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Sommergibile Ametista


LColombo

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Come promesso a Totiano, posto qui di seguito la storia del sommergibile Ametista, un lembo della cui bandiera di combattimento è oggi conservato nella Sala Cimeli della Scuola Sommergibili di Taranto:

 

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L’Ametista nel 1934 (g.c. STORIA militare)
 
Sommergibile di piccola crociera della classe Sirena (dislocamento di 678 tonnellate in superficie, 842 tonnellate in immersione).
Durante la seconda guerra mondiale effettuò complessivamente 27 missioni di guerra (18 missioni offensive/esplorative e 9 di trasferimento), percorrendo in tutto 15.619 miglia in superficie e 3246 in immersione, e trascorrendo 195 giorni in mare. Operò prevalentemente in Egeo, con base a Lero.
 
Breve e parziale cronologia.
 
16 settembre 1931
Impostazione presso i cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano, La Spezia.
26 aprile 1933
Varo presso i cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano. Subito dopo il varo, passa alle dipendenze del Comando Marina di La Spezia per i collaudi, l’allestimento e la consegna.

 
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L’Ametista all’interno dello scalo coperto del Muggiano, alcuni giorni prima del varo (sopra, da www.grupsom.com; sotto, da “Sommergibili italiani” di Alessandro Turrini ed Ottorino Ottone Miozzi, USMM 1999, via www.betasom.it
 
 
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1° aprile 1934
Entrata in servizio. Messo a disposizione dell’Ispettorato Sommergibili, viene assegnato alla III Squadriglia Sommergibili di La Spezia.
7 aprile 1934
Mentre esce dal cantiere del Muggiano per delle prove a mare, l’Ametista urta l’idrovolante numero 56, danneggiandolo.

 
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Tre immagini dell’Ametista in allestimento in banchina al Muggiano, nel 1934: nelle prime due (da “Sommergibili italiani” di Alessandro Turrini ed Ottorino Ottone Miozzi, USMM 1999, via www.betasom.it; e da www.marinai.it) accanto all’Ametista è ormeggiato il gemello Zaffiro (sulla destra), mentre nella terza (da www.marinai.it) l’Ametista è solo.
 
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1934
Compie una crociera d’addestramento con scali al Pireo, ad Alessandria d’Egitto, a Tobruk, a Bengasi, a Tripoli, ad Augusta, a Catania ed a Cagliari, concludendola con l’arrivo a La Spezia.
Per un periodo è imbarcato sull’Ametista il capitano di corvetta Primo Longobardo.

 
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L’Ametista (secondo da sinistra) ormeggiato ad Oneglia l’8 ottobre 1934, insieme a Zaffiro, Jantina, Rubino e Topazio (da sinistra a destra) (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)
 
13 agosto 1937
L’Ametista (tenente di vascello Adalberto Giovannini), inquadrato nel I Gruppo Sommergibili di La Spezia, salpa da Napoli per partecipare clandestinamente alla guerra civile spagnola, con una missione “speciale” di pattugliamento nelle acque di Capo Palos.
Nel corso della missione il sommergibile effettua dieci manovre d’attacco, ma non ne porta a termine nessuna, non avendo modo di identificare con certezza i suoi bersagli (le regole d’ingaggio, essendo i sommergibili italiani impegnati in una campagna clandestina e illegale che rischia di provocare qualche incidente internazionale, sono molto restrittive).
1° settembre 1937
Rientra alla base, terminando la missione.

 
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Ametista, Iride, Onice ed altri sommergibili “pirati” fotografati a Napoli nell'inverno del 1938, subito dopo il rientro da una missione clandestina in acque spagnole: sull’Ametista è ancora in corso la rimozione della pittura nera applicata per nascondere i nomi e rendere il sommergibile non identificabile (USMM)
 
1938
È comandante dell’Ametista, fino a luglio (quando sbarca per altro incarico), il tenente di vascello Emilio Olivieri.
Durante l’anno l’Ametista, inquadrato nella XII Squadriglia Sommergibili, compie un’altra crociera addestrativa in Mediterraneo.
5 maggio 1938
L’Ametista prende parte alla rivista navale "H" organizzata nel Golfo di Napoli per la visita in Italia di Adolf Hitler. Partecipa alla rivista la maggior parte della flotta italiana: le corazzate Cesare e Cavour, i 7 incrociatori pesanti della I e III Divisione, gli 11 incrociatori leggeri della II, IV, VII e VIII Divisione, 7 "esploratori leggeri" classe Navigatori, 18 cacciatorpediniere (le Squadriglie VII, VIII, IX e X, più il Borea e lo Zeffiro), 30 torpediniere (le Squadriglie IX, X, XI e XII, più le vecchie AudaceCastelfidardoCurtatoneFrancesco StoccoNicola Fabrizi e Giuseppe La Masa ed i quattro "avvisi scorta" della classe Orsa), ben 85 sommergibili della Squadra Sommergibili al comando dell’ammiraglio Antonio Legnani, e 24 MAS (Squadriglie IV, V, VIII, IX, X e XI), nonché le navi scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, il panfilo di Benito Mussolini, l’Aurora, la nave reale Savoia e la nave bersaglio San Marco.
La Squadra Sommergibili è protagonista di uno dei momenti più spettacolari della parata, nella quale gli 85 battelli effettuano una serie di manovre sincronizzate: dapprima, disposti su due colonne, alle 13.15 passano contromarcia tra le due squadre  navali che procedono su rotte parallele; poi, terminato il defilamento, alle 13.25 tutti i sommergibili effettuano un’immersione simultanea di massa, procedono per un breve tratto in immersione e poi emergono simultaneamente ed eseguono una salva di undici colpi con i rispettivi cannoni.
1939
Passa alle dipendenze del IV Gruppo Sommergibili di Taranto.
Gennaio 1940
L’Ametista, al comando del tenente di vascello Junio Valerio Borghese, viene utilizzato per sperimentare i siluri a lenta corsa (SLC, noti anche come “maiali”), i nuovi mezzi d’assalto subacquei sviluppati dalla I Flottiglia MAS (poi divenuta X Flottiglia MAS). Di conseguenza, l’Ametista diviene il primo sommergibile italiano ad essere modificato per trasportare gli SLC: sul ponte di coperta vengono installati dei supporti (“selle”) sui quali possono essere sistemati tre “siluri umani”, imbragati sulla coperta con dei cavi. A Bocca di Serchio (località situata vicino alla foce dell’omonimo fiume, nel comune pisano di Vecchiano), sede del centro d’addestramento della I Flottiglia MAS, l’Ametista esegue delle prove di fuoriuscita di subacquei da sommergibile immerso (posato sul fondo, a 20 metri di profondità), addestrando gli operatori degli SLC in questa operazione: i subacquei entrano nell’apposita garitta, che viene isolata ed allagata, indi fuoriescono dal sommergibile, raggiungono il bersaglio con un SLC, applicano la carica esplosiva e rientrano nel giro di due ore.
Successivamente, una volta raggiunto un grado soddisfacente di preparazione, il sommergibile viene impiegato in una simulazione di attacco con gli SLC contro la base di La Spezia, alla presenza dell’ammiraglio di squadra Ildebrando Goiran, comandante del Dipartimento Militare Marittimo dell’Alto Tirreno con sede appunto a La Spezia. Uscito in mare, nel Golfo di La Spezia, con gli SLC legati sulle loro “selle”, e portatosi nelle acque dell’isola del Tino (nella rada di La Spezia, davanti alla base navale), in una posizione adatta al rilascio degli SLC, l’Ametista si porta in affioramento, con il ponte appena sotto la superficie, e rilascia nottetempo i tre “maiali” (ciascuno dei quali condotto da due uomini), che vengono spinti in mare di lato e poi tentano di penetrare la base. Due di essi non ci riescono, a causa di problemi tecnici; ma il terzo sì, riuscendo dopo diverse ore – quasi all’alba – a penetrare nel porto ed a portarsi sotto lo scafo del vecchio incrociatore Quarto (radiato ed impiegato come bersaglio per l’addestramento degli incursori), all’ancora in rada, e ad attaccare sulla sua chiglia una finta carica esplosiva, senza che nessuno, sul Quarto o nel resto della base, si accorga di niente. Poi, escono dal porto senza che nuovamente nessuno si accorga di loro.
Il risultato di questa prova – la prima esercitazione di rilascio degli SLC da un sommergibile “avvicinatore” che dovrebbe portarli fino in prossimità della base nemica, dunque il primo vero “test” completo sull’utilizzo del nuovo mezzo d’assalto – viene giudicato molto soddisfacente, anche se sono stati evidenziati dei problemi da risolvere: la collocazione degli SLC su semplici supporti in coperta, in primo luogo, consente soltanto operazioni a breve raggio, ed è inadatta per lunghe navigazioni contro basi avversarie molto lontane dai porti di partenza dei sommergibili “avvicinatori”; inoltre, in quelle condizioni il sommergibile non può immergersi ad una profondità superiore ai trenta metri (a quota maggiore, la pressione danneggerebbe gli SLC), troppo poco nelle acque spesso limpide del Mediterraneo, dove potrebbe risultare visibile ad aerei nemici. In aggiunta a questo, il sistema di segnalazione concordato per agevolare il rientro a bordo degli operatori degli SLC (anch’esso sperimentato per la prima volta in questa prova), una sorta di radiofaro ad ultracorte che dovrebbe guidarli verso il sommergibile mediante dei segnali subacquei, non ha funzionato (anche se gli SLC sono riusciti ugualmente a tornare a bordo), e verrà per questo abbandonato, non venendo installato sugli SLC. Secondo alcune fonti, la decisione di rinunciare al sistema di rientro serve anche a sottolineare la volontà degli operatori di arrecare ad ogni costo quanti più danni possibile al nemico, rinunciando fin da subito all’idea di un ritorno: si decide che gli operatori dovranno usare tutte le loro energie per portare a termine l’attacco, concluso il quale non dovranno rientrare sul sommergibile (che eviterà così anche di tenersi troppo a lungo in acque pericolose), bensì raggiungere la riva, dove verranno poi nascosti ed aiutati da agenti italiani.
Il problema legato alla modalità di trasporto degli SLC, con la limitazione della quota d’immersione nonché l’eccessiva lunghezza e complessità del loro “rilascio”, verrà risolto nei successivi sommergibili “avvicinatori” (Gondar e Scirè) con l’installazione in coperta di appositi contenitori cilindrici stagni e pressurizzati, ognuno dei quali può contenere un “maiale” permettendone così il trasporto a qualsiasi profondità. (Secondo una fonte, anche l’Ametista sarebbe stato dotato di questi contenitori, ma ciò sembra poco probabile, dato che questo sommergibile fu soltanto usato per le prove con gli SLC a inizio 1940, dopo di che tornò al normale servizio di sommergibile “d’attacco”, mentre per il ruolo di “avvicinatori” in tempo di guerra furono scelti in successione Iride, Gondar e Scirè).
Dopo un periodo di utilizzo per le prove e l’addestramento degli SLC, l’Ametista ritorna, prima dello scoppio della guerra, al suo normale servizio “di prima linea”. Tutto è cominciato con l’Ametista, ma saranno altri sommergibili, durante il conflitto, a venire impiegati come avvicinatori per le incursioni della X Flottiglia MAS.
Per Junio Valerio Borghese, le prove eseguite durante il suo periodo di comando dell’Ametistarappresentano il primo incontro con la realtà dei “siluri umani”: durante la guerra, Borghese diventerà una figura di primo piano nella storia della X MAS, come comandante del sommergibile “avvicinatore” Scirè, poi come comandante del reparto mezzi d’assalto subacquei e poi come comandante, dopo l’armistizio, della X MAS della Repubblica Sociale Italiana.
1940
Viene dislocato per un periodo a Lero e poi trasferito a Messina.
Assume il comando dell'Ametista il capitano di corvetta Virgilio Spigai.
10 maggio 1940
L’Ametista (capitano di corvetta Virgilio Spigai), insieme ai sommergibili Jalea, Jantina, Delfino e Zaffiro, lascia Messina per trasferirsi nell’isola di Lero, la principale base navale del Dodecaneso. Il trasferimento dei cinque sommergibili è stato disposto per rinforzare le forze subacquee dislocate nel Dodecanso (sommergibili Tricheco, Squalo e Narvalo), in preparazione della guerra ormai imminente. Pochi giorni dopo i cinque battelli, attraversato l’Egeo, raggiungono la loro destinazione.
 
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Il capitano di corvetta Virgilio Spigai, comandante dell’Ametista dal 1940 al maggio 1942 (dalla copertina del libro “Lero”, dello stesso Spigai)
 
10 giugno 1940
All’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, l’Ametista (comandante capitano di corvetta Virgilio Spigai, che vi rimarrà per quasi due anni; comandante in seconda tenente di vascello Ottorino Beltrami) fa parte della LII Squadriglia Sommergibili (facente parte del V Gruppo Sommergibili), con base a Lero, che forma insieme a Zaffiro, Jalea e Jantina.
Lo stesso giorno l’Ametista prende il mare per la sua prima missione di guerra, un agguato nell’Egeo settentrionale, davanti allo stretto dei Dardanelli.
15 giugno 1940
Rientra alla base senza aver incontrato navi nemiche.
Luglio 1940
Nuova missione di pattugliamento in Mar Egeo.
In questo periodo ha inizio, a Lero, il razionamento dei viveri: dall’entrata in guerra fino alla caduta della Grecia e di Creta (aprile-maggio 1941), infatti, il Dodecaneso si ritroverà sostanzialmente sotto blocco navale, rifornito soltanto da qualche solitaria nave inviata ogni qualche mese con lo stretto necessario per allontanare lo spettro della fame. A Lero, comunque, la situazione è meno problematica che altrove, perché la Marina, a differenza dell’Esercito e dell’amministrazione civile, ha provveduto già da tempo a creare cospicue riserve di viveri per il proprio personale. Per il resto la vita a Lero trascorre monotona: la guerra sembra lontana, gli unici a vederla sono gli aerei ed i sommergibili, come l’Ametista, che “vanno a cercarla” al di fuori delle acque del Dodecaneso.
20 settembre 1940
Primo attacco aereo britannico su Lero; le bombe cadono tutte in campagna, senza provocare danni alle installazioni militari, nonostante le affermazioni contrarie dei bollettini britannici. L’unica vittima dell’incursione è un contadino greco, ucciso da una bomba insieme ad alcuni animali.
1-8 ottobre 1940
Inviato a pattugliare il Canale di Caso (tra tale isola e Creta), a levante di Creta, insieme ai sommergibili Gemma e Tricheco, per sorvegliare gli accessi al Mar Egeo con provenienza da sudest. In questo sbarramento l’Ametista occupa il settore centrale, mentre Gemma e Tricheco pattugliano rispettivamente i settori settentrionale e meridionale. L’Ametista non avvista unità nemiche.
13 ottobre 1940
Durante un violento bombardamento aereo notturno (presumibilmente sulla base di Lero), rimangono uccisi il secondo capo meccanico Enrico Castellaro (29 anni, da Venezia) ed il capo meccanico di seconda classe Luigi Martano (35 anni, da Torino), entrambi appartenenti all’equipaggio dell’Ametista.

 
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L’Ametista in un dipinto del pittore Rudolf Claudus
 
Novembre 1940
Nuovi bombardamenti britannici di Lero: questa volta i bombardieri, Fairey Swordfish guidati dal tenente di vascello Richard W. V. Hamilton dell’819th Squadron della Fleet Air Arm (che in tempo di pace aveva soggiornato a Lero come turista, il che gli aveva permesso di osservare le installazioni militari presenti nell’isola), conducono un attacco a quota radente col favore del buio, cogliendo di sorpresa le difese italiane, e riescono ad infliggere danni considerevoli alle installazioni a terra, provocando una quarantina di vittime e centrando con due bombe anche la caserma per gli equipaggi dei sommergibili. Non subiscono invece alcun danno le unità navali, sommergibili compresi.
Qualche giorno dopo, i bombardieri britannici tornano alla carica, sempre guidati da Hamilton: questa volta, però, le difese sono in allerta e tendono agli assalitori una trappola, lasciando che si avvicinino a sufficienza prima di aprire il fuoco. L’aereo di Hamilton viene abbattuto dal tiro della batteria 306, schiantandosi con la morte del pilota e di tutto l’equipaggio; altri aerei sono colpiti e vengono visti cadere in mare. Da parte italiana non vi è alcuna perdita.
Il giorno seguente, i resti del tenente di vascello Hamilton e dei suoi uomini vengono sepolti nel cimitero di Temenia con solenni onoranze. Questo fallimento segnerà, per parecchio tempo, la cessazione degli attacchi aerei britannici su Lero.
Inizio dicembre 1940
Altra missione in Egeo.
3 dicembre 1940
“ULTRA”, il servizio britannico di decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse, intercetta e decifra un messaggio radio tra Roma e Rodi del 1° dicembre, informando l’Ammiragliato britannico (che a sua volta lo riferisce al comando della Mediterranean Fleet) che «l’Ametistaavrebbe completato il suo pattugliamento alle 22.00 del 6 e sarebbe rientrato a Rodi la mattina dell’8». Ciononostante, la missione del sommergibile si concluderà senza che si abbiano a registrare attacchi nemici.
1941
Sottoposto a lavori di modifica (?).
Aprile 1941
In seguito ad un’uscita in mare della Forza H da Gibilterra, l’Ametista ed altri due sommergibili, Giovanni Da Procida e Marcantonio Colonna, vengono inviati nel Golfo di Genova per ricerca notturna delle forze nemiche.
22 giugno 1941
Alle 12.06 l’Ametista, in uscita da Napoli – nel corso di un viaggio di trasferimento da La Spezia ad Augusta – passando attraverso la Bocca Piccola con rotta sud, viene avvistato a 4570 metri di distanza dal sommergibile britannico Severn (capitano di corvetta Andrew Neil Gillespie Campbell), che lo identifica come un sommergibile classe Argonauta e stima che sia diretto verso Messina. Alle 12.29, in posizione 40°25’ N e 14°24’ E (a sud del Golfo di Napoli), il Severn lancia due siluri da appena 820 metri di distanza; a causa di un’inaspettata accostata dell’Ametista poco prima del lancio, il sommergibile britannico ha dovuto modificare frettolosamente i preparativi per il lancio, passando da un attacco da 460 metri ad uno da 820 metri. Comunque sia, entrambi i siluri mancano il bersaglio; l’Ametista prosegue senza accorgersi di essere stato attaccato.
3-14 luglio 1941
Inviato in agguato a nord di Ras Azzaz (circa 50 miglia a levante di Tobruk), attaccando infruttuosamente una formazione britannica.
Estate 1941
L’Ametista (capitano di corvetta Virgilio Spigai) viene dislocato a Messina per qualche tempo, venendo impiegato in alcune missioni antisommergibili (a protezione del traffico italiano contro i sommergibili britannici, che si fanno sempre più aggressivi) in cooperazione con aerei e MAS (è uno dei primi sommergibili a venire destinato a questo impiego, deciso dinanzi all’intensificarsi dell’offensiva subacquea britannica contro il traffico italiano). Quando però finalmente è stato raggiunto un buon grado di affiatamento con questi ultimi, l’Ametista viene tolto dall’attività antisommergibili, tornando alla normale attività offensiva.
Ottobre 1941
Inviato in agguato nel Canale di Sicilia, formando uno sbarramento insieme ai sommergibili Ambra, Corallo e Fratelli Bandiera, cui più tardi si uniscono anche Alagi, Diaspro, Serpente, Squalo, Turchese, Delfino (poi sostituito dal Luigi Settembrini) e Narvalo. Questo sbarramento non riesce però né a contrastare l’uscita in mare della Forza H, che il 10 ottobre esce da Gibilterra con una portaerei che lancia aerei da caccia per rinforzare le squadriglie di Malta, né il transito della Forza K, che il 21 ottobre si trasferisce a Malta dove stabilisce la sua base per le scorrerie contro i convogli italiani diretti in Libia.
2-5 dicembre 1941
In pattugliamento a sud di Creta.
Gennaio 1942
Insieme a Turchese e Galatea, l’Ametista forma uno sbarramento di sommergibili tra Tobruk e Ras Aamer.
Metà marzo 1942
Inviato in missione a sud di Cipro (od al largo della Palestina).
Aprile 1942
Inviato a Napoli per dei lavori di riparazione.
25 maggio 1942
Il capitano di corvetta Spigai lascia il comando dell’Ametista, assumendo invece quello dell’intero V Grupsom di Lero.
 
Una interessante relazione scritta dal comandante Spigai al momento dello sbarco dall’Ametista(Ufficio Storico della Marina Militare, via www.regiamarinaitaliana.forumgratis.org😞
 
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Luglio 1942
Compie una missione in Egeo, ma deve rientrare a Lero per riparazioni il 26 luglio.
La notizia del suo arrivo a Lero, ma non la ragione, è intercettata dai decrittatori britannici di “ULTRA”, che collegheranno inizialmente tale notizia con altri messaggi intercettati e decrittati negli stessi giorni, dai quali i comandi britannici hanno dedotto che si stia preparando un’operazione d’assalto con impiego di SLC contro una loro base navale. La deduzione è esatta – sono infatti in corso i preparativi per l’operazione «S.L. 1», un attacco di “siluri umani” contro Haifa che partirà proprio da Lero – ma gli uomini dell’Operational Intelligence Center (O.I.C.) sbagliano nel collegare le due notizie, ritenendo erroneamente che possa essere l’Ametista il sommergibile scelto per tale missione, e che a ciò debba collegarsi il suo arrivo a Lero (una nota in questo senso – «Possible human torpedo attack in Eastern Mediterranean – Submarine Ametista arrived at Leros at 1544 July 26th» – viene inviata dall’O.I.C. al primo lord del mare, ammiraglio Alfred Dudley Pound, e al comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Henry Harwood). Nuove intercettazioni “ULTRA” del 26 e 27 luglio, dalle quali risulta che l’Ametista si è recato a Lero per delle riparazioni, faranno però cadere i “sospetti” su questo sommergibile (il battello destinato a quest’operazione è infatti lo Scirè, che vi sarà affondato con tutto l’equipaggio).
24 settembre 1942
Inviato in pattugliamento a sud di Creta.

 
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Foto di gruppo dell’equipaggio dell’Ametista al rientro a Lero da una missione, nel 1942 (Coll. Giuseppe Russo, via Andrea Tirondola e www.issuu.com)
 
Dicembre 1942
Altro infruttuoso agguato nel Mediterraneo centro-orientale.
Nello stesso mese l’Ametista riceve un’ispezione al seguito della quale viene giudicato essere al 95 % della sua efficienza; la velocità massima in superficie ed in immersione risultano essere rispettivamente 13,6 nodi (rispetto ai 14 nodi di quando era nuovo) e 7,2 nodi (rispetto a 7,7), con una velocità di crociera in superficie di 9,8 nodi ed una velocità minima in immersione di due nodi; la quota massima d’immersione è di circa 80 metri. I maggiori problemi sono una certa rumorosità della pompa assetto centrale e delle linee d’assi, un forte scintillio del collettore dell’indotto poppiero e le mediocri condizioni degli idrofoni (mentre il resto delle strumentazioni, come segnalatori acustici e scandagli ultrasonori, risultano essere in buone condizioni). L’equipaggio è giudicato anch’esso in buone condizioni di efficienza. In generale, considerato l’intenso servizio di guerra, l’Ametista è ancora in condizioni piuttosto buone.
2 gennaio 1943
Muore a bordo dell’Ametista, nel Mediterraneo centrale, il sergente radiotelegrafista Carmine Cantone, di 24 anni, da Pomigliano d’Arco (Napoli).
Maggio 1943
In crociera antitraffico nel Golfo della Sirte.
 
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(da www.u-historia.com)
 
 
Autoaffondamento
 
Al momento dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, l’Ametista faceva ancora parte del V Gruppo Sommergibili di Lero (insieme ad Onice, Beilul e Sirena, nessuno dei quali, per vari motivi, era in quel momento a Lero), ma si trovava a Fiume, sede con Pola della Scuola Sommergibili, per un periodo di lavori.
Tale scuola, insieme alle unità dipendenti, era subordinata al comandante di Marina Fiume, il capitano di vascello richiamato Alfredo Crespi, che aveva alle sue dipendenze anche numerose unità di uso locale, della vigilanza foranea, dragamine ed unità assegnate ai trasporti costieri della 2a Armata, dislocata in Dalmazia. A Fiume al momento dell’armistizio si trovavano tre sommergibili (Ametista, Otaria e Ruggiero Settimo), la nave appoggio sommergibili Quarnerolo, l’incrociatore ausiliario Lazzaro Mocenigo, dieci navi mercantili (tra cui la nuovissima motonave Leopardi ed i piroscafi Iadera, Dubrovnik e Scarpanto) e diversi motopescherecci ed imbarcazioni minori (tra cui il grosso piropeschereccio d’altura Lanciotto Padre), oltre a varie unità in allestimento (torpediniere Spica, Fionda, Balestra e Stella Polare) od in lunghi lavori di grande manutenzione (cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, torpediniere Giuseppe Dezza e T 3) nei Cantieri del Quarnaro.
La difesa della città e del porto era affidata all’Esercito: comandante delle difese di Fiume era il generale Michele Rolla, dipendente dal V Corpo d’Armata del generale Antonio Squero, a sua volta facente parte della 2a Armata del generale Mario Robotti.
Il generale Robotti, sulla base della «Memoria OP 44 » (direttiva emanata il 2 settembre 1943 ai Comandi superiori dal generale Mario Roatta, capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, in cui si prescriveva di reagire con le armi se le truppe tedesche, dopo l’armistizio, avessero tentato di impossessarsi delle installazioni militari italiane e di sopraffare le unità italiane), aveva dato disposizioni improntate ad una decisa resistenza alle forze tedesche; ma assurdamente, nella notte tra il 9 ed il 10 settembre – come se la confusione non fosse già sufficiente –, a seguito di una riorganizzazione della 2a e 8a Armata decisa prima che fosse nota l’imminente dichiarazione dell’armistizio, Robotti venne sostituito dal generale Gastone Gambara. Quest’ultimo, contrariamente a quanto ordinato dal suo predecessore, trattò immediatamente la resa delle sue truppe (le trattative furono avviate il mattino del 10 settembre e concluse nel pomeriggio), consegnando Fiume ai tedeschi senza opporre resistenza.
A seguito delle trattative coi tedeschi, Gambara ordinò al comandante Crespi di evacuare tutte le unità navali presenti a Fiume – imbarcandovi personale e materiale dell’Intendenza – entro la mezzanotte del 10 settembre, dato che l’accordo prevedeva che i primi reparti tedeschi giungessero in città l’11. In realtà, dato che le truppe tedesche incontrarono resistenza sia da parte dei partigiani jugoslavi (che sin dalla sera dell’8 avevano iniziato ad interferire con le autorità italiane, dapprima occupando temporaneamente alcuni fortini ed affermando di volersi sostituire alle autorità italiane, quindi assumendo il controllo di Sussak e disarmando le truppe italiane in transito verso Fiume) che da una parte delle truppe italiane, attenutesi ai precedenti ordini del generale Robotti, i tedeschi giunsero a Fiume solo il 16 settembre 1943.
Stretto tra i tedeschi da una parte ed i partigiani jugoslavi dall’altra, il comandante Crespi (con l’assistenza del colonnello di porto Corsi, comandante del porto, che sovrintese all’organizzazione delle partenze) fece partire ogni natante in grado di navigare entro l’una di notte dell’11, imbarcando su ognuno quante più persone possibile: il mare era l’unica via possibile per lasciare la città, essendo del tutto interrotti i collegamenti con l’interno.
 
Su ordine del locale Comando, pertanto, l’Ametista – al comando del sottotenente di vascello Luigi Ginocchio – lasciò Fiume già la sera del 9 settembre, diretto verso sud; fece inizialmente rotta per Ancona.
(Secondo il libro "Palombari dorici", l’Ametista e l’altro sommergibile che raggiunse Ancona, il Serpente, avevano ricevuto inizialmente l’ordine di trasferirsi a Cattaro, ma questo sembra poco probabile. I due battelli si sarebbero fermati ad Ancona per avarie; secondo un articolo a firma dell’ammiraglio Rudy Guastadisegni, l’Ametista si trovava a Fiume per delle riparazioni, e la loro interruzione a causa dell’armistizio e della frettolosa partenza da quel porto lasciò il sommergibile in precarie condizioni di efficienza, con avarie che resero poi difficile la prosecuzione della navigazione).
Durante la navigazione, nel tardo pomeriggio del 10 settembre, il sommergibile incontrò il Gruppo Navi Scuola – composta dai velieri Amerigo Vespucci, Cristoforo Colombo e Palinuro, provenienti da Trieste e diretti a Brindisi con tutto il personale dell’Accademia Navale – col quale ebbe uno scambio di messaggi; secondo una fonte l’Ametista informò le navi scuola “che tutta la città di Ancona era sotto attacco dei Tedeschi e che erano lì per difendere con tutti i mezzi possibili la città”, secondo un’altra il comandante Ginocchio riferì al comandante del Gruppo Navi Scuola, capitano di vascello Sebastiano Morin, “che la città [Ancona] era in mano tedesca e che il sommergibile stava per autoaffondarsi per non cadere in mano nemica”. Così descrisse l’incontro il cadetto Giovanni Zamparelli, imbarcato come allievo sulla Colombo: «Ore 17,40: si avvista un sommergibile di nazionalità sconosciuta. Il sommergibile accosta decisamente verso di noi; noi si accosta per allontanarsi. Un mercantile che è nelle vicinanze accosta a tutta forza per fuggire. Ore 18,40: si riconosce che il sommergibile è di nazionalità italiana e che è l’Ametista. Il Vespucci ferma le macchine ed il sommergibile dirige sotto bordo; mi pare fermiamo. 19,15: Il comandante torna a bordo ed il sommergibile mette in moto. L’equipaggio è schierato in coperta. Squilla l’attenti e da bordo e dal sommergibile echeggia il grido di “Viva il Re!”. L’Ametista si allontana fra uno sventolio di berretti, solo sul vasto mare nell’indecisione del momento. Siamo tutti un po’ commossi».
L’Ametista raggiunse Ancona alle tre di notte dell’11 settembre (per altra fonte, quel mattino). Il porto dorico – sede di un Comando Marina retto dal capitano di vascello Umberto Menegali e di una Capitaneria di Porto retta dal colonnello di porto Carlo Pumo – era affollato, in quei giorni, da navi di ogni tipo e dimensione che vi stavano affluendo da tutti i porti dell’Alto Adriatico nella confusione seguita all’armistizio: oltre all’Ametista, tra il 9 ed il 13 settembre approdarono o passarono per Ancona un altro sommergibile (il Serpente, proveniente da Pola e giunto ad Ancona alle 7.30 dell’11), ben 22 piroscafi, tre MAS (MAS 432, MAS 451 e MAS 516), due navi ausiliarie (l’unità per vigilanza foranea F 95 San Giorgio ed un’altra unità non meglio identificata se non come "S 88"), due rimorchiatori (Nettuno e Ragusa), decine di motovelieri e motopescherecci, per un totale di quasi sessanta unità, che si aggiungevano a quelle già presenti in quel porto al momento dell’armistizio (la nave ospedale Principessa Giovanna, il panfilo reale Savoia, l’incompleto incrociatore leggero Ottaviano Augusto, qualche piroscafo, i sommergibili tascabili CB 11 e CB 12 e dodici dragamine ausiliari della locale Flottiglia Dragamine, suddivisi in tre squadriglie). Quasi tutti, ad eccezione dell’Ottaviano Augusto (non in grado di prendere il mare perché ancora incompleto), del Savoia (che si trovava in disarmo), del piroscafo Nennella e di qualche unità minore, proseguirono verso sud prima che le truppe tedesche occupassero Ancona il 14 settembre.
L’Ametista lasciò Ancona alle tre del pomeriggio del 12 settembre, insieme al Serpente (tenente di vascello Raffaello Allegri): i due sommergibili avevano ricevuto ordine da Marina Ancona di raggiungere Taranto (secondo altra fonte, la destinazione dell’Ametista era Brindisi). L’Ametistaaveva a rimorchio il sommergibile tascabile CB 11 (sottotenente di vascello Duilio Bena), mentre il Serpente trainava il CB 12 (sottotenente di vascello Riccardo Valles).
Nell’ordine di Marina Ancona era stato specificato che le clausole armistiziali escludevano la cessione delle unità agli Alleati e l’ammainata della bandiera, ma il comandante Allegri del Serpenteera comunque contrario all’idea di consegnare il suo sommergibile all’ex nemico: di conseguenza, poco lontano dal porto di Ancona, il Serpente mollò il rimorchio del CB 12 e si fermò, subito imitato dall’Ametista; i quattro sommergibili rimasero immobili per un breve momento, poi il Serpente si autoaffondò, mentre l’equipaggio veniva trasbordato su un peschereccio di passaggio, che Allegri aveva intanto chiamato.
Il sottotenente di vascello Ginocchio, al comando dell’Ametista, era un giovane ufficiale che al momento dell’armistizio stava seguendo il tirocinio di comandante; il tenente di vascello Allegri, autoaffondando la sua unità, gli disse di fare come credeva. Il comandante del CB 12, sottotenente di vascello di complemento Valles, cercò di convincere Ginocchio a non autoaffondare il suo sommergibile, ma alla fine questi decise di seguire l’esempio di Allegri: l’Ametista si autoaffondò a sua volta, alle 19.30 (altra fonte parla delle 17 o 17.30), a circa cinque miglia da Numana (secondo "Navi militari perdute" dell’U.S.M.M.; il libro "Palombari dorici" precisa invece la posizione dell’autoaffondamento come 7 miglia a nordest di Numana, all’altezza del Monte Conero); il suo equipaggio, preso a bordo da un altro peschereccio, venne sbarcato a Numana. I due sommergibili tascabili proseguirono allora da soli, raggiungendo Taranto come ordinato dopo uno scalo intermedio alle Isole Tremiti.
Tra i pescatori di Numana che recuperarono l’equipaggio dell’Ametista dopo l’autoaffondamento c’era anche Valerio Biondi, all’epoca appena quattordicenne (anconetano, si trovava sfollato a Numana), uscito in mare per partecipare alla pesca insieme allo zio. A decenni di distanza, questi avrebbe così ricordato la scena: i pescatori, a bordo di piccole barche a remi ed a vela, erano tranquillamente intenti alla pesca al largo di Numana quando d’un tratto – poco dopo il tramonto – comparve un gommone carico di uomini che, remando, si dirigevano verso la costa: uno degli occupanti rassicurò gli stupiti e intimoriti pescatori spiegando che erano sommergibilisti della Marina italiana, naufraghi del sommergibile Ametista, autoaffondato alcune miglia più al largo. La barca di Biondi e quelle degli altri pescatori li presero a bordo e li portarono a riva.
Alcuni siti Internet affermano che in questa circostanza vi furono tre vittime tra l’equipaggio dell’Ametista – Carmine Cantone, Luigi Martano ed Enrico Castellano –, ma si tratta di un’informazione errata, frutto di un equivoco: gli elenchi dei sommergibilisti italiani caduti nella seconda guerra mondiale, infatti, elencano tre caduti per l’Ametista, il che ha portato alcuni a ritenere erroneamente che si trattasse di uomini morti nel suo autoaffondamento, notizia poi “diffusasi” in vari siti Internet perché ripresa senza adeguata verifica. In realtà, i tre caduti dell’Ametista morirono tutti in vicende precedenti all’affondamento: Luigi Martano ed Enrico Castellano morirono il 13 ottobre 1940 per un bombardamento aereo, mentre Carmine Cantone morì il 2 gennaio 1943 in circostanze che finora non è stato qui possibile appurare. Non vi fu invece alcuna vittima tra l’equipaggio dell’Ametista in occasione del suo autoaffondamento.
A quanto risulta, Ametista e Serpente furono le uniche unità della Regia Marina ad autoaffondarsi, dopo l’8 settembre, perché in disaccordo con l’ordine di raggiungere porti controllati dagli Alleati.
 
La bandiera di combattimento dell’Ametista, per evitare che cadesse in mano straniera, venne divisa in vari pezzi che furono distribuiti tra l’equipaggio.
Sia il comandante Ginocchio che il comandante Allegri, una volta a terra, si diressero a nord, dove in seguito aderirono alla Repubblica Sociale Italiana, arruolandosi nella Marina Nazionale Repubblicana.
Altri membri degli equipaggi fecero scelta opposta; tra di essi il sottotenente di vascello Mario Luciano, dell’Ametista, che si nascose a Numana per sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi e vi rimase in clandestinità per qualche mese, finché, non essendo più possibile sottrarsi alle ricerche degli occupanti, decise di tentare di raggiungere l’Italia meridionale sotto controllo Alleato, dove sperava di poter tornare in servizio nella Regia Marina. Inizialmente era intenzione di Luciano di unirsi al tentativo di fuga intrapreso dall’ammiraglio Aldo Ascoli (il quale, congedato forzosamente nel 1938 a causa delle leggi razziali perché ebreo, s’imbarcò il 15 novembre 1943 su un motopeschereccio vicino a Porto Recanati, insieme ad un gruppo di parenti e conoscenti in fuga dai rastrellamenti nazisti, e riuscì a raggiungere il Sud Italia dove si mise a disposizione del governo regio, venendo reintegrato nella Marina ora cobelligerante con gli Alleati), ma il giovane ufficiale non riuscì a prendere contatto con quest’ultimo, pertanto dovette fare da sé: si procurò un piccolo, vecchio e malridotto cutter che faceva acqua, ne tamponò lo scafo come meglio poté ed il 25 gennaio 1944 salpò per il sud con un compagno, il sottotenente d’artiglieria Loris Lorenzetti del Regio Esercito. Il tentativo rischiò di finire male: tra il forte vento e lo stato sempre precario dello scafo, Luciano e Lorenzetti dovettero rinunciare, dopo aver tentato ripetutamente quanto inutilmente, alla navigazione a vela; lo scafo riprese a fare acqua ed i due ufficiali si dovettero dedicare unicamente all’aggottamento, per evitare di andare a fondo. La loro fortuna fu il fortuito incontro con la motosilurante italiana MS 31 (sottotenente di vascello di complemento Antonio Scialdone), operante con la Marina cobelligerante, che li avvistò mentre stava rientrando a Termoli dopo un infruttuoso tentativo di recuperare alcuni ex prigionieri britannici a Porto San Giorgio. La MS 31 avvistò il cutter di Luciano e Lorenzetti alle 00.45 del 26 gennaio: la piccola imbarcazione appariva alla deriva e faceva segnali di soccorso. Raggiuntala, la motosilurante prese a bordo i due ufficiali, e subito dopo il cutter, che ormai si era riempito d’acqua per metà, colò a picco portando con sé i loro bagagli. Inizialmente i due fuggiaschi e l’equipaggio della motosilurante, che aveva a bordo anche tre ufficiali britannici, si guardarono con reciproco sospetto: Luciano e Lorenzetti, infatti, temevano che la motosilurante che li aveva salvati fosse al servizio dei tedeschi, e si mostrarono inizialmente piuttosto riluttanti a rivelare la verità, raccontando invece di essere usciti a pescare e di essere stati poi sorpresi dal maltempo, una storia piuttosto inverosimile, che lasciò molto perplesso il comandante Scialdone. Fortunatamente, però, tra i “passeggeri” della MS 31c’era anche il maggiore del Genio Navale Paolo Tenti, capo servizio del Genio Navale della I Flottiglia MAS, che conosceva personalmente il sottotenente di vascello Luciano: i due si riconobbero ed a quel punto l’ex ufficiale dell’Ametista disse la verità sul come e perché si trovava lì. Ai loro salvatori, Luciano e Lorenzetti consegnarono parecchie lettere di conoscenti italiani e di ex prigionieri britannici fuggiaschi, incontrati in clandestinità, che avevano portato con loro. La MS 31raggiunse Termoli alle 5.45 del 26 gennaio e consegnò Luciano e Lorenzetti alle locali autorità britanniche, che li sottoposero ad interrogatorio e poi li mandarono nel campo di prigionia di Foggia. Una volta giunti al campo, i due ufficiali vennero ancora interrogati per altri ventiquattr’ore su ogni aspetto della loro disavventura, dopo di che vennero finalmente rilasciati e si poterono presentare alle autorità italiane, riprendendo immediatamente servizio nelle rispettive forze armate.
Altri uomini ancora cercarono semplicemente di fare ritorno alle proprie case, tra mille difficoltà: tra di essi il marinaio piemontese Giuseppe Russo, di 22 anni, imbarcato sull’Ametista dall’aprile 1942 (in precedenza aveva prestato servizio sul Medusa, affondato nel gennaio 1942 con due soli sopravvissuti: in quella occasione non si trovava a bordo perché fortunatamente ammalato), che da Numana raggiunse Torino con un travagliato viaggio a piedi durato ben due mesi e mezzo. Risultando “sbandato”, durante il resto della guerra avrebbe dovuto a più riprese nascondersi per scampare ai rastrellamenti condotti dalle SS a Vische, dove viveva, ed a Candia Canavese, dove lavorava. (Russo sarebbe sopravvissuto alla guerra ed avrebbe scritto, molti anni più tardi, un libro di memorie intitolato proprio “Regio Sommergibile Ametista – Ricordi di un marinaio da Torino a Lero e Ritorno”; a quanto risulterebbe è stato l’ultimo superstite dell’Ametista, spegnendosi nel 2016 all’età di 94 anni).
Molti uomini dell’Ametista vennero ospitati, rifocillati e nascosti dalle famiglie dei pescatori che li avevano raccolti dopo l’autoaffondamento e da altre famiglie di Numana e della vicina Sirolo, che procurarono loro anche degli indumenti civili ed aiutarono e guidarono coloro che intendevano attraversare la linea del fronte, a dispetto dei gravi rischi che correva chi assisteva quei marinai.
(Da quanto sopra risulta evidentemente destituita di fondamento l’affermazione, che si trova su qualche sito Internet, secondo cui tutto l’equipaggio dell’Ametista, eccetto il sottotenente di vascello Luciano, si sarebbe arruolato nella X Flottiglia MAS della R.S.I.).
Tra queste famiglie c’era anche quella del quattordicenne Valerio Biondi: dopo l’incontro coi naufraghi, infatti, il ragazzino accompagnò a casa il sergente elettricista Michele Granato ed un altro sottufficiale dell’Ametista, cui i suoi genitori fornirono abiti civili ed indicazioni su come raggiungere il sud nel modo più sicuro, superando le linee tedesche. Al momento di separarsi, i due sottufficiali da loro ospitati donarono loro, quale ringraziamento, un lembo della bandiera di combattimento dell’Ametista ed una fotografia dell’equipaggio in posa sulla coperta, pregandoli di averne cura. (Granato, sopravvissuto alla guerra ed emigrato in seguito negli Stati Uniti, avrebbe poi scritto dall’America una lunga lettera di ringraziamento alla famiglia Biondi).
La famiglia Biondi avrebbe gelosamente custodito la foto ed il lembo di bandiera fino all’autunno 1997, quando l’ormai sessantottenne Valerio – dopo aver letto sulla rivista dei sommergibilisti “Aria alla rapida” un appello lanciato dall’ammiraglio sommergibilista Rudy Guastadisegni (comandante della Scuola Sommergibili), che esortava chi possedesse documenti, immagini o cimeli li donasse alla Marina ed ai suoi musei, per evitare che andassero perduti – decise di donarli alla Marina. Biondi si rivolse al capitano di vascello Arrigo Riva, amico di famiglia, e per suo tramite contattò il capitano di vascello Andrea Toscano, comandante dei sommergibili della Marina Militare; il 31 gennaio 1998 Biondi consegnò il lembo della bandiera dell’Ametista e la foto dell’equipaggio all’ammiraglio Guastadisegni (che lo ringraziò per quanto fatto da lui e dai suoi pareti per aiutare gli uomini dell’Ametista 55 anni prima, consegnandogli anche una targa commemorativa), alla presenza dei comandanti Riva e Toscano e di tutti gli uomini della Scuola Sommergibili.
Il lembo della bandiera di combattimento dell’Ametista e la foto dell’equipaggio sono oggi esposti presso la Sala Cimeli della Scuola Sommergibili di Taranto.
 
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Sopra, il lembo della bandiera di combattimento dell’Ametista come appare oggi, conservato presso la Sala Cimeli della Scuola Sommergibili di Taranto. Sotto, la foto dell’equipaggio ed il racconto di Valerio Biondi (g.c. Marco Mascellani/www.betasom.it)
 
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Nel dopoguerra, gli ex comandanti di Ametista e Serpente vennero processati da un tribunale militare per il reato di «perdita di nave»; principale responsabile della decisione dell’autoaffondamento venne ritenuto Allegri (che aveva premeditato l’autoaffondamento del Serpente, usando come pretesto le sue non perfette condizioni di efficienza), mentre si giudicò che Ginocchio, giovane ed ancora “tirocinante”, fosse stato da influenzato nella sua scelta dal comportamento del suo superiore al comando del Serpente. Conclude in merito la storia ufficiale della Marina Militare: «Il procedimento, attraverso varie vicende giudiziarie, si concluse favorevolmente per loro, tenendo conto sia del loro onorevole passato di guerra, sia del disorientamento provocato nel loro animo dalla confusa e gravissima contingenza armistiziali, per cui male avevano apprezzato la situazione nonostante gli ordini chiarissimi ricevuti dal Comando Marina di Ancona». Il libro "Palombari dorici" di Luigi Borsini, esaminando la vicenda dell’Ametista e del Serpente, aggiunge ulteriori particolari sul procedimento giudiziario di cui furono protagonisti i due comandanti: alla fine della guerra Ginocchio ed Allegri furono arrestati e processati dal Tribunale Militare di Genova con l’accusa di disobbedienza agli ordini e di «perdita di nave»; in primo grado, nel febbraio 1949, vennero ambedue condannati a sei anni di carcere. Nel 1950 ebbe luogo il processo di appello, nel quale gli avvocati misero in rilievo la capacità ed il valore dimostrati in guerra dai due comandanti, e fecero notare che gli ordini erano di consegnare le navi agli Alleati, ma autoaffondare quelle obsolete ed inefficienti; fu messo in rilievo anche il disorientamento causato dalla confusa situazione dell’armistizio. Ciò portò, il 19 gennaio 1950, ad una riduzione di pena, con la condizionale.
(Un’ultima nota curiosa: mentre quanto sopra descritto risulta dal volume U.S.M.M. "La Marina dall’8 settembre 1943 alla fine del conflitto", che dice senza reticenze che Ametista e Serpente si autoaffondarono per scelta dei loro comandanti, il volume "Navi militari perdute", parimenti edito dall’U.S.M.M. ed appartenente alla medesima collana, afferma che l’Ametista si autoaffondò "per sopravvenute avarie che avrebbero creato difficoltà nel proseguimento del viaggio", e per il Serpentedice soltanto, seccamente: "Fu autoaffondato").
 
La radiazione dell’Ametista dal quadro del naviglio militare, nulla più che una formalità, avvenne il 27 febbraio 1947. Il riposo del sommergibile sui fondali dell’Adriatico non durò a lungo: nel dopoguerra un palombaro anconetano, forse Elso Tonnarelli, trovò per caso i relitti dell’Ametista e del Serpente – la cui esatta ubicazione non era nota – a 20-25 metri di profondità, sul fondale fangoso al largo del Conero, in una zona dove le forti correnti rendevano difficili le immersioni. Ciò non arrestò i propositi di recupero: per l’Ametista, si occuparono di questo le ditte Fattorini (impegnata nel dopoguerra nella bonifica dell’Adriatico dalle munizioni), Cacciari e Bevilacqua, con l’impiego di cinque palombari: tre anconetani, Fulvio Fattorini, Raffaele Fattorini e Rinaldo Bravi, e due triestini, tra cui Ernesto Trolis. Il relitto del sommergibile, nel giro di meno di sette anni, era già stato coperto per i due terzi dai sedimenti del fondale, e prima di poter procedere al recupero i palombari dovettero penare non poco per liberarlo dal fango che lo aveva riempito. Terminato questo primo e lungo lavoro, i palombari imbracarono l’Ametista con grosse catene (prelevate a Pola: in origine appartenevano alla corazzata austroungarica Prinz Eugen, demolita dopo la prima guerra mondiale) agganciate a dei cilindri di sollevamento, che vennero riempiti d’acqua e fatti affondare accanto al relitto, e successivamente riempiti d’aria pompata al loro interno: riemergendo, portarono con sé l’Ametista, sollevandolo dal fondale. I lavori di recupero del sommergibile furono funestati da un tragico incidente: durante il pompaggio dell’aria nei cilindri di sollevamento (iniziato da appena dieci minuti), la barca d’appoggio dei palombari, con a bordo il palombaro triestino Ernesto Trolis, 50 anni, ed alcuni marinai, si portò sulla verticale del relitto per calare Trolis, che avrebbe dovuto compiere un controllo subacqueo sull’andamento di quell’operazione. Durante l’avvicinamento, una delle quattro catene che trattenevano i cilindri di sollevamento si spezzò, ed il cilindro, parzialmente riempito d’aria e non più trattenuto dal peso del relitto, schizzò in superficie, colpendo la barca d’appoggio, che si trovava proprio sopra di esso, e spezzandola in due. Tutti gli occupanti, marinai e palombaro, caddero in mare: se per i marinai non si trattò di niente più che di bagnarsi i vestiti, tragica fu la sorte di Trolis, che aveva quasi completato la vestizione ed indossava tutta l’attrezzatura da palombaro, compresa la zavorra, ma non l’elmo. Appesantito dallo scafandro, precipitò verso il fondo, trascinando con sé anche il marinaio Gelso Alfonsi, della ditta Cacciari, che doveva fungergli da “guida” e che era rimasto impigliato con un polso nella cima di collegamento. Quando Trolis toccò il fondale, profondo venticinque metri, Alfonsi riuscì a liberarsi della corda ed a risalire in superficie, appena in tempo per non annegare; per Trolis, invece, non ci fu nulla da fare. Il suo corpo venne recuperato da un altro palombaro. I lavori di recupero vennero sospesi mentre si conducevano le indagini sul tragico incidente, la causa del quale venne individuata nel cedimento della catena.
Concluse le indagini, il relitto dell’Ametista venne risollevato, rimorchiato in porto e demolito nel 1950. I suoi resti andarono in fonderia; parte dell’acciaio dello scafo, ad elevato contenuto di nichel (ed il cui valore era lievitato con lo scoppio della crisi che avrebbe poi portato alla guerra di Corea), fu venduto alle Officine Pieralisi di Jesi.
 
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Ancona, 23 luglio 1950: il relitto dell’Ametista, ancora sommerso – a pelo d’acqua – ma sollevato dal fondale mediante cilindri di sollevamento (visibili nella foto), viene trainato dal rimorchiatore Cesare Davanzali. Sullo sfondo il Molo Sud del porto di Ancona ed il piroscafo Hermada, in attesa di demolizione (da “Palombari dorici” di Luigi Borsini, Litografia Bottega Grafica, Ancona 2004, via Marco Mascellani)
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