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Incendio su sottomarino russo da alte profondità


Totiano

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Le agenzie stanno rilanciando la notizia di un incendio esploso a bordo di un sommergibile russo, adibito a centro di ricerca in acque profonde per la Marina, che avrebbe provocato 14 morti, ovvero l'intero equipaggio. L’incidente sarebbe avvenuto lunedì alle 20.30 a bordo del sottomarino nucleare AS-12, un classe «Losharik» . Il ministero della Difesa russo non ha rivelato dove si è verificato l’incidente ma specificando che è avvenuto «in acque territoriali russe» si può ipotizzare nel Mar di Barents. L'incemdio è stato estinto e il battello si trova adesso nella base navale di Severomorsk, nella regione di Murmansk.Inutile dire come il pensiero stia correndo alla tragedia del Kursk!

 

In conseguenza dell’incidente, il presidente russo Vladimir Putin ha convocato con urgenza una riunione con il suo ministro della difesa e ha annullato tutti i suoi impegni in programma. 


Il progetto 10831 è un battello nucleare per alte profondità costruito nei cantieri Sevmash di Severodvinsk a partire dal 1988 e completato dopo il 2000 per problemi di fondi dell'ex Unione Sovietica; in seguito al potenziamento della flotta subacquea il battello ha iniziato le prove in mare nell'agosto 2003.


Le caratteristiche tecniche del Losharik sono coperte da segreto. è nota la propulsione (nucleare), la profondità massima operativa (nell'ordine dei 6.000 metri) e la forma sferica dello scafo, facendone il primo mezzo nucleare al mondo ad avere una simile profondità operativa (è un ottimo concorrente dell'americano NR1).

 

 

Il Losharik è stato progettato per svolgere missioni speciali, operazioni di recupero degli equipaggi di sottomarini in difficoltà e ricerche scientifiche ed è previsto possa essere impiegato da sottomarini di appoggio.

 

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Il nome Losharik  deriva da questo cavallino, protagonista di un cartone russo, costituito da palline collegate come la struttura del battello.

Vista la particolare struttura di 7 sfere collegate tra loro, un incendio a bordo potrebbe essere stato circoscritto chiudendo la sezione coinvolta ma, probabilmente, con il sacrificio degli occupanti, 

 

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Un esauriente articolo pubblicato da Difesa online 

http://www.difesaonline.it/geopolitica/analisi/luci-ed-ombre-sullincidente-del-sottomarino-nucleare-russo-losharik

LUCI ED OMBRE SULL'INCIDENTE DEL SOTTOMARINO NUCLEARE RUSSO LOSHARIK

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(di Andrea Gaspardo)
05/07/19 

Nel corso del 2 luglio 2019, le principali agenzie d'informazione di tutto il mondo hanno fatto circolare la notizia che un incidente aveva interessato un'unità subacquea appartenente alla marina russa e che a bordo del sottomarino coinvolto si erano registrate delle vittime. Alcuni si erano persino spinti ad affermare che l'unità in questione fosse affondata in un modo simile a quanto avvenuto il 12 agosto dell'anno 2000 con il sottomarino “K-141 Kursk”.

A diversi giorni dall'incidente, e potendo contare su notizie di migliore qualità, è possibile ora tracciare un quadro diverso rispetto alle prime frenetiche e frammentarie notizie. È necessario tuttavia affermare sin d'ora che gli eventi succedutisi negli ultimi giorni presentano vistosi “coni d'ombra” che meritano di essere analizzati in dettaglio. Innanzi tutto, il sottomarino interessato dall'incidente è una sorta di “leggenda” tra gli appassionati del mondo degli abissi: il “Project 210 AS-12 Losharik” l'ultimo e più avanzato “sottomarino-spia” entrato in servizio presso la marina russa.

Sul finire della “Guerra Fredda” e dopo aver studiato per anni i successi ottenuti dagli americani nel campo dei “sottomarini-spia” e per impieghi speciali, i sovietici decisero di colmare il divario esistente con le forze navali dei paesi loro avversari mediante l'introduzione di nuove tipologie di sottomarini. La prima di queste nuove classi fu la “Project 1910 Kashalot” (“Classe Uniform” secondo la dicitura NATO), i primi veri “sottomarini-spia” sovietici dedicati. Non è chiaro quanti ne siano entrati effettivamente in servizio dato che, originariamente, erano stati progettati come una classe di 3 esemplari, ma secondo alcune fonti ne vennero realizzati 2 (non è nemmeno certa la loro sigla identificativa dato che sono state proposte le denominazioni “AS-12”, “AS-13”, “AS-15”, “AS-16” ed “AS-17” a seconda delle fonti).

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In ogni caso, l'introduzione di questi 2-3 sottomarini, a partire dal 1986, ha permesso all'allora marina sovietica di acquisire una notevole esperienza nel campo sia della ricerca subacquea che dello spionaggio sottomarino (in fin dei conti, questo tipo di unità è talmente flessibile da poter essere utilizzabile sia per operazioni di carattere militare che di ricerca scientifica) oltre che preparare le specifiche tecniche per quelli che sarebbero poi diventati i loro “successori”.

I nuovi sottomarini per lo spionaggio e la ricerca scientifica arrivarono nei primi anni '90 (quando già l'Unione Sovietica non esisteva più) nella forma della classe “Project 1851.1 X-Ray”, realizzata in un unico esemplare, e nella classe “Project 1083.1 Paltus” realizzata invece in 2 esemplari. Infine, l'ultimo “acquisto” della serie è stato proprio lo “AS-12 Losharik” (nelle prime foto), anch'esso realizzato solamente in un esemplare.

I tipi di missione formulati per questa “flottiglia” di 6-7 unità spaziavano dalle operazioni di pura e semplice ricerca scientifica, a ricognizione nei confronti di bersagli strategici selezionati, a vere e proprie operazioni in stile “James Bond 007” contro cavi sottomarini situati nelle acque territoriali della NATO.

050719%20Losharik2_0.jpgVista la natura confidenziale delle tipologie di missioni affidate ai sottomarini facenti parte di questa particolare “flottiglia” non è difficile capire perché le autorità siano sempre rimaste “abbottonatissime” circa lo svolgimento, lo scopo e la pericolosità di tali operazioni. Non solo, per tutelare la segretezza di tali unità, i sovietici prima ed i russi poi, si sono spinti fino a creare una speciale base adibita esclusivamente a servire la “flottiglia” di sottomarini-spia e i loro mezzi ausiliari dedicati. Tale base è situata ad Olenya Guba, località remotissima e dimenticata da Dio (persino in un luogo remoto come l'estremo nord russo!) dotata di infrastrutture minime, tra le quali però spicca un enorme “capannone” letteralmente posizionato in acqua, la cui finalità è quella di ospitare i “sottomarini-spia” al coperto e lontano dagli occhi indiscreti dei satelliti da rigognizione della NATO.

Come affermato prima, il più misterioso tra tutti questi mezzi è il “Losharik”, impostato nel 1988, ma entrato in servizio solamente nel 2003 dopo un lunghissimo iter progettistico e costruttivo. Del “Losharik” non esistono nemmeno delle foto complete che mostrino lo scafo nella sua totalità, solo poche fotografie per giunta abbastanza sfumate. Quello che si sa per certo, però, è che lo scafo sia stato costruito utilizzando tecniche non convenzionali; infatti la parte interna dello stesso è divisa in 7 “sfere” (e non in un unico “corridoio” come si fa con tutti gli altri sottomarini del mondo). La scelta di questo particolare “arrangiamento” è dovuta al fatto che la struttura ottenuta è molto più resistente sia alla pressione che ad eventuali attacchi da parte di mezzi nemici, anche se gli spazi ristretti così ottenuti non aiutano di certo la vivibilità del battello da parte degli uomini dell'equipaggio. In ogni caso, grazie a questa ingegnosa invenzione, pare che il “Losharik” sia in grado di immergersi al di sotto di 1000 metri (alcune fonti parlano persino di 2000!) quindi lo scafo è in grado di resistere a sollecitazioni fortissime.

Per quanto riguarda la composizione dei “marinai d'equipaggio” poi, le sorprese non mancano. Ufficialmente infatti, l'equipaggio del “Losharik” è composto da 25 uomini, che tuttavia sono aumentabili nel caso di operazioni particolarmente rischiose. Una cosa che ha impressionato gli osservatori esterni è il fatto che, tra le 14 vittime ufficialmente causate dall'incidente, ben 12 erano capitani e tra di essi vi era il comandante stesso dell'unità, Denis Dolonskiy. Ciò conferma le indiscrezioni pregresse secondo le quali l'equipaggio del “Losharik” sia composto unicamente da graduati e specialisti altamente selezionati.

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Un'altra caratteristica fondamentale quando si parla del “Losharik” e dei suoi predecessori è la capacità di schieramento nel teatro operativo. Infatti, mentre i 2-3 “Kashalot” sono dei sottomarini di dimensioni abbastanza notevoli, e quindi in grado di raggiungere i propri obiettivi in alto mare o sulle coste nemiche senza dover fare affidamento su alcun aiuto, la stessa cosa non vale per gli esemplari più piccoli.

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Sia lo “X-Ray” che i due “Paltus” che anche il “Losharik”, hanno infatti dimensioni troppo contenute per rimanere in mare per un periodo di tempo prolungato, perciò necessitano dell'ausilio di un più grande “sottomarino-madre” che letteralmente “trasporti” i più piccoli “sottomarini-spia” nel teatro delle operazioni e li recuperi in un secondo momento ad operazione conclusa (anche se il “Losharik” avrebbe la teorica capacità di portare a compimento anche missioni in autonomia, seppure non ad una distanza troppo grande dalla madrepatria e comunque non per periodi di tempo eccessivamente lunghi).

Il primo di tali sottomarini (oggi posto in disarmo e smantellato) fu lo “Yankee Stretch KS-411 Orenburg” ricavato da un “classe Yankee” originale poi ampiamente modificato rimuovendo la sezione dei missili balistici e sostituendola con una carenatura atta ad “accogliere” nella “pancia dello scafo” il sottomarino-spia più piccolo allo stesso modo di quanto faccia la “mamma canguro”.

Seguirono poi l'introduzione del “BS-136 Orenburg” (foto precedente) della “classe Delta III” ed infinite del “BS-64 Podmoskovye” della “classe Delta IV”. Tirando le somme quindi, la “flottiglia” dei “sottomarini-spia” oggi a disposizione della marina russa, tutta basata ad Olenya Guba, è composta da 1 sottomarino della classe “X-Ray”, 2 sottomarini della classe “Paltus”, 1 sottomarino della classe “Losharik” e 2 “sottomarini-madre” (i già citati “BS-136 Orenburg” e “BS-64 Podmoskovye”) ottenuti mediante la conversione di 1 sottomarino lanciamissili balistici della “classe Delta III” ed 1 sottomarino lanciamissili balistici della “classe Delta IV”, mentre pare che i 2-3 sottomarini della “classe Kashalot” siano stati posti in disarmo od in riserva.

050719%20Losharik5.jpgI compiti assegnati a questa “flottiglia” riguardano sia la ricerca scientifica che l'intelligence militare, in particolare il posizionamento di strumentazione di ascolto delle comunicazioni sui cavi facenti parte del network sottomarino globale. In caso di conflitto armato, la “flottiglia” potrebbe anche portare a compimento operazioni di sabotaggio contro cavi subacquei di particolare importanza strategica. E questo fatto ci riporta al drammatico incidente del 1 luglio. Secondo la ricostruzione ufficiale infatti, l'incendio è scoppiato alle ore 8.30 della sera (orario di Mosca) a partire dal compartimento batterie ed è stato infine domato dall'equipaggio pur a prezzo di gravi perdite (tra le quali il già citato comandante). Attorno alle 9.30 (circostanza confermata da dei pescatori locali), il sottomarino sarebbe poi emerso in superficie nelle acque della baia di Ura e sarebbe poi stato trainato fino alla base di Severomorsk (foto) da una nave della marina russa e da due rimorchiatori. Una volta giunto in porto, 5 marinai gravemente feriti sarebbero stati portati in ospedale mentre sarebbero poi cominciate le operazioni di messa in sicurezza del reattore e dell'unità nel suo complesso; operazioni che il ministro della difesa russa Sergey Shoigu avrebbe annunciato come “completate con successo” nei tre giorni successivi.

Tuttavia, vi sono delle palesi incongruenze nella versione ufficiale presentata dalle autorità russe:

  • primo: il fatto che il “Losharik” sia riemerso alle ore 9.30, ben un'ora dopo l'inizio dell'incendio a bordo è semplicemente una stupidaggine. Le procedure di sicurezza e contenimento del rischio delle forze sottomarine di tutto il mondo prevedono che, in caso di un incidente, l'unità interessata riemerga immediatamente per consentire l'eventuale evacuazione dell'equipaggio. Inoltre è assai più agevole combattere un incendio a bordo quando si è in superficie rispetto a quando si è in immersione;
  • secondo: a causa della morte di 14 uomini e del ferimento grave di altri 5, i 6 membri ancora “abili” avrebbero avuto gravissime difficoltà a gestire un sottomarino di stazza comunque abbastanza importante senza ricevere alcun tipo di aiuto, e questo anche tenendo conto che il “Losharik” è un mezzo caratterizzato da elevata automazione. Inoltre, se è vero che, pur di contenere l'incendio, il comandante abbia isolato un'intera sezione del sottomarino, è verosimile che i marinai “superstiti” non potessero comunque avere accesso a tutto il mezzo;
  • terzo: perché mai sono stati necessari ben due rimorchiatori ed una nave da guerra per trainare in porto un sottomarino che, una volta emerso, pesa 1600 tonnellate (certo non un “peso piuma” ma nemmeno un “colosso”)?

L'autore della presente analisi ha avuto modo di ottenere 2 fotografie scattate nella base di Severomorsk il 3 di luglio nella zona di ormeggio riservata ai sottomarini e, con grande sorpresa, ha potuto constatare che l'unità subacquea ivi presente non è lo “AS-12 Losharik”, bensì uno dei due “sottomarini-madre”, il “BS-64 Podmoskovye”! E questo spiega moltissime cose dandoci modo di formulare una teoria alternativa.

050719%20Losharik6.jpgÈ possibile (qui il condizione è d'obbligo) che il “BS-64 Pormoskovye” stesse trasportando lo “AS-12 Losharik” agganciato alla carenatura inferiore per quella che avrebbe dovuto essere una operazione sulle lunghe distanze, probabilmente in acque norvegesi (la baia di Ura dove ufficialmente si è verificato l'incidente è situata in prossimità delle acque territoriali norvegesi, a scanso di equivoci). Ad un certo punto, qualcosa deve essere andato storto ed un incendio si è sviluppato a bordo del “sottomarino-spia”, incendio che gli equipaggi dei due sottomarini sono riusciti a domare pur a prezzo di gravi perdite.

È possibile che, al momento dell'incidente, lo “AS-12 Losharik” si fosse da poco distaccato dal “BS-64 Podmoskovye” e che il tutto fosse avvenuto all'interno delle acque territoriali norvegesi. In questa delicata situazione, l'equipaggio del “Losharik” avrebbe dovuto prima lanciare l'allarme ai fratelli del “Podmoskovye”, poi manovrare per riagganciare i due sottomarini ed infine i due equipaggi avrebbero dato battaglia all'incendio riportandosi nel contempo all'interno delle acque territoriali russe dove avrebbero potuto riemergere e lanciare l'SOS al comando della marina. Ciò spiegherebbe l'intervallo di un'ora tra l'inizio dell'incendio e l'emersione nella baia di Ura. A questo punto anche l'utilizzo di ben tre unità navali per trainare i malcapitati fino alla base avrebbe senso dato che il “BS-64 Podmoskovye” è un “bestione” da 11.700 tonnellate (senza contare la “zavorra” delle 1600 tonnellate del “Losharik”).

Per quanto riguarda la testimonianza dei pescatori, probabilmente essi hanno semplicemente riferito di aver visto un sottomarino in difficoltà, dato che ben difficilmente possiedono una conoscenza tecnica tale da riconoscere un sottomarino rispetto ad un altro, specie se si tratta di un'unità segreta come il “Losharik”.

Sarebbe giustificata anche l'enfasi con la quale Shoigu ha parlato di “messa in sicurezza del materiale nucleare”, dato che i due sottomarini accomodano nel complesso ben 3 reattori nucleari (2 del modello VM4-SG sul sottomarino-madre e 1 del modello E-17 sul sottomarino-spia). Infine questo spiegherebbe anche perché il “Losharik” non sia visibile nelle fotografie ancorato a Severomosk assieme al “Podmoskovye”; il “sottomarino-spia” sarebbe infatti ancora agganciato alla carena del “sottomarino-madre” proprio per sottrarlo ad occhi indiscreti. A conclusione di questa importante disamina della “flottiglia” dei “sottomarini-spia” russi e dell'incidente avvenuto negli ultimi giorni, possiamo dire che:

  • la Russia possiede una importante dotazione di sottomarini adatti a svolgere missioni altamente classificate e dall'impatto potenziale notevole;
  • l'incidente ha dimostrato che la sicurezza tecnica non è comunque mai garantita al 100% specie in situazioni proibitive come le profondità degli oceani;
  • gli equipaggi dei due sottomarini coinvolti meritano comunque un plauso perché, pur a prezzo di gravi perdite, sono riusciti a gestire con estrema professionalità e spirito del sacrificio una situazione complessa e potenzialmente catastrofica.

Foto: autore / web / TASS

 

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Articolo molto interessante e con una ipotesi tutt'altro che campata in aria. 

Una cosa da tenere in considerazione è che un'emersione da elevate profondità non è mai immediata e, se si vuole dare credito a chi afferma che può scendere anche a 3.000 mt, il tempo di risalita in emergenza potrebbe superare la mezz'ora.

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