quanto ai 13.489 colpi tirati (4.901 dei quali delle mitragliere) la notte di Taranto abbattendo due aerei inglesi corrispondono, infine, alle più di 4.000 cannonate (ossia dai 76 mm in su) per velivolo abbattuto rivendicate dai britannici a Malta nel 1940-1942 e ai 3.500 proietti rivendicati dai moderni pezzi da 88 degli artiglieri tedeschi per ogni bombardiere distrutto di notte in quello stesso periodo. Polemiche inutili, pertanto, al pari, beninteso, della formulazione di giudizi come “modesti uomini di mare” e “più per caso che per abilità”, le quali lasciano il tempo che trovano.

Un confronto tra Nelson e Trafalgar con Persano e Lissa è, a sua volta, fuorviante; si tratta, infatti, di un sofisma passato di moda dai tempi di Platone. Perché non citare la sconfitta inglese di Coronel del 1914, giusto cent’anni fa, o la presa di Ancona del 1860 o, ancora, il fatto che, dopo Lissa il blocco navale italiano di Venezia proseguì come prima, continuando così a tagliare fuori un intero corpo d’armata austriaco proprio mentre Vienna abbandonava il Veneto e si attestava sull’Isonzo perché, sul mare, i termini della questione non erano cambiati?

“Flotta obsoleta” inglese a Punta Stilo. E’ vero esattamente l’opposto: le due corazzate italiane, Cesare e Cavour, da 29.000 t, che affrontarono le tre inglesi (più una portaerei) il 9 luglio 1940, erano entrate in servizio nel 1914-1915 ed erano state ammodernate nel 1933-1937. Gli anni di quelle britanniche da 36.000 sono, per contro, rispettivamente 1915-1916 e 1934-1937. Dopo quella battaglia la Marina inglese non tentò più di insidiare il traffico italiano con l’Africa se non con mezzi spendibili. I risultati di questa guerriglia di lusso furono negativi: nel corso di 3 anni (fino, cioè, all’ultimo giorno di guerra in quel continente) passarono il 91,99% del personale e l’83,49% dei materiali inviati laggiù. La percentuale sale al 99% (ossia è uguale a quella inglese in Atlantico) se si prendono in considerazione tutti i traffici via mare italiani effettuati nel Mediterraneo nel ’40-‘43. Anche la storia delle decrittazioni è esattamente invertita rispetto a quanto riportato oggi: eravamo noi che leggevano loro, e non viceversa. E’ bastato confrontare, infatti, con metodo scientifico, i documenti britannici e italiani, giorno per giorno e ora per ora, procedendo sine ira et studio e, soprattutto, senza debolezze polemiche. Altro fatto non vero: l’Aeronautica italiana “abbandonata a se stessa” dopo il 1933. Capisco la debolezza dimostrata dall’autore, in un altro proprio libro del 1991, per l’arma azzurra, ma in realtà i bilanci della pupilla del fascismo, una volta depurati dall’inflazione, furono sestuplicati, tra il 1935 e il 1939, a danno di quelli, viceversa dimezzati, della Marina. Gli aerei in linea, nel 1933, erano 1.316; nel 1939 1.525. Per quanto il peso medio per velivolo fosse salito, nel frattempo, del 20%, nessuno ha mai capito dove fossero finiti i quattrini, né allora né oggi.

Concludo, Direttore, con due ultime osservazioni.

Quanto sopra ricordato non è un segreto di Stato. Proprio un giornale del Gruppo, La Provincia pavese, poi ripresa da altri quotidiani fratelli, ha pubblicato queste stesse, semplici e solide verità, il 3 aprile di quest’anno. Dagli anni ‘90 in poi la storiografia navale italiana e straniera è cambiata profondamente grazie a ricerche condotte serenamente sui documenti originali inglesi e italiani e non sui pamphlet della propaganda di guerra. Si vedano, per esempio, numerosi testi pubblicati in lingua inglese come On Seas Contested, Dark Navy, To Crown the Waves, Struggle for the Middle Sea, Black Phoenix e In Passage Perilous. Ristampare va bene, ma il lettore che paga avrebbe diritto a qualcosa di aggiornato o a sapere, quantomeno, che sta acquistando una Millecento con il cambio al volante.

Quanto alla questione più delicata, ovviamente tenuta per ultima, è presto detta. La parola “onore” non va utilizzata con leggerezza. La Marina italiana, in quanto forza intellettualmente attiva, è sempre aperta al confronto (ma non agli strafalcioni) e all’innovazione, come prova, tra l’altro, il felice sviluppo della componente femminile dalla Forza Armata, ma è fedele a se stessa, al proprio passato (di cui è orgogliosa), al suo presente e al futuro. E’ come l’acqua salata. Non cambia mai.

 

Cordialmente

Suo

Enrico Cernuschi

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Provo un misto di rabbia e di vergogna per le imbecillità e le ingiuste falsità scritte dal giornalista de La Repubblica :angry:
Queste cose fanno male a chi è cresciuto con gli ideali della Patria e dell'Onore e ha sentito raccontare la storia della gloriosa Regia Marina dalla viva voce di chi ha partecipato alle sue azioni.

Se questi sono i "giornalisti".... siamo davvero messi male. :sad:
Bravo Enrico Cernuschi! :smiley19: Una bella lezione all'ignorante arroganza e superficialità di un giornalista da strapazzo!! :tongue:

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Grande Cernuschi! Quoto in pieno! :smiley19:

Per il resto... il livello di un certo "giornalismo" italiano è sotto gli occhi di tutti... purtroppo.

Modificato da Massimiliano Naressi
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"centrato da una bomba siluro lanciata da uno stuka"....basterebbe questo per capire il livello di competenza di chi scrive.

 

Cernuschi è stato anche fin troppo diplomatico (parere mio)...il punto è che per capire il contenuto della sua lettera bisogna avere un minimo di conoscenza nel campo, cosa che sembra mancare all'autore della recensione.

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purtroppo in Italia è sempre ben accetto chiunque sparli delle nostre forze armate, sopratutto nel periodo preso in questione. Se poi non è capace di distinguere un aereo da un carro armato, non importa, tanto sono pochi quelli chesentono ildovere di rettificare e quando rettificano, non si pubblica, mica possono fare mea culpa e screditare la loro testata.

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E' veramente vergognoso e fuorviante ciò che è stato scritto su La Repubblica :sad::wacko:

Modificato da Marpola
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Mi unisco nella critica spietata dello scribacchino autore della recensione; però mi sembra eccessivo estendere tale biasimo anche verso l'opera stessa oggetto della ristampa, che sicuramente è oggi datata, ma che non mi pare meriti tanto astio. Appare chiaro fin dal primo capitolo che il "Fucilate gli ammiragli" del titolo non è un invito dell'autore ma piuttosto una provocazione nei confronti del regime che, vistosi sconfitto e ridotto a Salò, scaricò tutta la colpa della propria sconfitta sui comandanti militari, inventandosi i "tradimenti" di trizziniana memoria e fucilando per davvero, quasi come "esempio" e capro espiatorio, due ammiragli su cui era riuscito a mettere le mani (Campioni e Mascherpa). Rocca non è certo tenero con i vertici della Regia Marina e con molte loro decisioni prebelliche, ma su più d'un punto trovo difficile non dargli ragione. Il suo più grande difetto è che nel parlare della battaglia dei convogli pone l'accento soprattutto sulle perdite e non sul fatto che la gran parte dei rifornimenti passasse; ma la visione che traspare dalle sue pagine non è certa quella che il... signor Malatesta gli ha cacciato in bocca.

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Chi li conosce sa' che i "giornalisti" una volta erano pochi, selezionati e bravi(Montanelli docet).

Oggi sono una pletora autoreferenziante e alla disperata ricerca(come haime' tantissimi altri italiani) di una pagnotta.Qual che sia.

Bastano gli esempi di crassa ignoranza financo nel leggere i nomi di localita' in TV, ove si sprecano.

 

La puntualizzazione è piu' che condivisibile,impeccabile.complimenti.

 

Vedremo quante copie saranno vendute!crisi a parte,tener conto che gli allocchi sono in estinzione......ma collegandomi:

 

Il vero dramma è che non riusciamo a trasmettere alle nuove generazioni obiettivita',volonta' di approfondire e vivere con un ideale che non sia miseramente banale.e così c'è spazio per chi campa di castronerie

Non tutto è perduto: ho visto gli "angeli del fango" al lavoro..........non è retorica..........i ns. giovani.......potranno farcela.Devono buttare a picco la zavorra che abbiamo caricato loro,proprio NOI.

Zulu

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Devo dire che Cernuschi (prima di farsi prendere la mano dai tecnicismi, come rilevato dagli altri) diplomatico lo è stato davvero:

 

se non addirittura sulla feroce propaganda dei venti mesi di Salò.

 

che per la penna di Cernuschi è estremamente generica e forse volutamente fuorviante: sappiamo tutti la sua posizione sulla offensiva propagandistica contro la RM durante la II GM.

 

un po' sono divertito che in ultima analisi, gli si sta rilevando la stessa critica che occasionalmente mi viene rilevata... :laugh:

 

A N60, e ad altri, tengo a precisare che attenzione, La Repubblica è un ottimo foglio generalista e politico, che, guidato, è perfettamente in grado di coprire bene l' attualità Navale, come si è constatato durante Mare Nostrum; Riconosco, giustamente, che in MMI ci sta del nervosismo nell' imminenza dell' approvazione definitiva di un importantissimo programma di costruzioni Navali, ma onestamente, dopo lettura anche dell' articolo, che classifico come quello che in termine giornalistico si definisce "marchetta", non ci vedo "messaggi in codice" di chicchessia.

 

Il problema di fondo resta lo stesso: quanto realmente successo nel Mediterranneo nel '40-'43 resta estremamente difficile da porre in forma divulgativa.

 

Saluti,

dott. Piergiorgio.

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Piergiorgio,

ti do assolutamente ragione sull'ultimo paragrafo che hai scritto. Bisogna però evidenziare le ragioni per le quali, nonostante ottimi testi siano stati scritti - anche di recente - sull'argomento, ancora luoghi comuni, vulgate e leggende continuano a perpetuarsi. E non sono, a mio avviso, ragioni solo interne al nostro smemorato paese.

Ciao,

C.

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Chimera, credo che sai bene che io colloco non poche delle ragioni esterne all' Italia; il punto di base è che non è facile per me scriverne qua, in quanto punto decisamente più in direzione "amica" che nemica. Ed è una discussione da quadrato ufficiali, che si inserirebbe nella scia dei difficili (anche per me) dibattiti istigati da Bussolino.

 

Sull' evidenziare le ragioni, credo di essere il meno indicato in quanto critica ed autocritica devono essere ben distinte (attenzione: pesante autoironia)

 

Saluti,

dott. Piergiorgio.

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  • 4 weeks later...

Mi unisco nella critica spietata dello scribacchino autore della recensione; però mi sembra eccessivo estendere tale biasimo anche verso l'opera stessa oggetto della ristampa, che sicuramente è oggi datata, ma che non mi pare meriti tanto astio. Appare chiaro fin dal primo capitolo che il "Fucilate gli ammiragli" del titolo non è un invito dell'autore ma piuttosto una provocazione nei confronti del regime che, vistosi sconfitto e ridotto a Salò, scaricò tutta la colpa della propria sconfitta sui comandanti militari, inventandosi i "tradimenti" di trizziniana memoria e fucilando per davvero, quasi come "esempio" e capro espiatorio, due ammiragli su cui era riuscito a mettere le mani (Campioni e Mascherpa). Rocca non è certo tenero con i vertici della Regia Marina e con molte loro decisioni prebelliche, ma su più d'un punto trovo difficile non dargli ragione. Il suo più grande difetto è che nel parlare della battaglia dei convogli pone l'accento soprattutto sulle perdite e non sul fatto che la gran parte dei rifornimenti passasse; ma la visione che traspare dalle sue pagine non è certa quella che il... signor Malatesta gli ha cacciato in bocca.

Quoto al 100% quanto sostenuto da LColombo,quanto all'aspetto di porre l'accento sulle perdite anzichè sulle quantità arrivate,, è vulgata ancora comune, io personalmente avendo avuto modo di parlarne nel corso degli anni con numerosi reduci (sopratutto di siluranti) di quelli avvenimenti ho riscontrato che avevano una percezione delle perdite superiore al reale, forse per un senso di frustrazione dovuto al fatto che l'iniziativa l'aveva sempre l'avversario e tu bene che andasse ti difendevi con successo,insieme a un riconoscimento della superiorità britannica.

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Giudizi che potrebbero considerarsi scherno, o quanto meno irrispettosi nei confronti della Regia Marina ricordo di averli letti nei libri del Generale Bruno Servadei, che argomentava proprio su quelle che considerava (non riporto letteralmente per ovvie lacune mnemoniche) mediocri figure rimediate durante la II g.m. Ma ce n'era anche per la Marina Militare.

Per la cronaca, Gen. Servadei è stato pilota dell'A.M. congedandosi dopo il 2000 ed ha pubblicato il libro "Vita da cacciabombardiere" e "Ali di travertino".

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