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Bagliori All'orizzonte


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Titolo: BAGLIORI ALL'ORIZZONTE

Autore: Alessandro F. KINEITH

Casa editrice: www.ilmiolibro.it - libro pubblicato dall'autore

Anno di edizione: 2010

Pagine: 481

Dimensioni (cm): 23 x 15

Prezzo originale: Euro 24,50

Codice ISBN : non presente perchè è un libro pubblicato dall'autore

 

 

In copertina:

Nel contesto della guerra del 1812, che vede fronteggiarsi gli Stati delle tredici colonie americane contro l’Inghilterra, emergerà la figura del Capitano Stephen Decatur che, oltre a combattere gli inglesi sul fronte del vasto oceano, dovrà dare la caccia ed un famigerato contrabbandiere di nome Capitano Griffith, che trasporta armi sul fiume San Lorenzo, per rifornire le tribù shawnee, sobillate da latifondisti locali per combattere i coloni Yankee lungo la frontiera fra il Canada e i monti Appalachi.

Ne emerge una storia avvincente in cui, uomini senza scrupoli, danno del filo da torcere a coloro che pongono l’onore al centro della propria vita.

 

 

Il mio commento:

E’ un bellissimo romanzo, ambientato nel 1812 su brigantini, fregate e velieri.

Il racconto è molto articolato e con una ambientazione storica; ha luoghi e situazioni diverse e molto ben raccontate nel dettaglio. Ci sono molti protagonisti che si intrecciano nella lunga storia.

Ho trovato molto bella la descrizione dei preparativi del veliero in vista della partenza. Dà l'idea del lavoro continuo e costante, della fretta, ma anche della precisione. Nulla è lasciato al caso.

A bordo c’è un guardiamarina molto simpatico che, ligio agli ordini, "corre" (anche se gli viene detto che non è necessario) a chiamare gli ufficiali richiesti dal Comandante. Durante la lettura si incontrano anche dei veri capitani, ufficiali degni d’onore che rispettano gli uomini d’onore.

Sono molto belle le scene della tempesta e della battaglia e quella del momento in cui gli uomini di vedetta, dalla coffa, in mezzo alla nebbia, avvistano una vela all’orizzonte.

In tutto il romanzo vengono descritti molto bene sia gli ambienti interni, sia l’esterno (la tempesta, il momento della nebbia), ed anche le situazioni, e tutto è molto curato nei singoli particolari momenti. E' veramente un bel romanzo.

 

Forse sarà colpa della Vespuccite, ma io mi sono facilmente ritrovata a bordo, vicino ai personaggi. Mentre leggevo mi sembrava di essere lì, imbarcata su bei velieri antichi e storici, in mezzo all’equipaggio.

Mi viene voglia di leggerlo nuovamente, per assaporare meglio certe scene che nella frenesia del racconto ho letto in fretta, proprio perché, per come erano descritte bene e per come coinvolgevano, richiedevano una lettura "veloce".

 

 

Nel sito che si occupa della stampa e della vendita (www.ilmiolibro.it) c'è un'anteprima delle prime pagine.

Ne riporto una parte, tanto per darvi un assaggino.

 

"Capitolo primo

Boston 1812

Timoty Bolton scese con cautela la scala oramai consunta che ad ogni passo scricchiolava rumorosamente sotto il peso della sua abbondante stazza; ed ogni volta che scendeva dalla sommità del soppalco dov’era relegato il suo ufficio sino al pian terreno, contava mentalmente i gradini... ben quattordici, compreso l’ultimo naturalmente. Dopo quella volta che distrattamente era inciampato cadendo rovinosamente giù a fondo scala, slogandosi la caviglia destra più contusioni varie, aveva preso questa abitudine. Quella volta il Dr. Patrick ebbe il suo bel daffare, nel costringere Timoty a star seduto su una comoda poltrona con la gamba appoggiata sopra uno sgabello, affinché non si gonfiasse come una zampogna o più di quanto non lo era di già. Timoty non era certo il tipo d’uomo che se ne stava seduto tranquillamente a poltrire, tutt’altro, e così in quei giorni di forzato riposo era divenuto il tormento di tutti coloro che gli orbitavano attorno. La moglie Elvira, che ad ogni sussulto di voce si precipitava al suo cospetto e i due figlioli: Paul ancora dodicenne e Tom, che oramai si faceva la barba da un bel po’ di anni e che aveva imparato a non ascoltare più di tanto quel vecchio brontolone di suo padre, quando sparava sentenze a destra e a manca.

Timoty, quel mattino di buonora si incamminò adagio tra gli scaffali ricolmi di mercanzie di vario genere sistemati a ridosso del muro sul lato sinistro e i sacchi di grano accatastati dall’altra parte; oltrepassò alcune ceste ricolme di patate ed altri numerosi barilotti ancora sigillati di aringhe sotto sale depositati a terra e si diresse verso il fondo del magazzino. Si accostò ad un piccolo tavolo sopra il quale era posto un lume a petrolio e lo accese, poi con fare quasi guardingo, prese dalla tasca destra dei pantaloni una grossa chiave e la infilò nella toppa della serratura, girò alcune mandate e aprì la porticina che dava nella cantina sottostante e si addentrò nel seminterrato buio, richiudendo la porta alle spalle. Là sotto, Timoty vi teneva le botti di vino, quello buono per intenderci; frutto di un paziente lavoro di pigiatura di uve selezionate dal suo amico Rolando, un contadino di origini italiane di poche parole, ma dotato di grande talento come vignaiolo. Giù in fondo alla cala semibuia, sopra una mensola posta sul lato sinistro, lontana da sguardi indiscreti, erano allineate le fiaschette di whisky. Timoty ne prese una e riuscì alla luce del giorno. Quel mattino si presentava piuttosto grigio e così, Bolton, pensò che qualche sorso di quel nettare non gli avrebbe fatto che bene anzi, avrebbe contribuito a sollevargli il morale. Ripose il lume sopra il tavolo lo spense, richiuse la porta a più mandate, rimise la chiave in tasca e ritornò sui suoi passi, prese la borsa di cuoio con gli incartamenti che in precedenza aveva appoggiata accanto ad una ruota del primo carro e salì a cassetta, bevve un sorso appoggiando la boccia sulla spalla destra tenendo la testa inclinata da un lato, poi richiuse accuratamente il tappo e la depose nell’apposito incavo alla sua destra, prese le redini in mano e intimò ai muli di muoversi.

“Hioù… forza belli, andiamo.”

Il carro si mosse piano seguito dagli altri tre, rispettivamente guidati da Tom e dai due uomini di fatica, Murdoc e Murrey, che già da tempo lavoravano per i magazzini Bolton. Il convoglio si avviò lentamente lungo il sentiero e uscì dalla proprietà varcando il cancello già spalancato;

 

*****

 

erano sorti i Comitati Governativi per i rifornimenti navali e Bolton, per l’appunto, faceva parte di uno di questi perciò, ogni qual volta riforniva qualche nave per conto del Dipartimento, inviava nella capitale i resoconti ben dettagliati delle derrate che consegnava a bordo, cosicché il signor Delano Opkins, il contabile preposto alla visone dei conti, ne controllava l’autenticità e provvedeva a saldare le fatture ai vari fornitori.

“Hioù… forza belli, vai Jim, tira bello, tira.”

Bolton era un uomo molto preciso e quando diceva che il tal giorno sarebbe arrivato coi rifornimenti, lui sarebbe arrivato. Così in quell’alba grigia che prometteva pioggia, egli stava dirigendo i suoi carri per raggiungere il pontile riservato alle navi da guerra, dove ad attenderlo vi era la United States, una magnifica Fregata da 44 cannoni che di lì a pochi giorni sarebbe salpata per l’Atlantico.

 

*****

 

Risalì a cassetta e diresse il piccolo convoglio col prezioso carico verso il molo e si fermò sottobordo alla Fregata.

“Ehilà della nave” esclamò a gran voce.

*** "

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