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"Noi, eroi senza gloria"


QuartoMoro

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Nel corso della II Licenza "Da Vinci" i comandanti Juergen, Betasom, QuartoMoro, FMJackal, Keltos, Fly37, Junio Valerio hanno incontrato il sergente Alfio Intravaia, unico superstite del regio sommergibile Da Vinci.

 

Questo è il resoconto dell'incontro.

 

«Noi siamo degli eroi senza gloria: tutto quello che abbiamo fatto nell’Atlantico… l’oceano in tempesta che ci entrava dal petto e ci usciva dagli stivali durante i turni di vedetta… le ore trascorse in silenzio per non farci sentire dal nemico che inseguivamo di giorno per attaccarlo poi di notte… il nostro coraggio, l’incoscienza dei nostri vent’anni, i nostri sacrifici… nessuna gloria per noi». Ha i capelli bianchi Alfio Intravaia, se non fosse per quelli nessuno direbbe mai che ha passato da qualche anno l’ottantina. I lineamenti del suo volto, i tratti del suo sorriso, sono ancora come quelli della foto in bianco e nero che lo ritrae sulla torretta di uno dei sommergibili più gloriosi della Regia Marina: il Leonardo da Vinci. Alfio Intravaia è stato in servizio su quel battello durante tre delle sue missioni atlantiche. Era il “dottore” o così lo chiamavano tutti, «in realtà ero solo un infermiere, un sergente del reparto sanità di Marina, ma a quei tem-po su un sommergibile bastava per essere chiamati dottore».

Prima con Luigi Longanesi Cattani come comandante poi con Gianfranco Bazzana Priaroggia, ha vissuto da protagonista le fatiche e le gioie, gli atti di coraggio e le paure che caratterizzavano la vita a bordo. «Come quella volta che si ammalò il marinaio che era di turno ai timoni… mi dissero “Dottore si metta qui davanti a questa bolla e faccia attenzione se oscilla più su o più giù di questo valore. Se la bolla sale oltre questo nu-mero lei deve girare questa manovella in un senso, altrimenti la deve ruotare nell’altro”. Dopo nemmeno un’ora di navigazione sentii il comandante gridare “Chi accidenti c’è ai timoni!”, qualcuno rispose “Il dottore”, “Levatelo subito di lì” ordinò. In effetti il battello saliva e scendeva in continuazione». Gli occhi frugano nella memoria di un album di fotografie «Oppure c’è quella volta che mi misero di vedetta: due ore a scrutare con il binocolo novanta gradi di oceano. Avevamo la carta igienica per pulire le lenti quando si appannavano, per aiutare il tempo a passare ognuno di noi cantava una canzone delle sue parti.. All’improvviso vidi una sagoma, non sapevo nemmeno cosa fosse di preciso, so solo che gridai subito “Un coso! Un coso!” Salì l’ufficiale in seconda, disse “Dov’è sto coso?” puntò il binocolo e disse “E’ davvero un bel coso”. Era un bastimento da ottomila tonnellate armato. Il comandante Gazzana si consultò con l’ingegnere, non avevamo più siluri. Ma lui non si perse d’animo e disse “Lo attaccheremo a cannonate”, trascorremmo una notte intera a cannoneggiarlo, affondò solo all’alba”.

Ricordi della vita a bordo, nella quale una sessantina di persone che componevano l’equipaggio del Da Vinci diventano una famiglia. Gli ufficiali? «Non è vero che ci trat-tassero con distacco, che fossero una casta. C’era il rispetto quello si, ma quando ci si rivolgeva a loro sia a bordo che a terra li chiamavano “Signor Gazzana” o “Signor Rossi”. Erano bravi ufficiali ma soprattutto erano brava gente. Si diceva che i tedeschi a-vessero ordinato di sparare ai naufraghi o di abbandonarli dov’erano: i nostri ufficiali risposero che non se ne parlava proprio, che loro facevano la guerra al mezzo navale nemico e non ai marinai. Aspettavamo che si mettessero in salvo, gli indicavamo la rotta da tenere con le scialuppe ed i giorni di navigazione per raggiungere la terra ferma, se non avevano viveri gli lasciavamo una cassa di gallette. Qualcuno lo portammo a bordo, vivano e mangiavano con noi, usavano i nostri bagni. C’era una parola d’onore, loro si erano impegnati a non compiere nessuna azione di sabotaggio; noi ri-cevemmo l’ordine che al loro minimo tentativo di sabotarci dovevamo sparare».

Una vita di privazioni, di razioni, di cibo conteso alla muffa? Non sul Da Vinci «Noi mangiavamo bene, la nostra Marina ha sempre avuto buoni cuochi. Il pasto era uguale per tutti. Gli ufficiali mangiavano per conto loro, mentre il resto dell’equipaggio mangiava da un’altra parte ma tutti mangiavamo le stesse cose». Piccoli ricordi della vita di bordo: come quel grammofono che suonava solo quando lo azionava un certo mari-naio napoletano, quello stesso marinaio che aveva inventato un bicchiere con il doppio fondo e quando consegnava la razione di cognac alle vedette riusciva così a recupe-rarne buona parte; oppure quei marinai – ed erano tanti – affetti da malattie veneree – durante la navigazione facevano la cura, quando si rientrava a Betasom dopo un paio di mesi in missione erano guariti e pronti per prendersi di nuovo la malattia attraverso le signorine di Bordeaux; si cercava di mettere da parte qualcosa della propria razione per portarlo a casa «perché c’era la fame, ma sul treno che ci riportava in Italia passava la Guardia di Finanza a controllare che non avessimo preso nulla. Il comandante allora mise un marinaio di guardia agli ingressi delle carrozze dove viaggiavamo noi e diede ordine di non fare entrare nessuno, per nessuno motivo, finanzieri compresi». A Betasom non c’era rivalità tra equipaggi, i nomi degli eroi celebrati oggi erano celebri già all’epoca “Come il comandante Todaro e il comandante Fecia di Cossato” «Anche se non ne conoscevamo i dettagli, sapevamo che avevano condotto missioni ardite».

Alfio Intravaia è vivo per una decisione del destino. Il Da Vinci era già sul molo con l’equipaggio schierato, pronto a prendere il largo per quella che sarà la sua ultima mis-sione. Il comandante Gazzana Priaroggia lo chiamò e gli disse “Dottore, lei è stato as-segnato a Danzica. Vada al Comando e passi le consegne al suo sostituto”. «Di loro non tornò nessuno».

Lo avevano mandato a Danzica perché ormai era un sergente esperto, l’avevano assegnato ad uno dei nuovi U Boot tedeschi typ VII che il Reich ci dava in cambio dei nostri oceanici destinati a diventare “cargo sottomarini”. Fu a Danzica che lo sorprese l’armistizio dell’otto settembre ’43. «All’improvviso vedemmo i tedeschi puntarci i mitra contro. Il nostro comandante gli gridò se fossero impazziti, che eravamo alleati. Loro ci risposero che non eravamo più alleati, che l’Italia aveva firmato l’armistizio. Fummo disarmati, consegnati a bordo e ci vennero concesse ventiquattrore per decidere se vo-levamo darci prigionieri o collaborare con loro. Quasi nessuno sapeva cosa fare, gli uf-ficiali erano fedeli al Re, chiedemmo consiglio a loro. Ci dissero “La Patria non esiste più, il re è scappato senza lasciare ordini. Ora dobbiamo pensare a riportare la pelle a casa, se stiamo uniti abbiamo qualche speranza di riportarla». Decisero di collaborare: furono rimandati a Betasom, da qui a La Spezia. Poi arrivarono gli americani. Ci fu la liberazione. Una liberazione senza rispetto: men che meno per chi risultava avere fatto parte dell’esercito di Salò. «Fummo discriminati, ma noi aderimmo solo per non finire nei campi di concentramento. Non c’era nessuna convinzione ideologica, tutti sapevamo che la guerra era ormai perduta».

A ricordare quegli anni, oltre alle fotografie, ci sono quattro medaglie al valore. La Repubblica gli ha riconosciuto un vitalizio solo per due di loro. «Ma non mi posso lamentare, dopotutto sono anche io uno degli eroi senza gloria».

 

Copyright QuartoMoro

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Bello bellissimo , dopo aver letto il resoconto della storia del sergente Alfio Intravia sono rimasto commosso e nello stesso tempo ammirato.

 

lo saluto con grande rispetto .

 

 

 

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è stato un incontro che mi ha chiarito molte cose, mi hanno fatto pensare a lungo le parole del sig intravaia e sicuramente ci penserò ancora.

 

sono poche ancora le memorie della nostra patria che meritano di essere ricordate e raccontate, io ho avuto l' onore di sentire alcune tra le + significative.

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Una piccola aggiunta: so che molti aspettano una risposta a questa domanda. Non l'ho postata all'inizio perchè mi sembrava dissacrante. In ogni caso: a bordo dei nostri battelli era imbarcato ottimo vino, il sergente Intravaia ce lo ha confermato. Non ricordava se il nome fosse Spalletti o meno, ma ricordava per certo che fosse un ottimo vino.

 

Grazie ancora signor Intravaia.

 

QM

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è superfluo aggiungere altro a quello già detto dagli altri Comandanti, ma di sicuro l'incontro con il Sergente A. Intravaia è stato molto edificante.

 

Durante l'incontro il mio animo passava continuamente dalla commozione all'orgoglio di essere Italiano e di avere avuto "nonni" come il Sig. Intravaia. Di sicuro rimarrà in me molto, dopo questa esperienza.

 

Inoltre ho conosciuto persone schiette e appassionate, come me, a questa storia e vogliose di perpetrarla e di non lasciarle come parole su un libro, ma di guardare tra le righe e di tirare fuori verità ed eroismi nascosti.

 

Grazie a tutti voi!

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Comandante Quarto Moro, complimenti, te li fa un giornalista!!! Hai saputo trasmettere a tutti con il tuo resoconto, i fatti, le emozioni, le verità, le testimonianze emerse all'incontro con il nostro caro "dottore" Intravaia. Una cosa molto bella è che l ho sentito al telefono per ringraziarlo dell'ospitalità e lui commosso mi ha detto: che ragazzi in gamba, non li dimenticherò mai!

Mi unisco al dottore per esprimervi lo stesso pensiero... a voi RAGAZZI IN GAMBA, EROI SENZA STORIA del 2003.

fly37(Gianni)

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  • 4 weeks later...

Come partono le foto lo si punta la volo!

 

A proposito:

 

@Keltos: riesci a digitalizzare il filmino dell'incontro?

 

@QM: sai che figata fare l'emmepitrè della registrazione di intravaia?

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@Betasom: cinegiornale del raduno recuperato da cassaforte. Consegnato ad Istituto Luce per lavorazione.

 

Non l'ho mai fatto ma non penso sia una cosa difficile.

 

:s02:

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