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Rommel e La Spezia


malaparte

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Ho ripreso (non è un romanzo, il bello dei saggi è che si possono interrompere e riprendere) la lettura di Otto milioni di baionette di Roatta, di cui qui (boh, so mica se sono riuscita a mettere il link....qua sotto mi compare addiruttura la discussione...vabbè) .

Da ragazzetta, ho visto al cinema un film su Rommel, di cui ricordo solo che l'interprete era un meraviglioso Robert Hossein, di cui mi innamorai subito. Non sono in grado di giudicare il film o altro, non ne ricordo nranche la trama, so che ero innamorata. Cercando adesso in web, ho scoperto che si trattava di El Alamein ed era del 1968. Ricordo invece molto bene il film su El Alamein di Monteleone del 2002, ma è ovvio.

In effetti, Rommel è legato, nell'immaginario, prevalentemente all'Africa settentrionale.  Scopro ora , colpa mia, che nell'agosto 1943 Rommel era intenzionato ad occupare con due divisioni La Spezia, "la parte germanica mirava certamente a presidiare l'uscita della rada e a mettere così virtualmente le mani sulla nostra flotta" . Ho un'edizione di seconda mano, su cui il precedente proprietario ha appntato " ma questo timore è la prova che si pensava al voltafaccia". Comunque, il tentativo di Rommel fu annullato da spostamento di due divisioni italiane in zona.

Rommel si dovette "accontentare" di dislocare tre divisioni nei dintorni. Quando dopo l'annuncio dell'armistizio tali divisioni mossero sulla Spezia, queste truppe occuparono il porto, ma quando la flotta era già salpata.."per eseguire lralmente e disciplinatamente gki ordini che le erano stati impartiti"

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Risponde a Malaparte un Anonimo Contributore


 

Contrariamente alle storie convenzionali, tutte malamente copiate l’una sull’altra e tutte sbagliate, le truppe tedesche NON entrarono in Italia in massa subito dopo il 25 luglio 1943. Atterrarono solo, nel pomeriggio del 26 luglio, su alcuni aeroporti dell’Urbe, i primi elementi della 2ª Divisione paracadutisti, poi seguiti - nei tre giorni successivi - dal resto di quella grande unità. Transitò inoltre dal Brennero, il 29 luglio, il reggimento corazzato della 26ª Divisione corazzata diretto, formalmente, alla volta del Meridione per congiungersi col resto di quella grande unità dislocata in Calabria, ma fermatosi, in realtà, e inaspettatamente, a Roma, il 30 luglio, passando sotto le dipendenze della 3ª Divisione motorizzata di stanza a Tarquinia.

Entrambi i reparti in parola erano stati preannunciati, per quelle date, il 19 luglio in vista di un previsto contrattacco tedesco in Sicilia annunciato da Hitler in occasione dell’incontro di Feltre con Mussolini e che avrebbe dovuto aver luogo in agosto.

Poiché i tedeschi avevano messo bene in chiaro, sempre il 19 luglio, che, oltre ai reparti in questione e a un gruppo d’artiglieria costiero da 170 mm (affluito dalla Germania in Calabria subito prima del 25 luglio assieme a qualche squadriglia extra di caccia della Luftwaffe), non sarebbe arrivato altro prima del settembre 1943 (epoca in cui sarebbero pervenute, dalla Francia, due divisioni di fanteria, la 305ª e la 76ª, in quel momento in corso di ricostituzione), i generali italiani dedussero che le riserve centrali tedesche si erano finalmente esaurite e che l’Italia - da considerare ormai alla stregue di un’isola come la Gran Bretagna, sia pure con le Alpi al posto del mare - vedeva in tal modo confermata la propria libertà d’azione. In altre parole era possibile indurre Berlino a stipulare nel giro di 72 ore una pace separata con l’Unione Sovietica (come volevano Mussolini e il Re) oppure, e alla peggio, pervenire a un armistizio o a una pace separata con gli angloamericani alle condizioni, molto generose, che Washington continuava a proporre a Roma sin dal maggio 1940 e che aveva rinnovato, dalla fine del gennaio 1943, in Svizzera, a Giacomo Acerbo, il quale aveva immediatamente infornato, a sua volta, Mussolini ricevendo, in cambio, la nomina, su due piedi, a ministro delle finanze allo scopo di metterlo in condizione di trattare nella veste migliore e con la necessaria autorità al momento opportuno.

La fermata, inattesa, del 26° Reggimento corazzato tedesco, fermatosi nei pressi di Roma, preoccupò, per la prima volta, il generale Vittorio Ambrosio, capo di Stato Maggiore generale e, a caduta, i protagonisti dell’arresto di Mussolini (una dozzina di persone in tutto, tra ufficiali e sottufficiali del Regio Esercito) ch el’avevao affiancato nel corso di quell’impresa con, buon ultimo, Badoglio, in realtà ormai vecchio e debole. Quei personaggi chiesero pertanto, quella notte stessa, un immediato, e inutile, abboccamento tra il nuovo ministro degli esteri italiano, Raffaele Guariglia, appena arrivato quello stesso giorno dalla Turchia, dove era stato il Regio Ambasciatore, e gli incaricati d’affari statunitense e britannico accreditati in Vaticano. Fino a quel momento, infatti, il convincimento di tutti era stato che la presenza in Roma, dalla sera del 25 luglio, della Divisione corazzata Ariete bastasse a scongiurare un eventuale colpo di mano a opera dei paracadutisti tedeschi concentrati a sud della capitale, oltre che della giudicata non gran che temibile 3ª Motorizzata germanica, in quel momento in corso di ricostituzione e acquartierata, da giugno, a nord dell’Urbe.

La notte tra il 30 e il 31 luglio 1943 i primi elementi della 305 ªe della 76ª divisione si presentarono a loro volta (beninteso senza preavviso) al confine tra la Francia e l’Italia. Il comandante della IV armata di presidio in Francia, generale Vercellino, disse che avrebbe fatto sparare dai suoi se quelle due divisioni avessero proseguito. Contemporaneamente fece svellere, da buon militare, alcuni tratti dei binari. A questo punto i reparti germanici scesero dai treni e cercarono di infiltrarsi a piedi, nell’oscurità. Ci furono alcune sparatorie e l’intero movimento tedesco venne, alla fine, bloccato visto che gli ambigui ordini di Hitler ordinavano l0invasione, ma senza incidenti di sorta. Il 31 luglio tutti avevano il dito sul grilletto, ma non successe nulla. Idem il 1 agosto anche se la tensione salì, quel giorno, da una parte dall’altra, a vista d’occhio. Era la situazione auspicata da Dino Grandi e da Federzoni (ma non dagli altri votanti l’ordine del giorno dell’ultimo Gran Consiglio, a loro volta decisamente più prudenti) con la benedizione dei grandi imprenditori Vittorio Cini, Giuseppe Volpi e Achille Gaggia: un incidente militare tra i due alleati dell’Asse con i tedeschi oltre le Alpi, a parte nuclei sparsi a livello di corpo d’armata al massimo tra la Sicilia, la Calabria, Napoli, Roma, la Sardegna e la Corsica, che gettasse, automaticamente, l’Italia dalla parte anglosassone confidando, per il seguito, nella buona volontà statunitense e nell’impossibilità, da parte britannica di praticare la temuta pace vendicativa auspicata da Londra sin dal 1940, se non da prima).

Il pomeriggio del 2 agosto, infine, a Roma si verificò, da una parte, una crisi di nervi in capo, si disse, al presidente del consiglio mentre, dall’altra, Ambrosio ritenne che, al di là di quelle 2 divisioni tedesche attestate lungo le Alpi francesi e di pochi carri (una decina di Tigre) in compagnia di un paio di battaglioni di alpini austriaci affluiti (sempre senza preavviso) al Brennero e anch’essi fermi, nelle medesime condizioni, dalla notte tra il 30 e il 31 luglio in poi (sia pure, grazie a un colpo di mano inziale, oltre la barra di confine e a pochi metri dai due grossi bunker delle fortificazioni di confine italiane poste a guardia di quel passo), i tedeschi non disponessero di altri reparti. Fu pertanto ordinato di lasciarli passare con l’intesa che si sarebbero diretti alla volta della Calabria, delle Puglie, della Lucania e della Campania. Il 2 agosto sera, viceversa, i primi reparti della 305ª e della 76ª si fermarono a portata tattica di Genova e, poco dopo, di Spezia e l’ammiraglio Raffaele de Courten, capo di Stato Maggiore e Ministro della Marina, ottenne da Ambrosio, sia pure a fatica, di far presidiare immediatamente quelle piazze dai reparti delle divisioni italiane Alpi Graje e Rovigo in quel momento ferme in quella stessa area dopo che Ambrosio aveva fermato, prinma del 25 luglio, il previsto trasferimento degli alpini dell’Alpe Graje alla volta della Sicilia. Nel mezzo di un caos bestiale furono creati, a questo punto, una serie di posti di blocco italiani e tedeschi, spesso affiancati gli uni agli altri, fino a quando non si arrivò all’armistizio. Il 9 settembre mattina, con la luce, iniziarono i primi movimenti germanici verso la base navale, oltre che in direzione del capoluogo ligure. Qualche caposaldo italiano sparò, qualche altro rimase indisturbato fino al 10 e per il pomeriggio del 9 settembre era stato trovato un modus vivendi visto che praticamente nessuno, sia tra gli italiani sia tra i tedeschi, voleva lasciarci la pelle, tanto più che le Forze Navali da Battaglia italiane erano già partite il 9 prima dell’alba alla volta della Maddalena.

Rommel, in tutto questo, non c’entra. Era il comandante delle forze germaniche a nord della congiungente Pisa-Rimini. Propose a Hitler, in agosto, di lasciar perdere l’Italia e di attestarsi, con un dispendio minimo di forze, sul baluardo naturale rappresentato dalla catena delle Alpi, ma non fu ascoltato (a posteriori si sospettò, nell’estate 1944, che si fosse trattato di un’astuta mossa di quel maresciallo in vista della giubilazione del Führer). Sempre Rommel attese in seguito (e invano) il permesso di sottoporre a Vittorio Emanuele III un brutale ultimatum chiarificatore vanamente sollecitato sin dalla primavera 1943 dai generali tedeschi al loro incerto Cancelliere allo scopo di assumere il controllo delle Forze Armate italiane del Regno relegando Mussolini al ruolo di “Nonno della patria” e confinando il Re in campagna. In seguito la Volpe del deserto non ebbe mano nelle operazioni di Spezia, anzi si irritò moltissimo davanti alla flemma dimostra dalle due divisioni germaniche di base in quell’area.

Quanto ad Ambrosio, per quanto per il 6 agosto 1943fossero state contate, con grande stupore dello Stato Maggiore del Regio Esercito, ben 8 divisioni germaniche affluite attraverso il Brennero, la Francia e, infine, Tarvisio - e fermatesi tutte nella Pianura padana - quel capo di Stato Maggiore generale continuò a pensare, fino all’11 settembre 1943, che quelli che erano in corso dalla sera dell’8 settembre erano solo “incidenti” tra italiani e tedesche e che tutto si sarebbe chiarito, alla fine, senza arrivare a una vera e propria crisi finale tra i due ex partner dell’Asse, tanto da contromandare l’ordine, emesso dal generale Mario Roatta, capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, la notte tra il 10 e l’11 settembre (e appena arrivato, come lui, a Brindisi) di “considerare i tedeschi come nemici”.

 

Si suggerisce, per un eventuale approfondimento, Vincent P. O’Hara, Enrico Cernuschi, Dark Navy. The Regia Marina and the Armistice of 8 September 1943, Nimble Books, Ann Arbor, MI, USA, 2009.

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