Secondo Marchetti Posted February 16, 2015 Report Share Posted February 16, 2015 Dopo l'armamento del gozzo di famiglia con vela latina, torno a voi con un lavoro di più ampio respiro ma sullo stesso tema. Si tratta del restauro di un gozzo da regata a remi di uno dei sestieri di Ventimiglia, per il quale, non avendo molto da fare in questo periodo di crisi, ho prestato la mia esperienza e gli attrezzi di mio padre. Prima di tutto, un po' di storia. Verso la metà degli anni '70 nasceva a Ventimiglia l'Ente Agosto Medievale, un'associazione affiliata alla Federazione Giochi Storici e al comune che aveva per scopo l'organizzazione di varie manifestazioni di rievocazione storica, e che presiedeva sulle associazioni dei sestieri della città (Marina, Ciassa, Burgu, Cuventu, Auriveu, Campu). Oltre alle rievocazioni storiche, si organizzavano anche eventi sportivi come tiro con la balestra, tiro alla fune, e una regata di gozzi a remi, il Palio dei sestieri. Premesso che di medievale una regata di gozzi a remi ha soltanto la violenza verbale e talvolta fisica con cui si contestano i risultati, perché dubito molto che fino al secolo scorso i pescatori avessero il piacere di rischiare i remi e la schiena che gli sarebbero serviti per sopravvivere... Per mettere i sei equipaggi in condizione di gareggiare ad armi pari si organizzò un primo palio fra sei gozzi scelti fra i più veloci a remi. Vinse un gozzo di 5 metri e 60 a quattro banchi più timoniere, con la prua alla cornigiotta, che fu mandato ad un cantiere locale; qui se ne ricavò uno stampo e da questo 6 copie in vetroresina che dal 1976 vengono usate ogni anno per il Palio e relativi allenamenti, ed anche per uscite di rappresentanza. Nella foto, i gozzi dell'Auriveu, col sottoscritto al timone, e della Marina. Facendo oggi parte dell'equipaggio del gozzo del Cuventu, il Presidente del sestiere mi ha chiesto se avrei potuto dargli una rinfrescata. Trentanove anni sono tanti per una barca che praticamente rimane abbandonata agli elementi tutto l'anno. Oltre al decadimento naturale delle superfici e delle strutture, si rilevavano altri due problemi: - Il regolamento di stazza previsto all'origine non viene ormai più osservato e comunque non dice nulla riguardo ad un peso minimo dell'imbarcazione. Col tempo, quasi tutti i gozzi sono stati svuotati più o meno vistosamente con ogni sorta di mastruzzo, dall'eliminazione del doppio fondo stagno all'assottigliamento dello scafo, ed hanno quindi importanti differenze di peso. I più leggeri si stima pesino attorno ai 250 kg, il nostro era uno dei meno alleggeriti e pesava ancora intorno ai 370 kg. - Ogni equipaggio che si è avvicendato su queste barche ci ha messo le mani con risultati quasi sempre disastrosi. Il nostro gozzo era letteralmente crivellato di buchi aperti per cambiare di posizione a scalmi, pedane e banchi. Non parliamo della qualità e della pertinenza dei rinforzi e dei tacconi messi per rimediare a questi scempi. Ho quindi deciso un restauro radicale. Per un preventivo di 500 euro di materiale ho promesso al Presidente un gozzo praticamente nuovo, a condizione che mi si fornisse un luogo adatto dove lavorare e l'aiuto di qualche volontario, dell'equipaggio e del sestiere. Il Presidente mi ha fatto portare il gozzo in un capannone dotato di luce ed acqua e con la possibilità di far polvere senza troppo danno. Questo era l'interno della povera bestia appena scaricata nella sua nuova casa Il nastro da pacchi che bloccava (efficacemente, devo dire) i cuscini dei banchi dà l'idea dell'amore e della perizia nautica con cui i passati equipaggi hanno apportato modifiche alla barca... Per motivi ignoti (probabilmente quelli originali erano talmente pieni di buchi da rischiare di cedere), i due banchi centrali erano stati rifatti in compensato marino, ma senza bolzone ed avevano un leggiadro trave da 10 x 10 di abete come puntello. Uno stato di telaccia di vetro sul solo lato superiore doveva in qualche modo tenerli assieme. Il banco del capovoga (primo da poppa) era ancora l'originale, e come assicurazione contro i cedimenti era sorretto da un puntello di acciaio inox del peso di 5 kg fissato con qualche vite di straforo. Sul lato sinistro un taccone di paglia di vetro nascondeva un piastrone di inox messo un po' di sbieco. La pedana puntapiedi del capovoga poggiava su due pezzi di canale inox 15 x 5 spesso 3 mm, in grado di sorreggere il peso di un autotreno. Il primo giorno abbiamo insomma smontato la ferraglia e già lì, con quella che non sarebbe stata reimbarcata, sono stati fatti fuori 20 o 30 kg di rumenta. L'attrezzo più usato per i giorni seguenti sarebbe stato una sega a gattuccio da 800 W. A presto per il seguito. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted February 17, 2015 Author Report Share Posted February 17, 2015 Ecco l'implicazione pratica della mia idea di restauro radicale Avessimo avuto un anno di tempo e due o tremila euro, avrei rifatto anche lo scafo in lamellare di mogano. Purtroppo il budget ed il poco tempo a disposizione (un mese esatto) mi hanno costretto a dover tenere almeno lo scafo Lavorare con la fibra di vetro e lo stucco degli anni '70, che contiene sostanze non proprio simpatiche, necessita di precauzioni speciali. Lo scalpello che sto maneggiando per far saltare un taccone apparteneva a mio nonno, nell'eredità dei vecchi pescatori ci sono anche gli attrezzi per riparare le barche ovviamente. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
malaparte* Posted February 17, 2015 Report Share Posted February 17, 2015 (edited) Perchè sei conciato tipo anti- Ebola? :laugh: Vabbene, lo lo so, la fibra di vetro, l'amianto ecc,...ma la battuta è sorta spontanea... Edited February 17, 2015 by malaparte Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted February 17, 2015 Author Report Share Posted February 17, 2015 Lo stucco nero che si vede sul fondo dello scafo era ottenuto mescolando resina poliestere a fibre d'amianto. Anche se le fibre sono inglobate nella resina e non dovrebbero quindi volatilizzarsi, la prudenza non è mai troppa. Troverei davvero sciocco ammalarmi per un lavoro per il quale non son nemmeno stato pagato. Per questo ho imposto di portare sempre almeno la mascherina quando in cantiere e di passare regolarmente l'aspirapolvere. Svuotato lo scafo dalla rumenta non più necessaria, si può cominciare a mettere in opera qualche elemento strutturale, come il banco del prodiere. Le costole laterali sono in compensato da 6 mm, i tacchi su cui si appoggia allo scafo e il travetto centrale sono in ayus, un legno esotico molto leggero parente della balsa. I tacchi sono avvitati allo scafo dall'esterno, per sicurezza. Il piano del banco è composto da due strati di compensato da 6 mm con interposto del tessuto di fibra di carbonio. Il piano ha già il suo bolzone, ottenuto morsettandolo ad un piano con uno spessore al centro per incurvarlo in modo naturale mentre i due strati si incollavano. Tutti gli incollaggi si eseguono con la resina epossidica. In carbonio è anche il tubo che serve da puntello per il banco, resto di un albero di windsurf spezzato. Solo il banco del prodiere riceve un puntello, gli altri avranno due costole in più per "autosostentarsi" e tenere libero lo spazio sottostante a beneficio delle pedane puntapiedi. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
danilo43* Posted February 17, 2015 Report Share Posted February 17, 2015 In fatto di oscenità su incolpevoli imbarcazioni ho visto cose che voi umani non potete immaginare ..... Complimenti per passione e maestria: avevo seguito ammirato il restauro del tuo gozzo personale. Non si finisce mai di imparare ! La sega a gattuccio: nome (non l'attrezzo) ignoto ai nostri "squerarioli", campo dove è imperante la nomenclatura in vernacolo. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted February 17, 2015 Author Report Share Posted February 17, 2015 Grazie Danilo, e quando avremo abbastanza materiale potremo aprire una discussione sui peggiori scempi compiuti su natanti da diporto, anche qui credo ci sia sempre da imparare Non so da dove venga il nome del gattuccio, in effetti è curioso che un attrezzo da Heavy Metal, che ha peso e ingombro di un Kalashnikov e che fa un rumore infernale abbia un nome che finisce per "uccio". Qui il giovane e volenteroso Lorenzo, che aiutandomi ha imparato a stringere i morsetti e a preparare la resina epossidica (può sempre servire per riparare qualche armadio), sta pulendo l'angolo sotto il bordo in previsione della posa del nuovo bordo in legno, mentre io rifinisco le costole di un banco. Il piano del banco del prodiere è poggiato sulla prua. Il piano del banco del secondo vogatore rimasto quasi senza bolzone, non tutte le ciambelle riescono col buco Il banco del prodiere messo in opera per provare, nell'angolo in basso a destra vedete la struttura a quattro costole del banco del terzo vogatore. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted February 18, 2015 Author Report Share Posted February 18, 2015 L'assemblaggio della struttura del banco del capovoga; i buchi negli spessori di ayus non servono tanto per alleggerirli, quanto per ottenere dei tappi per chiudere altri buchi sui bordi da applicare in seguito, sono stati infatti eseguiti con una fresa speciale, cava al centro, che permette di ottenere un "tappo" da un pezzo di legno. Il pezzo di tavola di compensato fissato sotto la scalmiera del capovoga è un rinforzo per distribuire sullo scafo lo sforzo di strappamento indotto dalla voga. Fatte le strutture, si può incollare il piano. I morsetti vanno posati con tacchi di legno per non segnare i pezzi sottostanti, e i tacchi vanno posati su foglietti di nylon perché non si incollino con eventuali colature di resina. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted February 20, 2015 Author Report Share Posted February 20, 2015 Fatta la struttura dei banchi si può anche cominciare a rifare il bordo interno, dato che lo scafo, irrigidito dai banchi, non rischia più di deformarsi sotto la trazione dei listelli di legno. Due strati di ayus da 2 cm di spessore, uno sopra l'altro, compongono il nuovo bordo. Il primo strato è avvitato allo scafo dall'esterno e resinato, il secondo è avvitato sul primo. Nella foto, il primo strato in opera. A poppa si vedono i supporti per il banco del timoniere. Se poi tutti quelli che passano in cantiere vogliono farsi spiegare tutto, finisce che si fa notte a chiaccherare... Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted February 21, 2015 Author Report Share Posted February 21, 2015 Finiti i due strati del bordo si aggiungono le squadrette ai lati dei banchi, come ulteriore rinforzo contro le torsioni. La squadretta dalla parte della scalmiera è diversa, più spessa e inclinata a 45° per andare a poggiare più vicino allo scalmo, il punto di maggior sollecitazione. Il tutto va bloccato a posto con dei bendaggi di fibra di vetro, che ho aggiunto mano a mano. Ne vedete alcuni pezzi nei punti in cui andranno resinati. Il mio banco l'ho fatto con bolzone negativo, vale a dire curvato verso il basso anziché verso l'alto, per stare più comodo e anche più fermo durante le rollate. I rinforzi sul fondo fra i due banchi sono in ayus e serviranno per fissare la pedana del capovoga. Al momento stavo resinando una benda di fibra di vetro sul banco: la benda va stesa su uno strato di resina fresca e ricoperta da un altro strato, perché il lavoro venga bene tutto il tessuto deve essere ben impregnato e non devono restare bolle d'aria. Le toppe nere ai fianchi dei banchi sono pezze di carbonio che erano avanzate dal rotolo preso per i banchi. A prua il bordo è stato raccordato con due pezzetti di compensato fine. Notate i tappi fatti per nascondere i buchi delle viti sul bordo, se non li notate è perché mi sono riusciti bene. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
STV(CP) * Posted February 22, 2015 Report Share Posted February 22, 2015 Bel lavoro. Un mio amico, figlio del proprietario di un cantiere locale, sta ristrutturando l'ennesima barca della Marina. Dopo l'unitá a vela PENELOPE, ultimamente ha messo mano ad uno dei lancioni a remi (10 vogatori più timoniere), ogni tanto armati anche a vela.... Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Marpola* Posted February 24, 2015 Report Share Posted February 24, 2015 Complimenti per il magnifico lavoro documentato in ogni sua fase.... viene quasi voglia di provarci! Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted February 24, 2015 Author Report Share Posted February 24, 2015 Grazie a tutti Se volete provare e serve un consiglio, son qui. Finito l'interno con una grattata alle colature e una pulitura a fondo con stracci e alcool, si può passare alla verniciatura; io pensavo a un colore neutro, tipo crema o grigio, ma l'equipaggio voleva il rosso. Visto che un rosso segnale abbaglierebbe sotto il sole, ho preso un granata che peraltro è anche il colore di Ventimiglia. Della pittura se n'è occupato Matteo, il capovoga, io ho solo fornito l'attrezzatura e il supporto, nel senso che tenevo il tubo dell'aerografo perché non strisciasse sulla pittura fresca. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted February 25, 2015 Author Report Share Posted February 25, 2015 Dopo di ciò, si prende il gozzo e lo si "ciavira" (prestito dal francese del nostro dialetto) su alcune pile di copertoni per pitturare lo scafo. L'operazione, eseguita come da tradizione con la sola forza dei muscoli, ha anche permesso di rendersi conto di quanto l'alleggerimento sia stato efficace, e della robustezza del bordo: dovete considerare che per qualche istante tutto il peso della barca poggia su un'area molto ridotta di un bordo solo. Prima si dà il bianco dopo aver mascherato il rosso. Asciutto il bianco, si passa il rosso. Asciutto anche il rosso, l'opera viva viene lucidata con una cera speciale prodotta dalla Allegrini per le barche da regata, che riduce l'attrito con l'acqua. La versione moderna del latte di fico. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
danilo43* Posted February 25, 2015 Report Share Posted February 25, 2015 (edited) ... l'opera viva viene lucidata con una cera speciale prodotta dalla Allegrini per le barche da regata, che riduce l'attrito con l'acqua. La versione moderna del latte di fico. Questa poi mi giunge nuova. Vorresti renderci edotti di questa antica pratica? Per saperne di più ho cercato in rete, trovandone un impiego alquanto diverso... Ammirati complimenti per il tuo lavoro ! Edited February 25, 2015 by danilo43 Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted February 26, 2015 Author Report Share Posted February 26, 2015 In effetti ricordavo male, chiedendo conferma in famiglia mi è stato detto che il fico usato era il fico d'india, le cui pale venivano tagliate a metà e strofinate sullo scafo. La gromma che contenevano diventava una mucillagine al contatto con l'acqua, che dava l'illusione a chi stava sopra la barca di poter andare più veloci. Riportato lo scafo alla sua posizione originale, per prima cosa si collaudano i banchi Quindi si può iniziare a passare il bianco su banchi e bordo interno, per alleggerire il rosso scuro e non scottarsi le natiche col calore del sole Nel frattempo si possono rimontare le pedane puntapiedi, senza il binario continuo su cui poggiavano prima, con nuove cinture e con la piastra d'appoggio ridotta della metà. I bulloni di fissaggio troppo lunghi devono essere tagliati per non tenersi spuntoni apri-caviglie dentro la barca. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
danilo43* Posted February 26, 2015 Report Share Posted February 26, 2015 In effetti ricordavo male, chiedendo conferma in famiglia mi è stato detto che il fico usato era il fico d'india, le cui pale venivano tagliate a metà e strofinate sullo scafo. La gromma che contenevano diventava una mucillagine al contatto con l'acqua, che dava l'illusione a chi stava sopra la barca di poter andare più veloci. Fico o fico d'india poco importa, proprio non lo sapevo. In quanto alla mucillaggine ti posso dire che quando vi fu l'invasione in Adriatico ai primi anni '90 il mio gommone, attraversando le zone interessate, da gps, a pari numero di giri aumentava la velocità di crociera di quasi mezzo nodo (su 24); fatto riscontrato su più mezzi. Probabilmente quanto ti è stato raccontato non era solo un'illusione.... Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted February 28, 2015 Author Report Share Posted February 28, 2015 Man mano mi convinco che i nostri vecchi avevano più conoscenza di quanto crediamo, e le barche o le navi che creavano ad occhio erano praticamente perfette considerando la tecnologia disponibile e l'impiego che doveva esserne fatto. Basta vedere la bellezza delle linee dello scafo di questo gozzo, dubito che un architetto navale contemporaneo avrebbe ottenuto un risultato migliore. Tuttavia, frettare lo scafo di una barca con bistecche spinose in vista di una regata di un miglio scarso durante la quale nessuno ha mai fatto più di 6 nodi mi pare uno sforzo poco remunerativo; resto convinto che lo si facesse più per la valenza psicologica che per reali vantaggi. La verniciatura si conclude riscrivendo il nome del sestiere sui fianchi e aggiungendo otto strisce dorate alla pernaccia, il prolungamento verticale del dritto di prora che è al tempo stesso ornamento, segno distintivo e anima della barca; il gozzo non va mai tirato dalla pernaccia, sarebbe come tirare per il naso una persona. Le strisce sono otto perché questa barca ha vinto otto volte il palio. Ho messo da parte la bomboletta, sperando di aggiungerci presto un'altra striscia... Sul bordo interno, a poppa a sinistra, ho scritto il nome della barca; ufficialmente non hanno un nome ma abbiamo deciso di chiamarla Gisella in onore della madre del nostro Presidente, recentemente scomparsa. Le nuove scalmiere in una specie di teak completano l'opera. Gisella è pronta ad essere portata sul sagrato della chiesa di Sant'Agostino a Ventimiglia per essere presentata al pubblico e ricevere la benedizione del parroco. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted March 3, 2015 Author Report Share Posted March 3, 2015 Il Presidente e lo staff del sestiere ha organizzato le cose per benino, c'era tutto l'apparato per una bella cerimonia: prima di tutto, un poco di mu##a, che fa sempre piacere da vedere. Poi le tamburine e gli sbandieratori... Il Presidente, l'equipaggio quasi al completo... Gisella agghindata a festa e coperta di coriandoli Il resoconto della ricostruzione termina qui, ma spero di poter aggiornare questa discussione con altro materiale, come la costruzione del nuovo timone che dovrò mettere in cantiere per sostituire quello scarpone che ha adesso, o le regate e le trasferte... Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
STV(CP) * Posted March 4, 2015 Report Share Posted March 4, 2015 1 rematore per ogni banco di voga (e con 2 remi)? È quindi diverso dalla voga longa con 2 rematori per banco? Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted March 4, 2015 Author Report Share Posted March 4, 2015 Ogni vogatore ha un solo remo, infatti si abituano a vogare da un lato piuttosto che dall'altro, gli "ambidestri" sono rari. Penso che questa disposizione sia dovuta alle virate a 180° attorno alla boa, durante le quali gli interni piantano il remo in acqua mentre gli esterni continuano a vogare. La virata viene eseguita principalmente a forza di remi, in quanto timoniere io devo e posso solo impostare l'entrata in boa allargandomi prima e stringendo poi fino a toccare la boa. Penso che una manovra del genere sarebbe ingestibile con due remi per ogni vogatore. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
malaparte* Posted March 5, 2015 Report Share Posted March 5, 2015 Bene!!! :smiley19: benchè per nulla marinara, so apprezzare un lavoro ben fatto!!!! che ho seguito man mano. Però...al post n. 15 vedo una 127 d'epoca e ...una Topolino!!!! ma dove stavate lavorando??? (ci sono più cose in riviera di Ponente di quante ne possa.... ) Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted March 5, 2015 Author Report Share Posted March 5, 2015 Bene!!! :smiley19: benchè per nulla marinara, so apprezzare un lavoro ben fatto!!!! che ho seguito man mano. Però...al post n. 15 vedo una 127 d'epoca e ...una Topolino!!!! ma dove stavate lavorando??? (ci sono più cose in riviera di Ponente di quante ne possa.... ) Grazie La Topolino è in vendita a novemila sacchi, ed effettivamente la carrozzeria è impeccabile ma a sentire il meccanico, dati i problemi che ha il motore, è un prezzo esagerato. Eravamo in effetti nel garage di un'officina che ci sponsorizzava permettendoci di lavorare da loro. Io gli spiegavo come si ripara una barca, da loro mi facevo spiegare qualche trucco per garantire lunga vita a una station wagon diesel col cambio automatico. Però 1 vogatore per banco ? Esatto, già è difficile trovarne quattro per barca, se dovessimo essere otto non usciremmo più Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
STV(CP) * Posted March 7, 2015 Report Share Posted March 7, 2015 Scusa, ma le uniche volte che ho partecipato a gare di voga, l'ho fatto con lancioni da 10 vogatori più timoniere, 2 vogatori per banco....... Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted September 11, 2015 Author Report Share Posted September 11, 2015 Passata la stagione, è tempo di mostrarvi Gisella in navigazione... Tipo durante una virata (i vogatori interni in boa piantano il remo, quelli esterni continuano a vogare) Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
malaparte* Posted September 11, 2015 Report Share Posted September 11, 2015 (edited) Il mio banco l'ho fatto con bolzone negativo, vale a dire curvato verso il basso anziché verso l'alto, per stare più comodo e anche più fermo durante le rollate. Ho notato solo ora. Domanda da 'gnuranta: in effetti mi chiedevo perché il bolzone (io lo chiamavo sedile, e credo che non mi ricorderò mai di chiamarlo bolzone) nelle barche, pardon nei gozzi aut similia, sia convesso. Capisco (se proprio mi spremo le meningi) capisco che serva a far scorrere l'acqua verso l'esterno. Quindi chi ci sta si ritrova a mollo i piedi (possibilmente calzati di stivali di gomma, come farei io), anzichè il sedere diaccio e fradicio come capita a te; giusto? Cosa non si fa per la gara... giusto? Edited September 11, 2015 by malaparte Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted September 11, 2015 Author Report Share Posted September 11, 2015 Attenzione, il bolzone non è un elemento strutturale, è solo la curvatura che si può dare a un elemento della coperta. Più il bolzone è accentuato, più la curvatura è evidente. Esisterebbe, nella vera carpenteria navale, un metodo grafico per determinarlo in modo preciso, in quanto l'elevazione sarebbe in rapporto alla larghezza, ma per un'applicazione così ridotta non l'ho usato. Non serve solo a far scorrere l'acqua, deve anche rendere le parti più resistenti ai carichi; un legno incurvato è infatti più robusto di un legno piano. Acqua a bordo non ce ne deve essere, sarebbe peso in più da portare. Se ne entra, la sgotto subito con la sassola; comunque ne è entrata solo una volta che si era sturato il "leso", ovvero il tappo sul fondo, e un'altra che un'ondata ci aveva presi di traverso durante una partenza particolarmente fantozziana. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
malaparte* Posted September 11, 2015 Report Share Posted September 11, 2015 Sì. Anzi no, non ho capito una cippa: se un legno incurvato è meglio di un legno piano , perché non curvarlo a rigor di schiena? Cioè a rigor di cu#o, verso il basso? Intuisco che sia una faccenda di Fisica, giusTo? Mi pare di ricordare qualcosa dal Liceo...ma insiomma non è una portaerei. E poi dipende dall'ondata Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Secondo Marchetti Posted September 16, 2015 Author Report Share Posted September 16, 2015 Se il banco fosse concavo, tenderebbe a chiudersi e lo sforzo si scaricherebbe sotto forma di trazione sulle ordinate; essendo convesso tende invece ad aprirsi, si verifica solo compressione, e questa può essere assorbita dalle serrette e dai corsi del fasciame. Perlomeno, immagino che sia così. Che poi con il legno foderato col carbonio e uno scafo di fibra di vetro la cosa non ha nessuna importanza, ma già così alcuni vogatori delle altre barche (la volpe e l'uva) mi hanno detto che ho stravolto troppo la "tradizione" del gozzo ligure, figuriamoci con dei banchi concavi... Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Recommended Posts
Join the conversation
You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.