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Le care "Ordinanze" di un tempo che non c'è più


Rostro

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Ho ritrovato tra le vecchie carte di mio padre una lettera scrittagli da una sua ordinanza dei tempi in cui era imbarcato.

Ho avuto così l’occasione di rispolverare i miei ricordi legati agli attendenti che, in Marina meglio conosciuti come "ordinanze", erano militari con il grado di comuni di 2^ o di 1^ classe assegnati  agli Ufficiali in servizio per aiutarli nelle cose pratiche della vita quotidiana.

L’ufficiale aveva l’obbligo di curare la disciplina e la condotta del proprio attendente ma, mentre ciò poteva apparire superfluo per chi prestava  servizio nel ristretto e controllato ambito di bordo, per gli ufficiali con destinazione a terra diventava una esigenza non trascurabile che imponeva di non affidare ai propri attendenti incarichi contrari alla dignità di militari. Da parte sua l’attendente aveva l’obbligo di tenere una condotta ed una tenuta inappuntabili, pena la revoca dell’incarico.

Tale conseguenza punitiva derivava dal fatto che questo particolare servizio veniva assunto solo volontariamente, nonostante le attività delle ordinanze non di rado comprendessero una serie di incombenti che apparivano poco conciliabili con la divisa militare. Occorreva, infatti, pensare al bucato, alla cucina, a rifare i letti, a passare in sartoria per far sistemare vestiti e divise, nonché accompagnare e riprendere a scuola i figli dell’Ufficiale, e tenerli d’occhio durante il resto della giornata.

Attività di non poco conto, peraltro bilanciate da alcuni benefici di cui godevano gli attendenti quali l’esenzione o la limitazione di molti servizi a terra o a bordo (in particolare guardie e comandate) ed una maggior larghezza nella concessione delle licenze, circostanze che rendevano la loro situazione non disprezzabile se confrontata con quella dei loro commilitoni.

Con queste premesse vien facile pensare che gli attendenti dovevano possedere doti di pazienza e di buon senso ma quello che, a prima vista, poteva apparire come un rapporto di semi sfruttamento a favore dell’Ufficiale, non di rado si tramutava in affetto e stima reciproci.

L’ordinanza che scrisse quella lettera, tuttavia, di compiti poco marziali dovette accollarsene pochi perché mio padre era allora un Capitano di Corvetta scapolo e senza figli, imbarcato su di un incrociatore che aveva la funzione di nave scuola per gli allievi della seconda classe dell’Accademia navale di Livorno.

Quell’allora giovanissimo marinaio si firmava con un cognome che tradiva l’origine sarda, come sardo era mio padre. Le persone di quella terra, all’apparenza ruvide e diffidenti al primo impatto (lo si noterà da una frase riportata nella lettera), sono pronte ad aprire il loro cuore quando capiscono di potersi fidare, e M. (questa l’iniziale del suo nome) non ci mise molto a farsi apprezzare e voler bene.

Tra loro, infatti, presto  si instaurò un rapporto di simpatia e di fiducia che la breve e garbata lettera testimonia intensamente anche a distanza di tanti anni, seppur con il tono cauto di un ancora saldo senso della gerarchia militare.

Dopo averla letta, per un po’ sono rimasto indecso se ripiegarla con discrezione facendola tornare nel cassetto dei ricordi o se, invece, come ho alla fine ho fatto, svelarla come rispettosa testimonianza del forte legame tra due persone che seppur gerarchicamente calate nel proprio ruolo di militari, lontane di età e di grado, seppero trattarsi con dignità e rispetto.

M. scrive da T., una cittadina del Belgio dove era emigrato dopo il servizio militare.

La grafia e lo stile evidenziano l’umile ma genuina e dignitosa origine dell’ex marinaio:

T.,       2/11/60

Signor C.te

E’ tanto tempo ormai trascorso da quella ultima lettera che lei mi aveva inviato e da allora non ho più notizie di lei. Non so se ha abbandonato la Marina. Tre anni orsono ricevetti una sua lettera con l’indirizzo di Taranto. Ma non credo che lei abbia lasciato quell’ammirabile divisa. So benissimo che la nave ove lei era imbarcato era la sua casa. Voleva sempre che ci tenevo il camerino come una cosa preziosa, ed era vero. Mettevo tutta la mia volontà per tenerlo più pulito degli altri e forse se ne sarà accorto, certamente. Forse lei la prenderà al male ciò che io sto per ricordarle ma per me non è che un ricordo… Mi ricordo quando ho preso servizio per lei. Mi accolse con una parola molto confidenziale: “ E tu cerca di filare dritto altrimenti ti farò saltare quella finestra a calci”. Quella parola è stata per me una parola di benevolenza, ed avevo capito subito il suo carattere e che cercava le cose fatte giuste, e ben fatte, naturalmente.

Com’è la salute Comandante. Spero tanto che sia buona. Si è sposato? Credo di no. Avevo capito anche che il matrimonio per lei era stata sempre l’ultima cosa. Ma per me, credo che ho tradito i suoi consigli. Mi sono sposato con una bellissima ragazza e aspetta un bambino/o una bambina. Lavoriamo ambedue e siamo veramente contenti. E’ italiana, è impiegata e guadagna 60.000 lire al mese. Abbiamo una magnifica casa.

Ora, se la mia presente non ci dà noia, spero di ricevere un suo rigo tanto per farmi sapere se sta bene Lei, suo fratello e i bambini. Di sua madre non so niente, se è ancora in vita. C.te se lei si trova ancora a Taranto le manderò un pacchetto con lo zio di lei, delle cioccolate per i suoi nipoti e del buon caffè per lei che so che ci piace tanto. Qui ne abbiamo in abbondanza. Lo zio è un magnifico sarto. Non abita tanto lontano da lei: è a Cisternino in provincia di Brindisi. Anzi, se la gradisce, le mando una foto del matrimonio, ma non siamo venuti tanto bene. Comunque sarà per lei una foto recente.

Dopo il testo in italiano, seguono alcune frasi scritte in francese che ho provato a tradurre in italiano. L’averle scritte in francese piuttosto che in italiano tradisce, forse, una sorta di pudore di M. nell’essersi spinto a svelare in modo così diretto sentimenti che tra militari si è poco avvezzi ad esternare:

C.te, je m’eu souviendrai toujours de vous  (Comandante, mi ricorderò sempre di Lei)

U’emporte ou j’irai que je vous tiendrais toujours present (Ovunque andrò la terrò sempre presente)

N’oublie pas mon adresse (non dimentichi il mio indirizzo)

T., (Belgique) T. (Belgio)

Si vous etes mariè faites tous mes meilleurs voeux a votre femme et a vous un grand compliment (Se si è sposato faccia tutti i miei migliori auguri a sua moglie e a lei un grande complimento).

M.

Mio padre, all’epoca in cui fu scritta questa lettera, si era sposato da poco meno di un anno. Alla fine era capitolato anche lui, nonostante i consigli contrari che aveva cercato di dare alla sua vecchia ordinanza. Dal matrimonio siamo nati prima io e poi, a distanza di un anno e mezzo, mia sorella.

Entrambi abbiamo quindi fatto in tempo, quando eravamo ancora bambini, a conoscerne un paio di quelle care ordinanze prima che venissero cancellate dai regolamenti militari. La prima, della quale purtroppo conservo un ricordo appena sfumato per via della mia allora giovanissima età, era “Ianni”, come la chiamava mia sorella storpiandone fanciullescamente il nome.  Ma fu con l’ultima delle ordinanze concesse a mio padre, D.,  che si instaurò un rapporto speciale, come tra fratello maggiore e i suoi due pestiferi ma affezionatissimi fratelli minori. Recentemente, potenza dei social network  ci siamo ritrovati.

Grande è stata l’emozione quando ci siamo scambiati le foto ormai da adulti. Ad identificare il gruppo che abbiamo creato tra noi, abbiamo però scelto una foto di cinquant’anni fa che ci ritrae insieme, lui al centro, nell’impeccabile bianca divisa estiva, e noi due ai lati, con le spalle circondate dal suo braccio protettivo.

Di D. ricordo la presenza discreta ma efficientissima, addolcita dall’espressione sorridente e garbata dei suoi vent’anni che conquistò subito noi bambini ed i miei genitori che, in breve, gli concessero incondizionata fiducia.

Quel sentimento di affetto non si è dissolto nell’oblio del lungo tempo trascorso. Tutt’altro. Non appena gliene si è data occasione è riemerso dai ricordi e si è rinnovato, a dispetto di coloro che, con la decisione di abolire la figura degli attendenti, di questa tradizione hanno voluto sottolineare solo la deprecabile immagine di abusi e privilegi.

A voi tutte, care ordinanze di un tempo che non c’è più, rivolgo il mio più sincero e riconoscente Grazie.

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Bellissima e nostalgica testimonianza, Rostro. Complimenti a tuo padre che ha evidentemente saputo stabilire un rapporto di reciproco rispetto e stima con le sue ordinanze. E' bello viaggiare sull'onda dei ricordi e delle tradizioni passate ... Grazie! 

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Grazie Rostro di questa testimonianza. Mio padre non fu un ufficiale di Marina ma del regio Esercito. Anche lui ebbe un indissolubile rapporto di affetto, durato fino alla sua scomparsa, con il suo attendente con il quale aveva trascorso i periodi più bui del conflitto. Rapporto peraltro facilitato dalla relativa vicinanza dei reciproci luoghi di residenza. Lo ricordo come un caro amico di famiglia. 

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Quanto ai rapporti di stima ed affetto, basti ricordare il C.te Borsini e il suo attendente Ciaravolo. A proposito, nella motivazione della MOVM Ciaravolo è indicato come "attendente", non come "ordinanza". Quest'ultima denominzione è forse un'usanza non istituzionale?

Quanto alle incombenze poco militari, per passare ad argomento più frivolo, mi è tornato in mente un libro che ho da sempre in casa, La Vera Signora di Elena Canino, una sorta di manuale di belle maniere come si usavano nel 1958. Ecco la parte dedicata al comportamento con l'attendente...

attendente.jpg

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