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Il Duca Furioso (e Il Prodiere Innamorato)


Secondo Marchetti

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Dato che sto seguendo un corso che ha a che fare con la "lettura filologica e non filologica di un passaggio dell'Orlando Furioso", m'è venuta l'idea di raccontare in ottave quel che succede a noialtri che facciamo regate.

Non sono endecasillabi, non ho voglia di star lì a contare le sillabe, è solo uno scherzetto in fondo :s03:

Il Duca ovviamente è lo skipper, il pio bove è il grinder addetto ai winch, Sisifo il N° 2 che sta all'albero, la pianista è la responsabile delle drizze nel cockpit.

Non è ancora finito ma spero che vi piaccia :s01:

 

 

Urla di gioia e fatica, tendi la scotta,

e guarda la grand'ala che si inarca;

contro mare e nemico alla tua lotta

sfiora la cresta, il cavo scuro varca:

tu non sei più dell'umanità corrotta,

ma sei del picciol cosmo detto barca.

E tieni a mente, ogni goccia d'amore

sempre la sconti in un'onda di dolore.

 

Il prodiere ardito è ben contento,

guarda e dice dal pulpito suo strano:

"Io sto in ascolto ove rechi il vento

clamor di battaglia, mio capitano!"

E'l duca a lui: "Ma stai più attento,

meno ciarle, e guarda più lontano!

Torna a sorvegliarmi il bordo cieco,

donde viene il nemico nostro bieco."

 

Ventosa e dolce e bella giornata,

che volge all'amicizia i naviganti!

A Sisifo il prodier parla dell'amata,

gli canta dolce dé suoi mali tanti;

il pio bove e la pianista rilassata

ridono e sognano della vita avanti.

Ma nero e duro il duca ben li sgrida:

ei vuol la gente concentrata e fida!

 

S'allunga sulla linea di partenza

la falange di prore combattenti,

rivedonsi question di precedenza

a suon di ben curiosi complimenti:

guerra invero, corsa in apparenza,

e scambiansi bordate di accidenti.

Troneggia sopra tutti il Comitato

gaudente nell'Inferno scatenato.

 

Si sale poi alla giostra di bolina,

calvario pel bove grande e grosso,

lo schiavo che agli argani mulina

e gira manovelle a più non posso:

egli si sfianca, e la barca s'inclina,

sbatte giù la prora nel mar mosso;

egli si schianta, e gli altri fannulloni

poltriscono sul bordo a cavalcioni.

 

Ma non a lungo dura il vil riposo:

ormai la prima boa si può vedere;

e rialzasi il prodiere d'amor roso

lasciando il suo amico candeliere;

si distrae, e il vil ponte scivoloso

accade ch'egli assaggi col sedere.

Assieme al suo compare va filato

a prendere lo spìnnaco in quadrato.

 

Lo spìnnaco è una vela maledetta,

la fonte d'ogni male dei velisti:

all'ultimo armata in gran fretta

con millemila guai mai prima visti,

ed il prodiere sa ciò che l'aspetta

e come lui lo sanno gli altri tristi.

Lo spìnnaco è la vela più infernale

per far da selezione naturale.

 

"Come lancia in resta il buttafuori!

Attacca scotta, poi drizza e mura

prodiere, stai attento o son dolori!"

Ma lui compie la grama tessitura

consigliato dalla fretta e dai timori,

intreccia tutto quanto senza cura.

Il duca vede il guaio già all'agguato:

rampogna il tristo mozzo stralunato.

 

Braccia in alto, all'eterna drizza:

il Sisifo dell'albero sta già pronto,

al comando l'afferra, tira, strizza

con tutto il peso. Né tiene il conto

dei metri scorsi, né più si raddrizza,

piegato in sfaticate senza sconto.

Lo tradisce infido un moschettone:

s'apre, è tutta da rifare la tenzone.

 

Contrito è il prodiere innamorato,

l'ingiuria il duca: ma eccolo, riparte,

saltella, svelto il torto è riparato:

rinserra il gancio vile con più arte,

gioisce per lo spìnnaco involato.

Anch'egli infine fece la sua parte!

Accoglie indi il genoa con affetto:

non manca di serrarlo bello stretto.

 

Distesa è la rea vela ben a segno,

che già ne vien l'ora d'ammainarla:

genti garbate, uomini d'ingegno,

che lottan come bruti per tirarla:

chi acqua le fa toccar paga pegno;

ma il caos universale già li tarla,

e accade che la libera in un lampo

o sù o giù per mare cerchi scampo.

 

E non viene, non viene, la si tira,

e il duca già furente più s'infuria:

lo strazio e'l grande scempio mira

e le brutal parole e la gran incuria:

i nemici fuggon via, l'augusta ira

tuona dal mar di Cina alla Liguria;

fuor di sé ne grida à suoi gradassi

di tirarsi tanto forte i paesi bassi.

 

Ma infin rientra, bagnata, straccia,

la crudel vela già morsa dai marosi

che credesi una rete, tutta diaccia.

I forzati ansano e pensan à riposi,

ma qui non s'è a far ciò che piaccia:

"Dev'esser giuncata: due valorosi!"

Ei vanno, ma giù c'è mal di mare,

ed escon, ratti ratti, a vomitare...

 

Sale il vento, sale e soffia forte,

corre la barca coricata sul fianco

per troppa tela a riva, la malasorte

ben CI vede, e rende il mare bianco.

Odesi lo strappo presagio di morte:

una crepa s'apre nel tessuto stanco.

"Duca -fa il prodier- fa che Dio t'oda!

Prega forte che il genoa non esploda!"

 

"A nulla serviran le mie preghiere

a Dio che sì parlò, ma mai ha risposto:

non in lui, ma credo in te, prodiere!

Cambiami quel genoa, ad ogni costo!!"

Il duca ha detto, stretto à ringhiere

va il servo a raggiungere il suo posto.

Tirando un sacco enorme ei si lagna

del ponte dritto e fattosi lavagna.

 

Ei fa il suo travaglio sul mar scuro

a prua e dà il suo ordine: "Issate!"

Ciò che era piano ora è un muro,

ad ogni onda è acqua a secchiate.

Ei ed il Sisifo van giù a muso duro,

ammainano a suon di gran manate.

La vela ferita è spinta giù dabbasso

e lì resta a mezzo a vietare il passo.

 

"Per te questo, mia amata lontana:

per te questi rischi e questi scorni,

per te che stai a riva salva e sana

e molto furba, che in questi giorni

di burrasca e di fatica disumana

godi la terra in attesa ch'io torni."

A terra infatti godon tutti quanti

a veder nella buriana i naviganti.

 

L'aria fra le sartie fa il suo canto:

ora a bordo si metton le cinture

e di tattica non più si parla tanto,

ma la corsa di finir senza rotture.

Geme la scotta, mangia il guanto,

a ciascuno la sua dose di torture:

il duca solo non si cura del dolore,

tutto sia perduto, fuorché l'onore!

 

Tre volte il percorso li fa girare,

come piace al crudele comitato.

Ogni volta che si va a strambare

ci si segna nel vento indiavolato.

In grame fatiche e gocce amare,

acqua che vien di sopra e di lato,

dicon tutti che con tali cavalloni

si viaggia in corridoio di pattoni.

Modificato da Secondo Marchetti
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Non sapevo nemmeno che esistesse la musicalità consonantica, prima :s68: :s03:

Il mozzo è tristO per dare pesantezza e goffaggine alla parola, per caricarla un pò, ma se è orribile lo levo. Non deve essere troppo perfetta anche perché il Duca altri non è che uno dei miei Prof a cui dovrò far leggere il tutto: se scrivessi come l'Ariosto sarebbe legittimato a credere che me lo voglio sviolinare :s03:

 

Comunque il Vostro apprezzamento mi è davvero molto gradito :s01:

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la musicalità consonantica l' ho Inventata io; però le consonanze, poffarbacCo, saprai bene cosa sono!!!

per tristo,

v. qualsiasi dizionario

 

Però dalla mie ricerche risulta che in effetti il Boiardo ('sto scandianese del cavolo! non poteva star zitto?) lo usa nel senso di "sciagurato, infelice"

Ma in quel senso lo usa solo lui.......vedi tu.....consulta il Battaglia.....e soprattutto indaga sul prof-...

Tristo (escliuso il Boiardo) significa MALVAGIO!!!!!

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  • 3 weeks later...

Se Tristo significa malvagio, è perfetto per quel che intendo :s03: Il prodiere non è mai univoco; il Duca è semplice Trinità, ma il prodiere è diabolico, innamorato, distratto, concentrato, esaltato, abbattuto. Prossimamente dovrò fare un'ottava sul prodiere rampante e il moschettone inesistente (e magari alla fine anche il Duca dimezzato... dallo sconforto, ovvio).

Per ora ne ho altre 5, perdonerete i prestiti presi qua e là :s43:

 

V'è poi il figuro incapace d'amore,

torvo e serio coi suoi occhiali neri:

esso è detto il randista iettatore,

e predica disgrazia per lati interi:

"Il vento darà scarso, ho sentore!"

"Saremo ultimi, inutile che speri!"

Qual cornacchia dal male chiamata

s'immagina sciagure ad ogni virata.

 

"Oggi dico: regateremo con doglia"

e tanto briga che Sfortuna l'ascolta:

talvolta è la scotta che s'imbroglia,

talvolta è il vento che mal si volta,

era la vela strozzata che gorgoglia,

l'incartocciarsi del filetto in rivolta,

era il pio bove stramazzato.

"Spesso il mal di mare ho incontrato."

 

Grigio e stremato per lungo volo

un augelletto si posa alla crocetta

per ritemprarsi, un minutino solo:

ma il duca è come falco in vedetta

contro ogni augello che abbia dolo

di defecar sulla coperta netta:

corre a picchiar sull'albero, urlando,

finché lo scricciolo se ne va esiliando.

 

Cade il giorno e pur la vela cade,

lega la randa e riaccendi il motore,

riscopri i parabordi e la pietade,

tu che sul pontile lasciasti il core,

inutile per quelle equoree strade,

peso morto, come piombi e amore.

Non par vero d'avere il mare piatto,

dopo un dì di sberle e vento matto.

 

Ordine si fa sul campo di battaglia,

amarrata la bella al placido porto:

reimbarca casse da sopra la faglia

(di farle cadere non farti il torto);

indi potrai levar la sudata maglia,

senza curarti dell'odor di morto.

Il peggio viene levando gli stivali:

che nero lezzo, che non ha eguali!

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  • 1 year later...

Andiamo talmente d'accordo che il forum confonde i post dell'uno e dell'altro :s03: Oppure è la nera signora dell'universo che continua la sua opera.

 

Comunqe son d'accordo con Lei: una serata così val bene un portafogli smarrito. Ma son dovuto comunque andare a confessare la mia dabbenaggine dalla Polizia, di questi tempi la Polfer alla stazione ed i CRS in Francia sono particolarmente accaniti; con la faccia che mi ritrovo, se mi pescano senza documenti mi imbarcano per Tangeri senza nemmeno passare dal Via. Patente, tessera sanitaria, codice fiscale, carta dell'Associazione Buzzati, posso farne a meno; senza la carta d'identità però non posso arrischiarmi oltre frontiera e già a uscire di casa ci vuole un certo muso :s03:

 

(riproviamo e vediamo se scompare di nuovo)

 

L'alcole scorre fra profumi d'incenso,

Venere ammira per come sa Marte

volare, danzare lieve per l'aere denso.

Ma Sfiga impera e vuole la sua parte,

perché troppa gioia richiede compenso:

ed Ella dispone con sopraffina Arte:

scoprir con scorno e grande cordoglio

che dalla tasca è svanito il portafoglio!

 

La mano inutilmente nella tasca

annaspa, fruga, afferra il niente;

è inutile che t'illuda che rinasca

dal nulla: non c'è, non si sente!

Inutile tasca vile che alla frasca

hai gettato tutto il mio presente!

Per provar che non sono alieno

mi resta solo la carta del treno...

 

Di sù, di giù, di là, di qua cercando

vado il portafogli che prese il volo;

forse mi era caduto camminando,

ah, è la! No, quello è un tovagliolo...

Vederlo parmi di quando in quando

e senza di lui mi sento così solo...

Giro col naso volto al pavimento,

fra la rumenta a frugare intento.

 

E poi mi viene quell'orrido sospetto:

e se me l'han rubato? Ormai tutto

il locale frugai dal piano al tetto.

Impossibile! No! Chi è quel brutto...

Ladruncolo, che tu sia maledetto!

Penserò a te ad ogni mio rutto,

spero che i soldi della tua rapina

ti paghino un'overdose d'eroina!

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Che stupidaggine la mia, m'ero poi scordato di scrivere qui per intero e con le ultime due ottave anche il lavoretto che dà il titolo al thread :s68:

 

Urla di gioia e fatica, tendi la scotta,

e guarda la grand'ala che si inarca;

contro mare e nemico alla tua lotta

sfiora la cresta, il cavo scuro varca:

tu non sei più dell'umanità corrotta,

ma sei del picciol cosmo detto barca.

E tieni a mente, ogni goccia d'amore

sempre la sconti in un'onda di dolore.

 

Il prodiere ardito è ben contento,

guarda e dice dal pulpito suo strano:

"Io sto in ascolto ove rechi il vento

clamor di battaglia, mio capitano!"

E'l duca a lui: "Ma stai più attento,

meno ciarle, e guarda più lontano!

Torna a sorvegliarmi il bordo cieco,

donde viene il nemico nostro bieco."

 

Ventosa e dolce e bella giornata,

che volge all'amicizia i naviganti!

A Sisifo il prodier parla dell'amata,

gli canta dolce dé suoi mali tanti;

il pio bove e la pianista rilassata

ridono e sognano della vita avanti.

Ma nero e duro il duca ben li sgrida:

ei vuol la gente concentrata e fida!

 

S'allunga sulla linea di partenza

la falange di prore combattenti,

rivedonsi question di precedenza

a suon di ben curiosi complimenti:

guerra invero, corsa in apparenza,

e scambiansi bordate di accidenti.

Troneggia sopra tutti il Comitato

gaudente nell'Inferno scatenato.

 

Si sale poi alla giostra di bolina,

calvario pel bove grande e grosso,

lo schiavo che agli argani mulina

e gira manovelle a più non posso:

egli si sfianca, e la barca s'inclina,

sbatte giù la prora nel mar mosso;

egli si schianta, e gli altri fannulloni

poltriscono sul bordo a cavalcioni.

 

Ma non a lungo dura il vil riposo:

ormai la prima boa si può vedere;

e rialzasi il prodiere d'amor roso

lasciando il suo amico candeliere;

si distrae, e il reo ponte scivoloso

accade ch'egli assaggi col sedere.

Assieme al suo compare va filato

a prendere lo spìnnaco in quadrato.

 

Lo spìnnaco è una vela maledetta,

la fonte d'ogni male dei velisti:

all'ultimo armata in gran fretta

con millemila guai mai prima visti,

ed il prodiere sa ciò che l'aspetta

e come lui lo sanno gli altri tristi.

Lo spìnnaco è la vela infernale

per far da selezione naturale.

 

"Come lancia in resta il buttafuori!

Attacca scotta, poi drizza e mura

prodiere, stai attento o son dolori!"

Ma lui compie la grama tessitura

consigliato dalla fretta e dai timori,

intreccia tutto quanto senza cura.

Il duca vede il guaio già all'agguato:

rampogna il tristo mozzo stralunato.

 

E quindi senza macchia né paura

riattacca le manovre senza errore:

ma far venir le scotte è cosa dura,

per quanto ei le tragga con furore;

a poppa grida: "La mura! La mura!"

Intendon colà: "L'amore! L'amore!"

Dice il duca: "Romeo, l'amore dopo!

Mai una volta, che pensi allo scopo!"

 

Braccia in alto, all'eterna drizza:

il Sisifo dell'albero sta già pronto,

al comando l'afferra, tira, strizza

con tutto il peso. Né tiene il conto

dei metri scorsi, né più si raddrizza,

piegato in sfaticate senza sconto.

Lo tradisce infido un moschettone:

s'apre, è tutta da rifare la tenzone.

 

Contrito è il prodiere innamorato,

l'ingiuria il duca: ma eccolo, riparte,

saltella, svelto il torto è riparato:

rinserra il gancio vile con più arte,

gioisce per lo spìnnaco involato.

Anch'egli infine fece la sua parte!

Accoglie indi il genoa con affetto:

non manca di serrarlo bello stretto.

 

Distesa è la rea vela ben a segno,

che già ne vien l'ora d'ammainarla:

genti garbate, uomini d'ingegno,

che lottan come bruti per tirarla:

chi acqua le fa toccar paga pegno;

ma il caos universale già li tarla,

e accade che la libera in un lampo

o sù o giù per mare cerchi scampo.

 

E non viene, non viene, la si tira,

e il duca già furente più s'infuria:

lo strazio e'l grande scempio mira

e le brutal parole e la gran incuria:

i nemici fuggon via, l'augusta ira

tuona dal mar di Cina alla Liguria;

fuor di sé ne grida à suoi gradassi

di tirarsi tanto forte i paesi bassi.

 

Ma infin rientra, bagnata, straccia,

la crudel vela già morsa dai marosi

che credesi una rete, tutta diaccia.

I forzati ansano e pensano à riposi,

ma qui non s'è a far ciò che piaccia:

"Dev'esser giuncata: due valorosi!"

Ei vanno, ma giù c'è mal di mare,

ed escon, ratti ratti, a vomitare...

 

Sale il vento, sale e soffia forte,

corre la barca coricata sul fianco

per troppa tela a riva, la malasorte

ben CI vede, e rende il mare bianco.

Odesi lo strappo presagio di morte:

una crepa s'apre nel tessuto stanco.

"Duca -fa il prodier- fa che Dio t'oda!

Prega forte che il genoa non esploda!"

 

"A nulla serviran le mie preghiere

a Dio che sì parlò, ma mai ha risposto:

non in lui, ma credo in te, prodiere!

Cambiami il genoa, ad ogni costo!!"

Il duca ha detto, stretto à ringhiere

va il servo a raggiungere il suo posto.

Tirando un sacco enorme ei si lagna

del ponte dritto e fattosi lavagna.

 

Ei fa il suo travaglio sul mar scuro

a prua e dà il suo ordine: "Issate!"

Ciò che era piano ora è un muro,

ad ogni onda è acqua a secchiate.

Ei ed il Sisifo van giù a muso duro,

ammainano a suon di gran manate.

La vela ferita è spinta giù dabbasso

e lì resta a mezzo a vietare il passo.

 

"Per te questo, mia amata lontana:

per te questi rischi e questi scorni,

per te che stai a riva salva e sana

e molto furba, che in questi giorni

di burrasca e di fatica disumana

godi la terra in attesa ch'io torni."

A terra infatti godon tutti quanti

a veder nella buriana i naviganti.

 

L'aria fra le sartie fa il suo canto:

ora a bordo si metton le cinture

e di tattica non più si parla tanto,

ma la corsa di finir senza rotture.

Geme la scotta, mangia il guanto,

a ciascuno la sua guisa di torture:

il duca solo non si cura del dolore,

tutto sia perduto, fuorché l'onore!

 

Tre volte il percorso li fa girare,

come piace al crudele Comitato.

Ogni volta che si va a strambare

ci si segna nel vento indiavolato.

In grame fatiche e gocce amare,

acqua che vien di sopra e di lato,

dicon tutti che con tali cavalloni

si viaggia in corridoio di pattoni.

 

V'è poi il figuro incapace d'amore,

torvo e serio coi suoi occhiali neri:

esso è detto il randista iettatore,

e predica disgrazia per lati interi:

"Il vento darà scarso, ho sentore!"

"Saremo ultimi, inutile che speri!"

Qual cornacchia dal male chiamata

s'immagina sciagure ad ogni virata.

 

"Oggi dico: regateremo con doglia"

e tanto briga che Sfortuna l'ascolta:

talvolta è la scotta che s'imbroglia,

talvolta è il vento che mal si volta,

era la vela strozzata che gorgoglia,

l'incartocciarsi del filetto in rivolta,

era il pio bove stramazzato.

"Spesso il mal di mare ho incontrato."

 

Grigio e stremato per lungo volo

un augelletto si posa alla crocetta

per ritemprarsi, un minutino solo:

ma il duca è come falco in vedetta

contro ogni augello che abbia dolo

di defecar sulla coperta netta:

corre a picchiar sull'albero, urlando,

finché lo scricciolo se ne va esiliando.

 

Fissò la randa il prodiere rampante

col lieve moschettone inesistente:

chi trattiene la vela più pesante

è un anellino di scotta sofferente.

Malmesso cede, la randa calante

ricopre tutta l'ammutolita gente.

Dinanzi a tal disastro dichiarato

parlar non può, il duca dimezzato.

 

Cade il giorno e pur la vela cade,

lega la randa e riaccendi il motore,

riscopri i parabordi e la pietade,

tu che sul pontile lasciasti il core,

inutile per quelle equoree strade,

peso morto, come piombi e amore.

Non par vero d'avere il mare piatto,

dopo un dì di sberle e vento matto.

 

Ordine si fa, passata la battaglia,

amarrata la bella al placido porto:

reimbarca casse da sopra la faglia

(di farle cadere non farti il torto);

indi potrai levar la sudata maglia,

senza curarti dell'odor di morto.

Il peggio viene levando gli stivali:

che nero lezzo, che non ha eguali!

 

La ciurma fiacca è infine tratta

ad osannare i campioni vincitori

della giornata; una tazza di latta

che dalle plastiche manda bagliori

è guiderdone per la fatica fatta,

per ricordare che si fu i migliori.

La coppa, serve a raccogliere:

tributi di gloria, e poi la polvere.

 

Il Duca si ricorda che fu umano,

consola l'equipaggio dispiaciuto:

"Mancò la fortuna, non la mano,

non il valore, ma degli dei l'aiuto."

E grati a lui, partendo pian piano

ei si congedan coll'antico saluto:

"Teco sui mari, financo sulla luna!

Portaci teco a l'ultima fortuna!"

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  • 1 month later...

Questo è sempre il "Prodiere innamorato" che parla (in realtà sarà un pezzetto dell'altro lavoro, ma per il metro comune sta bene anche qui in anteprima)

 

Io dissi un giorno ad una bella bionda

con fare adatto al suo aspetto gentile

che la volevo sposare sulla sponda

d'un fiume dolce nel mese d'Aprile.

Ma era meglio, mi disse gioconda,

se andavo ad annegarmi da un pontile.

E non la odiai, per questo brutto caso:

la colpa era soltanto del mio naso.

 

Ho detto oggi ad una bella mora

di dare un bacio ad un uomo vero:

breve è la vita, godiamo d'ogni ora!

Orripilata, con piglio severo,

"Piuttosto - mi disse - mi faccio suora!

Tu hai la pelle grassa come un cero!"

Questa almeno ha avuto l'onestà

di dirmi in faccia che faccio ben pietà.

 

Dirò domani ad una bella rossa

la migliore delle mie barzellette

per far sì che non ridere non possa:

il riso è fra le armi più perfette

per questo genere di caccia grossa.

Dirà così fra le risate schiette:

"E' buffo il tuo gran ventre costretto

nelle braghe, non quello che m'hai detto!"

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