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Memorie di un luogotenente di vascello


GM Andrea

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Titolo: Memorie di un luogotenente di vascello

Autore: Augusto Vittorio Vecchj (Jack la Bolina)

Editore: Voghera Editore

Anno di edizione: 1897

Pagine: 348

Prezzo originale: -

Prezzo di mercato: €.20-30

 

(nb Seconda edizione: Editori Riuniti, 1971).

 

Reperibilità: medio-difficile

 

 

Il più prolifico e noto scrittore navale italiano del periodo a cavallo di '800 e '900 fu senza dubbio Augusto Vittorio Vecchj, universalmente noto come Jack la Bolina.

In quest'opera Vecchj a condensato tutta la sua vita militare, dalla Scuola di Marina di Genova (1855-59) al congedo nel 1872, passando per Lissa cui prese parte a bordo della fregata Principe Umberto.

L'opera può ben dirsi l'antesignana di Quando la terra era grande del citato Milanesi e di Vita di mare del Roncagli.

Con Jack la Bolina vediamo letteralmente nascere la Marina unitaria negli anni del fermento risorgimentale, e va detto che il libro non è certo "di maniera".

Lo stile è ricercato anzichenò, come usavasi allora.

La sostanza però è spassosissima. Vecchj passa in rassegna tutti i patres della Regia Marina, chi proveniente dalla Marina sarda, chi dalla borbonica, chi dall'I.R. Marina asbrurgica: i fratelli Acton, Saint Bon, Riboty, Galli della Mantica, Cappellini, Persano, Cafiero, Canevaro, Albini, Vacca e chi più ne ha più ne metta sono descritti a tinte estremamente vivaci.

Vecchj infatti per 100 pregi elenca 101 difetti, con relativi aneddoti; e non si salvano dai suoi strali (divertiti e mai astiosi) personaggi oggi presenti sulle targhe stradali per quanto inutilmente pignoli, tardi di comprendonio, donnaioli, fanfaroni, sbruffoni, tronfi, eroi in battaglia ma terrorizzati da un topo in camerino, viceversa pavidi etc etc

Assicuro che il campionario è davvero divertente, non avendo il nostro Jack peli sulla lingua.

Fra i personaggi "originali" un posto di spicco spetta al sorrentino CF Ferdinando Cafiero, che nel 1862 assunse il comando del Tripoli in sostituzione del Com.te Galli della Loggia. Questi, ufficiale "piamontese", nell'occasione tenne all'equipaggio in coperta "un discorsetto corretto e cortigiano".

Cafiero invece si pronunziò così:

"Equipaggio!

Fino a mò, aggio comandato a marinari napolitani; e sono una mappata di fessi. M'hanno itto che voi siete meno fessi, ma io nun ce credo. Basta, vedremo. Vedete di fa' 'u vostro dovere. Fianc'a prora, march! rompete le righe".

 

Altrettanto vivace è il ritratto che Vecchj fornisce di Garibaldi, del quale suo padre era amico e collaboratore, e che il giovane ufficiale di Marina frequentò ripetutamente nei...soggiorni obbligati del Generale alla Spezia.

Modificato da GM Andrea
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promette mirabilie: lo hai davvero rintracciato?

 

Certo, sennò non mi sarei permesso di recensirlo. Dico io, come si fa a recensire un volume senza averlo letto?

 

:s68: :s45: :s56:

 

La copertina non dice granchè; ho trovato però un bel ritratto dell'Autore nel libro dedicato a Guglielmo Acton dall'USMM, che pesca a piene mani dal libro di Vecchj. La inserisco ASAP

 

 

Altro aneddoto su Cafiero:

L’italiano di Ferdinando Cafiero era un napoletano a mala pena travestito, ricco di quei svariati pleonasmi vernacoli che lo rinforzano singolarmente. Con chiunque parlasse cominciava formalmente col lei, invariabilmente discendeva nel voi, per ultimare col tu. Gli austeri ammiragli di origine sarda avevano accettato la grammatica di lui in compenso del suo eccellente servizio. In quella squadretta dei “RR.Principi” (un gruppo di navi) Cafiero era stato Comandante del GOVERNOLO e vi aveva stretto un’amicizia di ferro col Principe Umberto di Savoia (poi Re Umberto). Questi, un giorno che Cafiero manovrava il GOVERNOLO, gli si mise accanto sul Ponte di Comando e gli fè varie domande e non so quale proposta di variare la rotta.

Alle domande Cafiero aveva risposto breve; ma all’udire un consiglio, non ebbe freno:

“Guagliò, tu pienze a fa o principe, che a fa’ o Cummannante, ci penz’io.

Modificato da GM Andrea
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  • 2 weeks later...

Su internet, ho trovato e già ricevuto, il libro originale, probabilmente con copertina rifatta. Anche questo porta la dedica al Vice Ammiraglio Guglielmo ACTON (anno 1896). Costo del libro circa 24 euro.

Lo leggerò subito e a dopo i commenti.

Grazie GM Andrea

 

:s20:

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Nel proseguo della lettura di questo interessante libro, ho trovato un passo che parla dela bravura dei marinai della mia bellissima isola e cioè La Maddalena:

 

Tratto da Vecchi ricordi di un Luogotenente di Vascello

 

da pag.66 dedicato ai marinai dell’Isola di La Maddalena.

 

Il marinaro genovese (o meglio ligure) non penetrava sulle regie navi che dall’uscio della leva; e ne usciva invariabilmente a ferma ultimata. Detestava il servizio regio, detto in vernacolo servigio a bordo ai regi. Conferivano solidità agli equipaggi gli uomini dell’Isola della Maddalena che entravano mozzi, salivano a sottufficiali e poscia ad ufficiali d’arsenale. Erano dinastie. Gli Zonza, gli Zicavo, gli Zampiano, i Porcile, i Millelire, gli Alibertini ed altri stipiti di quella mobilissima popolazione isolana mandavano tutti i loro maschi alla marina di S.M., ove costituivano un’aristocrazia del castello di prora, degna del più alto encomio, e che vide più di un suo eletto salire agli onori del casseretto. I Millelire vantavano due amiragli e due capitani di vascello; gli Zicavo un ammiraglio e due comandanti; dal pilotaggio erano saliti alle spalline quadre. Gente era quella che, etnograficamente, nulla aveva che fare coll’isolano din Sardegna. Oriunda di Corsica, fornì tutti gli equipaggi alla piccola marina di Vittorio Emanuele I esule a Cagliari. Vogliono le male lingue che le frequenti stazioni dei vascelli di Nelson e di Collingwood nella rada che tuttodì porta il nome di un d’essi, l’Agincourt, avessero cagionato la nascita di molti bambini biondi ed occhi-glauchi. Dei misteri delle notti dell’isola tra il 1804 ed il 1814 non ardisco sollevare il velo. Correva la leggenda che in quel decennio quando l’amiraglio Zicavo doveva metter alla vela per andar in corsa a danno dei Francesi pigliava un bastone, entrava nelle casette dell’isola, e mandava a bordo tutti i maschi dall’età di 11 anni in su……… e le crociere erano lunghe.

Sia come voglia essere, fisicamente e moralmente, era la più bella stirpe di genere di acqua azzurra che mai vedessi. E capisco che Nelson per quegl’isolani nutrisse sincero affetto. E glielo dimostrò quando, prima di salpar l’àncora per la più gloriosa caccia che mai avesse a teatro gli oceani ed il cui hallali fu suonato a capo Trafalgar, regalò alla bianca chiesetta dell’isola gli argentei ornamenti dell’altare, accompagnandoli colla lettera che ho trascritta nella Storia generale della Marina Militare.

La Maddalena meriterebbe una momografia; se Dio mi concede lena e vita la tenterò un giorno. Udii un giorno al Callao dalle labbra del comandante Gordon Douglas del Shearwater che aveva letto nel Garibaldi a Caprera di mio padre due pagine luminose intorno all’isola, le parole seguenti; <<Se noi avessimo un luogo simile lo copriremmo di privilegi>>.

Ahimè ! La Maddalena possiede un cafè chantant con chellerine ed una compagnia di disciplina. Così questa nostra Italia ha sollevato le sorti del villaggio volgarmente chiamato dai nostri sottufficiali il piccolo Parigi, e dove la Messa domenicale era la ripetizione della Messa di bordo. Gli uomini ci andavano nella logora divisa della marina di S.M.. Alla testa del popolo il capitano di vascello Millelire soprannominato pesce-cane; e poi in rango di gerarchia tutti glia altri. E quando il prete all’altare aveva terminato il salvum fac Regem, Millelire alzava il braccio, e gridava:<< Viva il Re ! >> e tutta la chiesa nella quale scintillavano i candelieri donati da Nelson, echeggiava del grido leale marinesco. Roba d’altri tempi! Dirà qualcuno. Un corno! Roba bella e buona e degna di tutti i tempi, e che s’usava tuttavia nel 1864. E tra quei pii veterani v’erano alcuni ch’erano stati al combattimento di Tripoli e le medaglie d’argento al valore militare conseguite ad Ancona ed a Gaeta ed al Garigliano contavansi sui petti a dozzine.

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  • 3 weeks later...

Grazie GM Andrea,

Ho appena terminato il libro ed è stata una lettura molto piacevole. Lo consiglio

Ora però inserisco la parte del libro che si riferisce al Comandante Cafiero, marinaio straordinario e molto originale.

 

 

Tratto da Memorie di un Luogotenente di Vascello

 

Mandammo il Re Galantuomo a pigliare il Re d’Italia a Nuova York, giunse da Tolone il San Martino, e dall’Inghilterra l’Esporatore, il più veloce piroscafo del suo periodo.

A pigliare quest’ultimo fu spedito coll’equipaggio Ferdinando Cafiero, capitano di fregata, uno tra gli originali della nostra marina anteriore a Lissa.

Ferdinando Cafiero era sorrentino. Un servigio di vettovagliamento al Castello del Salvatore assediato dai Siciliani nel 1848 e reso da lui con insuperabile maestria marinaresca a Ferdinando II, gli valse il passaggio della marina mercantile alla militare: in queste servì lealmente i Borboni sino alla entrata di Garibaldi in Napoli, poi il governo nuovo.

Marinaro nell’anima, manovratore sempre sicuro di sé, dotato di coraggio a tutta prova e fornito di beni di fortuna, splendido nello spendere, galantuomo in tutti i vari significati del vocabolo, a Cafiero mancarono sempre due cose, l’eloquio italiano decente e la giusta misura nella franchezza.

L’italiano di Ferdinando Cafiero era un napoletano a mala pena travestito, ricco di quei svariati pleonasmi vernacoli che lo rinforzano singolarmente. Con chiunque parlasse cominciava formalmente col lei; invariabilmente discendeva nel voi per ultimare col tu: Gli austeri amiragli d’origine sarda avevano accettato la grammatica di lui in compenso del suo eccellente servizio.

In quella squadretta dei R. R. Principi della quale ho altrove tenuto parola, Cafiero era stato comandante del Governalo; e vi aveva stretto un’amicizia di ferro col Principe Umberto di Savoia.

Questi, un giorno che Cafiero manovrava il Governalo, gli si mise accanto sul ponte di comando e gli fè varie domande e non so qual proposta di variar rotta. Alle dimande Cafiero aveva risposto breve, ma all’udire un consiglio non ebbe freno:

<< Guagliò, tu pienza a fa u’ principe, che a fa u’ comandante ci penz’io. >> Umberto di Savoia fu il primo a ridere dell’incosueta frase; e si abituò a udirne molte altre d’ugual natura.

Qualche anno di poi dopo un pranzo in Napoli alla reggia, il Principe faceva servire i sigari ai suoi commensali. Erano Cavour e virginia, roba ostica al mio Cafiero che, tratto di tasca il suo astuccio di sigari, l’offrì all’ospite dicendo:<< Attè, sta roba cacci? Fumati questi avana; a me mi vengono di contrabbando.>>

La libertà di parola in Cafiero era in frenabile. Col medesimo vocabolario, con sintassi compagna ed esprimente egualmente il pensiero suo, aveva parlato con Ferdinando II. Con equipaggi riuniti il se donnait les coudées franches. Ne diè l’esempio quando sostituì Galli della Loggia sul Tripoli, prima nave armata a Genova (o com’egli diceva genovese) ch’ebbe in comando nel 1862. Dopo un discorsetto di Galli, corretto e cortigiano, per pigliar commiato dall’equipaggio ch’egli aveva governato durante la campagna di Gaeta, toccò a Cafiero: la concione fu del tenore seguente:

<< Equipaggio !

Fino a mò , aggio comandato a marinari napoletani; e sono una mappata di fessi. M’hanno itto che voi siete meno fessi, ma io non ce credo. Basta, vedremo. Vedete di fa u’ vostro dovere. Fianc’ a prora, marche ! rompete le righe.>>

Malizioso come usa scimmia, allegro, cuor contento, quando vedevamo entrar nell’ufficio dell’amiraglio quella sua testa in cui le fattezze di Pulcinella e di Don Quixote si fondevano in modo singolare, eravamo certi di una mezz’ora di farsa. Rideva anche l’austero Cappellini; perché il contagio della gaiezza di Cafiero era prepotente.

Occorse in quel turno che Francesco Vicina, comandante nullo, investisse il Governalo alla spiaggia della Favorita presso Portici.

Cafiero comandava il Rosolino Pilo (un trasporto che faceva viaggi periodici tra Genova e Napoli) e fu mandato a disincagliare il Governalo. Riuscitovi, proseguì per Genova. Giunto nel nostro ufficio gli fummo tutti attorno per farci raccontare i particolari: ed egli cortesemente e brevemente ci diè ogni informazione d’indole tecnica: ma a noi ciò non bastava. Siccome mi voleva molto bene, ardii domandargli:<< Ma, comandante, non c’è altro?

<< Ah si; aggio ditto due parole acconcie a Ciccillo Vicina, poveriello ! chilo è nu’ posto avant’a me per la prossima promozione.>>

E noi in coro - << dica dica, comandante.>>

<< Eh ! stevo sul tamburodi dritta e alloccai (gridai): Cicccì, Ciccì, grandissimo fesso, mo faranno a te capitano di vascello. >> - e poi alla macchina: << avanti adagio.>>

Di una tra le più comiche avventure di Cafiero sono stato il confidente. Eccolo qua:

Fu sbarcato dal Rosolino Pilo e spedito a Londra (via Parigi) a prendere l’Esploratore. Eccolo dunque in viaggio col più insufficiente dei tenenti al dettaglio (ch’era il marchese Tucci di Lucca, ubriacone noto) altri 4 ufficiali e 150 uomini. Di ritorno narrò nel nostro ufficio le bellezze della nuovissima nave, il cammino prodigioso: ed esaurita la relazione mi disse: << Guagliò, vienite a passeggià.>>

Allora, raccomandandomi il segreto (che non mantenni affatto) mi raccontò le sue disgrazie che eccitarono in me inestinguibile riso.

Il treno da Lione a Parigi era giunto in ritardo a notte piena; e l’addetto del consolato non si era lasciato trovare alla stazione. Cafiero aveva domandato (in francese, diceva lui) che accordassero ai suoi marinari un luogo ove riposare per riprendere al mattino il treno per Calais. I regolamenti vi si opponevano, pare. Aveva domandato l’indirizzo d’un osteria, d’un albergo, in somma d’un luogo di comunque onesto riposo. Gli era stato indicato l’ufficio di polizia. E fatta mettere in rango la sua gente, era andato a picchiare a quell’ufficio. Da un secondo piano s’era impegnato colla strada un dialogo bilingue che dev’essere stato certo molto saporito: era ultimato con un consiglio:

<< Allez au numero 37: on y fait la noce >> poi la finestra s’era chiusa. Al mio scoppio di risa Cafiero aveva interrotto il discorso.

Neh ! tu sapevi che volea dire quell’on fait la noce?

- Certo, Comandante, che lo so.

- Tu vede Dio, chilo fesso ‘i Tucci no u’ sapiva……..

- E lei, comandante, che fece?

- Che avevo a fa; andiedi a u’ numero 37!

- E poi?

- Traso, i marinari traseno co’ me. I femmine m’abbracciano….. , e abbiamo passata la notte là…..

- Comandante!!!!!!

- Figlio mio, io so vecchio, aggio chiacchierato cola maitresse: i’ femmene se son pigliati i marinari; e poi di prima mattina aggio fatte susà tutte quante….. e siamo partiti per Calais. Mannaggia alla noce!

- Comandante, ma come metterete in conto codeste spese di casermaggio?

- No’ metto in conto niente : aggio pagato di sacca mia tutte cose, i’donne, u’sciampagna, tutte cose…………

Io ridevo a crepapelle; il buon Cafiero rideva anche lui. E certo che pensandovi su credo fermamente, che nella storia aneddotica del mare, il caso di un comandante che porta il suo equipaggio a passo ordinario ed in quadriglia, ufficiali in testa, in un tempio di Venere Pandemia, sia unico; e dovette toccare a Ferdinando Cafiero.

Mi raccomandò di non dirlo a nessuno; ma era tanto comico che non seppi trattenermi dal riferirlo all’amiraglio Boyl che ci si divertì immensamente; è giusto aggiunga che sapevo quale stima nutrisse l’amiraglio per Cafiero; quindi giocavo una carta sicura.

Cafiero si mantenne uguale a sé stesso sino all’istante in cui per ragioni d’età andò in ritiro. In lui morì il tpo di marinaro pratico, l’esemplare omai scomparso di quella gente che aveva un sesto senso, il senso navale: questo niun libro lo insegna, niuna scuola lo educa. Si nasce col sesto senso, come coi capelli biondi o bruni. Una marina in cui gli avventurati possessori del senso navale abbondano è invincibile. Non ho più dimestichezza cole marine estere d’oggi; non so dunque se la inglese sia sempre la più eletta. Ma ogni qualvolta nello studio della storia mi imbatto nei vittoriosi compagni di Howe e di Nelson riscontro che il senso navale li condusse al finale trionfo.

Non voglio lasciare il mio Cafiero senza riferire una delle sue scaltrezze. Non gli garbava punto dover richiamare severamente i suoi dipendenti all’adempimento dei loro doveri, pur esigendo a bordo un servizio inappuntabile. Molto giustamente pensava che la vita giornaliera d’una nave dipende dal come è stabilito il servizio del mattino : la guardia della diana è la base della giornata. Ciò posto, per essere certo che l’ufficiale in secondo avrebbe sorvegliato quella base, egli (che andava a letto all’ora dei polli) ogni mattina alle quattro chiamava il camera il suo secondo, gli faceva servire una tazza di moka degna d’un re, e un bicchierino di cognac, gli dava un buon sigaro d’avana e le consegne. <<Quando sarai comandante fa come me >> mi disse un giorno: e se fossi diventato comandante avrei seguito il prezioso consiglio, come altri di quel bravo uomo, che per idee dominanti e stolide non fu promosso ammiraglio in servizio attivo.

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