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65 Militari Della Rsi Al Campo Della Memoria


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spero senza suscitare l'ira di nessuno:

 

se si continua a chiamare tradimento l'armistizio dell' 8 settembre il passato non passerà mai.

 

o si condanna fermamente il passato fascista (dopo le discussioni sul coraggio sono un altra cosa) e ci si sgancia da esso (come sembra stia facendo parte della destra italiana), oppure si è nostalgici e allora ci si scontrerà sempre con chi oggi vive in democrazia (e ne è fiero!).

 

Mi permetto, nonostante non sia mia abitudine tornare su discussioni che abbiano assunto accenti "accesi", di tornare nella discussione.

E lo faccio quotando in toto il buon Lupoz, con il quale concordo in pieno (tranne che, ahimè, nel segreto dell'urna :s02: ).

 

Senza nessun intento polemico, mi spiace constatare come una certa parte del nostro Parlamento tenda a ribaltare lo scenario che giustamente sottolineava Lupoz, sostanzialmente contrapponendosi in modo virulento alla destra (qualunque destra) bollandola come "fascista".

 

E' chiaro che le colpe siano dei singoli. Però un simile atteggiamento, in entrambi gli schieramenti - ci tengo a sottolinearlo - è lontano dal creare quell'accordo e quell'armonia nel corpo sociale italiano che tutti desideriamo. Anzi, fomenta le divisioni.

 

Dare del fascista ad un esponente dello schieramento di centro destra, così come dare del traditore a chi ha contribuito a rendere l'Italia un paese democratico, non giova a nessuno.

 

Semmai considero doveroso (per un'etica personale, che ho appreso dai miei genitori e dai miei nonni...) che si faccia la distinzione tra chi ha compiuto il proprio dovere sino all'ultimo, assumendosi la responsabilità dei propri sbagli, pagando, se necessario, anche con la vita per sostenere i propri ideali, e chi invece cambia bandiera con la stessa frequenza con cui cambia la propria biancheria intima, cercando di arraffare a mani basse prima con il fascismo, poi con Badoglio ed infine con i partigiani.

 

Mia nonna raccontava spesso di una coppia di signori, oggi icone piuttosto note di una certa sinistra, che in Piazza S. Babila a Milano erano stati rapati a zero come collaborazionisti dei repubblichini... Credo che siate d'accordo con me che persone come queste costituiscono la rovina di qualunque ideologia e di ogni società...

 

 

Sto divagando, e torno a bomba alla discussione...

 

Lasciamo l'analisi storica per un attimo e torniamo a meditare sul fatto che, dopo così tanto tempo, 65 uomini che hanno creduto ciascuno nel proprio ideale ed hanno pagato con la vita piuttosto che rinnegare la propria coscienza, dimostrando un'integrità morale che dovrebbe essere esempio per tutti, hanno trovato finalmente la pietà degli Italiani.

 

Silvio

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spero senza suscitare l'ira di nessuno:

 

 

o si condanna fermamente il passato fascista (dopo le discussioni sul coraggio sono un altra cosa) e ci si sgancia da esso (come sembra stia facendo parte della destra italiana), oppure si è nostalgici e allora ci si scontrerà sempre con chi oggi vive in democrazia (e ne è fiero!).

 

esattamente come avviene attualmente nei paesi dell'est verso il passato comunista al punto che attualmente il simbolo della falce e martello è proibito per legge persino in russia dove è stato equiparato alla svastica..... Anche loro oggi sono fieri della loro "democrazia".

Strana la storia no? Cambiando i fattori (destra o sinistra, fascismo o comunismo) il risultato non cambia!! :s07:

Modificato da Green
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Lasciamo l'analisi storica per un attimo e torniamo a meditare sul fatto che, dopo così tanto tempo, 65 uomini che hanno creduto ciascuno nel proprio ideale ed hanno pagato con la vita piuttosto che rinnegare la propria coscienza, dimostrando un'integrità morale che dovrebbe essere esempio per tutti, hanno trovato finalmente la pietà degli Italiani.

 

Perdonami Silvio,

apprezzo moltissimo le tue parole

ma hanno trovato solo la pietà dei loro vecchi compagni d'arme (vorrei dire camerati ma verrebbe travisato...) che nonostante ora abbiano 90 anni non hanno dimenticato e si sono prodigati per dar loro degna sepoltura.

Per gli altri era sufficiente una cassetta rigorosamente anonima.

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Signori, credo che questa discussione abbia molto potenziale ed ho letto con interesse i post di tutti i partecipanti.

 

Purtroppo in alcuni casi ho notato dei toni sgradevolmente polemici e delle vere e proprie provocazioni, che hanno snaturato il tono della discussione. Siamo qui per confrontare le nostre idee con quelle degli altri, non per imporre il nostro punto di vista su quello altrui.

 

Il senso di una discussione di questo tipo è da intendersi come stimolo alla riflessione interiore e alla voglia di approfondire le nostre conoscienze storiche. Le contrapposizioni di partito o i vecchi muro contro muro tra "fascisti" e "comunisti" di sicuro non contribuiscono ad una discussione, se non infiammando gli animi.

 

Invito tutti ad evitare "provocazioni" e sopratutto a non rispondere a quelle che vengono percepite come "tali". Qui nessuno si sente depositario della verità infusa o ha la superiorità morale per mettere a tacere gli altri partecipanti alla discussione.

 

In qualità di moderatore provvederò alla cancellazione dei post contenenti spunti polemici o attacchi diretti tra C.ti della Base Atlantica, ovvero alla chiusura della discussione qualora i toni di questa degenerino.

 

Prego quindi tutti voi di adottare un comportamento maturo, evitando che questa interessante discussione debba essere censurata.

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Strana la storia no? Cambiando i fattori (destra o sinistra, fascismo o comunismo) il risultato non cambia!!

 

concordo!

le dittature, rosse o nere che siano, sono solo la fenomenologia del male.

 

hanno trovato solo la pietà dei loro vecchi compagni d'arme (vorrei dire camerati ma verrebbe travisato...) che nonostante ora abbiano 90 anni non hanno dimenticato e si sono prodigati per dar loro degna sepoltura.

Per gli altri era sufficiente una cassetta rigorosamente anonima.

 

la pietà e il rispetto per TUTTI i morti dovrebbero essere imperativi morali!

chi non fa suoi questi valori è l'uomo che è.

 

 

Certo Lupoz oggi tanti fatti hanno un senso solo dal lato storico.

Comunque mi permetto di richiamare l'attenzione, sull'analisi dei fatti storici, senza prendere posizione in un senso o nell'altro, o addossare colpe all'uno o all'altro, ma solo cercando di evidenziare le cause scatenanti di questi fatti, perchè è proprio nella causa l'origine di tutto.

 

in parte concordo con te luciano. ma bisogna anche dire che se noi facessimo

una storia di mera elencazione di fatti perderemmo completamente l'orizzonte di senso in cui questi fatti avvengono.

inoltre questo puro elencare se ha dei vantaggi di "oggettività scientifica" in campo storicistico, non ne ha nel campo dei sentimenti e dei valori di una nazione. mi spiego meglio: io cittadino ho una mia identità culturale, e questa mi è data anche dalla storia passata della mia nazione! quindi io che leggo degli accadimenti di 60 anni fa devo anche trarne delle conclusioni e queste le posso trarre entrando nel merito dei fatti ed esprimendo dei giudizi.

è con questo procedimento che noi possiamo elaborare un' etica per il presente!

 

 

il simbolo della falce e martello è proibito per legge persino in russia dove è stato equiparato alla svastica.....

 

falce e martello non sono illegali. durante i festeggiamenti del mese scorso per i 60 anni della vittoria nella grande guerra patriottica, a mosca era tutto uno sventolare dei suddetti simboli.

la mia non vuole essere un'apologia ma solo una precisazione :s02:

 

 

Sul caso mi viene in mente un film di Alberto Sordi, si intitola "tutti a casa", qualcuno di voi l'ha visto?

 

bellissimo! :s04:

Modificato da Lupoz® R.Smg-77
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Hai ragione Lupoz, però non stavo contestando le tue opinioni, che ritengo di tutto rispetto, ma semplicemente, cercavo, di portare la discussione, sulla conoscenza dei motivi che hanno indotto, certe situazioni.

Secondo il mio parere la cosa è molto importante, in quanto, sono le reazioni a certi comportamenti che inducono alla creazione delle situazioni.

Analizzando le situazioni in questi termini penso sia possibile, evitare in futuro, di ricreare certe condizioni favorevoli, evitando cosi' tragedie di portata mondiale.

Ho parlato in questi termini perchè, queste situazioni sono ancora oggi presenti, sotto i nostri occhi, in altre zone del mondo, anche se come ho detto nel post precedente, ho notato ultimamente una certa propensione dei grandi all'analisi e presa di coscenza.

Faccio un esempio recente, che ci ha toccato da vicino, se l'Unione Europea, 15 anni fà avesse aggregato la Yugoslavia, probabilmente avrebbe reso inoffensive le spinte estremistiche nazionaliste di quel paese, evitando cosi' le tragedie, cui abbiamo assistito.

Questa è solo la mia opinione, magari non giusta, magari le tragedie si sarebbero scatenate ugualmente, però penso che sicuramente sarebbero venuti meno molti dei motivi per cui si sono scatenate.

Ritengo , magari a torto, che questo sia poi il vero scopo dell'analisi critica della Storia.

Ciao

Luciano

Modificato da luciano46
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Cari Comandanti, amici, fratelli e compagni.

Nello studio di qualsiasi problema bisoga

evitare di essere soggettivisti,unilaterali

e superficiali.

E questa la lezione che ho imparato a BETASOM!!

 

Essere soggettivisti significa non voler considerare

i problemi oggettivamente, nei fatti.

 

Essere unilaterali significa non saper considerare

un problema come un tutto; considerare solo le

situazioni favorevoli e non quelle sfavorevoli;

considerare solo il passato e non il futuro;

considerare solo l' aspetto singolo e non l' insieme;

considerare solo i difetti e non i successi;

considerare solo l' accusatore e non l'accusato.

 

Riassumendo essere unilaterali significa non

comprendere le caratteristiche di oguno degli aspetti

di una contraddizione. Lo si indica anche come vedere

la parte e non il tutto, gli alberi e non la foresta.

In questo modo è impossibile scoprire i metodi adatti

per risolvere le contraddizioni.

 

Sun Tzu ha detto una volta

"Conosci il nemico e conosci te stesso e potrai

combattere cento battaglie senza pericolo di sconfitte"

"Ascolta le due parti e vedrai la luce, credi a una sola

e resterai nelle tenebre".

 

Per conoscere effettivamente una questione occorre

abbracciare, studiare tutti i suoi lati, tutti i nessi

e le mediazioni. Non lo si potrà mai raggiungere, mai

pienamente, ma almeno l' esigenza della multilateralità

ci premunirà dagli errori e dallo schematismo.

 

La superficialità è invece il comportamento di una persona

che non tiene conto nè delle caratteristiche

della contraddizione nel suo insieme

nè nelle caratteristiche di ciascuno dei suoi aspetti,

nega che bisogna andare a fondo in una questione ed esaminare

dettagliatamente i vari aspetti,

si limita a uno sguardo a distanza e, colte

approssimativamente alcune manifestazioni della contraddizione,

si limita a uno sguardo a distanza e cerca immediatamente

di risolverla a suo favore.

 

Questo modo di agire ha sempre tristi

conseguenze.

 

Falce e martello, lavoratori e contadini uniti

per i propri diritti, BELLISSIMO!

 

Potrei anche essere meno astratto, ma è stato detto

così tanto che è veramente difficile rimanere sintetici

entrando nel merito!

 

:s02: :s08: :s20:

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Una guerra è come una storia d'amore,

 

quando comincia ne sei entusiasta,

quando la combatti soffri ma non puoi fare a meno di continuare a combattere,

quando finisce dici....ma perchè c@@@o mi sono fatto inguaiare e prometti di non rifarlo mai più!!

 

:s04:

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Hai ragione Lupoz, però non stavo contestando le tue opinioni, che ritengo di tutto rispetto

 

non l'ho mai neanche lontanamente sospettato lucià!! :s02:

 

Secondo il mio parere la cosa è molto importante, in quanto, sono le reazioni a certi comportamenti che inducono alla creazione delle situazioni.

Analizzando le situazioni in questi termini penso sia possibile, evitare in futuro, di ricreare certe condizioni favorevoli, evitando cosi' tragedie di portata mondiale.

 

anche sul fatto del trattato di versailles e sui debiti delle nazioni perdenti della grande guerra sono completamente d'accordo.

è sicuaramente uno dei fattori scatenanti del secondo conflitto il fatto che la germania volesse rifarsi delle umiliazioni subite.

 

p.s. bell'intervento impunito! :s02:

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Per chi volesse saperne di più, senza supporre.....consiglio vivamente una lettura:

 

 

 

G.Pisanò

SANGUE CHIAMA SANGUE. Storie della guerra civile

Nuova edizione di questa conosciuta opera dedicata alla guerra civile in Italia: chi la ha voluta, come è stata scatenata, come è stata imposta al fronte antifascista. E ancora la nascita e lo sviluppo di una spirale di orrori, fino al massacro indiscriminato dei “nemici del popolo” proseguito anche dopo il 25 aprile 1945.

256 pagine un centinaio di illustrazioni , formato 15,5x21

Lingua: italiana

 

€ 19,80

Modificato da Marco U-78 Scirè
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Per chi volesse saperne di più, senza supporre.....consiglio vivamente una lettura:

G.Pisanò

SANGUE CHIAMA SANGUE. Storie della guerra civile

Nuova edizione di questa conosciuta opera dedicata alla guerra civile in Italia: chi la ha voluta, come è stata scatenata, come è stata imposta al fronte antifascista. E ancora la nascita e lo sviluppo di una spirale di orrori, fino al massacro indiscriminato dei “nemici del popolo†proseguito anche dopo il 25 aprile 1945.

256 pagine un centinaio di illustrazioni , formato 15,5x21

Lingua: italiana 

 

€ 19,80

Grazie Marco, mio padre lo aveva da tanto,se non lo ritrovo me lo procuro.

Senza entrare nelle discussioni e polemiche dico:

ONORE AI CADUTI DELLA GLORIOSA X° MAS.

Saluti a tutti.

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Per chi volesse saperne di più, senza supporre.....consiglio vivamente una lettura:

G.Pisanò

SANGUE CHIAMA SANGUE. Storie della guerra civile

 

 

G. Pisanò è per caso Giorgio Pisanò che fu combattente della Repubblica Sociale Italiana nel battaglione paracadutisti della Decima MAS, fu decorato al valore, tra i primi iscritti del MSI, è stato membro del Comitato Centrale e della Direzione Nazionale del partito, uscito dal MSI nel 1991 è stato il Segretario Nazionale del Movimento Fascismo e Libertà?

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G. Pisanò è per caso Giorgio Pisanò che fu combattente della Repubblica Sociale Italiana nel battaglione paracadutisti della Decima MAS, fu decorato al valore, tra i primi iscritti del MSI, è stato membro del Comitato Centrale e della Direzione Nazionale del partito, uscito dal MSI nel 1991 è stato il Segretario Nazionale del Movimento Fascismo e Libertà?

Non so se dopo il 91 e' stato quello che hai detto, il resto e' sicuramente esatto.

Modificato da Mizar X
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scusate, ma in tutto questo, dove si trova esattamente il Campo della Memoria?

 

Ricordo a tutti che nel giro di poche decine di km a sud di Roma ci sono tre cimiteri di guerra ognuno dei quali "interessante":

 

a Pomezia c'è il cimitero di guerra tedesco, rigoroso e impressionante...6 caduti per ogni ladipe, spesso 6 ignoti

 

poco prima di Anzio c'è il cimitero inglese, piccolo, raccolto con una tomba per ogni soldato su cui c'è il simbolo del suo reparto e spesso una frase dei parenti

 

a Nettuno c'è il cimitero americano, "spettacolare" con le sue croci bianche allineate...

 

Avendo una madre veneta da ragazzino ho visitato praticamente tutti i nostri Sacrari della Grande Guerra da Asiago, al Grappa, a Redipuglia...ma ci fermavamo anche nei cimiteri austriaci e tedeschi...credo che tutti i morti meritino rispetto, anche se magari non si condividono le idee che li hanno portati alla tomba

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Ricordo a tutti che nel giro di poche decine di km a sud di Roma ci sono tre cimiteri di guerra ognuno dei quali "interessante":

 

A questo proposito vi segnalo l'area del Cassinate, teatro di una delle fasi più sanguinose della campagna d'Italia.

 

A Cassino città trovate il cimitero di guerra tedesco, nel quale sono sepolti i mitici Diavoli Verdi che bloccarono l'avanzata Alleata, nonostante la preponderante forza dell'aversario.

Di fronte c'è il cimitero di guerra polacco, dove sono sepolti i soldati del ricostruito esercito di Varsavia: Montecassino fu il primo fronte sul quale vennero impiegati, si fecero massacrare ma conquistarono il colle sul quale sorgeva il celebre monastro. Nella lapide all'ingresso, i superstiti hanno scritto che con quel bagno di sangue, nobili e studenti riscattarono l'onore della Polonia.

A valle c'è il cimitero britannico, dove sono sepolti i soldati del Commonwalth: inglesi, scozzesi, irlandesi, canadesi, indiani, gurka nepalesi...

 

L'architettura è la stessa descritta da sidescanner.

 

A poca distanza, qualche chilometro, c'è il sacrario francese: in terra di Ciociaria non lo hanno voluto, dopo le infamie e le atrocità compiute dai famigerati gumiers marocchini agli ordini del generale Juin che stuprarono bambine, donne e uomini, rapinarono e uccisero a sangue freddo civili inermi.

Nell'altra direzione, sempre a pochi chilometri, c'è il sacrario di Montelungo, dove venne impiegata la prima unità del ricostruito esercito italiano dopo l'otto settembre '43.

 

QM

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e viene da dire che l'onore era intatto.

 

Il cimitero francese di cui sopra e' a Venafro, nel Molise, ma a pochi chilometri da Cassino; ci passavo davanti quando andavo a Campobasso per lavoro.

Pero'qualche volta bisognerebbe essere un po' piu' espliciti nei giudizi; per esempio s'e' capito che 1mPHUNitO paragona Pisano' a un sasso: va bene, ha tirato fuori una frase che forse secondo lui dovrebbe essere "dotta ed elegante", ma e' solo modestamente e leggermente sibillina. Qualcun altro dice: che spettacolo!! Ma signori, se disapprovate qualcosa,ditelo chiaramente!! Secondo me non serve fare enunciazioni dotte o presunte tali o a volte(per qualcun altro) parlare senza pronunciarsi...Per me non e' questo il posto dove bisogna dimostrare di essere "alletterati" o fare sfoggio di cultura..

Ho detto piu' su: onore ai Caduti della X° MAS perche' questo capitolo e' dedicato ai Caduti di Anzio. Mio padre,quando ero piccolo,passando davanti ai cimiteri militari di qualsiasi Nazione (tedeschi, inglesi, americani, francesie, polacchi)faceva il saluto militare( anche se era ormai civile) e io ho preso questa sua abitudine. Passo spesso davanti al cimitero inglese, che e' a pochi chilometri da casa mia, e sempre porto la mano alla fronte. Cio' non toglie che io mi senta piu'dalla parte di quelli della X° (e di quella X° che era a nord dopo il settembre del 43). Non voglio offendere nessuno, se l'ho fatto mi scuso.

Saluti a tutti (criticati compresi, beninteso).

Modificato da Mizar X
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Il cimitero francese di cui sopra e' a Venafro, nel Molise, ma a pochi chilometri da Cassino; ci passavo davanti quando andavo a Campobasso per lavoro.

Pero'qualche volta bisognerebbe essere un po' piu' espliciti nei giudizi; per esempio s'e' capito che 1mPHUNitO paragona Pisano' a un sasso: va bene, ha tirato fuori una frase che forse secondo lui dovrebbe essere "dotta ed elegante", ma e' solo modestamente e leggermente sibillina. Qualcun altro dice: che spettacolo!! Ma signori, se disapprovate qualcosa,ditelo chiaramente!! Secondo me non serve fare enunciazioni dotte o presunte tali o a volte(per qualcun altro) parlare senza pronunciarsi...Per me non e' questo il posto dove bisogna dimostrare di essere "alletterati" o fare sfoggio di cultura..

Ho detto piu' su: onore ai Caduti della X° MAS perche' questo capitolo e' dedicato ai Caduti di Anzio. Mio padre,quando ero piccolo,passando davanti ai cimiteri militari di qualsiasi Nazione (tedeschi, inglesi, americani, francesie, polacchi)faceva il saluto militare( anche se era ormai civile) e io ho preso questa sua abitudine. Passo spesso davanti al cimitero inglese, che e' a pochi chilometri da casa mia, e sempre porto la mano alla fronte. Cio' non toglie che io mi senta piu'dalla parte di quelli della X° (e di quella X° che era a nord dopo il settembre del 43). Non voglio offendere nessuno, se l'ho fatto mi scuso.

  Saluti a tutti (criticati compresi, beninteso).

 

:s07: ... visto che hai quotato me, intendevo dire che i polacchi nulla avevano da rimproverarsi per la sconfitta subita da tedeschi e russi all'inizio della seconda guerra mondiale. Niente più. Non credo che nessuno sia sia offeso per quanto hai scritto, anzi.

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Qualcun altro dice: che spettacolo!! Ma signori, se disapprovate qualcosa,ditelo chiaramente!!

 

Il limite del forum (inteso come mezzo) è quello di non avere mimiche facciali, inflessioni della voce e nemmeno tutti gli altri strumenti che nella comunicazione personale aggiungono piccole sfumature capaci di dare un senso ben più definito alle parole.

 

Ciò premesso, mi permetto di quotare e sottoscrivere in pieno quanto detto da Canarb. Facendo anche un'aggiunta, che per i più anziani del forum è superflua ma per chi è arrivato più di recente potrebbe essere un po' come mimiche e inflessioni nel colloquio personale: Canarb appartiene alla vecchia guardia, è uno dei pochi superstiti del nucleo di ufficiali che all'inizio hanno contribuito a far si che betasom.it diventasse quello che è.

 

Nel momento in cui dice "Che spettacolo", tutti noi che apparteniamo a quella generazione di ufficiali comprendiamo subito che intende fare i propri complimenti per la civiltà con cui, in queste pagine, si riesce ad esporre le proprie idee, per quanto siano talvolta agli estremi opposti.

 

Ma questo, per chi è imbarcato da poco, potrebbe non essere immediatamente chiaro.

 

Poichè appartengo anche io alla classe militare di Canarb qui a betasom.it, consentitemi di complimentarmi dicendovi: "Che spettacolo, ragazzi. Sono fiero di voi".

 

QM

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Ops,

intendevo che era tutto molto bello, la discussione, l'argomento... :s07:

 

 

Chiedo venia se ho dato impressione sbagliata.

 

Aggiungo:

essendo inoltre molto delicato, anche la civiltà con cui è affrontato.

 

Credo che sia una delle più belle discussioni degli ultimi tempi, sia per l'argomento che per il modo, per trovarne una uguale si deve tornare indietro con gli anni.

Modificato da canarb
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Il limite del forum (inteso come mezzo) è quello di non avere mimiche facciali, inflessioni della voce e nemmeno tutti gli altri strumenti che nella comunicazione personale aggiungono piccole sfumature capaci di dare un senso ben più definito alle parole.

 

Ciò premesso, mi permetto di quotare e sottoscrivere in pieno quanto detto da Canarb. Facendo anche un'aggiunta, che per i più anziani del forum è superflua ma per chi è arrivato più di recente potrebbe essere un po' come mimiche e inflessioni nel colloquio personale: Canarb appartiene alla vecchia guardia, è uno dei pochi superstiti del nucleo di ufficiali che all'inizio hanno contribuito a far si che betasom.it diventasse quello che è.

 

Nel momento in cui dice "Che spettacolo", tutti noi che apparteniamo a quella generazione di ufficiali comprendiamo subito che intende fare i propri complimenti per la civiltà con cui, in queste pagine, si riesce ad esporre le proprie idee, per quanto siano talvolta agli estremi opposti.

 

Ma questo, per chi è imbarcato da poco, potrebbe non essere immediatamente chiaro.

 

Poichè appartengo anche io alla classe militare di Canarb qui a betasom.it, consentitemi di complimentarmi dicendovi: "Che spettacolo, ragazzi. Sono fiero di voi".

 

QM

 

 

Approfitto di una pausa del lavoro...

 

Anche se il mio "imbarco" è piuttosto recente, ho la presunzione di paragonarmi alla vecchia guardia, se non altro per il comune sentire con gli altri comandanti...

 

Voglio aggiungere anch'io il mio "che spettacolo" per questa discussione: anche gli accenni di polemica non sono mai stati sopra le righe, si è discusso di un argomento delicato (come è una piaga della nostra Storia che dopo 60 anni ancora sanguina) senza mai trascendere.

 

Come Quarto Moro e Canarb e (penso) tutti gli altri comandanti, sono contento che questo possa avvenire: è il segno che qui alla base, pur tra le differenze, ci sono dei valori positivi che ci accomunano e ci legano!!!!

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ps. moderatore quando vuoi sticcare questo post?

 

Il topic sta bene dove sta, non è una puntina che rende la discussione importante, ma sono i contenuti ed il tono con i quali sono presentati che nobilitano una discussione. In questa discussione ognuno ha mostrato il suo lato più maturo, cercando di argomentare in modo obiettivo ed ha conservato l'apertura mentale che fa la differenza tra uno scambio di nozioni ed una discussione. Pi lo sai che non mi sono mai piacuti troppi post stiki tutti assieme. :s02:

 

Ognuno dei partecipanti a questa discussione, e forse qualcuno dei semplici lettori, ha sicuramente tratto qualcosa dalle parole spese su queste pagine, se non altro per il solo fermarsi a fare chiarezza sulle proprie idee, radunandole prima di metterle per iscritto.

 

Ovviamente quando si tratta di questi argomenti è da tenere in conto la possibilità d qualche incomprensione e di un inasprimento dei toni, ma credo che il problema sia risolto e gli interessati abbiano avuto modo di confrontarsi e chiarirsi.

 

Ora una piccola provocazione, anche se mi tocca fare lo "scassinamaroni": non facciamo scendere il buon livello della conversazione scadendo nel "paccaspallismo". Convenuto che siete stati tutti bravi, direi che si potrebbe tornare in argomento a questo punto. Che ne dite? :s02:

 

 

Ci provo io per dare il buon esempio.

 

Riflettevo in questi giorni su quanto detto da Lupoz. Secondo lui lo schierarsi dalla parte del re e quindi con l'esercito del Sud era la scelta giusta. Così ho provato ad immaginare come potrebbero essere stati quei momenti di confusione e quale sarebbe stata la mia scelta.

 

Come fatto notare da Canarb, molto sarebbe dipeso dal contesto in cui mi sarei venuto a trovare. Probabilmente se fossi stato inquadrato in un reparto dove i miei ufficiali fossero stati i primi a buttare il berretto alle ortiche e a filarsene a casa, con tale esempio e vedendo tutti i miei compagni scappare avrei fatto lo stesso.

 

Al contrario se il reparto fosse restato al suo posto, facedo il regolare alzabandiera come fece Borghese la mattina del 9 Settembre, sarei restato al mio posto, facendo una scelta di coerenza, così come la fecero i marò di Borghese, di cui possiamo leggere nel suo diario e nelle pagine del libro "Decima flottiglia nostra ... " di Sergio Nesi.

 

Riflettendo mi sono reso conto che la scelta non era restare con mussolini o meno, ma andare a casa o restare in caserma. Pochi scegliendo di andare a casa lo fecero con l'idea di diventare partigiani. Quella fu una scelta maturata in seguito, magari a distanza di mesi o anni.

 

Forse al tempo il senso di coerenza e dell'onore era più diffuso e radicato nella gente e nei ragazzi, quindi per noi è difficile immedesimarci, avendo processi mentali differenti da quelli dei ragazzi del tempo, ma non so quanti ragazzi di 20 anni dei giorni d'oggi metterebbero l'onore o la coerenza sul piatto della bilancia al momento di prendere una decisione.

 

Probabilmente la scelta sarebbe dettata da motivi meno nobili e più irrazionali, ad esempio da cosa fanno i propri compagni e i propri amici, da quanto si è vicini a casa e si crede di poterla far franca, da cosa ci sia ad aspettarci a casa, di quanta guerra avessi già visto ...

 

Insomma sono giunto alla conclusione che se fossi catapultato in quei giorni in una sorta di viaggio nel tempo, personalmente non saprei dire a priori quale sarebbe la mia scelta.

 

Con gli occhi di dopo direi con Borghese (cioè con la X°, non con la RSI), per l'onore d'Italia non per la vittoria, essendo convinto che ben pochi credessero davvero in una vittoria Italo-Tedesca nei giorni dell'armistizio. Ma con il senno di poi è facile giudicare ...

Modificato da Betasom
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Concordo in tutto con Betasom.

Riporto l'embelematica vicenda del TV Sergio Nesi, che l'8 settembre era in Istria a Portorose. In totale assenza di ordini partì con altri marinai per la costa romagnola. Lì venne a sapere che al Sud la Marina si stava raccogliendo attorno a De Courten, e quindi si avviò verso Brindisi. Per varie peripezie non riuscì ad andare oltre Ancona, quindi tornò indietro e poi si recò a Roma, al Ministero.

Lì si presentò chiedendo ordini all'Amm. Parona (che tristezza, fra parentesi) che gli disse: SI ARRANGI!

E lui si arrangiò, tornò al nord e rispose alla chiamata della RSI facendosi due anni di guerra e uno di prigionia. Al ritorno, nel '46, trovò ancora Parona che livido di rabbia gli urlò in faccia TRADITORE! Come ringraziamento finale, la Marina lo degradò a Comune di II classe.

 

Il tutto per dire che spesso fu proprio il caso a decidere se una persona sarebbe stata dalla parte giusta o sbagliata....tenendo presente che allora non c'erano, come oggi, le persone così illuminate da poter dire dove fosse il giusto o lo sbagliato :s11:

 

GM Andrea

Modificato da GM Andrea
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...

 

Insomma sono giunto alla conclusione che se fossi catapultato in quei giorni in una sorta di viaggio nel tempo, personalmente non saprei dire a priori quale sarebbe la mia scelta.

 

Con gli occhi di dopo direi con Borghese (cioè con la X°, non con la RSI), per l'onore d'Italia non per la vittoria, essendo convinto che ben pochi credessero davvero in una vittoria Italo-Tedesca nei giorni dell'armistizio. Ma con il senno di poi è facile giudicare ...

Quoto in pieno, io ho parlato di X° MAS, non di Mussolini e RSI o di Re e Governo del Sud. Certo, l'errore era stato fatto alcuni anni prima, ma onorare gli impegni secondo Borghese era prioritario; per questo mi sento vicino alla X° MAS del nord.

Poi di episodi naturalmente ce ne sono stati milioni, belli e brutti per ognuna delle due parti. Un esempio: la vergogna dell'ordine di Juin puo' avere oscurato il valore della Legione Straniera, quella che ha con se la magnifica tradizione di Camerone e Dien Bien Fu?

Saluto ai comandanti

Modificato da Betasom
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direi con Borghese (cioè con la X°, non con la RSI)

 

Era possibile stare con la X e - allo stesso tempo - non con la Rsi?

 

Forse avremmo potuto salvare l'onore senza perdere la faccia: arrendendoci e basta. Senza voltare la gabbana per sparare il giorno dopo ai camerati del giorno prima. Senza contrattare nulla: resa incondizionata. E' un interrogativo al quale non so rispondere.

 

C'è una frase, proprio del principe Borghese, che mi ha colpito: "Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà; e allora l'evento storico

non incide che materialmente, seppure per decenni. La resa e il tradimento

hanno invece incidenze morali incalcolabili che possono gravare per secoli

sul prestigio di un popolo, per il disprezzo degli alleati traditi, e per l'eguale

disprezzo dei vincitori con cui si cerca vilmente do accordarsi.

Non mi sembra che tali ideali e convincimenti abbiano un'impronta fascista.

Appartengono al patrimonio morale di chiunque".

 

QM

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Era possibile stare con la X e - allo stesso tempo - non con la Rsi?

 

Forse avremmo potuto salvare l'onore senza perdere la faccia: arrendendoci e basta. Senza voltare la gabbana per sparare il giorno dopo ai camerati del giorno prima. Senza contrattare nulla: resa incondizionata. E' un interrogativo al quale non so rispondere.

 

C'è una frase, proprio del principe Borghese, che mi ha colpito: "Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà; e allora l'evento storico

non incide  che materialmente, seppure per decenni. La resa e il tradimento

hanno invece incidenze morali incalcolabili che possono gravare per secoli

sul prestigio di un popolo, per il disprezzo degli alleati traditi, e  per l'eguale

disprezzo dei vincitori con cui si cerca vilmente do accordarsi.

Non mi sembra che tali ideali e convincimenti abbiano un'impronta fascista.

Appartengono al patrimonio morale di chiunque".

 

QM

 

Due indizi molto significativi resi da testimonianze che ho avuto la fortuna di apprendere in prima persona:

 

Nella Decima non esisteva alcun partito. La presentazione della tessere del PF era garanzia di esclusione dall'arruolamento.

In Decima era espressamente proibito qualsiasi simbolo fascista (fascio in primis che non è mai apparso su nessuno dei suoi emblemi).

In Decima era espressamente proibito il saluto romano.

la Decima benchè inquadrata nella RSI ne era sostanzialmente autonoma, quando Mussolini fece arrestare Borghese il Btg.NP era già in marcia in armi per andarlo a liberare a costo di sparare sui loro stessi camerati del PNF....Mussolini compreso (parola di Nino Buttazzoni comandante del Btg.NP...)

La Decima in diverse occasioni ostacolò i Tedeschi qualora stessero per mettere a repentaglio la vita di Italiani estranei a fatti d'arme (il Com.te MOVM Luigi Ferraro rischiando in prima persona si scontrò duramente con i tedeschi pper salvare, cosa che riuscì, gli stabilimenti Marzotto dalla distruzione e dalla probabile uccisione di tutti gli operai tra i quali si annidavano cellule partigiane, così come nel triveneto collaborarono con i partigiani della Brigata Osoppo nel contrastare i titini........)

 

Sono solo fatti e non pretendono di essere esaustivi ma dagli stessi ognuno di noi può partire ad esaminare una scelta con occhio diverso....

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Era possibile stare con la X e - allo stesso tempo - non con la Rsi?

 

 

 

 

Oltre ai fatti citati da Xabaras vorrei aggiungere 2 episodi che sono narrati nel libro di Sergio Nesi.

 

La Decima "ospitò" tra le sue file, vestendoli con l'uniforme della Decima del Nord ed accogliendoli nelle sue camerate, diversi emissari del governo del sud, tra i quali anche un pittore/poeta (l'ora è tarda, scusate l'approsimatezza dell'esposizione dei fatti), inviati oltre le linee per prendere contatti per conto del governo che collaborava con gli alleati. In questi casi gli emissari, facilmente etichettabili come "Spie", non furono consegnati ma, al contrario, con loro parlarono diversi comandanti della Decima, per informarsi della situazione del Sud ed informare sulla situazione al Nord.

 

I contatti tra le due sezioni della Decima (Nord e Sud) restarono difatti aperti fino all'armistizio, tant'è che Borchese partecipò all'organizzazione dell'incursione dei Chariots nella rada di Genova, e la facilitò indicando gli obbiettivi, fatti appositamente rimorchiare dai tedeschi in un punto dove il loro affondamento non avrebbe ostruito il porto, giustificando il tutto con la necessità di disporre degli scafi per addestrare gli operatori.

 

La notte dell'incursione inoltre le ostruzioni retali furono lasciate intenzionalmente aperte e Borghese redasse gli ordini di missione per gli equipaggi che avrebbero preso il mare quella notte (tra i quali lo stesso Nesi), in modo da evitare ogni incontro con i loro colleghi del sud e gli operatori inglesi ( mi viene da dire impiastri, scusate).

 

Insomma la Decima era si componente di marina della RSI, ma aveva una propria linea d'azione e dei propri interessi, spesso non coincidenti con quelli della Repubblica di Salò.

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Ho comprato e letto la scorsa settimana il libro che contiene alcune lettere dei condannati a morte della resistenza; all'interno c'è una piccola parte dedicata ai condannati a morte della repubblica di salò...ebbene la maggior parte di loro erano ragazzi di 20 anni o poco più travolti da eventi enormi e che si sono trovati a dover decidere della propria vita (e spesso di quella degli altri) in un momento di confusione enorme in cui sono mancati soprattutto i capi.

 

su entrambi i fronti si moriva gridando Viva l'Italia...e ci si credeva a questo grido.

 

io non riesco a pensare cosa avrei potuto fare in quel settembre e nei mesi che seguirono, è un "esercizio" astratto che non riesco a concretizzare...oggi ci si trova con dubbi se cambiare la macchina o no, in quel momento si doveva decidere della propria vita, ripeto a 20 anni e con una mancanza di informazione e un'ignoranza (nel senso etimologico del termine) diffusissima.

 

in tutto questo, è veramente un piacere far parte di una comunità in cui si riesce a discutere di tutto, anche di temi molto delicati come questo, senza biscardizzarsi con urla e insulti

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E inoltre.

Oggi siamo abituati a ragionare in termini di opportunità, correttezza, giustizia politica.

Nel 1943 a un militare, specie se Ufficiale e specie se di Marina, la politica non passava nemmeno per il cervello, abituati com'erano a pensare unicamente in termini di etica del servizio.

 

GM Andrea

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Allora visto che dobbiamo esprimere un opinione personale sull' Otto settembre, posso dire che dal mio punto di vista è stato ingiusto da parte del Generale Badoglio, scaricare la decisione da prendere ai singoli militari, fregandosene apertamente di quello che avrebbe potuto succedere, come comandante in capo avrebbe dovuto dare disposizioni e direttive precise, e non comportarsi come Pilato.

Di quanto è successo allora ho nella mente i ricordi dei miei zii, fratelli di mio padre e di mio padre stesso.

Secondo mio zio Luciano, Ufficiale della X mas è stato giusto rimanere a combattere, non importa contro chi, ma per l'Onore della propria nazione, ed il proprio.

Secondo suo fratello Ufficiale degli Alpini, è stato giusto, dato che avevano visto rastrellare militari Italiani dai Tedeschi, per inviarli in campo di concentramento in Germania, opporsi a tutto questo anche con le armi. (I Tedeschi vadano a comandare a casa loro).

Secondo mio padre è stato giusto semplicemente andarsene, gettando la divisa, visto che ormai non esisteva piu' una Nazione, cercando di non farsi prendere dai Tedeschi, e cercare di raggiungere casa per poter difendere direttamente la propria famiglia.

Penso che quello che ha detto QuartoMoro corrisponda a verità, ogni militare non avendo direttive ha ragionato in base alla situazione in cui si è trovato in quel momento.

Alla fine nessuno di questi può essere condannato per le decisioni prese, tutte giuste, perchè condizionate dalle varie situazioni.

Personalmente non sono uno che si scaglia contro gli altri, ma nel limite del possibile, cerca di mettersi nei panni degli altri, per cercare di capire, però ancora oggi per quanto mi sforzi non riesco nè a capire nè a giustificare in qualche modo il comportamento di Badoglio.

Chi è al comando deve prendersi le proprie responsabilità, costi quel che costi, è una questione d'Onore e di rispetto di se stessi.

L'Unica cosa che posso dire che Il Generale Badoglio era la persona sbagliata, nel posto sbagliato, e nel momento sbagliato.

E a proposito vi racconto un fatto successo durante la Prima Guerra Mondiale a Caporetto.

Inizialmente Caporetto era stata concepita come una trappola, in alto sulle montagne che circondavano la valle erano piazzate le artiglierie, collegate via filo con il Quartier Generale.

Il fronte Italiano doveva far finta di cedere arretrando, e quando Gli Austriaci fossero stati tutti nella valle le artiglierie avrebbero dovuto bersagliarli provocandone l'annientamento.

Queste artiglierie erano comandate dall'allora Capitano Badoglio, che su ordine del Comando avrebbe dovuto aprire il fuoco.

Pero' il filo di comunicazione per qualche motivo si era interrotto, proprio in quel momento cruciale, e l'ordine del comando non è mai arrivato, le artiglierie non hanno sparato, provocando la famosa disfatta.

Ora mi sono sempre domandato perchè mai il Capitano Badoglio, vedendo la situazione dall'alto, anche se senza ordini, non abbia comunque dato ordine di sparare.

Alla fine della Guerra se lo è chiesto anche la commissioni d'inchiesta, alla quale lui ha risposto che era un militare, e senza ordini specifici, non era tenuto a prendere iniziative, la commissione ha cosi' giudicato il suo comportamento ineccepibile.

Non so' se quello che ho scritto corrisponda e verità, in quanto l'avevo letto da ragazzo su di un libro, che trattava dei motivi della sconfitta di Caporetto e delle responsablità in merito.

Nel caso fosse vero quello che ho scritto (basta documentarsi) giudicate voi!!!

Ciao

Luciano

Modificato da luciano46
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Nel caso fosse vero quello che ho scritto (basta documentarsi) giudicate voi!!!

 

 

Ai fini di fornire un elemento di riflessione in più su quanto segnalato da Luciano, vi posto queste righe tratte da L'Italia del Novecento - Montanelli / Cervi:

 

Vent’'anni dopo, il maresciallo Erwin Rommel, la famosa “Volpe del deserto”della seconda guerra mondiale, raccontò in un libro di memorie la battaglia di Caporetto, vista dalla parte dei vinciori, e cioè al di fuori della polemica che ha sempre inficiato il memorialismo nostrano. Rommel nel '17 era tenente, ma comandava un battaglione di alpini del Wùrttenberg, che faceva parte di una delle sette divisioni mandate dai tedeschi in aiuto dell’Austria. Inchiodato sul fronte francese, il Comando germana finalmente accettato il piano di Conrad di una «spallata» a quello italiano, l'unico su cui si poteva riportare una vitto-ria decisiva prima che l'America facesse sentire il suo peso.

Perché a sorpresa funzionasse, le truppe furono rivestite in uniformi austriache, e i loro spostamenti avvennero solo di notte in modo da sfuggire agli avvistamenti dell'aviazione. In pochi giorni Rommel percorse coi suoi uomini oltre 100 chilometri a piedi e al buio. Sebbene non avesse che ventisei anni e un grado subalterno, fu messo al corrente di tutto il piano di operazioni perché dal momento dell'attacco in poi avrebbe perso ogni contatto coi suoi Comandi e quindi doveva agire d'iniziativa. Questo piano s'ispirava a una nuova tattica, sperimentata da poco sul fronte russo di Riga: concentrazione d'attacco su un limitatissimo settore dello schieramento nemico, e infiltrazione nella falla di reparti, che senza curarsi di ciò che accadeva sulle ali, dovevano penetrare nelle retrovie avversarie e prenderne a tergo le posizioni.

Il tema fu svolto con meticolosa precisione. Dopo i tiri d'inquadramento operati i giorni precedenti, alle due del mattino del 24 ottobre l'artiglieria austro-tedesca si scatenò, ma il suo fuoco non durò che cinque ore e battè solo un tratto di quattro o cinque chilometri. Alle otto e mezza era quasi del tutto cessato, tanto che il generale Bongiovanni disse al Re, il quale si trovava presso il suo Comando, che quello non era di certo il prologo di una grande offensiva, e ne chiese per telefono conferma a Badoglio, che gliela diede dicendo che «nulla d'importante» era accaduto.

In quel momento il battaglione di Rommel era già penetrato nella piccola breccia aperta dal fuoco concentrato delle batterie tedesche, e si trovava una diecina di chilometri alle spalle delle nostre linee. Non aveva incontrato resistenza perché gli scampati all'uragano di ferro erano stati fulminati dai gas. Si trattava di fosgene che provocava la morte istantanea.

Nessuno si era accorto di questa infiltrazione perché i nostri posti di avvistamento avevano i cannocchiali puntati per in su invece che per in giù. Gli ufficiali che li comandavano avevano appreso dai loro manuali di tattica che le battaglie si combattono per il possesso delle cime. E siccome sulle cime non succedeva nulla, tutti erano convinti che nulla fosse avvenuto. Un colonnello che si trovava sul Monte Nero riferì più tardi alla commissione d'inchiesta di aver visto alle otto del mattino del 24 una colonna di soldati che marciava in bell'ordine sulla strada del fondovalle e di non avere nemmeno per un momento dubitato che si trattasse d'un reparto nemico. Se ne rese conto solo quando si vide assalito alle spalle e dovette cedere quasi senza resistenza le posizioni, la cui conquista due mesi prima era costata settimane di furibonda lotta frontale e diecine di migliaia di morti.

Dopo ventiquattr'ore Rommel con le sue tre compagnie di alpini aveva fatto 30 mila prigionieri e occupato le preziose posizioni del Kuk e del Kolovrat perdendo solo, fra morti e feriti, una trentina di uomini.

Ma il Comando Supremo di Udine non si era ancora reso conto di quello che stava succedendo. In una lettera confidenziale al direttore del suo giornale, il corrispondente di guerra Alessi, eco fedele del Quartier Generale, scriveva che il nemico si era cacciato in un guaio spingendosi in avanti senza curarsi delle montagne. E questa, secondo Gatti, era anche l'opinione del Re e di Cadorna. Soltanto il 26 il sottocapo di Stato Maggiore, Porro, cominciò a chiedersi se non si era commesso un errore trascurando le difese dei fondivalle.

Mentre a Udine ci si ponevano queste domande, Rommel e compagni erano a Caporetto, una trentina di chilometri dietro il fronte, e marciavano a tappe forzate verso sud-ovest tagliando la via della ritirata alla truppe schierate sull'Isonzo. Di questa drammatica realtà, Cadorna cominciò a prendere coscienza solo nella notte fra il 26 e il 27, quando già la stessa Udine era minacciata dalle avanguardie nemiche. Non aveva un quadro di ciò che stava avvenendo perché i telefoni dei vari comandi non rispondevano più alle chiamate: o erano stati abbandonati, o le linee erano interrotte.

(...)

Dei sei generali che di lì a qualche mese furono sottoposti a inchiesta per il disastro di Caporetto - Cadorna, Porro, Capello, Cavalocchi, Bongiovanni e Badoglio -, quest'ultimo era forse il più indiziato, e seguita ad esserlo forse anche perché è l'unico che riuscì sempre a restare sulla cresta dell'onda, prima con Mussolini e poi contro Mussolini, di cui fu insieme il successore e il carceriere. Ce n'è quanto basta per farne a tutt'oggi uno dei più controversi protagonisti del nostro tempo.

(…)

Come poi sia sfuggito all'inchiesta, lo rivelò alcuni anni fa il Presidente del Senato, Paratore. Questi fu pregato da Orlando di ricordare al presidente della commissione che Badoglio era ormai il vero Generalissimo, e che quindi il discredito gettato su di lui si sarebbe ripercosso su tutto l'Esercito proprio nel momento in cui questo era impegnato nello sforzo supremo. Fatto sta che nella relazione finale furono soppresse tredici pagine. E tutto lascia credere che fossero quelle relative alle responsabilità di Badoglio.

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Riflettendo mi sono reso conto che la scelta non era restare con mussolini o meno, ma andare a casa o restare in caserma. Pochi scegliendo di andare a casa lo fecero con l'idea di diventare partigiani. Quella fu una scelta maturata in seguito, magari a distanza di mesi o anni.

 

sono completamente d'accordo!

mio nonno tornato a casa dall'africa diventò partigiano molti mesi dopo per sfuggire a fucilazione certa da parte dei tedeschi. (ma cmq era comunista già prima della guerra e in africa non ci sarebbe andato se non fosse stato per la polizia militare...).

 

Allora visto che dobbiamo esprimere un opinione personale sull' Otto settembre, posso dire che dal mio punto di vista è stato ingiusto da parte del Generale Badoglio, scaricare la decisione da prendere ai singoli militari, fregandosene apertamente di quello che avrebbe potuto succedere, come comandante in capo avrebbe dovuto dare disposizioni e direttive precise, e non comportarsi come Pilato.

 

su di lui e sulla sua gestione dell'armistizio ricade in buona parte la causa scatenante della guerra civile stessa!

se si fosse mosso per tempo dando la possibiltà a tutti i soldati di raggrupparsi e alla gente di prepararsi forse l' 8 settembre sarebbe stato più indolore e meglio evidenziato moralmente!

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Scusatemi ma io vorrei cogliere al volo l'invito del Moderatore Betasom, e nel rispetto di tutti ovviamente, gettare un po' di benziona sul fuoco.

 

Dal mio punto di vista, meriterebbe una riflessione il fatto che dopo l'8 settembre alcuni reparti dell'esercito italiano si siano macchiati di crimini di guerra.

 

Mi riferisco in particolare al fatto che:

 

1) per il diritto internazionale bellico è diverso l'atto di aggressione armata che eserciti regolari compino verso: a) altre forze regolari b) forze armate non regolari (esempio i partigiani) c) popolazione civile

 

Mentre le prime possono definirsi lecite (lecita la fattispecie non il fatto, che può avere risvolti illeciti) la terza è un atto criminale.

 

2) Di tutti i processi per crimini di guerra svolti in Italia solo una pochissima percentuale ha raggiunto il suo epilogo, la maggior parte venne archiviata. In particolare sono state accindentalmente rinvenute da poco tonnellate di denunce da parte dei comandi dei carabinieri dei paesi dove avvennero le stragi. Nel caso sarei grato a Quarto Moro se riferisse sulle indagini in corso alla commissione stragi.

 

3) I reparti dell'esercito italiano in questione: la legione Tagliamento, reparti di ss italiane, reparti appartenenti alla MVSN e alla GnR più popolarmente battezzati con il nome del loro comandante (banda Carità, Banda Koch, ecc), furono inequivocabilmente identificate come gli autori delle stragi.

 

4) Avere un'opinione sui "rastrellamenti" e "sul diritto di rappresaglia"

 

5) Molti asseriscono cose diverse rispetto a quelle che ho letto nei vostri post sulla X MAS. In particolare il fatto che reparti della decima furono impiegati nei rastrellamenti. Su questo punto ci sono un sacco di versioni diverse e sarebbe bello fare un po' di indagine storica in tutti i sensi.

 

Il discorso quindi, secondo me, dovrebbe concentrarsi sul fatto che molti reparti italiani si lasciarono andare a truci atti criminali e per di più indossando la divisa; non fu per tutti una scelta tra continuare a servire sotto il proprio comando e l'andarsene in montagna. Per molti fu continuare ad assecondare comportamenti criminali dei propri comandanti, per molti fu il lasciarsi andare a saccheggi e sterminio di civili.

 

L'8 settembre fu soprattutto questo, fu anarchia, fu terrore, furono stragi, atti di violenza, non si trattava solo di scegliere di rininuciare all'onore cavalleresco di chi combatte con fierezza una guerra già persa, fu anche il continuare ad assecondare comportamenti criminali dei nostri alleati tedeschi (una per tutte la divisione corazzata Hermann Goering è quella più citata agli atti processuali). Riflettiamo sul fatto che mentre l'alleato germanico bruciava villaggi in tutto il nord Italia reparti regolari italiani assistevano la scena e a volte concorrevano alla strage.

Altri reparti invece presero direttamente le armi contro i tedeschi e li combatterono fino alla fine. Che differenza c'era tra i due comportamenti? Perchè si fecero trucidare piuttosto che arrendersi all'ex alleato? Furono traditori dell'alleato germanico oppure eroi? E i reparti italiani che combatterono a finaco degli inglesi? Erano traditori o eroi? Erano soldati come gli altri eppure decisero di combattere con un altro fronte. Perchè? Erano solo opportunisti?

 

Vorrei poterlo pensare ma non tutti i militari delle forze armate italiane furono eroi...vi furono anche molti criminali e carnefici.

 

Non voglio fare polemica ma solo far notare il fatto che non vi furono solo due scelte in campo.

 

Sicuro in una vostra serena risposta vi saluto cordialmente ed esprimo la contentezza di poter discutere di cose tanto sofferenti in modo così pacifico e schietto.

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TRIBUNALE SUPREMO MILITARE

 

Sentenza n. 747 del 26 aprile 1954

 

 

 

“” In questa sede non può trovare asilo passione politica alcuna. Nell’immediato dopoguerra le divergenze politiche e ideali, i risentimenti delle famiglie e degli individui, il sangue sparso e la visione della Patria umiliata, dilaniata e infranta, ebbero indubbiamente influenza sul corso normale della Giustizia che, attraverso l’Alta Corte e le Sezioni Speciali di Corte d’Assise, pronunciò talvolta severissime ed estreme condanne. Ma oggi che il Paese può dirsi risorto, mercè l’opera costruttiva dei suoi Governi e il sacrificio, l’energia e la forza d’animo di tutto il Popolo italiano, la Giustizia deve adempiere con la maggiore serenità ed obiettività possibile la sua missione, sceverando la colpa dall’errore, il delitto dall’azione ritenuta di giovamento nel divenire della Patria, e soprattutto rimanendo nei binari della legge. Questo Tribunale Supremo Militare ricorda l’anelito di pacificazione che pervade tutto il Popolo italiano e tutti i partiti, niuno escluso, anelito tradotto dai singoli Governi che si sono susseguiti, dal 1946 a oggi, in decreti di Sovrana clemenza, intesi a porre sempre più sullo stesso piano morale tutti gli italiani in buona fede, per modo che tutti si sentano figli della stessa Patria e non vi siano più dei tollerati, degli umiliati e dei reietti, cui si possa, ad ogni istante, rinfacciare un passato che fu piuttosto opera del fato, che degli individui, salvo la legittima repressione dell’azione delittuosa, da chiunque commessa, secondo i canoni immutabili del puro diritto.

 

Le leggi che continuamente si susseguono in pro della pacificazione (da ultimo la pensione concessa agli appartenenti alla Milizia), dimostrano a chiare note l’indirizzo non solo giuridico, ma altresì etico del Governo e del Parlamento.

 

La cronaca sta diventando storia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e nei primi anni del dopoguerra, “quelli del Nord” additavano come traditori “quelli del Sud” e viceversa. Gli appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana si ritenevano unici depositari dell’onore militare e dell’amor di Patria, e lo stesso ritenevano coloro che avevano seguito il Governo del Re.

 

Un popolo di antica civiltà romana e cristiana, un popolo che ha sempre insegnato al mondo il giusto cammino, era, dunque, diventato un popolo di traditori. Le leggi del vincitore avevano dettato severissime norme contro il collaborazionismo; ma al giudice spettava e spetta di esaminare e vagliare se tradimento ci fu, o se solo vi fu incomprensione o errore.

 

Questo Tribunale Supremo Militare, giudice esclusivo del diritto, sente l’altezza del suo compito, nell’ora in cui è doveroso esprimere una valutazione e un esame approfondito, sereno e obiettivo delle questioni proposte, nel rispetto delle Convenzioni internazionali e del diritto interno, e nello spirito cui oggi si informano Governo e Parlamento.

 

Pertanto appare necessario prendere anzitutto in esame talune questioni fondamentali trattate dalla gravata sentenza e specialmente quelle che concernono il carattere della Repubblica Sociale Italiana, la posizione giuridica dei partigiani, gli ordini e i bandi emanati dai Comandi partigiani e, infine, le discriminanti concernenti l’adempimento del dovere e lo stato di necessità.”

 

PRIMO

 

CARATTERE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA

 

“…Dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43, la sovranità di fatto o meglio l’autorità del potere legale, fu nella parte dell’Italia ove risiedeva il Governo legittimo, esercitata dalle Potenze alleate occupanti. Non poteva altrimenti essere, dal momento che, durante il regime di armistizio, permaneva lo stato di guerra e l’occupante era sempre giuridicamente “il nemico”.

 

Basti considerare che tutte le leggi e tutti i decreti, compresa la legge sulle sanzioni contro il Fascismo (Ordinanza n.2 della commissione alleata in data 27 aprile 1945), ricevevano piena forza ed effetto di legge a seguito di ordini degli alleati. Pertanto il Governo del Re era un Governo che esercitava il suo potere “sub condizione”, nei limiti assegnati dal comando degli eserciti nemici.

 

Le situazioni contingenti che ebbero a verificarsi per la dichiarazione di guerra alla Germania, per la cobelligeranza e per i comuni interessi esistenti tra lo Stato italiano e gli Stati alleati, non possono mutare e trasformare la situazione giuridica che si era creata secondo quelle che erano le regole del diritto internazionale.

 

Se questi erano gli aspetti giuridici della Sovranità nell’Italia del Sud, non poteva per certo il legittimo governo italiano, che aveva solo quella limitata potestà che le potenze occupanti gli concedevano, interferire nell’Italia del Nord e del Centro, dove gli alleati non erano ancora pervenuti. L’autorità del potere legale era colà in altre mani: una nuova organizzazione politica erasi creata, con un proprio governo e, cioè, la Repubblica Sociale Italiana, riconosciuta come Stato soltanto dalla Germania e dai suoi alleati.

 

Indubbiamente tale nuovo Stato non poteva essere considerato soggetto di diritto internazionale, con gli attributi della piena sovranità dagli Stati che non lo avevano riconosciuto; esso assumeva, almeno formalmente, la piena personalità giuridica solo di fronte agli Stati che gli avevano conferito detto riconoscimento. Tuttavia non poteva, nel campo del diritto delle genti, negarsi che, comunque, un’organizzazione statuale, sia pure di fatto, esisteva, avente capacità giuridica propria e una propria sfera, sia pur limitata, di autonomia, la quale ultima, si rilevi, non è sinonimo di indipendenza e di sovranità che altrimenti dovrebbe parlarsi di Stato di diritto.

 

E’ comunemente accettato nella dottrina internazionalistica che, nel caso si verifichi un movimento insurrezionale, sussiste un governo di fatto in quella parte di territorio assoggettato al controllo degli insorti e sottratta al controllo del governo legittimo.

 

Quest’ultimo perde, “de facto”, le attribuzioni e le competenze di diritto internazionale, condizionate all’esercizio della potestà territoriale, essendo ad esso succeduto, in quella parte di territorio, il governo degli insorti.

 

Indubbiamente pressoché immutato era rimasto l’ordine giuridico esistente nella Repubblica Sociale Italiana: gli stessi codici, le stesse leggi venivano applicati dagli organi del potere esecutivo e dalla Magistratura. L’organizzazione statuale si manteneva in piedi a mezzo delle autorità preposte (dei Prefetti, delle Corti e dei Tribunali, degli uffici esecutivi, delle Forze Armate e di Polizia).

 

Evidentemente l’Autorità tedesca ebbe allora ad inserirsi nella vita italiana del centro-nord, con i suoi principi e i suoi durissimi metodi di lotta; indubbiamente le autorità della Repubblica Sociale Italiana subirono talvolta la pressione e le direttive del loro alleato, pur opponendosi spesso con energia alle sue iniziative; ma tutto ciò non può mutare la posizione giuridica della Repubblica Sociale Italiana, di essere un governo di fatto, sia pure a titolo provvisorio, che manteneva relazioni diplomatiche con alcuni Stati e intrecciava rapporti internazionali, quanto meno ufficiosi, con molti altri che pur non l’avevano riconosciuta.

 

La storia di tutte le guerre insegna che molto spesso, anche quando trattasi di alleati, che insieme combattono sul territorio appartenente ad uno di essi, lo Stato più forte e più potente finisce col prendere le maggiori iniziative, interferendo nella vita e nella potestà dello Stato meno forte, imponendo le sue direttive e, talvolta, la sua forza e i suoi tribunali (esempio: corpi di spedizione alleati nella guerra 1915-1918 in territorio greco). Tuttavia la situazione di fatto che viene a crearsi tra l’alleato più potente e quello meno forte non incide sul carattere formale e giuridico dell’alleanza. Da ciò consegue che, nella specie, non basta rifarsi ai metodi tedeschi, per dedurne che essi erano gli occupanti e per negare alla Repubblica Sociale Italiana il carattere di un governo di fatto; né la situazione fluida, durata pochi giorni, tra l’8 e il 23 settembre 1943, giorno in cui Mussolini ebbe a proclamarsi capo dello Stato fascista repubblicano e capo del governo, autorizza a ritenere che solo un regime di occupazione siasi costituito nel centro-nord dell’Italia, ad opera delle Forze Armate tedesche. Si dimentica in tal modo che anche le Forze Armate alle dipendenze di Mussolini e di Rodolfo Graziani occupavano il territorio suddetto. Che l’Ordinanza Kesserling, in data 11 settembre 1943, che assoggettava il territorio italiano alle leggi tedesche, cessò di avere efficacia proprio con il 23 settembre 1943, quando, se pur non ancora proclamata la Repubblica Sociale Italiana (che nacque il 25 novembre 1943), esisteva già il cosiddetto Stato Fascista Repubblicano.

 

Certo è che in quei giorni la sovranità dello Stato italiano si ridusse solo ad una consistenza formale e giuridica: il Re aveva lasciato la capitale e con il suo governo aveva, a seguito dell’armistizio, preso contatto con gli alleati, nel nobile intento di salvare l’unità e l’indipendenza d’Italia. Il Governo legittimo potè così incominciare a consolidarsi, secondo le direttive degli alleati e a lanciare i suoi ordini e i suoi proclami.

 

Dal parallelo che scaturisce tra il regime del centro-nord e quello del sud appare, dunque, che “de facto”, il Governo legittimo e quello di Mussolini avevano una libertà limitata: “de jure” era, peraltro, preclusa, al governo legittimo, ogni indipendenza, mentre invece tale formale preclusione non esisteva per la Repubblica Sociale Italiana che emanava le sue leggi e i suoi decreti senza l’autorizzazione dell’alleato tedesco.

 

Quando vuol darsi una definizione giuridica di una organizzazione insurrezionale è, pertanto, necessario non solo prendere in esame il suo ordinamento giuridico e la sua sfera di autonomia nel territorio ad essa soggetto, ma guardare altresì detta organizzazione al cospetto degli altri Stati, con particolare riferimento al governo legittimo. Se lo Stato nazionale domina, nonostante l’insurrezione, la situazione che si è creata, e ha la possibilità e la capacità di esaurirla in breve termine, allora può discutersi e forse anche negarsi l’esistenza di un governo di fatto insurrezionale.

 

Ma quando tale capacità non esiste, quando il governo legittimo è addirittura alla mercè del nemico, e l’autorità del governo insurrezionale si consolida nei suoi ordinamenti, e la sua vita è di non breve durata, allora non è più possibile negare a quest’ultimo il carattere di un governo di fatto, secondo i principi comunemente accolti nella dottrina internazionalistica.

 

Pertanto deve concludersi che la Repubblica Sociale Italiana era retta da un governo di fatto, dalla quale nozione scaturiscono le conseguenze giuridiche che tra breve saranno esaminate.

 

 

 

SECONDO

 

I COMBATTENTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE DEBBONO ESSERE CONSIDERATI BELLIGERANTI

 

Per esaminare a fondo il problema occorre rifarsi all’origine della belligeranza.

 

Quando fu pubblicato l’armistizio dell’8 settembre 1943, una parte delle Forze Armate italiane non lo accettò e proseguì nelle ostilità contro il nemico, e, cioè, contro gli alleati che avevano messo piede in Italia.

 

Indubbiamente i comandanti dei reparti che non obbedirono agli ordini del governo legittimo violarono la norma di cui all’articolo 168 Codice Penale Militare di Guerra, con cui si punisce l’arbitrario prolungamento delle ostilità. Questo fatto non sopprimeva, di fronte agli alleati, la qualità di belligeranti che spettava a tutti i combattenti; di fronte agli anglo-americani e loro alleati, tuttora nemici, anche in clima di armistizio non potevano i combattenti italiani – sia pure ribelli agli ordini del supremo comando italiano – perdere il loro carattere di belligeranti, così come è stabilito nelle convenzioni internazionali e come è comunemente accettato.

 

Mai è avvenuto nella storia di tutte le guerre, di negare tale caratteristica alle truppe che non accettano la resa. Colpevoli i combattenti che non obbedirono agli ordini del Re, di fronte allo stato italiano, ma sempre soldati e belligeranti di fronte al nemico. I combattenti che non si arresero ritennero di dover mantenere fede all’alleato tedesco, e fronteggiarono a viso aperto l’avversario, venendo dal medesimo fino all’ultimo trattati come combattenti e come belligeranti.

 

L’art. 40 del citato regolamento annesso alla Convenzione dell’Aja dichiara che ogni grave infrazione dell’armistizio, commessa da una delle parti, dà diritto all’altra di denunciare e, in caso di urgenza, anche di riprendere immediatamente le ostilità. Nella specie che ci occupa non ci fu infrazione da parte dello stato italiano, ma solo da parte di considerevoli unità di terra, di mare e dell’aria. Ed allora il conflitto non ebbe a cessare: gli alleati fronteggiarono egualmente truppe tedesche e italiane, e solo più tardi, molto stentatamente, si attuò la cobelligeranza coi reparti regolari italiani, fiancheggiati dalle formazioni partigiane. Ciò appartiene alla Storia.

 

Non può, pertanto, negarsi, alla stregua dell’art. 40 suddetto, che gli appartenenti alle Forze Armate della R.S.I. abbiano conservato la qualità di belligeranti, né è possibile concepire che tali forze avessero detta caratteristica solo di fronte agli alleati e non al cospetto dei cobelligeranti italiani.

 

Ecco come si spiega il trattamento di prigionieri di guerra concesso dagli alleati – d’accordo col governo legittimo italiano – ai militari delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana, sin dai primi mesi del 1944. Ciò vale a smentire quelle teorie unilaterali che, ormai, sono del tutto superate, con cui si vuole negare il carattere di belligeranti ai combattenti della Repubblica Sociale Italiana, argomentando in maniera erronea e fallace, in base alle norme della legislazione italiana post-fascista, che, come si è rilevato, non ha, sotto il profilo del diritto internazionale, alcuna veste e alcuna autorità al riguardo.

 

Belligeranti, dunque, erano i combattenti del centro-nord, anche se ribelli o insorti e, quindi, punibili secondo il diritto interno in base allo svolgimento di regolarui giudizi. Ma pure da un altro punto di vista si conferma la tesi su esposta. Accertato che la Repubblica Sociale Italiana concretava un governo di fatto, soggetto di diritto internazionale, entro certi limiti, non poteva, sotto questo riflesso, negarsi ai suoi combattenti la qualifica di belligeranti.

 

Anche a voler considerare, per dannata ipotesi come fa la sentenza impugnata, i reparti della Repubblica Sociale Italiana quali milizie alle dipendenze del tedesco invasore, egualmente dovrebbe ad essi riconoscersi la qualità di belligeranti, perché comandati da capi responsabili, portavano segni distintivi e riconoscibili a distanza, apertamente le armi, e si conformavano, per quanto era possibile, nei confronti dell’avversario belligerante, alle leggi e agli usi di guerra (i partigiani non erano belligeranti, come si vedrà in seguito); né può far velo a tale soluzione giuridica la caratteristica insurrezionale di detti reparti, poiché l’art. 1 della Convenzione dell’Aja non fa distinzioni di sorta. D’altronde l’interpretazione pressoché autentica di questi principi è fornita dall’art.4 della Convenzione di Ginevra, 8 dicembre 1949, relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, convenzione che ha reso normativo quello che era già accettato nell’attuazione pratica del diritto internazionale bellico.

 

Infatti il n° 2 del detto art. 4, prendendo evidentemente le mosse dall’art. 3 del Regolamento annesso alla Convenzione dell’Aja, il quale dichiara che gli appartenenti alle Forze Armate delle parti belligeranti hanno diritto, in caso di cattura, al trattamento dei prigionieri di guerra, precisa che sono prigionieri di guerra i “membri delle altre milizie e i membri degli altri corpi volontari, ivi compresi quelli dei movimenti di resistenza organizzati, appartenenti ad una parte in conflitto e agenti fuori e all’interno del loro territorio, anche se questo territorio è occupato, purché queste milizie o corpi volontari, ivi compresi i movimenti di resistenza organizzati, adempiano le condizioni seguenti:

 

a) Avere a capo una persona responsabile per i suoi subordinati;

 

b) Avere un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza;

 

c) Portare apertamente le armi;

 

d) Conformarsi, nelle loro operazioni,alle leggi e agli usi di guerra.

 

Questi principi erano stati già applicati durante la guerra, tant’è che gli alleati ottennero dalla Germania il trattamento di legittimi combattenti alle formazioni della “Francia Libera” del Generale De Grulle, nonostante la resa dello Stato francese.

 

L’impugnata sentenza tratta in modo troppo semplicistico il problema della belligeranza, considerando l’organizzazione militare della Repubblica Sociale Italiana come “rivolta alla ribellione contro lo Stato legittimo, e quindi non aventi alcun valore le norme, gli ordini, i vincoli di subordinazione e i poteri gerarchici da essa emanati”.

 

Pertanto, rifacendosi solo al diritto interno, negando la caratteristica di governo di fatto alla Repubblica Sociale Italiana, che perfino il Pubblico Ministero aveva riconosciuto con serena obiettività e profondità di argomentazioni – pur non traendone le necessarie conseguenze – ha finito col non ritenere la belligeranza degli avversari, per potere, in prosieguo di motivazione, trattare soltanto da ribelli i combattenti della Repubblica suddetta, ed escludere, quindi, le fondamentali discriminanti dell’adempimento del dovere e dello stato di necessità di cui si dirà in seguito.

 

In tal modo, disavvenendo a tutte le norme in materia, si perpetua una particolare valutazione dei fatti che, se era spiegabile nei primi dolorosi anni del dopoguerra, oggi non può essere consentita, nel clima della auspicata pacificazione e delle sopite passioni politiche, e nell’austera applicazione del puro diritto.

 

 

 

TERZO

CARATTERE DI NON BELLIGERANZA DEI PARTIGIANI

 

Il giudice di merito ha invece attribuito ai partigiani la qualità di belligeranti, con una peregrina interpretazione delle disposizioni vigenti.

 

Sotto il profilo etico deve subito rilevarsi che tale qualifica non può togliere ai partigiani quell’aureola di eroismo di cui molti si circondarono, ben conoscendo che da belligeranti non potevano essere trattati, ed essendo certi che l’avversario – appunto per difetto di tale loro qualità – li avrebbe spietatamente perseguiti. Infatti, i combattenti delle truppe regolari italiane, se fatti prigionieri, non subivano le repressioni dei plotoni di esecuzione; le subivano, invece, i partigiani che non potevano farsi usbergo della qualifica suddetta.

 

L’impugnata sentenza si è richiamata alla citata Convenzione di Ginevra, quando si è trattato di qualificare belligeranti i partigiani, dando un’interpretazione arbitraria alle norme surriferite.

 

Al riguardo non vale argomentare che i partigiani fiancheggiavano le truppe regolari italiane e che facevano capo ai comandi italiani e alleati, per poi dedurne che avevano dei capi responsabili; è necessario, invece, per risolvere la questione, riferirsi esclusivamente alle formazioni partigiane, considerate per se stesse, per quelle che erano e per il modo con cui si manifestarono, senza risalire ai comandanti superiori delle Forze Armate, ben noti e riconosciuti sotto il loro vero nome.

 

All’uopo si osserva:

 

1) I belligeranti devono avere a capo una persona responsabile per i propri subordinati. Non si comprende come il concetto di responsabilità possa conciliarsi con quello di clandestinità, per cui i capi del movimento partigiano, per non farsi riconoscere, per non essere identificati e traditi, e correre l’immediato rischio di morte, si nascondevano sotto pseudonimi, eliminando, per tal modo, quanto meno le responsabilità di ordine immediato. Non si può dalla pratica verificatasi in guerra, per cui talvolta i capi delle forze avversarie si incontravano per venire a patti, dedurre senz’altro una inesistente giuridica responsabilità dei capi partigiani, che era invece accuratamente evitata.

 

2) I belligeranti devono avere un segno distintivo fisso, riconoscibile a distanza. Qui la sentenza è del tutto generica, poiché si limita a citare due montanari che furono fucilati perché avevano un fazzoletto verde; essa poi accenna, genericamente, a quanto ebbe a riferire il teste – On. Ezio Moscatelli – e infine dichiara, per scienza propria e contrariamente ad ogni norma processuale, constare al Collegio che le formazioni del Veneto e del Mortirolo portavano i richiesti distintivi di belligeranza. Tali distintivi devono essere fissi e riconoscibili a distanza. Questo doveva dimostrare il giudice di merito e non l’ha fatto.

 

La nostra legge di guerra, approvata con Regio Decreto l’8 luglio 1938 (n°1415), dispone all’art. 25, in armonia con le convenzioni internazionali, che i legittimi belligeranti debbono indossare un’uniforme od essere muniti di distintivo fisso comune a tutti e riconoscibile a distanza. La sentenza non ha affatto dimostrato – e non lo poteva – che esistesse un distintivo fisso di tal genere, comune a tutti i partigiani e riconoscibile a distanza, sostitutivo, in altri termini, dell’uniforme.

 

La lotta clandestina, condotta dai partigiani senza dar quartiere e senza riceverne, imponeva dei metodi e degli accorgimenti che contrastavano coi segni di riconoscimento richiesti. Essi, che pur costituirono il nerbo della resistenza e addussero un apporto fondamentale alla definitiva vittoria delle Forze Armate del legittimo Governo italiano, combatterono una guerra singolare e, per certi aspetti, eroica, sacrificandosi e immolandosi per il bene supremo della Patria. I loro atti di guerra non hanno bisogno di essere legittimati attraverso la qualifica della belligeranza; agirono come agirono, perché tra i reparti fascisti e i reparti partigiani regnavano, quanto più, quanto meno, sistemi di combattimento, di guerriglia, che avevano accantonato, come si vedrà in seguito, le fondamentali norme del Codice militare penale di guerra. La loro opera deve essere apprezzata e riconosciuta, per quanto essi fecero nell’interesse del Paese, salvo la punibilità delle azioni delittuose eventualmente compiute.

 

3) I belligeranti devono portare apertamente le armi. La stessa sentenza riconosce che non sempre ciò era possibile, poiché tale requisito deve essere considerato “alla luce della tecnica particolare della guerra partigiana”.

 

4) Infine i belligeranti debbono attenersi alle leggi e agli usi di guerra, sul quale punto il giudice di merito non ha fornito che vaghe indicazioni; ma di questo si dirà meglio in seguito.

 

Pertanto deve concludersi che i partigiani, equiparati ai militari, ma non assoggettati alla legge penale militare per l’espresso disposto dell’articolo 1 del Decreto Legge 6 settembre 1946 N° 93, non possono essere considerati belligeranti, non ricorrendo nei loro confronti le condizioni che le norme di diritto internazionale cumulativamente richiedono.

 

Il Magistrato ha un vasto campo di valutazione, quello concernente il dolo che, in tema di collaborazione propone il quesito seguente: “il giudicabile ha inteso di collaborare all’invasione del tedesco, ha voluto effettivamente tale invasione, o ha ritenuto di agire per una sia pure errata visione del bene e del divenire della Patria ?” Tale quesito, in altri termini ne pone un altro: “è possibile, nonostante la proclamata figura giuridica del ‘tedesco invasore’, ammettere una volontà di collaborazione non rivolta all’evento invasione ma volta, invece, al divenire della Patria ? E’ possibile pensare che l’agente, lungi dal ritenere la sua opera collaboratrice intesa a favorire l’invasione, abbia, in buona fede, creduto che la Repubblica Sociale Italiana si avvalesse delle forze tedesche per fronteggiare lo stesso nemico (gli alleati), ma non certo per agevolare il tedesco nei suoi piani militari e politici ai danni dell’Italia?”

 

La storia dirà un giorno – e la cronaca già si sofferma su questo punto – se i gerarchi della Repubblica Sociale Italiana si opposero, con i mezzi a loro disposizione, ai piani del tedesco e se mirarono – sia pure ponendosi contro il Governo legittimo – al solo bene dell’Italia, quale essi lo ritennero.

 

Certo è che, nella disamina delle responsabilità occorre avere presenti i proposti quesiti in tema di dolo, al fine di accertare quale fu il movente e quale lo scopo per cui si attuò, nei singoli casi, la collaborazione.

 

La Suprema Corte di Cassazione, dopo una prima rigorosa giurisprudenza, che risentiva del clima in cui ebbe a formarsi, ha, sin dal primo semestre del 1947, discusso e ammesso la possibilità, nella soggetta materia, delle discriminanti dell’adempimento del dovere e dello stato di necessità.

 

Per lo contrario l’impugnata sentenza ha, con criterio unilaterale, come si è superiormente rilevato, ritenuto che l’organizzazione militare della Repubblica Sociale Italiana era rivolta alla ribellione contro lo Stato legittimo, donde nessun valore poteva attribuirsi alle norme, agli ordini, ai vincoli di subordinazione e ai poteri gerarchici che da essa promanavano. All’uopo la sentenza ricorda che, secondo la legge sulle sanzioni contro il Fascismo, deve parlarsi di “sedicente Repubblica Sociale Italiana” e che tale appellativo è sintomatico per la soluzione della questione.

 

Deve in proposito rilevarsi che il termine “sedicente” intende contrapporre tale Repubblica allo Stato italiano legittimo; essa fu solo “sedicente” perché non ebbe il pieno riconoscimento internazionale, né si sostituì allo Stato legittimo. Queste locuzioni “Stato di diritto”, “Stato legittimo”, non rispondono pienamente alla terminologia del linguaggio tecnico-giuridico, ma sono utilmente adottate per significare che non si tratta di uno “Stato di fatto” (altra locuzione praticamente utile), ma dell’unico, vero, legittimo Stato. Con tali argomenti il giudice di merito ha posto il veto e ha risolto ogni premessa per la discussione e l’ammissibilità delle discriminanti parole. E’ mai possibile che, in tal modo, siano annullati i principi posti dal Codice penale e dai Codici penali militari, da ogni legislazione civile, dichiarando in blocco inapplicabili tali cause di esclusione ?

 

In definitiva, quando la resistenza e l’insurrezione armata assume, in grande stile, forme di organismo militare vero e proprio, quando non si tratta di una ribellione di pochi, ma di imponenti masse, è ovvio che, nei limiti consentiti e in omaggio alle esigenze dell’umanità i governi di fatto non possono essere trattati senz’altro come governi aventi giurisdizione su un’accolita di ribelli e di fuori legge, che altrimenti, accertata l’originaria e libera volontà di porsi agli ordini della Repubblica Sociale Italiana, risulterebbe imponente il numero dei colpevoli di collaborazionismo, sia pure beneficiati di amnistia: in questa ipotesi la delinquenza politica si sarebbe palesata come generalità di vita vissuta da centinaia di migliaia di uomini e non come eccezione; il che non può essere, perché è l’eccezione che delinque e non la generalità. D’altronde, come può oggi parlarsi più di una accozzaglia di ribelli, quando la Convenzione di Ginevra ha inteso proprio tutelare i movimenti di resistenza organizzata, come sopra detto ?

 

Più che dall’essere la Repubblica Sociale Italiana un governo di fatto, le discriminanti in questione traggono origine dalla riconosciuta qualità di belligeranti ai combattenti della Repubblica suddetta. Si comprende che, negata loro tale qualità, ne deriva che essi fossero un’accozzaglia di ribelli, di traditori e di banditi, nonostante che imponente fosse il numero dei reparti, degli ufficiali, dei decorati che non vollero deporre le armi; ammessa, invece, tale qualifica nell’indiscutibile spirito delle Convenzioni internazionali dell’Aja e di Ginevra, il problema delle cause discriminanti può e deve senz’altro essere posto e risolto.

 

Lo Stato italiano punisce i suoi sudditi per l’opera collaborazionistica col tedesco invasore, ma nel contempo è innegabile, per le cose dette che occorre tenere presente l’inquadratura militare della Repubblica Sociale Italiana, delle gerarchie costituite, degli ordini emanati e della legge militare colà imperante (quella italiana), né può da un lato riconoscersi la belligeranza e da un altro negarsi l’esistenza di un ordinamento militare fondato sull’obbedienza e sulla disciplina militare.

 

…Ciò premesso, per la serena valutazione dei fatti occorre fissare il punto di partenza, che nella sfera dell’ordine psicologico, prende le mosse dall’armistizio dell’8 settembre 1943. Si è rilevato che, inizialmente, una parte delle Forze Armate italiane non volle accettare l’armistizio e proseguì nelle ostilità contro il nemico della guerra sino allora combattuta, intendendo mantenere fede all’alleato tedesco; le armi italiane non furono inizialmente rivolte verso i propri fratelli, e se scontri inizialmente vi furono tra reparti italiani e reparti italiani, più che altro si verificarono per la fatalità delle circostanze. I reparti che avevano seguito l’ordine del governo legittimo pensarono soprattutto a fronteggiare il tedesco invasore e, purtroppo, avvenne l’inevitabile, per cui si trovarono di fronte figli della stessa grande Madre. In quei giorni nefasti il potere regio era pressoché annullato, e solo formalmente esisteva, come si è dianzi rilevato, la sovranità italiana. L’esercito era disperso e infranto, gli alleati apparivano vittoriosi, tutto cadeva in rovina e grande era il disorientamento delle coscienze. In tale confusione, nella carenza dei poteri costituzionali, il soldato, l’ufficiale italiano fu chiamato a risolvere il tragico quesito, se mantenere fede all’alleato o ubbidire al governo del Re.

 

Quando si afferma la tesi della libera determinazione dei singoli nella scelta del fronte, si dimentica la tragica situazione cui si è fatto cenno, si oblia che la guerra fraterna non fu inizialmente voluta, ma fatalmente sorse dalla disfatta, che, comunque, tutti gli italiani, salvo pochi, amarono di sconfinato amore la loro Patria, anche errando; che, se si può parlare di collaborazionismo e di tradimento nel senso giuridico, non si può certo affermare che le centinaia di migliaia di soldati che rimasero al nord a combattere contro gli alleati e le truppe regie, fossero un’accozzaglia di traditori. Accettare e consacrare alla storia una tesi simile, significherebbe degradare la nostra razza, annullate il retaggio di gloria e di valore che ci lasciarono coloro che nella guerra immolarono la vita, creare al cospetto delle altre nazioni una leggenda che non torna ad onore del popolo italiano.

 

Ricostruita così la verità storica degli avvenimenti, non deve da tale ricostruzione trarsi la stolida illazione che non vi siano colpevoli, poiché non v’ha dubbio che debbono essere inesorabilmente colpiti coloro che agirono in malafede, eccedettero in faziosità, compirono azioni delittuose, crudeltà efferate ed innominabili sevizie.

 

Tutta l’antecedente esposizione deve servire solo ad obiettare e a serenamente apprezzare i fatti, a non porre senz’altro le premesse di una ribellione, libera nella determinazione e totalitaria nei delittuosi scopi, per cui si giunga inesorabilmente a colpire quanto non è giusto colpire, e si perpetuino i rancori, gli antagonismi, le inimicizie, allontanando la auspicata pacificazione, che non può essere attuata se non nel clima di una tranquillante giustizia. L’impugnata sentenza ha ritenuto che l’errore di fatto in cui possono essere caduti taluni imputati, nel ritenere legittimi gli ordini provenienti dagli organi della Repubblica Sociale Italiana, sia inescusabile in quanto l’illegittimità di tale organismo è elemento di norme penali che quella illegittimità sanciscono. Ciò non è esatto, perché il dolo domina tutti gli estremi del reato, e alla sua ricerca non si sottrae neppure l’estremo della illegittimità.

 

Ma v’ha di più !

 

La tesi del giudice di merito non può essere accolta. Una volta riconosciuto che la Repubblica Sociale Italiana costituiva un governo di fatto e che i suoi combattenti dovevano essere considerati belligeranti, ne consegue che gli ordini impartiti dai superiori ai loro subordinati dovevano essere eseguiti. Non può far velo alla soluzione del quesito, che è di ordine strettamente giuridico, il carattere insurrezionale del governo suddetto, per trarne l’illazione generica della illegittimità di tali ordini.

 

La legittimità o l’integrità non è in funzione della insurrezione, della ribellione al potere regio, ma va posta in relazione all’organizzazione politica e militare che si era costituita con il suo ordinamento giuridico, con le sue leggi, con le sue autorità. Se lo sbandamento delle coscienze e la fatalità degli eventi portò molti combattenti nei quadri militari della Repubblica Sociale Italiana, non è esatto parlare a priori di illegittimità degli ordini, e tanto meno escludere discriminanti putative se, per giustificabile errore, i soggetti ritennero di adempiere al loro dovere e di agire nello stato di necessità. (Art. 59, ultimo comma, Codice Penale).””

Modificato da Marco U-78 Scirè
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Scusami Marco ma una sentenza, per di più di un tribunale militare ora come non mai nell'occhio del ciclone della giustizia, non è testimonianza molto utile se si vuole riflettere obbiettivamente.

 

Occorre anche dire che questa sentenza è stata oggetto di asprissime critiche in dottrina e giurisprudenza, senza contare poi che i tribunali militari, fino a prova contraria non fanno precedente ed inoltre la Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, prima e dopo il 1954, ha ritenuto legittime una lunga serie di condanne per i delitti di aiuto militare al nemico (art. 51 c.p. mil. guerra) e di aiuto al nemico nei suoi disegni politici (art. 58 di detto codice). In particolare si può citare, proprio sul tema della "belligeranza" delle forze armate fasciste repubblicane, la sentenza delle Sezioni Unite penali 7 luglio 1945, emanata in sede di risoluzione di conflitto.

 

 

 

il rifarsi a questa sentenza per rivalutare in toto alcuni fatti è già stato utilizzato nell'esporre il disegno di legge n. 2244-A relativo al riconoscimento quali belligeranti dei militari della r.s.i disegno di legge che ha suscitato una marea di polemiche per ovvi motivi.

 

Non mi sembra un documento molto "ufficiale" nè tantomeno obbiettivo

 

scusami per l'osservazione

Modificato da Shkval
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