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Nei Giardini Del Diavolo


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Dino CAMPINI

NEI GIARDINI DEL DIAVOLO : la storia inedita dei carristi della Centauro, dell'Ariete e della Littorio

Longanesi

1969

411 p. ; 12x19 cm.

Prezzo: diciamo trattabile; dai 15 ai 45 €, a seconda del libraio….

 

imagebookg.jpg

 

Campini era, nel 1942, capitano del 133° reggimento carri “Littorio”, IV battaglione. Ebbe successivamente ai suoi ordini, nella battaglia di Alamein, anche il battaglione e il reggimento, in conseguenza della perdita dei superiori. Combattè in Etiopia, Spagna, Albania, Africa Settentrionale (tutta, su e giù, fino alla Tunisia). Dopo la guerra, si dedicò con uguale impegno alla Storia dei Carristi e alla Storia dell’Arte.

“Nei giardini del diavolo”, com’è intuibile (era il nome dato ai campi minati intorno ad El Alamein), tratta prevalentemente la storia del 133° in Africa settentrionale, dopo averne però trattato ampiamente anche le attività in Albania. Testo decisamente corposo, non solo e non tanto per il numero di pagine, ma per la quantità di informazioni che vi sono annotate. L’autore attinge ampiamente sia alla propria personale memoria, sia ai diari di guerra e alle relazioni ufficiali; sembra che si sforzi di non dimenticare nulla e nessuno, di voler tramandare quanti più nomi, dettagli, località possibili, come se volesse in qualche modo garantire il ricordo di tutto (tra l’altro, con mia sorpresa, vi ho trovato citato più volte un cognome a me ben noto… :s10: .); ne fanno fede le 30 pagine di indice dei nomi, su due fittissime colonne in corpo minuscolo.

La lettura è perciò spesso piuttosto impegnativa, in ogni caso fondamentale per un approfondimento degli avvenimenti nella storia dei Carri , soprattutto in Africa settentrionale. Questo non toglie che il Campini non esiti a sparare colpi ruvidi e ben assestati verso ufficiali inadatti, con nomi e cognomi (cosa non dice di un certo col. Martinelli, per esempio!!!), sia verso certa arretratezza industriale (Rommel per sincerarsi della scarsa qualità dei nostri mezzi aveva fatto sezionare un motore ed era inorridito , p. 199), sia verso la strategia generale (La guerra nell’Africa settentrionale aveva questo particolare carattere: nessuno dei combattenti sapeva mai quello che doveva fare, chi c’era davanti, chi alle spalle, chi ai fianchi. Erano segreti noti soltanto ai comandi p. 310)

Scrive senza peli sulla lingua, con tono talvolta caustico, sferzante ( ma senza l’ amara ironia di Paolo Caccia Dominioni); soprattutto in Albania, certi incontri ed episodi hanno il piglio narrativo di un Lussu o di un Soldati.

Il testo è corredato di cartine e di molte foto (84 tavole f.t.,) alcune a doppia pagina (anche se di qualità generalmente scadente).

io ho una copia cartonata e telata, ma senza sovracopertina. EDIT.: trovata copertina in rete

Modificato da malaparte
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  • 4 weeks later...

Davvero un bel libro dove le vicende dei nostri carristi sono narrate in modo intenso ed esauriente da uno dei pochissimi comandanti di battaglione di carri M (i famosi M14/41 che non brillavano certo per le loro caratteristiche di corazzatura ed armamento) che non perirono nei combattimenti.

 

La lettura è perciò spesso piuttosto impegnativa, in ogni caso fondamentale per un approfondimento degli avvenimenti nella storia dei Carri , soprattutto in Africa settentrionale. Questo non toglie che il Campini non esiti a sparare colpi ruvidi e ben assestati verso ufficiali inadatti, con nomi e cognomi (cosa non dice di un certo col. Martinelli, per esempio!!!)

 

Quel certo colonnello Martinelli era proprio il comandante del 133° carristi, inquadrato nella divisione corazzata "Littorio", e Campini lo dipinge come un presuntuoso incapace, più pericoloso degli Inglesi.

Leggete un pò qui in che modo lo ritrae:".....Martinelli, una figura magra ma per nulla ascetica, dietro certa nervosa verbosità, dietro un velo di moschettierismo dumasiano pareva coltivasse ambizioni di carriera. Sono sempre i tipi patetici che ingannano. Aveva l'occhio inquieto e uno sguardo fisso ma non sufficientemente assorto. A El Daba il colonnello Martinelli, offrendomi un piatto di riso alla sabbia, mi aveva dichiarato aggressivo di essersi assunto nella vita due compiti: la difesa di Napoleone e la protezione dell'infanzia abbandonata. Mi guardava stranito attendendo che lo approvassi, che lo ammirassi, e io ero spaventato. Era un peronaggio intasato di fumosi filosofemi, temibile".

Tanto per chiarirne meglio la personalità ecco come viene descritta una delle sue prodezze che gli valse, insieme alla convinzione che le mitragliatrici delle torrette dei carri potessero distruggere l'aviazione inglese, il soprannome di "contraereo": "Un quadrimotore inglese da bombardamento, colpito forse nel cielo di Tripoli, arrancando era arrivato fino a El Daba dove, allo stremo, aveva tentato di atterrare sul bagnasciuga. Mentre si abbassava Martinelli gli aveva sparato alcune moschettate e si era convinto di averlo abbattuto. Inviò una circolare: "Come ho personalmente dimostrato, anche con un moschetto si può abbattere un quadrimotore". Più pericoloso degli inglesi quel colonnello, pericoloso come coloro la cui carriera è stata oppressa e che tentano di trovare, con qualche gesto, una via alla fortuna."

E poi, ancora, descrivendo uno scontro con corazzati inglesi: "Dopo un paio di chilometri si vedevano, sul fianco, i proiettili perforanti, piccole, velocissime sfere d'argento che solcavano l'aria, dirigersi su un gruppo di carri. Durante una sosta il colonnello Martinelli volle tenere un rapporto sotto le cannonate: disse cose inutili, voleva farsi notare."

 

Scrive senza peli sulla lingua, con tono talvolta caustico, sferzante

"Caustico e sferzante"; e come si fa a non esserlo di fronte a tali personaggi

 

Se non sono indiscreto, malaparte, qual'è il cognome a te ben noto citato da Campini? (e poi dicono che la curiosità è femmina... :s03: )

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Sono ancora una “recluta” in questa base e non conoscevo il tuo cognome.

Poi, dopo la gaffe e numerose altre navigazioni nel sito, ho colmato la lacuna.

Il capitano carrista Isacchini era quindi tuo padre?

A proposito mi sono già messo alla ricerca del tuo libro su Raimondo Franchetti (la storia delle nostre colonie mi appassiona molto) e non vedo l’ora di leggerlo. Fu lui che trovò in Dancalia i resti della spedizione Giulietti (che, per inciso, era di Casteggio, dalle mie parti), vero? Ricordo di aver letto qualcosa su un vecchio numero di Storia Illustrata

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