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Il Forte Di Bramafam


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Il forte di Bramafam, eretto sul costone omonimo al margine sud orientale della conca di Bardonecchia è considerata la più grande opera fortificata di fine ottocento delle Alpi Cozie; fu costruito alla metà degli anni 70 del XIX secolo per difendere il traforo internazionale del Frejus e lalinea ferroviaria Torino-Modane.

 

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Fra il 1883 e il 1889assunse l'aspetto di un vero e proprioforte dotato di diversi tipi di artiglieria.

 

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Nel 1892 una relazione del Deuxieme Bureau - il servizio di spinaggio francese - segnalava che il forte poteva ormai definirsi completo e che presto sarebbe stato dotato di artiglieria in cupola.

 

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Il Bramafam adottò infatti le prime installazioni corazzate impiegate dalle fortificazioni italiane; si trattava di affusti corazzati, prodotti dalla casa tedesca Gruson di Marburg, armati con un cannone calibro 120 mm.

 

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L'opera disponeva anche di quattro torrette a scomparsa Gruson per cannone a tiro rapido da 57 mm: si trattava di una torretta metallica che aderiva con la superficie superiore al piano della copertura; con un meccanismo a contrappeso la si poteva sollevare, far uscire la volata del pezzo, sparare e quindi farla tornare nella posizione originale.

 

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Gli obiettivi del forte, il cui presidio del tempo di pace superava le 200 unità, spaziavano sull'intera area di Bardonecchia, in particolare sugli sbocchi delle valli della Rho e del Frejus e verso il traforo ferroviario.

 

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Disarmato parzialmente nel corso della Prima Guerra Mondiale, il forte fu adibito a campo di prigionia per gli austriaci che lavoravano in zona alla manutenzione delle strade militari e della Galleria del Frejus; negli anni trenta l'opera venne integrata con la costruzione di due moderni centri di resistenza in caverna del Vallo Alpino e fu costantemente presidiata e armata.

Il 21 giugno 1940, nel corso dell'offensiva italiana contro la Francia, il forte fu bersagliato dai tiri dell'artiglieria nemica e delle bombe lasciate cadere da sette aerei francesi: i danni si limitarono però soltanto ad alcune strutture esterne.

 

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Nel settembre del 1943 venne occupato da un piccolo presidio tedesco che, per timore di colpi di mano dei partigiani, minò tutta l'area circostante; fu abbandonato dagli ultimi tedeschi in ritirata solo la mattina del 27 aprile 1945. Cessate le ostilità, in ottemperanza alle claudole del Trattato di Pace, il forte venne dismesso dall'Esercito e abbandonato al proprio destino.

Nel 1995 un gruppo di privati innamorato della propria storia e dei propri luoghi decide, come era già accaduto per il forte di Fenestrelle, di mettere mano all pietre e di restaurare il forte ottenendolo in concessione.

Il forte Bramafam dal 2005 è stato aperto al pubblico con le visite alle sue mostre, ed esposizioni attraverso la parte che è stata recuperata da alcuni volontari che fanno parte dell'associazione per gli studi di storia e architettura militare.

 

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Ogni oggetto esposto, comprese le suppellettili, panche, tavoli, porte e piastre corazzate sono originali, recuperate, restaurate ed esposte al pubblico grazie al lavoro dei volontari, inoltre la visita è accompagnata da un sottofondo musicale con inni e musiche d'epoca, soprattutto nella visita della trincea i visitatori sono coinvolti in un gioco di luci e suoni di battaglia, per meglio far capire l'atmosfera, la dura vita e spesso la morte patita dai nostri soldati, alpini, bersaglieri, fanti, generi etc in quei posti lontani da tutto e da tutti.

 

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La ricostruzione degli ambienti è davvero molto interessante e parte dall'ottocento fino ad arrivare alla seconda guerra mondiale, Giò, Gil e Ruben hanno potuto così vedere come si presentava il corpo di guardia, la sezione di mascalcia, la stanza dell'ufficiale di picchetto, l'ufficio ottocentesco del comandante del 6° Reggimento Artiglieria da Fortezza, la camerata truppa, l'infermeria, la mensa ufficiali, la cucina.

 

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Gli allestimenti inoltre sono abitati da 75 manichini, tutti vestiti con uniformi originali del Regio Esercito per gli anni che vanno dal 1885 al 1943, questa raccolta di uniformi rappresenta una delle più importanti collezioni esistenti.

 

libro sul forte

 

E' questo un museo storico che cresce di anno in anno, un luogo per cui vale la pena fare un giro, visitarlo e cercare di capire il perchè alcuni volontari con pochi mezzi ha deciso di non far morire un pezzo della nostra storia.

Se potete andatelo a visitare, ne vale la pena.

Per ulteriori informazioni vi rimando al sito dell'ASSAM che gestisce la fortezza

 

PS: Il bimbo delle foto non fa parte del museo, ma è Ruben il nipotino guerriero di Gil e Giò che ama le fortezze e le armi.

Modificato da gilbyit
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davvero bello, grazie gil!

ma devo correggerti, non è del secolo scorso bensi di secolo ancora precedente..... :s02:

 

sono interessanti quelle torrette a scomparsa, c'è qlc dettaglio sul funzionamento?

 

e comunque, al di sopra di tutto, la massima gratitudine e rispetto per coloro che hanno intrapreso questa iniziativa!

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davvero bello, grazie gil!

ma devo correggerti, non è del secolo scorso bensi di secolo ancora precedente..... :s02:

E' vero, ho corretto.

 

sono interessanti quelle torrette a scomparsa, c'è qlc dettaglio sul funzionamento?

 

Nel forte sono tutte smantellate, in alcune si può ancora vedere la base in metallo dove era incernierata la stuttura e le nicchie delle riservette sui muri, sul sito dei forti di genova, anche quelli dovrò visitarli prima o poi, ho trovato questa immagine esplicativa.

 

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Tieni presente che al Bramafam il sistema di contrappesi era molto più verticale rispetto a questo, ho acquistato un libro con tante foto al museo, credo che ci sia anche uno schema sabato quando rientro a Torino controllo (e intanto vi penso).

 

Ciao

Gil

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  • 10 months later...
Visitatore Salvatore Todaro

scusa ora vado, sono ermetico perchè gli argomenti sono un po lunghetti.

 

 

L’evoluzione delle tecniche costruttive delle fortificazioni, è sempre stata conseguente all’evoluzione delle armi da lancio prima e da fuoco poi.

Questa equazione assunse maggior valenza intorno al 1400, periodo in cui furono introdotte le prime rudimentali armi da fuoco in sostituzione di quelle da lancio, che imposero un totale ripensamento dei sistemi difensivi statici dell’epoca, e che vennero nei secoli costantemente migliorati e irrobustiti in base al crescente potenziale distruttivo delle artiglierie .

Il continuo avvicendamento delle modifiche strutturali e l’adozione di nuovi materiali costruttivi contro la sempre crescente minaccia dell’artiglieria, si acuì in modo particolare a partire dalla metà dell’800 a causa dell’avvento sui campi di battaglia delle artiglierie a retrocarica con anima rigata e cerchiatura della canna, su nuovi affusti e relative evoluzioni, insieme a nuovi proietti ed esplosivi ecc. (sistemi Cavalli, Wahrendorff, Armstrong, Rodmann, Bianchi, Lancaster, Woolwich, Lenk, Withworth, Congréve ecc).

Tali novità imponevano una ulteriore profonda revisione nell’assetto delle piazzeforti e nell’ordinamento costruttivo delle singole opere fortificate costituenti i campi trincerati. Ciò avveniva a causa della maggiore gittata delle bocche da fuoco (4500 - 6000 metri), del notevole aumento di precisione nel tiro e dell’accresciuta potenza di penetrazione ed esplosiva dei proietti di forma cilindro-conica. Appunto grazie a tali geniali invenzioni ed alla crescente tecnologia le nuove armi potenziavano come non mai la gittata, la precisione del tiro, la capacità di penetrazione dei proietti e di conseguenza i danni agli obiettivi. Nessuna semplice opera fortificata costruita con i vecchi sistemi alla prova poteva più resistere al bombardamento delle nuove e rivoluzionarie artiglierie, le quali facevano saltare le costruzioni in muratura di qualsiasi spessore.

Con le artiglierie rigate e l'introduzione degli esplosivi dirompenti e delle spolette ad azione ritardata, i pur robusti sistemi fortificati di impronta ancora medievale e rinascimentale, avevano perso i pregi ed i vantaggi che fino ad allora li facevano ritenere dagli esperti militari opere indistruttibili. Queste potenti armi imponevano dunque di ripensare e riconvertire i sistemi di difesa in chiave moderna, perciò i vecchi schemi dei campi trincerati di fine 700 inizi 800 (Vauban, Montalambert, Carnot ecc) basati sui perimetri di mura e di fortezze (spesso ancora difese da muri di cinta) posti ad una certa distanza da un nucleo da difendere, furono considerati superati poichè troppo esposti e deboli rispetto alla potenza dell’ artiglieria.

Le caratteristiche sostanziali che contraddistinguevano le nuove opere post 1860 da quelle vecchie consistevano ne:

 

1) Eliminazione delle cinte murarie

2) Maggior numero di opere costruite attorno al nucleo

3) Maggiore distanza dal nucleo da difendere

4) Maggiore ampiezza del perimetro difensivo

5) Maggiore mimetismo e protezione

6) Adozione di nuovi e più resistenti materiali costruttivi.

7) Eventuale protezione delle artiglierie con cupole girevoli d’acciaio

 

 

LE NUOVE FORTIFICAZIONI

 

La risposta dell’ingegneria militare all’inarrestabile evoluzione della artiglieria scaturì con la produzione di 5 livelli di fortificazioni, diverse tra esse principalmente dal punto di vista strutturale e suddivise in due periodi principali specifici, compresi all’incirca tra il 1860 ed il 1898-1900 e dal 1900 in poi :

 

PRIMIO PERIODO

prima generazione-1860-80

seconda generazione- 1880-98

 

SECONDO PERIODO

terza generazione- 1898-1904

quarta generazione- 1904 al 1913

quinta generazione - 1913

 

 

IL PRIMO PERIODO: 1860-1900: LA FORTIFICAZIONE POLIGONALE NON CORAZZATA

 

 

A questa prima categoria caratterizzata da un periodo piuttosto lungo, come già affermato rispondevano le fortificazioni certamente più evolute rispetto a quelle precedenti, ritenute ormai obsolete. Sono strutture poligonali a prova di bomba non corazzate con artiglieria in barbetta, tutte esteticamente più gradevoli rispetto a quelle del secondo periodo. Come tutte le fortificazioni anteriori al 1900 sono costruzioni terrapienate protette esternamente da conci di pietra, con all'interno ricavati i locali voltati a botte e pareti realizzate con mattoni a cotto o roccia locale e rivestite con un leggero strato d'intonaco. Le strutture murarie sono rinforzate con terra riportata negli interstizi e sulle coperture, l’estetica è curata e richiama in un certo qual senso lo stile delle fortificazioni rinascimentali. Non è presente dunque il calcestruzzo, proprio delle strutture fortificate più giovani concepite dagli inizi del 900 (salvo modiche apportate) sino a poco prima e durante la grande guerra.

Esse sono il frutto di un’evoluzione graduale ma veloce delle tecniche, partendo da strutture costituite da muri molto spessi in blocchi di pietra a vista della prima generazione, per arrivare a quelle leggermente più evolute, da ritenersi postazioni protette per artiglierie in barbetta dotate di terrapieni protettivi sul fronte e fossati, caponiere, fuciliere ecc per la difesa ravvicinata della gola.

Tuttavia a causa della continua evoluzione ed il potenziale distruttivo delle artiglierie e già compromessa negli anni 80 dell’ 800 a causa dell’introduzione dei proietti a frammentazione, degli esplosivi ad alto potenziale col quale venivano riempiti i proietti (acido picrico-1888) e dei nuovi e grossi calibri, la generazione delle fortificazioni poligonali del primo periodo e quindi di prima e seconda generazione, fu giudicata obsoleta (non resisteva alle sollecitazioni della trazione) e definitivamente superata a partire dalla fine dell’800 - primi del 1900 dalle più giovani generazioni, profondamente diverse sia strutturalmente che esteticamente.

 

 

IL SECONDO PERIODO- 1900 IN POI

LA FORTIFICAZIONE CORAZZATA: EVOLUZIONE E DECLINO

 

 

L’inizio del secondo periodo fu anch’esso caratterizzato dalle ulteriori veloci migliorie apportate nella progettazione delle nuove fortificazioni, che necessitavano di una maggiore protezione orizzontale. In un primo momento si effettuarono modifiche rivestendo le vecchie opere secondo tecniche antideflagranti aggiungendo uno strato di calcestruzzo di circa un metro di spessore sulla struttura principale, separata da un altro metro si sabbia.

In questo modo i proietti venivano arrestati e fatti esplodere dalla protezione in calcestruzzo, mentre alla sabbio spettava il compito di smorzare l’onda d’urto evitando danni alla struttura. (un esempio di rilievo è dato dalla batteria antinave Saint Bon di Taranto, edificata ex novo nel 1908, in aggiunta a quelle già esistenti ed armata con 6 pezzi da 28 cm L a tiro indiretto).

Ma in sostituzione delle vecchie fortificazioni dotate di protezioni ormai inefficaci, rispondevano già dai primi del 900 le opere “blindate†del secondo periodo, precisamente della terza, quarta e quinta generazione (queste ultime addirittura scavate direttamente nella roccia). Nelle zone di confine del nord Italia a causa della crisi dei rapporti con l’Austria-Ungheria ed in previsione della prima guerra mondiale, vennero progettate e costruite (o rimodernate) nuove opere utilizzando il modello del padre della scuola dei forti corazzati (1888) il generale Belga Henry Brialmont, ripreso In Italia dal gen. Enrico Rocchi capofila della scuola Italiana. Si trattava di fortificazioni composte da un blocco principale in calcestruzzo alla prova, di forma rettangolare ad uno o più piani sempre addossato alla roccia da cui sporgeva. La struttura era interamente realizzata in calcestruzzo rinforzato con travi d’acciaio e coperture di tre metri di spessore. Le artiglierie non erano in barbetta o in casamatta, bensì, con l’intento di configurarle come"corazzate terrestri",: protette da corazze frontali e cupole girevoli (in acciaio) a comando elettrico dello spessore di 150 o 250 mm che proteggevano le artiglierie da sollecitazioni verticali, ed in grado di ospitare obici da torre e cannoni generalmente da 100, 120 o 149 mm.

Tali sistemi benché possenti erano destinati ad essere già superati nel giro di pochi anni. Ciò perché già dal 1911 furono utilizzati i primi aeroplani da guerra (fu l’Italia ad usarli per prima durante la guerra di Tripolitania), i quali molto più efficaci dei palloni aerostatici e dei dirigibili, stravolsero le strategie e le tattiche militari sino ad allora utilizzate. Ciò infatti portò ad una ulteriore rivisitazione delle tecniche costruttive delle fortificazioni, ed allo studio e utilizzo di sistemi di mimetizzazione e di armi contraeree utili a combattere il nuovo nemico proveniente dall’alto. L’impiego ufficiale dell’arma aerea (1914) come strumento di osservazione ed offesa (sostituì la cavalleria), diminuì difatti ulteriormente e drasticamente il potenziale difensivo - offensivo di tutte le fortificazioni antiche o moderne che fossero. Ma la causa principale del declino di tali fortificazioni fu l’ulteriore ed inarrestabile evoluzione delle artiglierie terrestri e navali insieme ai sistemi di individuazione e puntamento, che indebolirono drasticamente la fiducia iniziale sulla tenuta delle opere contro i nuovi grossi calibri.

Proprio la guerra confermò i timori, dimostrando palesemente che questa tipologia di opere in calcestruzzo a strati compressi, ma spesso privo di armature in ferro, poteva resistere al massimo ai tiri delle artiglierie da 280 mm, ritenute le bocche da fuoco più grosse trasportabili sui terreni accidentati di montagna, e non ai nuovi mortai d’assedio Skoda da 305, 350, 381 e 420 mm austriaci e tedeschi (capaci di perforare oltre 1,6 m di cemento armato,) i cui forti però dovettero affrontare le stesse problematiche tecniche e condividere lo stesso destino di quelli nemici. Svanì così la fiducia nelle fortificazioni corazzate, in molti casi facilmente ridotte a ruderi o impressionanti groviere dalla potenza delle artiglierie (ad es. il forte Verena in cui il 12/06/1915 una singola granata da 305 uccise 39 soldati devastando la struttura). A ciò si aggiunsero i cambiamenti dovuti allo sviluppo evolutivo della tecnologia militare nonché delle strategie e tattiche di guerra, che evidenziavano come il combattimento statico imposto dalle opere fortificate non rappresentasse più una soluzione risolutiva di un conflitto, qualora il difensore non avesse avuto a disposizione valide forze mobili per il contrattacco. (I larghi intervalli fra i forti consentirono in più occasioni di far cadere con azioni lampo piazzeforti o singole fortificazioni). Fu così dunque che tali corpose e ingombranti fortificazioni, facili obiettivi sia da terra che dall‘aria, furono sostituite (a partire del 1913) dalle opere della quinta generazione, più che altro composte da gallerie e ricoveri scavati direttamente nella roccia allo scopo di sottrarsi agli ormai insostenibili colpi delle artiglierie. Ma in molti casi non vi fu tempo per edificare questa nuova generazione di opere, poichè l’avvento della conflitto e la fulminea evoluzione della potenza delle artiglierie, non lasciò il tempo necessarie a ciò, provocando l’abbandono (prima e durante la guerra) delle fortificazioni edificate qualche hanno prima, ma già ritenute non sicure nonostante le modifiche apportate.

La conferma sarebbe arrivata con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, che segnò il definitivo passaggio dalle strategie belliche statiche (primo conflitto mondiale) a quelle dinamiche. Si passò cioè dalla guerra di posizione e sostanzialmente di trincea (che pur moltissimo si differenziava dalla tipologia delle battaglie di fanteria di fine ottocento), a quelle di movimento su più fronti.

Subito dopo la prima guerra mondiale furono di conseguenza ideati i fronti a terra e le moderne linee fortificate permanenti o campali rinforzate, composte da fronti fortificati continui, composti a differenza di quelle precedenti, da opere dalle dimensioni molto contenute, allo scopo di sottrarsi efficacemente all’avvistamento ed all’offesa terrestre ed aereo nemico. Si trattava di sistemi fortificati ipogeici o di superficie di frontiera progettati a partire dagli anni 20-30 del 900 (vallo Alpino, Linea Sigfrifo, Linea Maginot, Vallo Alantico ecc), detti anche sbarramenti alpini ad opere staccate. Nelle aree costiere invece sorsero i fronti a mare moderni, costituiti da schieramenti di batterie costiere (antinave ed antisbarco) permanenti, ben mimetizzati e di dimensioni molto ridotte. (ad es. Lo Vallo Atlantico).

Sono sostanzialmente questi i motivi principali per cui le imponenti fortificazioni statiche edificate negli ultimi due secoli furono rapidamente disarmate, dismesse ed abbandonate, perdendo nel tempo la valenza e l’efficacia militare originaria, ma non la strategicità, l’ imponenza strutturale, il fascino, ed in molti casi l’importanza storica.

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