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Le Navi Corsare Italiane


Visitatore Kashin

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Storia dei progetti di trasformazione di motonavi civili in unità militari adatte alla guerra negli oceani 1940-1943

 

Poco dopo l’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940), Supermarina avviò una serie di studi che avevano come scopo la trasformazione di un certo numero di motonavi di medio tonnellaggio, dotate di notevole autonomia, in unità adatte ad intercettare e distruggere il traffico marittimo britannico sugli Oceani.

 

Questi studi, che vennero condensati in un unico progetto, non sortirono però alcun risultato pratico in quanto nel corso di quel primo, favorevole anno di guerra l’Italia non riuscì, come è noto, a strappare agli inglesi le basi di Suez e di Gibilterra che sbarravano l’uscita delle navi di superficie dell’Asse dal bacino del Mediterraneo. Tuttavia, potendo disporre di un certo numero di scafi adatti allo scopo, già posizionati all’esterno del Mare Nostrum (non erano poche le unità mercantili italiane e tedesche all’ancora in scali neutrali o amici, come quelli giapponesi), il Comando Supremo della Marina Militare, sebbene con molto ritardo, nell’estate del ’40 diede il via al suo piano, cercando di emulare le direttive della Kriegsmarine relative all’allestimento e utilizzo dei cosiddetti “incrociatori ausiliari” (va notato a questo proposito che fino dal 1939 la Germania aveva allestito le sue prime “navi corsare” immettendole, già a partire dall’inizio del ’40, sulle rotte oceaniche)(1).

 

 

 

M/N Monginevro

Il 6 settembre 1940, l’ufficio studi dello Stato Maggiore della Marina compilò un primo elenco di tre moderne unità da carico, tutte appartenenti al tipo “Monginevro” - a quel tempo in fase di costruzione presso i Cantieri Riuniti del Tirreno - suscettibili di radicali trasformazioni. Le tre navi, la Monginevro, la Monviso e la Monreale (tutte commissionate dalla Società di Navigazione Alta Italia) risultavano già in avanzato stato di allestimento (la prima era al 99%, la seconda al 96% e la terza al 92%) non soltanto possedevano alcuni requisiti di massima che le potevano rendere idonee alle lunghe missioni (ovviamente dopo alcune modifiche), ma in virtù delle loro caratteristiche strutturali avrebbero anche consentito l’agevole installazione delle necessarie artiglierie di bordo, dei lanciasiluri, delle mitragliere antiaeree e delle attrezzature e depositi supplementari indispensabili per effettuare la guerra di corsa sugli Oceani.

 

 

 

 

 

Le unità del tipo “Monginevro” avevano una lunghezza di 124 metri, una larghezza di 18 ed un pescaggio medio a pieno carico di 7,40 metri. La stazza lorda si aggirava intorno alle 5.500 tonnellate e la portata sulle 8.600 tonnellate. Le tre navi potevano toccare una velocità massima di 16,5 nodi (e una di resistenza di 15) e vantavano un’autonomia massima, a 15 nodi, di 12.000 miglia. Come riferirono i tecnici della Marina Militare incaricati di stendere un resoconto sulle caratteristiche degli scafi in costruzione “…il ponte di coperta risulta ampio, relativamente sgombro e ben si presta alla sistemazione di artiglierie e torpedini da blocco…Le forme delle “Monginevro” fanno presupporre un buon comportamento in mare. Il ponte di comando è esteso e bene attrezzato; gli alloggi e i depositi comodi e numerosi”. Insomma, dopo una prima analisi, Supermarina trasse positive, anche se incomplete (essendo ancora in allestimento le tre navi non potevano ancora essere testate operativamente), stime e deduzioni sulle potenzialità delle navi, passando subito ad uno studio di fattibilità per renderle anche atte al combattimento. Nella fattispecie, si pensò di dotare ciascuna delle unità con un armamento abbastanza simile a quello di cui erano dotate le “corsare” della Kriegsmarine.

 

 

 

 

 

I tecnici di Supermarina avanzarono infatti l’idea di montare sei cannoni da 152/40 (uno sull’estrema prora, uno sull’estrema poppa e quattro, due per lato, sui fianchi della nave); due impianti binati AA e AN da 37 millimetri (sistemati sul ponte delle barche a poppavia del fumaiolo); due mitragliere AA da 20 (piazzate sul ponte delle lance o sul cielo del ponte di comando a fianco della bussola normale); due lanciasiluri da 450 millimetri, uno per lato (installati nella stiva a pagliolo a circa 5,50 metri sotto il galleggiamento) e un impianto nebbiogeno. La scelta dei pezzi principali da 152 (gittata massima 16.000 metri) fu dettata non soltanto dalla necessità di disporre di un arma di sicuro effetto distruttivo sugli scafi mercantili ma anche dall’esigenza di potere controbattere il tiro degli incrociatori leggeri inglesi dotati di pezzi di calibro similare. I cannoni da 120 millimetri di cui all’epoca erano dotati i caccia e talune unità ausiliarie italiane (inclusa la nave coloniale Eritrea destinata ad operare nel Mar Rosso e in Oceano Indiano) vennero scartati, almeno in un primo momento, perché giudicati insufficienti per reggere il confronto con grosse unità da carico nemiche (spesso equipaggiate con pezzi da 114, 120 e persino 152 millimetri) e, appunto, con gli incrociatori britannici della classe Leader spesso utilizzati dalla Royal Navy per sorvegliare le rotte oceaniche.

 

 

Per consentire alle tre “Monginevro” di individuare con maggiore rapidità e facilità eventuali prede oltre l’orizzonte scrutabile dai cannocchiali e dai binocoli di bordo, si pensò all’installazione di un idrovolante ad ali ripiegabili: idea che in seguito venne però scartata per problemi tecnici (l’imbarco del mezzo avrebbe comportato la creazione di un deposito carburante e di altri accessori troppo costosi e ingombranti). Sempre per quanto concerne l’armamento offensivo di bordo venne stabilita la seguente dotazione: 200 granate AE e 5 colpi illuminanti per canna per i pezzi da 152; 3.000 colpi per canna da 37 millimetri e 6.000 colpi per canna da 20; più 600 cariche di esplosivo sistemate nella carena e nell’opera viva per l’autodistruzione della nave in caso di cattura o grave danneggiamento.

 

 

 

Gli ingegneri della Regia incaricati di riconvertire le “Monginevro” non dimenticarono infine l’installazione a bordo di circa 100/150 torpedini da blocco (tipo “Elia”) da sistemarsi nelle stive di poppa e da prelevare all’occorrenza con picchi di carico per essere poi trasferite in coperta su apposite ferroguide di lancio da installare sempre a poppa. Per quanto concerneva gli apparati radio e segnalazione, ai normali impianti R.T. esistenti (un radiogoniometro, un trasmettitore da 0,5 Kw e un apparato ricevente a onde medie e corte), si era pensato di installare altri due ricevitori supplementari (uno a onde corte e l’altro a medie) e una radiola.

In controplancia, infine, avrebbero trovato posto un proiettore da scoperta da 60 o 90, possibilmente a scomparsa, un proiettore da segnali e un ecometro. Il consumo di nafta molto contenuto delle “Monginevro” (con la normale dotazione di 770 tonnellate di carburante queste unità avevano un’autonomia di circa 12.000 miglia a velocità di resistenza) non soddisfecero i tecnici di Supermarina che, volendo quasi quadruplicare la già discreta autonomia delle navi fino a portarla a ben 40.000 miglia (corrispondenti a quasi cinque mesi di operazioni senza effettuare toccate), predisposero la costruzione a bordo di depositi supplementari per 1.730 tonnellate di nafta. I nuovi serbatoi sarebbero stati alloggiati sui paglioli delle stive e nei gavoni prodieri e poppieri.

 

 

 

A bordo delle “Monginevro” sarebbero stati costruiti ampi depositi di viveri e farina, una cella frigorifero e due forni per il pane, più una completa infermeria dotata di un cospicuo quantitativo di medicinali. E sempre per garantire un’adeguata salute e alimentazione all'equipaggio, in una stiva di prora sarebbe stata ricavata una stalla con una mezza dozzina di mucche da latte e un gabbione con una cinquantina di galline. Completavano l’attrezzatura di bordo dei nuovi “corsari” italiani, un’attrezzata officina per le riparazioni sistemata nell’interponte e un deposito di pezzi di ricambio. Gli equipaggi delle “Monginevro” sarebbero stati composti da 12 ufficiali, 10 sottufficiali, 14 marinai e meccanici e 42 marinai addetti ai pezzi, più, eventualmente, altri 18 tra ufficiali e marinai componenti un equipaggio da “preda”.

Problemi di natura tecnica, politica e finanziaria impedirono a Supermarina di andare oltre un semplice seppure dettagliato studio dei lavori di trasformazione ai quali sottoporre il Monginevro, il Monviso e il Monreale. D’altra parte, come è noto, la Marina Militare Italiana dovette fin quasi dall’inizio del conflitto impiegare ogni suo sforzo concreto nella risoluzione di molteplici e prioritarie emergenze, dovendo affrontare nel Mediterraneo l’intraprendenza della Marina e dell’Aviazione inglesi. Nel corso del 1942, anche in seguito all’entrata in guerra degli Stati Uniti, il progetto di riconversione delle motonavi “Monginevro” in incrociatori “corsari” venne definitivamente abbandonato, lasciando ai superstiti Handels-Stor-Kreuzer (incrociatori per il disturbo del traffico mercantile) germanici il compito di diffondere il panico lungo le rotte oceaniche.

 

 

Note:

Tra il 1940 e il 1943 la Kriegsmarine impiegò con successo, su tutti gli Oceani, diversi incrociatori “corsari”: l’Orion (10 navi affondate + 2 in collaborazione con il Komet), l’Atlantis (22 navi affondate), il Widder (10 navi affondate), il Thor (22 navi affondate), il Pinguin (32 navi affondate),lo Stier (4 navi affondate), il Komet (6 navi affondate + 2 in collaborazione con l’Orion), il Kormoran (11 navi affondate + l’incrociatore australiano Sydney) e il Michel (17 navi affondate). L’Atlantis venne affondato il 22.11.1941 nel Sudatlantico dall’incrociatore inglese Devonshire; il Thor esplose a causa di un incendio il 30.11.42 a Yokohama; il Pinguin fu affondato l’8.5.1941 presso le Seychelles dall’icrociatore inglese Cornwall; lo Stier affondò il 27.9.1942 nel Sudatlantico in combattimento con il mercantile armato USA Stephen Hopkins; il Komet fu affondato il 14.10.1942 presso Cap de la Hague dalla motosilurante inglese N.236; il Kormoran affondò il 19.11.1941 a ovest di Sharksbay (Australia) in combattimento con l’incrociatore austrialiano Sydney e il Michel venne affondato il 17.10.1943 ad est di Yokohama dal sommergibile USA Tarpon.

 

NOTE- L'unita' KORMORAN era la seconda che portava questo nome ,la prima nella I WW si autoaffondo' nella rada dell'Isola di GUAM (allo scoppio delle ostilita' tra USA e Germania,l'unita' si stava rifornendo di carbone per proseguire la caccia alle unita' Giapponesi, il Kormoran era un Incrociatore Aux)e dimenticata per quasi 90 anni ,nella II WW il Smg USA Snipper siluro' sempre a Guam il mercantile Giapponese Tokay Maru (In rada) che affondo' affianco al vecchio Kormoran ,nel 1974 ambedue le unita' vennero esplorate e fotografate.-

 

http://www.regiamarina.net/others/raiders/raiders_it.htm

Modificato da Kashin
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Bravo Gino,ottimo report. Soprattutto perchè l'argomento verte su aspetti poco noti o forse addirittura ignorati di tali tipi di attività della Regia Marina.

Dove ti sei documentato,tanto per curiosità ?

ETNA/Guglielmo

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