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Quando Si Dice Il Cielo


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Titolo: QUANDO SI DICE IL CIELO

Autore: Dina TURCO

Edizioni: T.E.R.

Pagine: 176

Data di pubblicazione: 2001

Prezzo: Lire 22.000 (di copertina)

Reperibilità: difficile

 

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Don Bruno Falloni durante la seconda guerra mondiale è stato cappellano militare tra gli Alpini e, dopo l’armistizio, del Battaglione “Lupo” nella decima MAS di Junio Valerio Borghese.

La nipote Dina Turco ne racconta la storia, descrivendo con ricchezza di particolari e di aneddoti a volta crudi, a volta divertenti, altre volte commoventi un’esistenza vissuta con grande intensità di sentimenti e di azione.

“E’ stato solo un prete” scrive nella sua prefazione Sergio Nesi, ma con una storia umana ricca di vicende inconsuete per un prete.

Di carattere deciso e battagliero, don Bruno Falloni non sopportava ingiustizie e prepotenze e affrontava il suo ministero con serenità e grande forza d’animo, ispirato unicamente dall’adempimento del mandato sacerdotale e al di sopra di qualunque ideologia politica.

Si sentiva fratello in mezzo ad altri fratelli, senza distinzioni di rango o di stato, e il suo atteggiamento generoso ma anche fiero e dignitoso lo avevano fatto apprezzare dai superiori e amare da tutti.

Nel corso della sua vita e della sua esperienza militare numerosi furono gli episodi che ne sottolineano le doti di carattere, di umanità e di passione religiosa. Ordinato sacerdote il 7 giugno 1941, fu dispensato dal servizio di leva obbligatorio ma nel giugno del 1943 l’ordinariato militare di Roma lo assegnò al 35° battaglione Alpini della divisione “Julia” destinato sul fronte francese. Come cappellano militare rivestiva il grado di tenente con l’opportunità di godere di un trattamento migliore rispetto alla truppa. Tuttavia da subito evidenziò i tratti del suo carattere chiedendo di essere sistemato in caserma con i suoi “ragazzi” invece che in un ben più comodo albergo. A loro volle mantenersi sempre vicino anche in situazioni ed attività che ben poco avevano a che fare con il suo ruolo sacerdotale come quando riuscì, dopo varie insistenze, a far accettare la sua partecipazione ad un’esercitazione di tiro con la mitragliatrice che lo mise in evidenza come tiratore scelto!

All’annuncio dell’armistizio, catturato con tutti gli ufficiali del suo reparto, non cedette ai ripetuti tentativi di un ufficiale tedesco che cercava di umiliarlo, come prete e come italiano, imponendogli di raccogliere da terra lo sterco dei cavalli. Per tre volte si rifiutò e fu messo al muro, dove chiese l’ultima sigaretta. Ma per tre volte l’ordine di sparare non fu dato. I suoi nervi si mantennero saldi come la fede e lo spirito che lo animavano. Riportato nel gruppo dei prigionieri, sorrise per la stupidità del tedesco che si era fatto spillare tre sigarette.

Riuscito a fuggire insieme a molti dei suoi ragazzi dal vagone che lo trasportava in campo di concentramento, Don Bruno raggiunse Carpi. Qui il suo Vescovo rappresentandogli le ragioni profonde della Chiesa ed il dovere di difenderla dalla minaccia comunista, lo convinse a partire di nuovo verso il nord per sostenere uomini chiamati a combattere i propri fratelli.

Don Bruno, pertanto, fu inviato come cappellano militare per la R.S.I. nella Decima Mas di Borghese e nell’aprile del 1944 fu destinato al Battaglione “Lupo”.

Mise in evidenza le sue doti di carattere anche fra i marò, per i quali divenne una salda guida spirituale, morale e umana. Sempre pronto ad aiutare tutti, divenne ben presto una presenza necessaria.

Tanti sono gli episodi che lo videro protagonista e che contribuirono a farlo amare e rispettare dai suoi ragazzi nei quali era riuscito ad infondere fiducia e ammirazione.

Per consentire di celebrare le nozze di un marò del Lupo, riuscì con la sua influenza ad evitare per motivi di sicurezza la pubblicazione di matrimonio, pur preservando la validità dell’atto. Evento eccezionale, rimasto impresso nella pellicola dell’Istituto LUCE.

Con il suo forte ascendente, condito da un profondo senso di giustizia, convinse un marò a restituire al legittimo proprietario una preziosa collezione di francobolli sottratta in un’abitazione privata.

Tra i suoi ragazzi era sempre in prima linea pronto non solo a raccoglierne le confessioni ma anche a rincuorarli con la sua vena ironica nei momenti più tragici.

Dotato di spirito pratico, raccomandava ai marò in libera uscita di non andare con le donne sposate per non rovinare le famiglie. Si rendeva conto, infatti, che la richiesta di non andare a donne non avrebbe avuto senso e, soprattutto alcun seguito! Gli bastava che i suoi ragazzi non mettessero a repentaglio l’unità delle famiglie altrui.

Profonda fede e grande generosità lo muovevano a compiere azioni estremamente rischiose che mettevano a repentaglio la sua stessa vita, come quella volta che, sul fronte del Senio, lo videro con l’elmetto ben calcato in testa che andava da solo a recuperare la salma di un caduto per dargli degna sepoltura.

O le numerose volte che, sempre da solo e in mezzo al fuoco incrociato, venne visto mentre attraversava la passerella del Reno con in spalla sacchi di farina da portare ai civili affamati.

Alla fine della guerra decise di seguire i suoi ragazzi anche nei campi di prigionia di Algeri e Taranto. Dopo la liberazione dal famigerato campo “S” di Taranto i Vescovi di Carpi e Taranto decisero di “nasconderlo” al sud affidandogli alcune parrocchie della provincia di Taranto.

In questo modo gli avrebbero evitato di incappare, per i suoi trascorsi di cappellano della X MAS, nelle sanguinose rappresaglie delle bande comuniste che imperversavano nella sua Emilia. Meglio esercitare il ministero al sud piuttosto che andare al nord a farsi celebrare il funerale!

Vincendo qualche iniziale momento di diffidenza ed ostilità di chi non vedeva di buon occhio un prete “fascista” che era stato nella Repubblica Sociale, Don Bruno riuscì con il suo atteggiamento schietto e diretto e con le sue idee innovative a farsi amare anche dai suoi nuovi parrocchiani a Fragagnano, Torricella, Monteiasi e, per ultimo a Pulsano dove la morte lo colse improvvisamente il 20 febbraio 1963.

“E’ stato solo un prete” dice il comandante Nesi, ma senza volerne sminuire la figura e le gesta; al contrario.

Lo conferma quello che è il momento terminale dell’avventura di don Bruno: il 12 aprile 1997 nel piccolo cimitero di Pulsano la Marina Militare, ritracciatolo dopo che era stato dato per “disperso” alla fine della guerra, ha reso gli onori solenni davanti alla sua tomba con un picchetto armato, una grande corona di alloro e un trombettiere che suonava le struggenti note del silenzio.

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Che personaggi, quei cappellani.

Fra gli alpini - come don Falloni - mi piace ricordare un lontano parente, Padre Policarpo da Valdagno (al secolo Narciso Crosara), cappellano del battaglione "Tirano" in Russia. Dopo 8 settembre 1943 era a Padova, tornato in convento, quando seppe che in stazione c'erano treni di militari italiani prigionieri in procinto di partire per i lager. Andò dai tedeschi e disse che voleva andare con loro. Gli risposero non avrebbero certo fatto partire un frate. Tornò indietro, si mise l'uniforme, si ripresentò dai tedeschi. E questa volta potè partire.

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