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Le Piccole Patrie Italiane


marat

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A margine della discussione su Garibaldi, e comunque a dimostrazione di come si possa riflettere con pacatezza su questioni amarissime, mi piace riportare la seguente risposta data da Sergio Romano ad una domanda sulla sopravvivevza del sentimento di Patria nel nostro Paese.

Il testo è ripreso dal sito web del Corriere della Sera in data odierna.

 

" Caro Cito Filomarino, al momento della formazione del Regno, nel 1861, il concetto di patria italiana era minoritario, estraneo alle grandi masse rurali della penisola e alle aristocrazie locali, generalmente devote al papa o ai sovrani degli Stati preunitari. Sappiamo che l'idea di patria nasce e si rafforza sui campi di battaglia. Ma le molte guerre italiane, dopo l'Unità, si lasciarono spesso alle spalle una lunga scia di polemiche, tensioni sociali, recriminazioni. Vi furono alcuni momenti di grande entusiasmo nazionale - la conquista di Tripoli nel 1911, Vittorio Veneto, e l'ingresso ad Addis Abeba nel maggio del 1936 - ma preceduti e seguiti da vicende che dimostrarono quanto la patria italiana fosse ancora una costruzione fragile e delicata. Non conosco altri Paesi europei in cui le sconfitte (Adua nel 1896, Caporetto nel 1917, l'armistizio dell'8 settembre 1943) siano state festeggiate con altrettante manifestazioni di rabbioso piacere. Ancora oggi mi capita di leggere articoli e libri in cui le pagine peggiori della storia nazionale  Custoza, Lissa, i rovesci africani della Seconda guerra mondiale e la malaugurata guerra contro la Grecia nell'ottobre 1940  sono commentate con un visibile compiacimento. La fine del sogno risorgimentale (la «morte della patria », come la chiamò Ernesto Galli della Loggia) ha avuto l'effetto di una carica di esplosivo. La storia nazionale che avevamo faticosamente cominciato a costruire nella prima metà dell'Ottocento è andata in pezzi. Sulle sue macerie sono riapparse le molte storie regionali, municipali, ideologiche, confessionali o dinastiche di cui si compone la penisola. Non abbiamo una festa nazionale, capace di unire gli italiani intorno a uno stesso sentimento, perché il giorno del Palio a Siena, la Festa del Redentore a Venezia, San Gennaro a Napoli o Sant'Ambrogio a Milano sono infinitamente più importanti di qualsiasi giornata collettiva. Non abbiamo una memoria condivisa perché abbiamo tante memorie quante sono le diverse identità storiche della penisola. Per qualche tempo fu possibile sperare che gli italiani si sarebbero uniti nella costruzione di un Paese moderno, prospero, educato, e che in questo sforzo comune avrebbero creato una nuova identità. Ma anche la storia degli ultimi cinquant'anni purtroppo ha avuto le sue battaglie perdute. Penso, in particolare, a quelle contro la mafia, contro la corruzione, contro il regime oligarchico dei partiti e dei notabili. Anche se il fenomeno è particolarmente visibile in Italia, non siamo i soli tuttavia, caro Cito Filomarino, che soffrono di «mal di patria». Anche gli Stati più antichi dovrebbero avere capito ormai che nessuna nazione europea è in grado di esercitare alcuna influenza sugli affari del mondo e che soltanto l'unità dell'Europa può salvarci dall'irrilevanza. Credo che questo valga in particolar modo per gli italiani ".

 

 

 

 

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Visitatore Etna

Queste negatività italiane degli ultimi 50 anni sono una marcata polemica se non una voluta esagerazione.

I "difetti" italiani , ammesso che sia corretto definirli tali, affondano le loro radici negli albori della nostra storia.

Al governo di un paese ,inevitabilmente,approda una oligarchia potente e difficilmente controllabile.

Il senato romano era composto da ricche e potenti famiglie. Soltanto dopo tanti anni,il popolo riuscì a "piazzare" i propri tribuni,antesignani dell'odierna camera dei deputati.

Non passò molto tempo che i senatori trovarono le strade giuste per influenzare anche le decisioni dei tribuni del popolo.

Nella storia di Roma di Montanelli,Egli ci si sofferma volutamente,proprio per rimarcare l'atavicità delle odierne problematiche,impropriamente definibili "politiche".

La minorità che raccoglieva coloro i quali avevano sviluppato ante litteram un embrione di coscienza unitaria e nazionale,non era poi così tanto minoritaria.

Fin dall'inizio dell'800,in quasi tutte le regioni italiane si ebbero moti volti a rovesciare ognuno il proprio governo,indipendentemente che questi fosssero o meno "illuminati" e liberali. Più o meno sull'onda,non ancora reflussa,della rivoluzione francese.

Già nel 1813,Napoli fu protagonista di un tentativo del genere e che avrebbe potuto in qualche modo portare anzitempo ad una sorta di unità nazionale.Tornando ai nostri tempi,ovvero dall'inizio del 900,ho goduto della rarissima opportunità di prendere visione di alcune cronache relative al periodo immediatamente prima e dopo la II GM,al rientro in Italia di F.S. Nitti e delle Sue dichiarazioni nel merito della politica post bellica. Se riesco a salvare questi scritti dalle manie di pulizia della mia gentile consorte,proverò a postarne un sintetico e significativo rapporto.

Grazie Marat per i pregevoli spunti.

ETNA

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Non conosco altri Paesi europei in cui le sconfitte (Adua nel 1896, Caporetto nel 1917, l'armistizio dell'8 settembre 1943) siano state festeggiate con altrettante manifestazioni di rabbioso piacere.

 

Aggiungerei Nassiriya e, perchè no, anche le foibe...

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