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I CONTAINER E LA RIVOLUZIONE DEL TRASPORTO INTERMODALE


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I Comandanti non più giovanissimi che hanno un passato in Marina mercantile, ricorderanno che fino agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, le merci varie venivano trasportate in casse di legno, sacchi e barili. Era il sistema di trasporto via mare in uso da sempre. Il carico e lo scarico delle merci era molto laborioso; una nave di 10-12.000 tonnellate di portata (questa era la media delle dimensioni dell’epoca) restava ormeggiata in porto fino a due settimane per completare le operazioni, con i portuali che manovravano il carico dentro e fuori da spazi angusti all’interno delle stive. Spesso per sollevare i carichi non si usavano le gru di banchina, ma i bighi (era questo il nome dei picchi di carico di bordo) accoppiati “all’americana”. Un bigo era bracciato sopra il boccaporto e l’altro sulla banchina; i due amantigli (cavi d’acciaio che facevano capo al verricello) erano collegati ad un unico gancio; quando il bigo sul boccaporto calava o issava il carico dalla stiva, l’amantiglio dell’altro bigo veniva lasciato in bando, così da non ostacolare la manovra; quando il bigo sulla banchina prelevava o deponeva il carico, avveniva l’inverso, cioè il bigo sul boccaporto veniva lasciato in bando, in modo da consentire la rotazione del gancio di circa 90° e il suo spostamento all’esterno della murata. I due verricelli dovevano essere manovrati da portuali esperti per non provocare danni e inoltre il peso del carico non doveva superare le 3 tonnellate, anche se il singolo bigo ne poteva sollevare 5, perché le tensioni laterali sui cavi e sui bracci di carico aumentavano considerevolmente.

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La merce che si movimentava era generalmente contenuta dentro una braca “giapponese”, ossia un quadrato di cavi annodati a formare una rete munita di quattro golfari agli angoli nei quali si inseriva il gancio. Quando si sollevava con dentro la merce, si creava una specie di sacco che poteva essere abbastanza facilmente depositato nella stiva o in banchina.

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Naturalmente con l’uso le maglie della giapponese si usuravano e, se non si interveniva in tempo, prima o poi la braca si rompeva causando la caduta del carico. A questo proposito mi viene in mente un episodio avvenuto durante il mio primo imbarco da Allievo ufficiale. Eravamo a Marsiglia e stavamo caricando delle casse di vino destinate alla comunità francese di Abidjan (la Costa d’Avorio aveva ottenuto l’indipendenza da pochi mesi e il quartiere europeo della capitale era abitato esclusivamente da Francesi), quando forse per la spigolosità delle casse la braca si ruppe facendo precipitare tutto il suo contenuto in banchina che divenne immediatamente rossa di Bordeaux. Da bordo ci accorgemmo immediatamente che numerose bottiglie non si erano rotte, così il 1° Ufficiale mi spedì subito in banchina con l’ordine di recuperarle. Da bordo calarono un vecchio bidone di vernice utilizzato per contenere stoppa e filacce e lo riempii un paio di volte con le bottiglie superstiti. L’operazione fu particolarmente apprezzata perché per qualche giorno pasteggiammo a Bordeaux anziché col pessimo cancarone dal sapore di resina che ci passava il provveditore di bordo.

La geniale intuizione di un camionista americano, Malcom McLean, decretò la fine di questo antico sistema di movimentazione delle merci. Nel 1935, quando finì il liceo, McLean comprò un camion di seconda mano ed iniziò con successo una piccola attività di autotrasportatore. Lo stesso anno fondò con il fratello e la sorelle la McLean Trucking Co., con sede in Red Springs, Nord Carolina, e lui era uno degli autisti; la ditta si era specializzata in un business di nicchia consistente nel trasporto di merci e rifornimenti per aziende agricole e l’intraprendenza di Malcom fece sì che alla fine degli anni ’40 l’azienda di famiglia operasse con trenta camion.

Nelle lunghe ore che trascorreva al volante percorrendo i circa 1.000-1.500 Km. di strade statali che collegavano il Nord/Sud Carolina a New York, trasportando tabacco e cotone all’andata e attrezzature e pezzi di ricambio al ritorno, Malcom era tormentato da un’idea fissa: caricare i propri camion su una nave nei porti di Wilmington o Charleston, a seconda che l’azienda agricola sua cliente si trovasse in Nord o Sud Carolina e percorrere via mare la tratta fino a New York. Ma il problema era l’ingombro del camion, che faceva lievitare a dismisura il costo del trasporto. E allora perché non trasportare solo il cassone? Tanto più che i mezzi della McLean Trucking Co. erano tutti furgonati.

A rafforzare questa sua idea fu un fatto che gli accadde nel 1937 quando dovette trasportare sul suo autoarticolato un carico di cotone al porto di Newark, New Jersey, di fronte a New York sull’altra sponda dell’Hudson, che doveva essere caricato su un mercantile diretto a Istambul. Dovette aspettare alcuni giorni in coda agli altri camion che i lavoratori portuali trasferissero le balle di cotone dai cassoni dei camion alle stive della nave. E qui ebbe il colpo di genio: perché non caricare il solo cassone e scaricarlo su un altro camion al porto d’arrivo per la consegna al destinatario?

Durante l’attesa si era reso conto che il carico di una nave era costituito da un gran numero di merci varie che dovevano essere issate a bordo in piccoli quantitativi e poi stivate con attenzione per evitare danneggiamenti durante la navigazione. Tutto questo richiedeva un grande dispendio di tempo e di ore di lavoro. Inoltre, a causa dell’incertezza sulla data di arrivo della nave, la merce veniva spesso scaricata sulla banchina dove giaceva per giorni e anche per settimane, con ampie possibilità di furti e danneggiamenti.       

Malcom fece allora un esperimento, modificando alcuni automezzi in modo che il cassone furgonato fosse facilmente amovibile dallo chassis ed effettuò la spedizione via mare. L’esito fu positivo: i costi erano praticamente simili a quelli del trasporto via strada, ma si poteva ottenere un grosso risparmio nei costi del personale e inoltre le navi dell’epoca non erano concepite per il trasporto dei cassoni di camion. In sostanza, Malcom McLean intuì che la sua idea avrebbe potuto avere enormi sviluppi nel futuro.

Lo scoppio della 2ᵃ Guerra mondiale rallentò il progetto di Malcom. Le industrie producevano a ritmo serrato armi e forniture militari che, sebbene gli Stati Uniti non partecipassero attivamente al conflitto, andavano in parte a costituire le riserve delle Forze armate e in parte venivano imbarcate per supportare la cugina Inghilterra assediata dalle truppe tedesche. Questo stato di cose comportò un grande sviluppo dei trasporti e la piccola azienda di famiglia dei McLean vi si gettò a capofitto.     

Al termine del conflitto la McLean Trucking Co. era diventata una tra le maggiori aziende di trasporto operanti negli Stati Uniti, con oltre 1.700 autoarticolati. Era giunto il momento, per Malcom, di sviluppare e mettere in pratica la sua idea fissa.

All’epoca, la normativa vigente negli Stati Uniti non consentiva alle aziende di trasporto via terra di essere anche società armatoriali e allora, nel 1955, McLean vendette la McLean Trucking Co. al prezzo di 6 milioni di dollari per trasformarsi in armatore.

Nello stesso anno, dopo aver ottenuto un prestito bancario di 22 milioni di dollari, Malcom acquistò una piccola compagnia di navigazione: la Pan-Atlantic Tanker Co. Il passo successivo fu l’acquisto di due petroliere T2, la Potrero Hills dalla Philadelphia Marine Co. e la Whittier Hills dalla National Bulk Carriers Inc., entrambe costruite nel 1945 e facenti parte delle 481 unità di questa classe che erano state impiegate nel periodo bellico per trasportare prodotti petroliferi, ma non solo, nei vari teatri di guerra. Infatti, allo scopo di trasferire anche carichi ingombranti come aerei e PT Boats, erano stati realizzati dei graticci di legno amovibili denominati “mechano decks” sui quali venivano ancorati questi carichi particolari.

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Caccia P-47 su un graticcio collocato tra il cassero centrale e il cassero di poppa di una T2

 

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La Potrero Hills

 

Proprio il “mechano deck” suggerì a McLean la soluzione da adottare per il trasporto dei cassoni furgonati dei suoi semirimorchi. Ribattezzate le due navi rispettivamente Ideal X e Almena le trasferì ai cantieri navali Bethlehem Steel di Baltimora per adattarle al nuovo utilizzo, sovrintendendo personalmente alla realizzazione del falso ponte sul quale trasportare i cassoni. Contemporaneamente lavorava alla modifica dei semirimorchi per consentire un’agevole rimozione e ricollocazione del cassone sul telaio.

Per non incorrere nella normativa antitrust, McLean fondò una nuova società di trasporti, la Sea-Land Service Inc., che utilizzava le navi della Pan-Atlantic per trasportare i cassoni furgonati dei propri automezzi. Nel 1960, quando cadde il divieto per gli armatori di essere anche autotrasportatori, la Pan-Atlantic Tanker Co. confluì nella Sea-Land Service Inc.

 

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Profilo della Ideal X modificata per il trasporto container

 

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L’imbarco dei cassoni sulla Ideal X per il viaggio inaugurale. Notare sulla banchina i semirimorchi ancora con i cassoni montati

 

Venne finalmente il giorno in cui il progetto divenne realtà a tutti gli effetti. Il 26 aprile 1956, ormeggiata ad una banchina del porto di Newark,  la Ideal X stava imbarcando i primi cassoni furgonati lunghi 35 piedi (11 metri) prelevati dai semirimorchi parcheggiati in banchina. La gru ne deponeva sul falso ponte uno ogni 7 minuti, affiancati l’uno all’altro in file di sei od otto pezzi a seconda della larghezza dello scafo. I cassoni venivano fissati al falso ponte con degli agganci ideati dallo stesso McLean che si inserivano nelle fessure longitudinali del ponte. Il carico fu completato in otto ore e quello stesso giorno la nave, con 58 cassoni a bordo, ma con le tanche vuote, salpò in zavorra diretta a Houston, Texas, dove sarebbe giunta sei giorni più tardi.  

Subito dopo la partenza della nave, Malcom volò a Houston per organizzare lo sbarco e l’imbarco degli stessi cassoni riempiti di balle di cotone dalle aziende che li avevano ricevuti con i rifornimenti. Nel frattempo, la Ideal X avrebbe imbarcato 15.000 tonnellate di greggio proveniente dai campi petroliferi del Texas e diretto ad una raffineria del New Jersey.

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La Ideal X in un rendering che mostra la collocazione dei cassoni a bordo

 

Ben presto altre due petroliere della stessa classe, la Maxton e la Coalinga Hills andarono ad aggiungersi alla flotta della Pan-Atlantic e furono anch’esse adattate al trasporto di cassoni dei semirimorchi. Con quattro navi operative, McLean istituì un servizio regolare porta a porta tra New York (Newark Terminal) e Houston.

Fino ad allora la maggior parte delle merci erano caricate e scaricate dalle navi dai lavoratori portuali. Il costo medio della movimentazione dei carichi era di 5,86 dollari a tonnellata; con l’avvento dei container il prezzo scese a 16 centesimi, ben 36 volte di meno! Inoltre il tempo di permanenza in porto delle navi si ridusse enormemente, creando ulteriore efficienza al sistema dei trasporti. Come diceva McLean “Una nave guadagna denaro solo quando è in navigazione”.

Altri armatori americani condivisero ben presto la nuova modalità di trasporto messa a punto da Malcom McLean, come la Matson Navigation Co. di San Francisco che due anni dopo trasportò con la Hawaiian Merchant – un Victory della 2ᵃ Guerra mondiale – 20 container da Alameda, nella baia di San Francisco, ad Honolulu, nelle Hawaii; furono i primi container a solcare le acque dell’Oceano Pacifico.

 

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L’Hawaiian Merchant transita sotto il Golden Gate Bridge diretta ad Honolulu

 

Il 4 ottobre 1957 la prima nave specificatamente ristrutturata per il trasporto di container, la Gateway City della Sea-Land (originariamente un Victory della 2ᵃ Guerra mondiale) fece il viaggio inaugurale collegando Newark a Tampa con scali intermedi a Miami e Houston. Poteva caricare 226 container da 35 piedi parte in coperta e in parte nelle stive. Un elemento chiave della conversione della Gateway City fu l'aggiunta di una coppia di gru a portale, una a proravia del cassero centrale ed una a poppavia che si muovevano su binari installati su due piattaforme laterali realizzate su entrambe le murate. Ogni gru era dotata di un motore diesel da 290 HP. Le operazioni di carico e scarico richiedevano solo due squadre di lavoratori portuali che in media movimentavano 12 container/ora.

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La Gateway City – Notare la strana modifica alla forma dello scafo per ottenere le piattaforme laterali sulle quali erano installati i binari delle gru a ponte

 

Il 7 gennaio 1959 entrò in servizio la prima gru di banchina a portale , antesignana delle moderne gru a portale che spiccano nei terminali container dei nostri giorni. Fu realizzata dalla Pacific Coast Engineering Company di Alameda, California su specifiche dettate dalla Matson Navigation Company.

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Il traffico di container andava sempre più diffondendosi nei trasporti marittimi, ma con una certa confusione nelle dimensioni che ogni azienda di autotrasporti adattava alle dimensioni dei propri camion, creando difficoltà nello stivaggio sulle navi. Nel 1961 la International Organization for Standardization (ISO) definì le misure standard dei container, in uso ancora oggi. Le due misure principali sono, per quanto riguarda la lunghezza, 20 piedi (6,09 m.) e 40 piedi (12,18 m.); per entrambi i tipi l’altezza è di 8 piedi e 6 pollici (2,591 m.) e la larghezza di 8 piedi (2,438 m.). Il peso lordo massimo consentito è di Kg. 30.000, per cui ne consegue che il container da 20 piedi ha una possibilità di carico netto maggiore di quello da 40 piedi: rispettivamente Kg. 27.800 e Kg. 26.199.

Nel corso degli anni la normativa ISO ha certificato anche misure diverse, sia in altezza (9 piedi e 6 pollici, 2,896 m.) creando la categoria di container “High Cube”, che di lunghezza: 45, 48 e 53 piedi. Questi ultimi sono però scarsamente usati perché la struttura cellulare della quasi totalità delle navi portacontainer è fatta per i 20 e i 40 piedi.

Una specifica importante derivante dai container da 20 piedi è il  Twenty-foot Equivalent Unit (TEU) che indica la misura standard di riferimento del volume di carico di una nave portacontainer. Per fare un esempio, una delle più grandi navi portacontainer, la CMA CGM Marco Polo, lunghezza 395 m.,larghezza 54 m., immersione 16 m., ha una capacità di 16.000 TEU, intesi come volume globale che è ovviamente composto da un mix di container da 20 e da 40 piedi. Ma attenzione, si tratta di una misura di volume e non di peso; per cui dovrà essere sempre rispettata la portata massima della nave, che è di 186.470 tonnellate; quindi la possibilità effettiva di carico può scendere anche di alcune migliaia di TEU.

La guerra del Vietnam ebbe un ruolo determinante nello sviluppo della containerizzazione.

All'inizio del 1965, il governo degli Stati Uniti iniziò un rapido accumulo di forze militari nel Paese del Sud Est Asiatico con gravi problemi di carattere logistico. Il Vietnam del Sud non era assolutamente preparato a sostenere una forza militare moderna come quella messa in campo dagli Stati Uniti; aveva strade primitive, un’unica linea ferroviaria in gran parte inattiva e un solo porto di acque profonde: Da Nang.

Ancora una volta Malcom McLean fiutò un lauto affare nel quale avrebbe potuto coinvolgere la flotta di portacontainer della Sea-Land. I rifornimenti alle basi americane arrivavano più o meno con la stessa logistica della 2ᵃ Guerra mondiale o di quella della Corea, anche se in quest’ultima erano state fatte delle spedizioni in cassoni metallici anziché di legno. Gli Stati Maggiori delle truppe americane in Vietnam non vedevano di buon occhio le spedizioni delle merci in container perché erano difficili da maneggiare e si creava un problema in più con la restituzione dei “vuoti”. Contro molte resistenze, McLean si aggiudicò un contratto per la costruzione di un terminale container a Cam Ranh Bay e per gestire i trasporti di merci militari tramite le portacontainer della Sea-Land dalla California al Vietnam.

Nel 1969 si trovavano in Vietnam 540.000 soldati, marinai, avieri e marines delle forze armate degli Stati Uniti e le navi della Sea-Land consegnavano una media di 1.200 container al mese di rifornimenti essenziali per il mantenimento di una forza militare ben equipaggiata e ben nutrita.

A partire dal 1968 cominciò a svilupparsi un trend via via crescente nella costruzione di navi portacontainer. In quello stesso anno furono costruite 18 navi, di cui dieci con un una capacità di 1.000 TEU, non indifferente per quel tempo. Nel 1969 ne furono costruite 25, di dimensioni sempre crescenti che arrivarono a sfiorare i 2.000 TEU. Nel 1972 si superarono i 3.000 TEU.

Nel decennio 1970-1980 i trasporti marittimi con i container crebbero in maniera esponenziale; furono stabiliti collegamenti tra l’Europa e la East Coast degli Stati Uniti e tra la West Coast ed il Giappone. Alla fine del decennio il traffico di merci varie tra Europa, Asia, Sud Africa, Australia, Nord e Sud America era in gran parte containerizzato. Nel 1973, gli armatori di portacontainer europei, statunitensi ed asiatici trasportarono 4 milioni di TEU in tutto il mondo. Dieci anni dopo, nel 1983, si raggiunsero i 12 milioni di TEU.

Infine una cifra da capogiro: nel 2017 nei porti di tutto il mondo sono stati movimentati 753 milioni di TEU, con un incremento del 6% rispetto al 2016.

 

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26 minutes ago, Totiano said:

Completo, esaustivo e interessantissimo, grazie Max! Non sapevo esistessero queste misure "spurie"  di 45, 48 e 53 piedi, ma sono ancora usate?

 

Come dicevo nell'articolo, sono usate molto raramente perché la struttura cellulare delle portacontainer non prevede queste misure. Li ho citati unicamente per completezza di informazione. Generalmente vengono imbarcati in stiva sulle multipurpose, collocati sopra i ma-fi, delle specie di carrelli senza l'asse anteriore che vengono spinti (quando imbarcano) o trainati (quando sbarcano) dal trattore in dotazione della nave che ha il posto di guida girevole di 180°. La foto che segue, pur se di scarsa qualità, rende l'idea; in questo caso sul ma-fi sono imbarcate delle casse e il trattore sta operando da "spintore".

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Grazie a tutti per l'apprezzamento .... ma la nostalgia per il mare e le navi aumenta con l'incedere dell'età e, dicono, quando si comincia a vivere di ricordi si è davvero vecchi. Mi illudo di essere l'eccezione alla regola!

Sto preparando quella che, secondo me, è una vera chicca. La posterò nei prossimi giorni.

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