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Un brigantino di Napoleone è riemerso davanti a Marano

 

 

 

di Paola Colombo

Nell'aprile del 2001 i marinai di un peschereccio di Marano, l’Albatros, trovarono impigliato nelle reti un pezzo di artiglieria, un particolare tipo di cannone, detto "carronata", che fu in uso tra il 1790 e il 1850 sulle navi della marina militare britannica, prima, e poi anche di quella francese. Il mese dopo iniziavano le attività di scavo sottomarino che hanno consentito di individuare altre sette "carronate" e il nucleo centrale di un relitto.

 

Le coste dell’alto Adriatico, negli anni della dominazione francese, furono teatro di numerosi scontri tra la flotta inglese e quella napoleonica. Ma nella notte del 21 febbraio 1812, proprio al largo della laguna di Marano si svolse una vera e propria battaglia navale. Una seconda campagna di scavi, avviata lo scorso agosto e diretta da Carlo Beltrame, docente di archeologia marittima all’Università Cà Foscari di Venezia, ha permesso di stabilire con certezza che la carronata ritrovata proveniva dal relitto del brigantino napoleonico Mercure, esploso e affondato quella notte sotto i colpi delle navi inglesi.

 

Ne parliamo con Paolo Foramitti, storico da anni dedito allo studio degli eventi dell’età napoleonica in Friuli e delegato, per il Nord Italia, de Le Souvenir Napoléonien (e-mail confine@adriacom.it), un’associazione culturale che promuove lo studio della storia dell’età napoleonica.

 

Le fonti finora conosciute ci aiutano a ricostruire cosa accadde quella notte?

«Certamente. Dell’evento sono note ricostruzioni ottocentesche sia francesi, sia inglesi. Sappiamo con certezza che una flottiglia della marina inglese – composta dal vascello Victorious e dal brigantino Weasel – nascosta dalla nebbia attendeva alla fonda le navi della marina militare napoleonica. Il Rivoli, un grande vascello da 74 cannoni da poco costruito nell’arsenale di Venezia, aveva infatti appena preso il mare per completare il proprio equipaggiamento. Diretto probabilmente a Trieste, era scortato da tre brigantini, Mercure, Mameluck e Jena».

 

Uno scenario quasi da film, alla Masters and Commanders…

«Tutto sommato sì, anche se in questo caso la particolarità è che la battaglia avvenne di notte. L’eco delle cannonate, riportano le cronache del tempo, venne chiaramente avvertito dagli abitanti della zona costiera e creò grande allarme. Dei tre brigantini che scortavano il Rivoli, due si ritirarono dalla battaglia, mentre il Mercure, comandato dal capitano Palincucchia, affrontò il violento combattimento. Le cannonate del Weasel centrarono probabilmente la santabarbara; la nave esplose e affondò al largo di Punta Tagliamento. Degli oltre cento uomini dell’equipaggio solo tre, gravemente feriti, vennero recuperati dalle navi inglesi. Il vascello Rivoli continuò ancora a combattere ma, al largo di Grado, venne catturato. La nave e parte del suo equipaggio, che comunque aveva subito forti perdite, passarono in seguito in forza alla marina inglese. Napoleone fu molto contrariato per l’esito di questa battaglia che spostò decisamente a favore degli inglesi gli equilibri di forze nell’Adriatico, infrangendo le sue speranze di poter prevalere. Un altro duro colpo, sempre nel 1812, fu l’esplosione e l’affondamento, nel porto di Trieste, della fregata Danae, probabilmente a causa di un attentato inglese».

 

Cos’altro si sa di questo coraggioso capitano?

«Purtroppo nulla più del cognome che, a volte, è riportato come Palicucchia. Si presume che fosse di origine dalmata».

 

Cosa rende importante questo ritrovamento?

«Si tratta dell’unico relitto dell’epoca di una nave affondata in battaglia. Le carronate recuperate – finora sono quattro – sono inoltre pezzi davvero unici. Per ora sono conservate nell’Arsenale di Venezia, ma è speranza comune che, insieme agli altri reperti provenienti dalla zona degli scavi sottomarini, siano oggetto, oltre che di studio, anche di una mostra che sarebbe tra l’altro un’importante occasione di richiamo a livello di turismo. Vorrei però sottolineare in modo particolare un altro fattore finora sottaciuto. Il Mercure, a tutt’oggi, è il primo relitto ritrovato battente la bandiera della marina militare del Regno d’Italia. Dagli accertamenti compiuti è infatti emerso che il brigantino venne costruito per la flotta francese nel porto di Genova. Varato nel 1806, venne ceduto, tre anni più tardi, alla flotta della marina militare del Regno d’Italia che, ricordiamo, era retto dal figlio adottivo di Napoleone, Eugenio di Beauharnais».

 

Sappiamo altro del Mercure?

«Era un brigantino militare a due alberi. Questo tipo di imbarcazioni veniva impiegato per esigenze di scorta e sorveglianza. Lungo 32 metri e largo circa 9, era equipaggiato con 16 carronate e 2 cannoni e poteva raggiungere una velocità di navigazione di circa 9 nodi. Esistono ancora i disegni del progettista, mentre a Parigi, nel Museo della Marina, è possibile vedere un modellino d’epoca, in legno, del vascello Rivoli. Lo studio dei reperti provenienti dal relitto del Mercure può, a ogni modo, fornire agli studiosi importanti e dettagliate indicazioni su come effettivamente venivano costruite le navi».

 

Cosa differenziava le carronate dai cannoni?

«Le carronate avevano la canna più corta e consentivano, di conseguenza, una gittata minore, che era però compensata da un maggior calibro dei proiettili. Potevano recare danni ingenti alle navi avversarie. Furono introdotte alla fine del Settecento dagli inglesi. Si chiamano così perché vennero fuse per la prima volta, nel 1780, nelle fonderie Carron, in Scozia. I francesi le adottarono solo in un secondo tempo. Su una delle quattro carronate recuperate dal relitto è impressa la data, 1806, e Du Creusot, il nome della fonderia francese dove venne fusa. Questo ha consentito all’équipe diretta da Carlo Beltrame di identificare con certezza il Mercure».

 

 

LE CARATTERISTICHE DELLA NAVE DA GUERRA

 

Il Mercure fu messo in cantiere a Genova nel 1805 e fu terminato l’anno dopo a opera di Sané, il più famoso ingegnere navale di Napoleone. Si trattava di un brigantino da guerra con compiti di scorta, sorveglianza e collegamento. Lungo circa 32 metri e larco 9, aveva un dislocamento stimato tra le 400 e le 450 tonnellate e poteva toccare la velocità di 9 nodi. L’equipaggio era composto da 112 uomini.

Il relitto è costituito da un "tumulo" principale che è composto per lo più da pani di ghisa che erano usati come zavorra e da vari oggetti metallici. Tra questi vi sono anche munizioni, di vario calibro, chiavarde (grossi chiodi che collegavano i vari elementi dell’ossatura della nave) e chiodi di bronzo appartenenti allo scafo, nonché varie pulegge di bozzelli (carrucole) di manovre.

Al di sotto del tumulo è stato riportato alla luce un tratto di fiancata dello scafo. La carena è rivestita da una lamina di rame inchiodata, caratteristica protezione delle navi dell’epoca. Attorno al relitto poi giacciono quattro carronate. Altri tre pezzi d’artiglieria sono stati rinvenuti ad alcune decine di metri dal relitto. Nel corso della campagna svolta nel 2004 è stato, invece, possibile procedere al complesso recupero di ben tre delle otto carronate osservate.

 

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