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Vera Storia Della Tecnologia Navale


Ocean's One

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Esimio Professor Mascella,

 

Ella mi sorprende sempre più con queste Sue intriganti notizie, significandomi come la realtà possa ampiamente superare i prodotti della fantasia.

La ringrazio per l'importante contributo il quale, a dire il vero, mi stimola a pubblicare ulteriori notizie relativamente alle navi rompighiaccio.

Voglia ritrovarne i riferimenti nella parte finale del presente capitoletto.

Deferenti saluti,

PdO

_______________

 

 

NAVIGLIO AUSILIARIO

 

Da sempre, il conferimento di capacità aviatorie alle proprie navi è stato obiettivo prioritario di ogni marina moderna: oltre alle portaerei vere e proprie, risultano ugualmente importanti sia le navi portaidrovolanti che le portaerei ausiliarie, aventi funzioni di supporto, logistiche e di collegamento.

Un tipico esempio ci viene dalla storia di Croda, dove avvenne la conversione in portaerei ausiliaria del veloce incrociatore postale Igor Sonaduwòltje, che portava il nome di un eroico portalettere della Repubblica Crodense.

Convertita in portaerei postale e rinominata Bukadylétterje, l’unità ebbe un grande successo negli anni Trenta e fu impiegata a lungo come nave appoggio a supporto dell’Aéropostale francese.

 

Nello stesso periodo ebbero un discreto successo anche le navi portaidrovolanti, destinate al supporto di un buon numero di velivoli da ricognizione.

In alcuni casi, alla numerosità dei velivoli fu preferita la capacità operativa di un unico grosso idrovolante imbarcato: tipico esempio ne è la portaidrovolanti giapponese Akitsushima, in grado di trasportare un solo, gigantesco quadrimotore Kawanishi H8K.

Dimostrata la bontà del binomio nave + idrovolante, ulteriori e radicali sviluppi del concetto si susseguirono nel secondo dopoguerra.

 

Nella Libera Repubblica Socialista di Croda, al termine di un’approfondita analisi operativa, lo SteCol (sottotenentecolonnello) di Squadra Aerea Hythaly Balbow decise di passare dal concetto di nave porta-idrovolanti a quello di idrovolante porta-navi.

Il suo progetto, denominato “Rewersye”, prevedeva un gigantesco idrovolante decamotore, in grado di trasportare due torpediniere armate di siluri da 450 mm, da rilasciare a più di 4000 km dalla base di partenza.

L’idea era promettente, ma subito nacquero delle fortissime dispute sulla forza armata a cui attribuire lo strano mezzo bellico: il luogotenente di vascello Duomenik Kavanaru, contraiutante maggiore della Prima Flotta Mobile Crodense, ne rivendicava l’appartenenza alla Marina, mentre lo stesso Hythaly Balbow lo voleva nella Libera Aviazione Socialista Crodense.

Purtroppo, le lungaggini burocratiche che seguirono impedirono lo sviluppo di questa interessante arma strategica.

 

Tornando al tema prettamente navale, ci preme menzionare diversi altri progetti costruttivamente innovativi.

In linea di principio, le buone regole dell’ingegneria navale impongono che ogni costruzione risulti idonea ai mari in cui dovrà operare, marcando per esempio le differenze fra le unità prettamente oceaniche e quelle destinate a bacini ristretti come il Mediterraneo.

Talvolta questi razionali criteri sono stati disattesi, per colpa di una reazione collettiva ad un contemporaneo evento traumatico, che spinse a cautelarsi maggiormente contro un presunto e sovrastimato pericolo.

 

Un tipico caso di irrazionalità collettiva si manifestò nel 1912 dopo la tragedia del transatlantico Totiànic, affondato nell'urto contro un sommergibile che si nascondeva dietro ad un iceberg.

Da quel momento, molte marine richiesero espressamente navi capaci di operare sul mare ghiacciato, al solo scopo di tutelarsi contro questa pericolosa eventualità, anche se il teatro operativo previsto fosse totalmente diverso.

Nacquero quindi perfetti esempi di torpediniere rompighiaccio, di portaerei rompighiaccio e persino di posamine rompighiaccio (questi ultimi dotati di mine di tipo terrestre da rilasciare sul pack).

Anche la Libera Repubblica Socialista di Croda seguì questa strada, realizzando nel 1936 le navi coloniali rompighiaccio Afa e Kalùra, destinate al collegamento con i porti dell’Africa Orientale Italiana, dove però non trovarono mai le pericolose condizioni per cui erano state disegnate.

Ciononostante, anche senza una prova provata del concetto, la resistenza al ghiaccio rimase una costante priorità per i progettisti crodensi: nel 1957, a coronamento di una lunga serie di navi con capacità di questo tipo, venne raggiunto l’apice con la serie di aliscafi rompighiaccio classe Onderòx.

 

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[sei un mito Marco, perfino alla vigilia del compleanno riesci a superarti in mirabolanti nomi e adwentujre tecnologichje]

 

A proposito di adeguamento della navi alle zone di operazione, esimio prof dellìOceano, rimane inciso nella roccia e, sfortunatamente, nei fondali della Manica, l'impresa della Repubblica Romana e di un tal Caio Giulio Cesare, che indispettito dalle continue interazioni tra Britanni e Galli decise di dare ai primi una lezione. Per fare cio portò le sue navi da guerra (Liburne, Trireme, quadrireme,pentareme ecc ecc-reme) dal Mediterraneo all'Atlantico qualche anno prima del'avvento di Cristo. Una severa tempesta falcidiò queste navi e le navi da carico che erano state costruite in Gallia. Terminata la prima incursione, Cesare decise di tornare l'anno successivo per rafforzare la lezione verso questo testardi britanni e fece modificare le navi costruite ex-novo dai galli (dalle tribu dei Veneti, pe la precisione). Sfortunatamente Cesare non era marinaio e le modifche ordinate (non entrerò nei dettagli) erano esattamente l'opposto di quanto serviva per fronteggiare i marosi delle basse pressioni atlantiche che si infrangono d'estate sulla manica e, puntualmente, la flotta fu decimata dalle condizioni meteomarine. A Onore di Cesare, va detto che riusci comunque a dare la citata lezione e Roma rimane l'unica ad essere sbarcata e avere mantenuo il possesso di quelle terre (cosa che non avverrà con Cesare, ma qualche decennio dopo)

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Grazie Dir, come sai i Romani seppero fare molto di meglio di questa inefficiente flotta di invasione.

(un certo Monopelagus ha scritto di cose mirabolanti in un paio di suoi libri... :biggrin: )

 

Invece, caro Iscandar, vale la pena sviscerare ulterormente il tema del binomio nave-aereo che tu citi.

Ecco quindi un'altra pagina dello scritto di Primo Dell'Oceano, dedicata alle navi portaerei:

 

 

 

NAVI PORTAEREI CONVERTITE

 

Le portaerei della prima generazione furono quasi sempre ottenute dalla conversione di altro tipo di naviglio: Courageous, Akagi e Lexington erano in precedenza incrociatori da battaglia, Bearn ed Eagle erano corazzate, mentre la britannica Argus derivava da un piroscafo e la statunitense Langley da una nave carboniera.

 

Negli anni del primo dopoguerra c’era quindi la convinzione che si potesse trasformare in portaerei qualsiasi cosa.

In quest’ottica, i Rumeni impostarono il cacciatorpediniere portaerei Marastaéreu, della classe Marasésti, dotandolo di due ricognitori e di un brevissimo ponte di volo di soli 64 metri.

In effetti, la sua minima lunghezza costituiva una severa limitazione, che vincolava il decollo dei velivoli alla presenza di un vento contrario di 40 nodi, quando la nave stessa procedesse controvento alla velocità di 38 nodi.

Purtroppo queste fortunate circostanze non si verificarono mai, soprattutto perché la piccola nave aveva una velocità massima di soli 22 nodi in condizioni operative.

 

Di lì a poco, anche la Libera Repubblica Socialista di Croda volle cimentarsi nella conversione in portaerei di una nave esistente.

In principio si valutò il concetto di ”portaerei-portaerei”, trasformando in portaerei un’unità che in origine fosse già di questo tipo, ma l’Ammiragliato crodense giudicò la soluzione irrealizzabile.

Fu quindi avviato un programma alternativo, che prevedeva la conversione della prima bettolina-portaerei, la Tinossiya, di sole 85 tonnellate di dislocamento ma in grado di ospitare sul suo ponte di volo un singolo monoplano del tipo “Anatra 60CV”.

 

Come ci riporta lo storico Danilo Venezian nel suo libro “Navi e tinozze”, la bettolina-portaerei fu effettivamente impiegata del 1925, durante le schermaglie iniziali della seconda crisi bulgaro-crodense per l’isolotto di Minumu Skolju.

In risposta alla minaccia dei Bulgari con il loro cacciatorpediniere-portaerei Marastaéreu, i Crodensi schierarono la bettolina-portaerei Tinossiya, scortata da due cacciacoste classe Biljianye.

(NdR: il “cacciacoste” era un’unità navale intermedia fra i tipi cacciatorpediniere e guardacoste. Venne anche denominato “guardatorpediniere“ presso la Libera Guardia Costiera Proletaria Crodense)

L’atteso scontro aereonavale però non avvenne, in quanto nessuna delle due portaerei riuscì a lanciare i propri velivoli, si ritiene a causa dell’esiguità del proprio ponte di volo.

La ricorrente crisi internazionale si concluse nuovamente con un nulla di fatto.

 

Successive prove di decollo dimostrarono la palese insufficienza del ponte di volo della Tinossiya: l’unico modo per consentire il decollo del leggero velivolo fu quello di allineare una dietro l’altra OTTO di queste piccole unità, vincolandole con giunti autolivellanti per garantire una corsa di decollo continua.

Dopo opportune valutazioni, i vertici militari di Croda giudicarono questa soluzione troppo macchinosa e, senza rimpianti, il progetto della bettolina porterei fu abbandonato l’anno seguente.

 

Infine, va ricordato un altro progetto crodense del 1931, relativo alla conversione in portaerei del posamine veloce Minàtor, di 4800 tonnellate di dislocamento e di ben 45 nodi di velocità massima.

La nuova portaerei-posamine risolveva brillantemente il problema del decollo, ma non fu mai molto amata dai piloti imbarcati, che si lamentavano soprattutto durante gli appontaggi.

Si presume che ciò dipendesse dalla presenza dalle quattro rotaie portamine, cariche di ordigni, che ancora ingombravano il ponte dell’unità.

 

 

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Infatti...

L' ANATRA 60CV era la versione meno potente di questo stesso velivolo, dotato dell'immortale propulsore bicilindrico a due tempi che, quarant'anni dopo, avrebbe equipaggiato le autovetture TRABANT della DDR e le omologhe vetture prodotte su licenza a Croda, denominate TRABALLANT.

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Ringraziando ancora il Capitano Iscandantes do Nascimento per il valido contributo, vorrei citare un ulteriore nozione sulle navi portaerei, direttamente tratta dal celeberrimo volume “Navi portaerei e navi portapacchi” dell’esimio Prof. Ing. Marcantonio Mascella.

Si tratta una nota realizzazione del già citato Ing. Mamasuya, quando ancora lavorava per la Marina Imperiale nipponica: mi riferisco alla nave portaerei Roytu, naturalmente caratterizzata dalla particolare bruttezza che accomunava tutte le realizzazioni di Mamasuya.

Sulla falsariga della versione iniziale di nave Akagi, anche questa portaerei nave era dotata di ponte volo a scalini, che in questo caso erano ben dodici, derivando nave Roytu dalla conversione in portaerei di una piattaforma petrolifera.

Non ci risultano notizie in merito ad alcuna attività aviatoria mai effettuata su questa portaerei.

 

Chiusa questa piccola integrazione sul tema, vorrei ora passare ad un argomento a tutti noi molto caro: i battelli sommergibili.

 

 

SOMMERGIBILI

 

Il primo battello nella storia fu il romano TOTI, fortemente voluto dall'ammiraglio Totianus ai tempi delle Guerre Puniche e mirabilmente descritto da Caio Marco Monopelago nel suo poema ”De Navi Submergibili”, che non citiamo ulteriormente per non apparire troppo autocelebrativi.

Costruttivamente, questo primordiale sommergibile aveva configurazione a semplice scafo in quattro diversi tipi di legno (teak, ebano, frassino e palissandro) per massimizzare la resistenza alla pressione idrostatica.

 

I secoli seguenti videro soluzioni più complesse, con due o più scafi coassiali, volti ad ottimizzare la resistenza alla pressione mantenendo comunque valide caratteristiche idrodinamiche per lo scafo esterno.

Mirabile esempio di questa tendenza è il sommergibile crodense Progetto 444-A (classe Klaustrophobyy), fortemente voluto dal geniale ingegnere Yuri Matryoshko, già autore di particolari invenzioni quali il siluro lanciasiluri o la mina posamine, veri e propri sistemi meccanici a ripetizione multipla.

 

Per massimizzare la quota operativa del suo battello, l’ingegner Matryoshko ideò un sommergibile a quintuplice scafo, in cui gli scafi multipli erano inseriti l’uno dentro l'altro, assumendo ciascuno una pressione intermedia fra lo scafo precedente e quello successivo, in modo da minimizzare i salti di pressione e lo stress meccanico dell’intera struttura.

Tecnicamente perfetta, la soluzione del Matryoshko si concretizzò in una costruzione lunga 72 metri e larga 6, nella quale lo scafo più interno aveva un diametro di soli 58 cm ed era destinato al personale e all'apparato propulsivo.

I ventidue uomini di equipaggio stavano in posizione supina l’uno dietro l’altro, condividendo il poco spazio disponibile con un motore monocilindrico longitudinale a testa calda e corsa extralunga, erogante 85 CV al regime di 30 giri/min. A causa della sua configurazione, il motore sprigionava fortissime ondate di calore, rumore e vibrazioni, che certo non contribuivano al benessere dell’equipaggio nel ristretto scafo del Klaustrophobyy.

 

In effetti, già al momento del varo qualcuno speculò che l’abitabilità interna fosse eccessivamente sacrificata, e per questa ragione l’Ammiragliato ordinò una crociera di verifica della reale operatività del battello.

L'uscita in mare durò sette ore, dopodiché il sommergibile fu radiato e rabbiosamente demolito il giorno seguente.

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MEZZI INSIDIOSI

 

Come universalmente noto, la Regia Marina mise in campo una nutritissima serie di mezzi di assalto, sia superficie che subacquei, che si misero in luce durante numerose ed eroiche azioni nel corso della 2GM.

L'esempio italiano, ampiamente celebrato dalla scrittrice e poetessa Junia Valeria Malapà nella sua celebre Ode al Barchino, fu seguito da altre nazioni, che riposero piena fiducia in questi mezzi e ne iniziarono la produzione su vasta scala. Fra di esse si annovera la Libera Repubblica Socialista di Croda.

 

Va detto che negli anni Trenta le forze di incursione crodensi erano ridotte ai minimi termini, disponendo soltanto di tre barchini esplosivi e di un barchino già esploso (quest'ultimo poco utile per le azioni di attacco). Tuttavia, le cose cambiarono drasticamente sotto la spinta del vice-capitano Petar Overtoscu, comandante della 72a Compagnia Incursori della Cavalleria Palombara Crodense e fermo sostenitore dei natanti per azioni insidiose.

Nel giro di poche settimane venne lanciato il IV Piano di Potenziamento Navale per Naviglio Incursore con Sembianze di Imbarcazioni da Diporto, che prevedeva lo sviluppo di nuove classi di mezzi da produrre in grande serie.

Tutti questi natanti ricevettero sigle fuorvianti ispirate alla cantieristica da diporto, al pari dell'italico barchino MTM (Motoscafo da Turismo Modificato).

Nacquero così le classi PAM (Pedalò Assaltatore Modificato), MDP (Moscone da Diporto Posamine) e PSMA (Pattino Silurante Modificato Allargato), questultimo prodotto in diverse centinaia di esemplari. Nonostante la sua diffusione, il PSMA rimase però un mezzo dalla dubbia efficacia: in particolare, lasciavano a desiderare il colore rosso e la scritta "SALVATAGGIO", che certamente non lo aiutavano a passare inosservato.

 

Passando alla marina nipponica, sono tristemente noti i siluri umani tipo Kaiten, trasposizione navale dellattacco kamikaze, in cui il pilota si sacrificava con il suo mezzo durante l'attacco silurante.

Ci risulta però l'esistenza di una versione meno estrema del mezzo, denominata Kiten Kaiten (ovvero Kaiten Furbo), in cui l'abitacolo del pilota si trovava all'estremità posteriore di una trave lunga circa 110 metri, a palese distanza di sicurezza dalla testata bellica.

Questa originale soluzione ci viene riportata dallo storico Hiroshi Hishikandaru nel suo libro Bora! Bora! Bora! Storia tempestosa della Marina Giapponese. Tuttavia, il testo non cita alcuna azione degna di nota di questo mezzo, forse condizionato dalle sue ingestibili dimensioni.

 

Ma è ancora la Regia Marina ad aver impiegato i più originali mezzi insidiosi, come riportatoci dalle assidue ricerche del poliedrico professor Marcantonio Mascella.

Tutti conoscono il celeberrimo SLC, o Siluro a Lenta Corsa, che portava due uomini di equipaggio ed era familiarmente soprannominato Maiale, ma pochi sanno che ne esisteva anche una versione con un solo operatore, denominata Porcetto, ed anche una versione con soltanto mezzo uomo di equipaggio, denominata Salamella oppure Vuberone.

L'ultima asserzione potrebbe sembrare assurda e fuori luogo, ma è stata brillantemente spiegata dal professor Mascella, che ha dimostrato l'utilizzo di due SLC affiancati, pilotati da un unico operatore posto fra i due mezzi, che poggiava una mano ed un piede su ciascun SLC.

Ecco quindi spiegata l'attribuzione statistica di mezzo uomo di equipaggio al singolo veicolo insidioso.

 

Il collaudo della prima coppia di SLC Salamella fu effettuato allinizio del 1942 dal comandante della neonata 11a Flottiglia MAS, CF Ardito Massimo della Torsione, nel Mar Grande di Taranto.

In quel frangente, l'esperto ufficiale pilotò con precisione due di tali mezzi, piazzando le cariche da esercitazione sotto la chiglia della vecchia cannoniera fluviale Carlotto, all'ancora in rada insieme alle gemelle Carluccio, Carletto e Carlone.

L'entusiasmante dimostrazione convinse Supermarina a predisporre una prima squadriglia di SLC Salamella, dislocati presso la base di Tobruk e pilotati da volontari libici.

Tuttavia, dopo una lunga serie di inspiegabili insuccessi, emerse l'amara verità: il personale musulmano non poteva pilotare mezzi che ricordassero cibi di origine suina, e quindi tutti gli SLC Salamella vennero ritirati dal servizio e successivamente demoliti.

 

 

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Modificato da Ocean's One
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L'esempio italiano, ampiamente celebrato dalla scrittrice e poetessa Junia Valeria Malapà nella sua celebre Ode al Barchino, fu seguito da altre nazioni, c

Ringrazio per la citazi0ne... :blush: in effetti, il tema del barcHINO è altamente poetico in quanto perfettamente adatto ad un'altra rimatura squisitamente poetica, cioè il RISO DI BAMBINO che non deve mai mancare!.

Attualmente, sto cercando di trovare altri sottili riferimenti ritmici ad alcuni temi imprescindibili dal mondo marinaro ( le ali dei gabbiani.... le bianche vele... ) ma il lavoro è pesante.

Al momento, sono ferma in effetti alla prima quartina:

 

T’amo, o barchino, e forte un sentimento

Di forza e di vigore al cor m’infondi;

e quando dal nevose aere inquiete (no, mi sono sbagliata, ricomincio….)

 

e se veloce come un ramarrone ...

 

ecco, il veloce ramarrone mi ispira, ma, per quanto animale colorato ed audace, non lo trovo nei crest nè nelle medagie di alcun riferimento ai ramarroni. Perchè? Poteri lucertoleschi forti?

 

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Eccola! Eccola!

O Valeria, nutri i nostri cuori di "barchinici" versi!

 

 

Il barchino: magari come trasposizione dannunziana dell'italico coraggio, oppure come contraltare marinaresco della diabolica automobile da corsa del Marinetti (con lo stesso potente motore Alfa Romeo!)

 

Vedi tu, nobile poetessa, e crea, crea...

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INCROCIATORI

 

Il trattato navale di Washington impose per gli incrociatori due sole tipologie di unità, leggera o pesante, in funzione del calibro dell'artiglieria principale e sempre rimanendo entro il limite delle 10000 tonnellate di dislocamento.

Questa distinzione fu però disattesa dalla Libera Repubblica Socialista di Croda, a seguito delle normative introdotte dall’ammiraglio Djmitri Pignolescu, capo dell’Ufficio Affari Formali della Marina con delega alla Standardizzazione Burocratica del Naviglio Militare.

Uomo rigido e determinato, il Pignolescu aveva dato un notevole impulso alle costruzioni navali crodensi, dopo che anni di sperimentazioni inefficaci avevano ridotto la flotta a poche e malandate unità, primi fra tutti i due monitori ex-italiani Faà di Brutto e Faà di Bestia.

Sospinto dalla sua logica ferrea, il Pignolescu si concentrò inizialmente sulla definizione stessa di "cacciatorpediniere", ampliandone il concetto a nuove classi di unità denominate "cacciaincrociatori", "cacciacorazzate" e "cacciaportaerei". Addirittura, in un vizioso turbinio mentale, definì anche le categorie di "caccia-cacciatorpediniere" e di "caccia-caccia-cacciatorpediniere", quest'ultimo da tutti ridefinito come "incrociatore", con massima indignazione dello stesso Pignolescu.

 

Non pago, il rigoroso ammiraglio intervenne anche sulla stessa definizione di incrociatore, predisponendo una precisa classificazione basata sul dislocamento della nave, che poteva anche superare le 10000 tonnellate previste dal trattato di Washington.

Riportiamo in tabella le sottoclassi previste dal Pignolescu per il tipo incrociatore, insieme al relativo tonnellaggio e al corrispondente distintivo ottico:

 

CLLL

CLL 2500-3000 ton incrociatore superleggero

CL 3000-4000 ton incrociatore leggero

CLLM 4000-5000 ton incrociatore leggero-medio-leggero

CLM 5000-6000 ton incrociatore medio-leggero

CM 6000-7000 ton incrociatore medio

CLA 6000-7000 ton incrociatore leggero-pesante (identico al tipo precedente)

CAM 7000-8000 ton incrociatore medio-pesante

CAAM 8000-9000 ton incrociatore pesante-medio-pesante

CA 9000-10000 ton incrociatore pesante

CAA 10000-12000 ton incrociatore superpesante

CAAA >12000 ton incrociatore ponderoso

 

La classificazione di cui sopra fu immediatamente applicata al Molot Molotov, nuovissimo incrociatore di 8998 tonnellate di dislocamento, e per questo da classificarsi come incrociatore pesante-medio-pesante, o “CAAM”.

Di conseguenza, la nave ricevette il distintivo ottico “CAAM-1“, dipinto sulle fiancate e riprodotto in bronzo sui lati del torrione, secondo la consuetudine della Marina Crodense.

Tuttavia, il peso delle lunghe sigle in bronzo aumentò il dislocamento fino a 9001 tonnellate ed impose il cambio di classe, rendendo il Molot Molotov un incrociatore pesante (con identificativo “CA”).

Corretti i distintivi ottici in “CA-1”, si scoprì con disappunto che le sigle più corte e leggere riducevano il dislocamento a sole 8999 tonnellate, il che avrebbe nuovamente reso la nave un “CAAM”, ovvero un incrociatore pesante-medio-pesante.

Tutto ciò era incongruo con la classificazione prevista, generando una situazione di stallo: da “CAAM” la nave dislocava come un “CA”, mentre da “CA” dislocava come un “CAAM”.

Ligio al regolamento da lui stesso creato, l'ammiraglio Pignolescu non poté far altro che radiare lo sfortunato incrociatore, che fu demolito nei mesi seguenti.

 

 

 

NOTE SULLA CLASSIFICAZIONE NAVALE

 

Quanto sopra voglia costituire una prima introduzione al complesso tema della classificazione del naviglio militare.

Come sappiamo, i regolamenti delle marine hanno imposto sigle normalizzate ed integrate nel distintivo ottico dell’unità, quali per esempio “BB” (nave da battaglia), “CV” (portaerei), “DD” (cacciatorpediniere), “FF” (fregata), come previsto dai noti standard in ambito NATO.

Stranamente, nel corso degli anni ‘60 anche la Libera Repubblica Socialista di Croda si allineò agli standard occidentali, più che altro come reazione al blocco est-Europeo durante la quinta crisi rumeno-crodense per il possesso del solito isolotto di Minimu Skolju.

In quegli anni la Marina di Croda definì una serie di sigle accessorie su standard NATO, in previsione dello sviluppo di future unità navali. Lo studio fu portato avanti dal nuovo capo dell’Ufficio Affari Formali della Marina Crondense con delega alla Standardizzazione Burocratica del Naviglio Militare, contrammiraglio di squadra Igor Puntiljosu, degno successore di quel disciplinato uomo di regole che era stato l’ammiraglio Pignolescu.

Ne risultò un tomo di circa 450 pagine ricche di sigle e definizioni, di cui pubblichiamo un estratto nella tabella seguente:

 

BB nave da battaglia

BBB nave da battaglia superpesante

BBBL nave da battaglia superpesante leggera

BBE nave da battaglia per scorta antisommergibile

CVEG portaerei di scorta lanciamissili da crociera

CVAC portaerei a cuscino d’aria

DDSS cacciatorpediniere sommergibile

SSDD sommergibile cacciatorpediniere

PGMH cannoniera cacciamine

SSKH sottomarino hunter-killer elicotteristico

SSN(N) sottomarino a propulsione nucleare per uso notturno

SSLPD sottomarino da sbarco anfibio

DSRVG veicolo per salvataggio subacqueo lanciamissili

LCMH mezzo da sbarco medio elicotteristico

LCTSS mezzo da sbarco sommergibile per veicoli corazzati

LVTPBN veicolo cingolato anfibio lanciamissili balistici a propulsione nucleare

 

ulteriori varianti basate sulla classificazione della Regia Marina:

SLC-N siluro a lenta corsa a propulsione nucleare

MTM-H barchino assaltatore portaelicotteri

 

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Come sempre, le immagini che porti a corredo del mio testo sono fenomenali...

Grazie, Iscandar! :smiley19::smiley19: :smiley19:

 

Passiamo ora ad un altro argomento:

 

 

 

ARMAMENTO

 

Lungo ed articolato è stato lo sviluppo delle artiglierie imbarcate.

Ai tempi della Repubblica Romana l’armamento era prioritariamente costituito da armi da lancio, quali le catapulte e le grandi baliste. Degna di nota è la “Ballista Zuccotta LXXVI/LXII”, installata come prototipo sull’imbarcazione sperimentale Sparvierus, che combatté valorosamente contro la flotta cartaginese durante la Prima Guerra Punica, sotto il controllo degli eroici Navis Sexaginti ed Iscandarius Magnus.

 

ballista_zuccotta.jpg

Ballista Zuccotta

 

 

Nei secoli seguenti apparvero timidamente le armi da fuoco ad avancarica, che poi costituirono l’armamento principale dei grossi vascelli del periodo d’oro della vela.

Più avanti, con l’avvento delle navi in ferro, le caratteristiche costruttive delle artiglierie navali furono perfezionate, con qualche sporadico tentativo in direzioni totalmente diverse.

Esempio ne furono gli originali cannoni abrasivi, dotati di potenza di fuoco non eccelsa ma perseverante, in grado di perforare una corazza da 305mm dopo 45 minuti di fuoco continuo. Realizzate dal Sig. Ercole Tagliaferri, arrotino di Mola di Bari, queste bocche da fuoco erano inizialmente destinate alle grandi corazzate Duilio e Dandolo, ma vennero poi scartate e caddero nel dimenticatoio.

 

Un altro interessante sviluppo è il cosiddetto cannone a canne contrapposte, frutto del genio dei gemelli crodensi Stanislao e Kostantin Djetrufruntyy, già brillanti inventori dell’ancorotto di mezza nave e del periscopio traverso, originali dispositivi che sperimentavano geometrie non convenzionali.

Nell’ultimo sviluppo, la lunga bocca da fuoco trasversale sparava in contemporanea due proietti dai lati opposti della nave, grazie ad un’unica carica di lancio posizionata al centro della canna. In questo modo gli sforzi di rinculo venivano brillantemente annullati, anche se l’arma rischiava di colpire eventuali imbarcazioni alleate presenti dal lato opposto rispetto al nemico.

Per questa ragione, il cannone a canne contrapposte non ebbe mai un grande successo, nemmeno quando i fratelli Djetrufruntyy ne svilupparono una versione ad asse verticale, in grado di effettuare simultaneamente tiro antiaereo ed antisommergibile: le eccessive difficoltà di puntamento decretarono l’insuccesso dell’originale invenzione.

 

Nel frattempo, le armi ad avancarica avevano mostrato tutti i loro limiti ed erano in procinto di essere rimpiazzate dai moderni cannoni a retrocarica, molto più efficienti ed evoluti.

Questa transizione non fu però così immediata: nella Libera Repubblica Socialista di Croda, il conservatore Ivan Pedepjomboff preferì non rischiare e si accontentò di uno stadio intermedio, nel quale il solo proietto veniva camerato per avancarica attraverso la volata dell’arma, mentre la carica di lancio passava attraverso l’otturatore secondo il nuovo schema a retrocarica.

Tale articolato sistema fu denominato “avan-retrocarica” e dimostrò una discreta funzionalità, sebbene i tempi di caricamento rimanessero piuttosto lunghi.

Non pago, Pedepjomboff studiò un’ulteriore alternativa, la cosiddetta “retro-avancarica”, in cui il proietto veniva camerato attraverso l’otturatore e la carica di lancio dalla volata; tuttavia, sembra che questo sviluppo non abbia dato i risultati attesi e sia stato abbandonato.

 

Dopo tutte queste sperimentazioni, il buonsenso prevalse e ci fu l’avvento dei moderni cannoni a tiro rapido, quali per esempio l’efficientissimo Canèt 320/38mm installato sul giapponese Matsushima, che rimpiazzava il precedente cannone Canòt 640/19mm, dotato di cadenza di tiro largamente insufficiente (1,3 colpi/mese).

 

Di lì a poco, la configurazione del cannone rigato a retrocarica fu consolidata per tutte le marine, tranne che per quella crodense, che insisteva nella sperimentazione di strane soluzioni innovative.

Assoluta novità nel campo delle artiglierie era il “cannone a calibro variabile con proietto auto-estrudente decalibrato”: in pratica, il proietto da 381 mm veniva sparato attraverso una canna conica di diametro via via decrescente, per uscire dalla volata con un calibro di soli 25 mm, dopo essere stato mirabilmente trafilato attraverso la canna a sezione variabile.

Si trattava di una soluzione ardita ed innovativa, che oltretutto impose modifiche al dizionario dei termini navali: infatti, non potendosi definire un calibro univoco per questa bocca da fuoco, la nave destinata ad accogliere questo tipo di armamento veniva definita come “corazzata zerocalibra”.

In teoria, la geniale invenzione avrebbe garantito un’elevatissima velocità di uscita del proietto, a vantaggio della gittata e della capacità di penetrazione.

Si riponeva quindi grande speranza nella prova in balipedio, ma sorprendentemente nessuno dei presenti fu in grado di riferire l'esito del primo colpo esploso dall'arma (si dice NELL’arma...)

 

Questa inspiegabile mancanza di risultati portò all’abbandono del progetto, ma l’esperienza acquisita sul proietto decalibrato trovò applicazione in altre forme: dal celebre siluro decalibrato Matitu HB da 25 mm, alla mina decalibrata Fjiocinyy da 15 kg, alle eliche decalibrate degli incrociatori classe “Capitani Crodensi”, aventi un diametro di soli 22 cm ma velocità di rotazione di ben 36000 giri/min.

Ancora più interessante è il caso dell’unico idrovolante che seguì questa originale tendenza: il RO-43 decalibrato, imbarcato in due esemplari sulla la corazzata Turacholow, variante crodense del progetto Caracciolo.

Dopo il lancio dalla catapulta, il velivolo perdeva il galleggiante, l’ala superiore e le estremità dei piani di coda. Anche le pale dell’elica si accorciavano per garantire un maggior numero di giri al motore, mentre il pilota chinava la testa per diminuire la resistenza aerodinamica e sfruttare al meglio la minima sezione frontale del velivolo.

In effetti, questi accorgimenti consentivano un notevole miglioramento della velocità del RO-43 decalibrato, ma si rivelarono poco pratici per altri versi.

Oltretutto, per il successivo riutilizzo del velivolo erano necessarie due torpediniere di servizio, destinate a recuperare i pezzi scaricati in mare durante il lancio. La cosa risultava molto difficoltosa a causa della minima capacità di carico delle suddette navi, che erano anch’esse delle sottilissime torpediniere decalibrate.

 

 

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[finalmente il raduno è passato e posso dedicarmi con calma alla lettura.... rotolando dalle risate!]

 

Il suo superbo trattato, illustrissimo prof dell'Oceano, approfondisce sfere di armamenti davvero sconosciute, i più fervidi complimenti.

Non so se è a conoscenza di alcune insolite armi, di cui le accenno brevemente salvo poi approfondire:

 

In Bulgaria la dottoressa Buri Tam ideò un'arma sonica per tramortire i nemici. Sembra si trattasse di una sorta di cono rovesciato che, cambiando anche la frequenza di trasmissione attraverso sconosciuti meccanismi, elevava a picchi inauditi il suono acuto già pericolosissimo di una segreta arma terrestre nascosta sotto il nome in codice di "Antonella Ruggero" di chiare origini italiane. Non sono noti gli esiti delle sperimentazioni, ma risulterebbe un massiccio acquisto di vetri in quegli anni in una ampia zona di quella nazione....

 

Dopo la sperimentazione del lanciafiamme per unità subacquee ad opera dei sommergibili italiani, lo scienziato crodense Ardo Mapoitebrucij propose il lanciafiamme subacqueo. La creazione del bruciatore non era difficoltosa e già a portata della tecnica moderna mondiale assieme ai necessari combustibile e comburente, la grande innovazione stava nell'impedire che la temperatura dell'acqua salisse notevolmente fino a produrre vapore e dichiarando la presenza del sommergibile: fu realizzata mediante a una sorta rete di ghiaccio secco trainata da non meglio individuati nuotatori parafiamme (poi noti come NP nella successiva guerra per Minimo Skoliu per epiche azioni d'assalto all'arma al calor bianco, ma da non confondere coi più famosi NP della Decima).

 

 

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Eccellentissimo Prof. Mascella,

come sempre Ella mi fornisce lo spunto per questi importanti approfondimenti a tema.

Apprezzo vivamente.

 

Parlando dell'arma segreta che va sotto il nome "Antonella Ruggiero", va detto che ne fu studiata anche una versione imbarcata di pari potenza.

Logicamente, la nuova arma fu installata sulle corazzate classe Ruggiero di Lauria, che da quel momento furono rinominate classe "Antonella Ruggiero di Lauria".

Grazie all'incommensurabile potenza sonora, tali armi segrete si dimostrarono in grado di sgonfiare palloni frenati e dirigibili Zeppelin ad una distanza di più di 10 miglia nautiche. Il sorprendente episodio avvenne il 6 febbraio 1918, ovviamente al largo della nota località di SANREMO.

 

 

(Per il lanciafiamme subacqueo ci devo ancora pensare, ma magari qualche altro illustre storico in lettura ci potrà dare il suo contributo...)

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La perizia del Capitano Iscandantes nel trovare immagini idonee non ha eguali.

La prima figura è VERAMENTE un lanciafiamme subacqueo!!!

(Certo, mi sfugge ancora il suo esatto principio di funzionamento. Dovrei rileggere la chiara descrizione presentataci dal Prof. Mascella? :smile: )

_________

 

In merito alle difese costiere dell'isolotto di Minimu Skolju, il tema certamente merita.

Da approfondite ricerche, emerge che nel periodo 1950-1955 le difese di Minimu Skolju fossero così costituite:

 

- Plotone Comando e Servizi

- Sezione Cannoni Sonici (3 pezzi calibro 194 decibel)

- Nucleo Nuotatori Parafiamme

elementi della disciolta 1a Divisione Metalmeccanica, così articolati:

- 121a compagnia Frese Anticarro

- plotone Brocciatori Multitagliente "Igor Trutcholow"

- 64a Compagnia indipendente Saldatori TIG

- 31mo nucleo Motozappe da Combattimento

- plotone logistico "USAG"

- plotone lubrificanti e lubrorefrigeranti

(Comandante: Magg. Dimitri Briculescu della Riserva Operaia Crodense)

 

 

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  • 2 weeks later...

DISPOSIZIONE DELLE TORRI DI ARTIGLIERIA

 

La ricerca della disposizione ottimale delle torri di grosso calibro è sempre stata un tema dominante nello sviluppo delle navi da battaglia.

Inizialmente, per le navi pluricalibre esisteva un’unica configurazione consolidata, con una torre binata a prora ed una a poppa, ma di lì a poco le cose si complicarono alquanto.

Innanzitutto, l’ingegnere crodense Santu Thomasu Nontekredyy dubitò della consolidata soluzione con barbette ad asse verticale, comune a tutte le navi esistenti, e volle proporre l’originale soluzione di torri con barbette comunicanti ad asse orizzontale.

 

3_2_schema_torrette_2.png

 

In pratica, la nave era attraversata trasvesalmente da un’unica barbetta cilindrica, contente i sistemi di alimentazione per le due torri da 305 mm, posizionate in fiancata ed in grado di ruotare attorno ad un asse orizzontale.

In figura è illustrata una rara tavola tecnica dell’epoca, raffigurante il principio di funzionamento delle barbette comunicanti ad asse orizzontale.

L’originale invenzione era polivalente: a seconda dell’orientamento, le due torri potevano effettuare tiro di superficie, o antiaereo, o addirittura antisom, grazie ad una direzione di tiro riconfigurabile, anch’essa ad asse orizzontale .

La soluzione fu sperimentata sul monitore Gyrawitje, armato con una coppia di torri da 305 mm ad asse orizzontale con barbette comunicanti.

Disgraziatamente, nel 1897 l’unità effettuò in simultanea un tiro antiaereo con la torre di dritta ed uno antisom con quella di sinistra, avvitandosi tre volte su sé stessa ed infine affondando capovolta.

Dopo il luttuoso evento, nessuno sperimentò più l’ardita soluzione tecnologica descritta in questa sede.

 

Nel frattempo, tutte le marine erano passate alle corazzate monocalibre, aventi da quattro a sei torri di artiglieria, spesso in configurazione sovrapposta per garantire migliori archi di tiro.

L’apice fu raggiunto con la corazzata inglese Agincourt, dotata di ben sette torri da 305 mm, e con le sorelle Agintònic e Aginfizz, rimaste incomplete, che prevedevano ben 10 torri binate del calibro principale.

A questo punto, emerse l’esigenza di identificare in maniera univoca ciascuna torre di artiglieria, visto che il sistema inglese prevedeva soltanto le posizioni A-C, P-Q, X-Z ed era insufficiente per torri più numerose.

 

La soluzione fu trovata nella dinamica Repubblica Socialista di Croda, grazie all’intervento del solito ammiraglio Djmitri Pignolescu, capo dell’Ufficio Affari Formali della Marina con delega alla Standardizzazione Burocratica del Naviglio Militare.

Uomo rigorosissimo, il Pignolescu volle prevedere tutte le possibili disposizioni dell’armamento principale che il progettista potesse contemplare, e nel 1923 completò la sua più grande opera: la Tabella Polivalente Interattiva Polifunzionale per Armamento in Torri delle Navi da Battaglia, stampata in serie numerata dal Libero Istituto Nautico Socialista Crodense.

Una rarissima copia del documento, ritenuto introvabile fino ai giorni odierni, è stata recuperata grazie alle mirabili ricerche del professor Marcantonio Mascella: ne possiamo orgogliosamente pubblicare una riproduzione nella tavola qui sotto allegata.

Come si nota chiaramente, ogni torre di artiglieria ha la propria sigla, razionalmente definita seconda la ferrea logica dell’ammiraglio Pignolescu.

 

3_2_schema_torrette_3.png

 

Quale prima applicazione, la Tabella Polivalente Interattiva Polifunzionale per Armamento in Torri delle Navi da Battaglia fu applicata alle cannoniere fluviali crodensi classe Simplicescu, dotate di un unico pezzo da 152mm in posizione "A": l’assenza di problemi dimostrò la validità e facilità d’utilizzo della normativa appena definita.

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  • 2 weeks later...

Relativamente alla Tabella Polivalente Interattiva Polifunzionale per Armamento in Torri delle Navi da Battaglia, va detto che essa diede importanti benefici nel caso di nuove unità con armamento principale molto articolato.

Sfruttando il documento cartaceo di cui sopra, l’ingegnere crodense Pendularju Horadpuntyy sviluppò una la corazzata con la configurazione dell’artiglieria più “affollata” della storia. La formidabile nave disponeva di ben 24 torri binate da 305 mm, che coprivano quasi integralmente la superficie del suo ponte, disponendosi l’una vicino all’altra in modo estremamente compatto e senza soluzione di continuità.

Era evidente che molte delle torrette avrebbero avuto serissimi problemi di brandeggio, disponendo di archi di tiro limitati o addirittura inesistenti, ma ciò non preoccupava il progettista Pendularju Horadpuntyy, già abituato alle situazioni di massima interferenza fra i corpi.

Come lui stesso ebbe a dire di fronte alla Delegazione Popolare per la Verifica Logistica dell’Armamento Navale, non importava minimamente che molte torri accusassero insormontabili problemi di brandeggio, visto che la nave infatti non avrebbe dovuto combattere, ma soltanto soddisfare il principio della “fleet in being“.

Secondo tale avanzata concezione, l’idea stessa di affrontare una nave dotata di cotanta artiglieria avrebbe atterrito chiunque, consentendo a Croda di controllare il proprio mare ancor prima di arrivare ad un vero scontro a fuoco.

A tal fine, lo stesso nome dell’unità della classe era studiato per incutere massimo rispetto, trasferendo un’immagine di solidità ed inaudita potenza, che da sola poteva indurre i nemici alla resa prima ancora di arrivare al combattimento. La formidabile nave era stata battezzata Optimist.

 

3_2_Optimist.png

 

Durante la sua prima crociera operativa, grazie al suo aspetto temibilissimo, la corazzata Optimist affiancò e catturò la Vinibus Unitis, nave cisterna per superalcolici da 8600 t.s.l. che aveva sconfinato nelle acque territoriali crodensi.

L’ottimo risultato dimostrava le capacità intimidatorie della nave, anche se lo storico e sommelier Danilo Venezian teorizza che l’azione fu favorita dalla poca lucidità mentale dell'equipaggio assalito.

 

Dopo questo entusiasmante avvio di carriera, per la possente corazzata vennero i giorni del primo confronto navale diretto.

Correva l’anno 1925, durante la seconda crisi bulgaro-crodense per il possesso dell’isolotto di Minimu Skolju, dettagliatamente descrittoci da Junia Valeria Malapà nel Quinto Tomo delle sue “Cronache Bulgare”. A supporto della flotta da sbarco, il piano bulgaro prevedeva l’azione di quattro pirorimorchiatori d’altura trainanti una potentissima corazzata rimorchiabile della classe Tir, nave poco maneggevole ma dotata di immensa mole e fortissima protezione.

Ciononostante, di fronte alla nomea di nave Optimist in avvicinamento, i Bulgari decisero di ritirarsi immediatamente, senza nemmeno chiedere supporto alla squadriglia di pentamotori da bombardamento posti a copertura della flotta.

Ancora una volta la minaccia straniera non era riuscita a prevalere, grazie alla formidabile azione deterrente dell’unità di Croda.

 

Nave Optimist ebbe una lunga ed attiva carriera nella Libera Marina Crodense, permanendo quasi sempre in porto secondo i dettami della fleet in being e garantendo un lungo periodo di pace sulle coste del Mar Nero.

Nel 1937, a causa di sopraggiunti problemi economici, la Repubblica di Croda dovette disfarsi della superba unità, che fu ceduta alla marina della repubblica del Chapaguay e ribattezzata Joào Santiago Bernabeu. Il Chapaguay, piccolo stato sudamericano confinante con Uruguay e Paraguay, disponeva all’epoca di poche e vecchie unità costiere, basate prevalentemente nei due porti di Monteaudio e Montestereo.

La corazzata Joào Santiago Bernabeu consentì un formidabile potenziamento dell’esigua flotta Chapaguaiense, garantendo al piccolo stato sudamericano capacità strategiche fino ad allora sconosciute. L’azione di potenziamento risultò ancora più incisiva grazie al neo promosso contrammiraglio Edson Iscadantes do Nascimento, che immediatamente prese il comando della potente corazzata ex-crodense.

 

Nel giro di due anni la minaccia potenziale di nave Santiago Benabeu e del suo abile comandante conseguì un ulteriore successo.

Secondo i rivoluzionari studi del Prof. Marcantonio Mascella, ci fu un coinvolgimento diretto del Chapaguay nei giorni successivi alla Battaglia del Rio de la Plata, dopo che la corazzata tascabile Graf Spee si era ritirata nel porto neutrale di Montevideo.

Ebbene, il Prof. Mascella teorizza che l’autoaffondamento dell’unità germanica non sia stato determinato dal timore dello scontro con gli Inglesi, ma dall’assoluta coscienza di non poter affrontare la potente corazzata del Chapaguay, i suoi 48 pezzi da 305 mm ed il suo agguerrito comandante.

E’ vero che in quei giorni l’ammiraglio Iscandantes do Nascimento non si trovava in mare ma in allenamento in un campetto a 5, ma il solo timore della sua entrata in azione aveva spinto i tedeschi a preferire l’autoaffondamento rispetto ad una battaglia dall’esito certamente sfavorevole.

 

Secondo la presente teoria, questa fu la vera fine della corazzata tascabile Graf Spee.

 

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[ma come ti vengono Marco, questa è davvero mitica...e mi suggerisce una cosetta]

 

 

In effetti una importante innovazione fu introdotta nelle artiglierie della Santiago Benabeu dal suo contrammiraglio Edson Iscadantes do Nascimento. E' poco noto, ma un anomalo otturatore nelle culatte delle artiglierie principali provocava un particolarissimo fenomeno nei proietti in uscita, detto "Ginga": i proietti erano sottocalibrati e già all'interno della canna, non rigata ma bensì dotata di appositi "tacchetti", cominciava a roteare su diversi assi; all'uscita iniziava un percorso balistico con repentini cambi di traiettoria, passaggi sotto le murate, rovesciate e movimenti sussultori detti "palleggi" che rendevano impossibile capire la direzione loro impressa. Questo movimento, di fatto, rendeva inutile il brandeggio in quanto, prima o poi, il proietto avrebbe colpito un bersaglio rendendo ancora più temibile la potente nave da battaglia.

 

Lo spionaggio nazista aveva "bucato" il segreto Chapaguaegno e il comandante Langsdorff, saputo che la nave da battaglia sarebbe uscita alla bocca del porto per collaborare con le HMS Ajax, Exeter e Achilles, optò per l'auto affondamento della sua unità...

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Infatti...!

E' andata proprio così!

:smile: :smile: :smile:

 

Adesso la ricostruzione storica è completa: grazie, professor Mascella, per aver ricostruito con rigore questo sconosciuto episodio di storia contemporanea!

 

Quindi, la fine della Graf Spee si deve anche alla determinazione del noto ammiraglio Edson Iscandantes do Nascimento. Cosa non darei per sentire la cronaca dei fatti dalla sua viva voce...

(ma forse ora è impegnato con i Mondiali?!?)

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In effetti le cose sono andate, apparentemente, come da voi descritto, la realtà era che la corazzata era un paravento, avevamo messo in campo le nostre migliori truppe d'assalto marino, di cui vedete una rappresentante nella foto.

Appena il comandante del Graf Spee ha saputo che c'era il rischio di essere abbordato da queste truppe ha preferito l'autoaffondamento.

 

 

beija-flor-dsc-2576-alexandre-durao-g1.j

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Ma certamente! Se tutti quegli "assaltatori" si fossero messi a ballare a tempo sul ponte del Graf Spee, il capovolgimento sarebbe stato inevitabile...!

 

:smiley19::smiley19: :smiley19:

 

_________

 

EDIT:

bella figliola, per inciso.

Fa il paio con la ballerina del post 34...

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SISTEMI MISSILISTICI

 

A partire dagli anni cinquanta, la marina di Croda iniziò a rivolgere la propria attenzione ai sistemi missilistici imbarcati.

In principio ci si concentrò sui missili antiaerei, con l’emissione della specifica KontrAeroMobilya Misilya-1956-KAM-00-Evolutja, il cui il Libero Istituto Popolare Crodense di Tiro Contraereo richiedeva “un sistema missilistico evoluto, in grado di colpire perfino un pallone frenato fermo a mezz’aria”: una specifica sfidante ed ambiziosa quant’altre mai.

 

Mentre una schiera di ingegneri lavorava al nuovo missile, i Liberi Cantieri Navali Crodensi realizzarono, per conversione, la prima unità missilistica della storia di Croda.

Si trattava del Vetustu Veljiardyy, primo ed unico piroincrociatore a ruote missilistico, varato nel lontano 1878 ma mantenuto sempre in efficienza grazie ad un totale di venti refitting e cinque ricostruzioni complete.

L’ultimo di questi interventi aveva contemplato l’installazione di quattro missili antinave SS-N-3 Shaddock, lanciabili attraverso i vecchi cannoni a canna liscia da 650 mm ad avancarica: soluzione non certo avveniristica, ma ritenuta pratica e funzionale dall’Ammiragliato Crodense.

 

In parallelo, proseguivano i lavori su una seconda unità, il CG-15, progettata ex-novo come incrociatore missilistico e dotata di sistemi d’arma all’avanguardia.

Anticipando i tempi, i progettisti crodensi realizzarono il primo sistema missilistico imbarcato a lancio verticale, in grado di lanciare indifferentemente ordigni antiaerei, antinave ed antisom.

L’originale magazzino missili costituiva la massima innovazione presente a bordo del CG-15: si trattava di un insieme di 16 celle, organizzate secondo una matrice quadrata 4x4, con i missili disposti verticalmente al di sotto del ponte principale. Quindici celle contenevano missili di vario tipo, mentre la sedicesima cella rimaneva vuota, in corrispondenza dell’unico portello di lancio che il sistema possedeva.

In pratica, una volta scelto il missile da lanciare, questo doveva essere movimentato lateralmente attraverso opportune ferroguide, combinando i suoi movimenti con quelli dei missili vicini, fino a giungere in corrispondenza dell’unico portello di lancio disponibile.

Fin da subito la gestione dei missili all’interno del magazzino apparve troppo macchinosa e l’ufficiale designato, il Sublocotenent Djokovich Logiku, si lamentò con il suo Comando. In risposta gli fu consegnato un dispositivo ausiliario, in grado di facilitare il suo operato riproducendo esattamente la situazione missili all’interno del magazzino.

Una ricostruzione dell’innovativo accessorio è conservata presso il Libero Museo Socialista degli Strumenti Logici e Matematici dell’Arsenale di Croda.

La fotografia sottostante ne riproduce le esatte sembianze.

3_4_CG-15.jpg

 

Di lì a poco una terza realizzazione navale fu portata a termine, conferendo alla Marina Crodense una reale e comprovata capacità antimissile, in anticipo di molti anni sugli sviluppi altrui.

Si trattava del sistema antimissile “SA-N-1 Prymahovo-Hogalina”, installato sul cacciatorpediniere lanciamissili Locotenent Rekorsivyy, varato nel 1966.

Con notevole lungimiranza, i progettisti crodensi avevano previsto un sistema di missili-antimissile per la difesa da eventuali ordigni antinave in avvicinamento, ma con funzionalità aggiuntive.

Infatti, si poteva sospettare che i missili antimissile dell’unità potessero essere intercettati da ulteriori missili antimissile-antimissile, lanciati dal nemico a supporto del suo attacco. Il Locotenent Rekorsivyy prevedeva quindi una seconda batteria di missili antimissile-antimissile-antimissile, per abbattere i missili antimissile-antimissile nemici, che di conseguenza non avrebbero potuto intercettare i missili antimissile crodensi destinati a parare l’attacco iniziale.

Ma non bastava: qualora il nemico avesse lanciato dei missili-antimissile-antimissile-antimissile-antimissile per riprendersi il dominio, la terza batteria del cacciatorpediniere aveva a disposizione dei micidiali missili-antimissile-antimissile-antimissile-antimissile-antimissile, per raggiungere l’assoluta supremazia nella lunga catena distruttiva che si era così creata.

Si trattava di un sistema d’arma assolutamente perfetto, nel quale l’Ammiragliato Crodense riponeva assoluta fiducia.

 

Nel 1968, durante la sesta crisi per l’isolotto di Minimu Skolju, il Locotenent Rekorsivyy fu affondato a cannonate dai Bulgari.

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  • 2 weeks later...

L’affondamento del Locotenent Rekorsivyy segnò il punto di non ritorno nella perdurante contesa per l’isolotto di Minimu Skolju.

Mai fino ad allora la tensione era sfociata in un cruento fatto d’armi, mentre il fiducioso popolo crodense confidava in una pacifica conclusione della disputa, vivendo il sogno della cosiddetta “Primavera di Croda”. Ma non fu così.

 

La minacciosa forza d’invasione bulgara prese il mare in direzione di Minimu Skolju, con evidenti intenzioni. Sotto il comando dell’ex-ammiraglio francese Jean Jacques Piedaterre, procedevano compatti sei mototraghetti per fanteria classe Danubje Ferries, ventiquattro mezzi da sbarco catapultabili tipo Pjroett e due incrociatori di basso pescaggio, adibiti per l’occasione al trasporto di elicotteri portaelicotteri.

Sulle motozattere a carena planante era pronta l’intera Brigata di Fanteria di Marina bulgara, con l’ulteriore supporto della 1a Compagnia Incursori Subacquei, dotata di hovercraft da fondale per l’avvicinamento furtivo.

Si trattava di una formazione imponente, contro la quale nulla avrebbe potuto la piccola guarnigione di Minimu Skolju, costituita da pochi elementi della Guardia Operaia Crodense: il 131° Plotone Genio Avvitatori e la 10a Compagnia Trapani Anticarro, con il solo supporto di un Nucleo di Punte del 12.

 

Di fronte a cotanta minaccia, la reazione della Marina di Croda risultò goffa ed inadeguata.

A bordo dell’incrociatore lanciamissili CG-15, il Sublocotenent Djokovich Logiku tentò inutilmente di spostare i missili all’interno del magazzino a 16 posti, per portare in posizione di lancio l’unico ordigno antinave disponibile. Dopo tre ore di inutili tentativi, apparve chiaro che la sua potente nave non poteva dare alcun contributo all’imminente battaglia.

Senza più il CG-15, rimaneva una sola unità crodense a difendere Minimu Skolju: il vecchissimo piroincrociatore a ruote missilistico Vetustu Veljardyy, In effetti, la vecchia nave riuscì ad intercettare la flotta nemica in avvicinamento, ma alla prima accostata le sue decrepite chiodature saltarono e l’incrociatore affondò, spezzato in dodici parti.

 

Croda non aveva più possibilità di parare la minaccia bulgara, visto che oltretutto non disponeva più nemmeno di un brillante stratega quale il Comandante Iscandantes do Nascimento, ormai ritiratosi nel Chapaguay ad allenare la Nazionale Pulcini.

Non restava che cercare supporto fra i paesi alleati, inermi spettatori della palese violazione del sovrano territorio di Croda.

Nella fattispecie, i vertici crodensi riponevano fiducia nel gruppo navale francese, che incrociava a sole 80 miglia ed era costituito dagli incrociatori La Galissonière, La Guepierre e La Bourguignonne, scortati dai caccia Raclette e Fondue.

Il comandante francese, contrammiraglio Philippe Leroy Merlin, preferì però mantenere un atteggiamento neutrale e non schierarsi a favore di Croda. Al contrario, prese quasi subito la rotta del rientro, desiderosi di usufruire di una licenza per installare il suo nuovo barbecue nel giardino di casa.

 

Ogni speranza sembrava ormai perduta quando, inaspettatamente, un nuovo protagonista giunse in soccorso di Croda.

Si trattava del Rear Admiral Alexander McVigil della Marina degli Stati Uniti.

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