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Il Sommergibile F. 16 E L'impresa Di Fiume.


magico_8°/88

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E' poco risaputo (i testi ufficiali sui Sommergibili Italiani non ne parlano... :blink: ) ma nel 1919 durante l'impresa fiumana oltre ad alcune unità di superficie anche un sommergibile e precisamente l'F. 16 cercò di prendere parte alla ribellione in seno a parte delle forze armate italiane che protestavano per la mancata annessione della città di Fiume all'Italia, contestata con il nascente stato della Jugoslavia.

Sul testo di G. Giorgerini "Uomini sul fondo" Mondadori (1994) se ne parla in maniera dettagliata, del tentativo di fuga di una parte dell'equipaggio del battello compreso il C.te, che lasciato furtivamente il posto d'ormeggio di Venezia dove era di base, si portava sulla rotta per raggiungere Fiume.
Proprio la circospezione nel lasciare la base mise in allarme il comando Marina Venezia che già in pre-allarme per l'accadimento di Fiume si attivò immediatamente nella ricerca del battello.

Riporto alcune pagine dal testo di Giorgerini (le sottolineature ed il grassetto sono mie):
"Com'è noto, tutte queste situazioni, all'interno e all'esterno della Ma­rina, trovarono una soluzione, ma gli strascichi non mancarono. La que­stione di Fiume causò una lacerazione di una certa gravità all'interno della Marina. Non pochi erano gli stati maggiori e gli equipaggi di diverse unità, specie di quelle minori, che avrebbero voluto unirsi ai le­gionari fiumani, così come avevano fatto gli equipaggi di 4 cacciatorpe­diniere, 2 torpediniere, 4 MAS e una nave ausiliaria.
In casa sommergibilistica, specie in quella della flottiglia di Venezia, composta da battelli della classe «F», la tendenza prevalente, considera­ta anche la giovane età dei comandanti e degli ufficiali, era quella di schierarsi col poeta-soldato raggiungendo Fiume. Ci volle del bello e del buono per frenare gli ardori dei sommergibilisti, a cominciare dall'opera del comandante in capo del Dipartimento Marittimo di Ve­nezia, viceammiraglio Diego Simonetti, per arrivare sino al comandante della squadriglia, capitano di corvetta Baccon.
Gli animi erano però così accesi per la questione di Fiume che l'inevi­tabile accadde, anche se in scala minore. Alle ore 6.30 dell'11 ottobre 1919, il sommergibile F.16 iniziò la manovra per lasciare il suo posto d'ormeggio all'interno dell'arsenale di Venezia. Diresse poi per il Passo di Lido da dove avrebbe guadagnato il mare aperto. Equipaggio incom­pleto, destinazione Fiume. I componenti dell'equipaggio che non si erano sentiti di seguire i defezionisti erano rimasti a terra, ma senza nulla rivelare alle autorità dei propositi di quella parte dell'equipaggio che aveva progettato di raggiungere le navi legionarie a Fiume.
L'F.16, manovrando con forse troppa circospezione, tanto da dare nell'occhio, alle 8.30 passò davanti al posto di guardia di S. Nicoletto senza farsi riconoscere e rispondere ai segnali. A bordo pensavano di averla fatta franca e, nel caso in cui il piano si fosse realizzato senza molte complicazioni, i «congiurati» avevano già predisposto la fuga fiu­mana di altri battelli di base a Venezia.
Le cose però non andarono lisce, perché il comandante della Difesa Marittima di Venezia, capitano di vascello Ettore Rota, pur condividendo, come ebbe a dichiarare alla commissione d'inchiesta, le ragioni morali che avevano indotto i sommergibilisti dell'F.16 a defezionare, agì con rapida energia per bloccare il tentativo di defezione. Sulla rotta del sommergibile mise la torpediniera 42PN e quindi il cacciatorpediniere Francesco Stocco. Nel sintetico linguaggio ufficiale del rapporto del comandante Rota, dello stesso 11 ottobre e indirizzato al comando in capo del Dipartimento Marittimo di Venezia, l'episodio è così descritto:

Oggi alle ore 8.30 il sommergibile F.16 passava al traverso del po­sto di guardia di S. Nicoletto, con discreta velocità e diretto fuori Passo di Lido, senza accennare ad accostare per farsi riconoscere e per attendere ordini: come è obbligo per tutti i galleggianti piccoli e medi, a seconda delle tassative disposizioni di V.E.
Richiamato col megafono dal personale di guardia, l’F.16 rispondeva: Non ci sento :wink:. Mancando il permesso d'uscita ed in considerazione anche del contegno strano della nave, il Capo Posto informava il Comando Difesa mentre con lodevolissima iniziativa il comandante della Torpediniera di guardia (42PN, Capitano di Cor­vetta Mengotti) che si era accorto dello strano passaggio, faceva subito attivare i fuochi.
Alle ore 8.3/4 la 42PN, che nel contempo aveva ricevuto ordine di uscire e di inseguire l'F.16, metteva in moto.
Alla stessa ora, chiamato direttamente al telefono l'Ufficiale preposto al Passo Spignon, gli ho dato ordine di recarsi subito sul C.T. Stocco onde comunicargli l'avviso di immediata accensione: all'ordine verbale ho fatto seguire un fonogramma d'ufficiale per lo Stocco con la prescrizione di uscire appena pronto onde obbli­gare con qualunque mezzo disponibile l'F.16 a far ritorno a Venezia: incrociare in caso di scomparsa alla sua ricerca nei paraggi della rotta Venezia-Capo Promotore; mantenersi in contatto radio-telegrafico.
Intanto dai due semafori disponibili (Lido-Torre Piloti) seguivo le vicende dell'inseguimento e trasmettevo allo Stocco le informazioni successive.
Alle 9.40 circa, da informazioni dei due semafori mi risultava che I'F.16 accompagnato dalla 42 rientrava dirigendo sulla Pagoda di Lido; ho allora comunicato l'ordine al semaforo di Lido per la 42 di accompagnare l'F.16 in Arsenale.
Al suo passaggio a S. Nicoletto mi sono imbarcato sul sommergibile unitamente al Capo Squadriglia Sommergibili Capitano di Cor­vetta Baccon sopraggiunto: ho fatto attraccare il sommergibile a Porta Nuova disponendo pel suo isolamento e guardia a mezzo dei RR.CC.

I responsabili del tentativo di fuga, cioè praticamente tutto l'equipaggio, furono arrestati con pesanti imputazioni e col proposito dell'Avvo­catura generale militare di arrivare al più presto al giudizio. Il ministro della Marina, che era l'ammiraglio Giovanni Sechi, scorse un grave pericolo in questo procedimento che avrebbe potuto anche trasformarsi in un atto di accusa contro la Marina e contro molti dei suoi uomini per i comportamenti e i sentimenti manifestati nei confronti della questione fiumana.

L'Avvocatura generale militare ottenne che il processo venisse celebrato prima della fine di novembre. Il 14 novembre l'ammiraglio Simo­netti ricevette il messaggio n. 103801 da parte del ministro Sechi, che così recitava:
«Prego decifri assolutamente da solo Stop
Esperite misure per evitare procedimento processuale equipaggio F.16 et limitare azione at provvedimenti commissioni inchiesta e disciplina Stop
Atteggiamento Avvocatura Governo et Ministero Guerra concorde su processo et condanna esemplare Stop
Opportuno ritardare apertura processo et evitare escussione aula Comandanti Ufficiali Sottuf­ficiali Graduati et Comuni Squadriglia Sommergibili Venezia Stop
Contenuto loro testimonianze at Commissione inchiesta tutto fa­vore F.16 nuocerebbe posizione Regia Marina in delicato momen­to Stop
Comandante forze navali già avvertito concordare E.V. possibilità esercitazioni in mare per sommergibili Venezia durante sedute tribunale. Sechi.».

Il processo fu fissato per il 28 novembre: il 22 il ministro Sechi inviò al comandante in capo del Dipartimento di Venezia il telegramma «urgente-precedenza assoluta» n. 104449 che si esprimeva in questi termini:
«Prego decifri assolutamente da solo stop
Prego accertare con indagini riservatissime prevedibili tendenze circa il giudizio dei responsabili fuga sommergibile F.16 indetto per il giorno 28 et riferirne telegraficamente massima urgenza. Sechi».

L'ammiraglio Simonetti rispose lo stesso giorno 22 in questi termini col messaggio n. 16655:
«Prego V.E. decifrare ella stessa stop
Processo fuga sommergibile F.16 era stato indetto mia insaputa per giorno 28 in seguito a premure per me incomprensibili fatte da avvocato generale militare [appartenente all'Esercito] stop
Ritenendo inopportuno in questo momento tale giudizio ho ordinato rinviarlo ottemperando anche disposizioni nota circolare relativa istruttoria e processo in corso per fatti Fiume stop
Mi riservo comunicare appena possibile prevedibili tendenze giudici stop
Risposta al telegramma 104449. Si­monetti.».

L'ammiraglio Simonetti aveva le sue ragioni: la notizia della prossi­ma apertura del processo aveva causato malcontento tra gli equipaggi dei sommergibili e il comandante Rota gli aveva fatto presente che tra i sommergibilisti, in caso di condanna esemplare degli uomini dell'F.16, correvano propositi, se non di ribellione, certo di defezione in massa, con i battelli o anche senza, dopo averli sabotati.

Il 27 novembre Simonetti così scriveva all'ammiraglio Sechi col suo messaggio n. 679 REP:

Sciogliendo la riserva contenuta nel mio telegramma N. 16655 in data 22 novembre 1919, mi pregio riferire all'E.V. che dalle indagi­ni riservatissime da me compiute sull'eventuale giudizio del Tri­bunale contro i colpevoli della fuga del Sommergibile F.16, mi ri­sulterebbe:
Pressoché tutti i giudici del Tribunale, considerano in tutta la sua gravità il reato, la fuga del sommergibile, ma la grande mag­gioranza sarebbe propensa ad accordare le più ampie attenuanti di indole morale, limitandosi ad infliggere una pena condizionale, anziché quella (che potrebbe anche essere la fucilazione) che il codice prescrive per la vera figura di tale reato.
A quanto mi è sembrato capire, le ragioni di ciò dipendono dal fatto che essendo questo il primo processo relativo all'episodio di Fiume che avrebbe il suo pieno svolgimento ... rende i giudici dub­biosi sulla figura attuale e specialmente su quella che assumerà questo reato il giorno in cui, rientrato tutto nella calma e nell'ordi­ne, l'episodio di Fiume verrà giudicato alla stregua dei danni o dei vantaggi che esso avrà arrecato all'Italia, piuttosto che alla stregua di una aperta rivolta ai poteri costituiti.
La disposizione ricevuta ieri, che prescrive di non dichiarare disertore il personale che risulta fuggito a Fiume, accrescerebbe cer­tamente il numero dei giudici indulgenti, anche contro il loro vero sentire, specialmente per i gregari trascinati dall'esempio dei Capi. Perciò io reputerei conveniente che il processo della fuga del Som­mergibile F.16, venisse rimandato ad epoca in cui potranno essere meglio valutati i fattori morali, e salvo ordini contrari dell'E.V., manterrò la sospensiva comunicata col mio telegramma prima ci­tato. I colpevoli della fuga, dovrebbero però a mio parere restare assicurati alle carceri, per impedire che la necessità nella quale si trova il Governo di non poter prendere ancora provvedimenti de­cisivi per ragioni di giusta opportunità, possa venire interpretata come tacito suo consentimento.

Con questo documento si chiuse in pratica la vicenda dell'F.16, perché gli avvenimenti successivi favorirono la soluzione che la Marina aveva auspicato e che ben si identificava con quel riscatto dei valori nazionali e patriottici che prevalse nella situazione politica italiana dall'ottobre 1922 in poi.
L'episodio dell'F.16 non è molto significativo in se stesso, però già allora, da questo fatto, traspariva quello che sarebbe divenuto lo spirito dei sommergibilisti, spirito che ha rappresentato la prima arma decisiva dei battelli subacquei."

 

Mi sembra che l'atteggiamento della Marina per l'epoca fu più che cauta data anche la situazione di difficoltà palese della stessa per la disponibilità di molti ufficiali C.ti verso l'impresa (leggasi Umberto Cagni ed Enrico Millo di Casalgiate) .

Curiosamente dei "disertori" non si è mai saputo niente sopratutto degli ufficiali responsabili del battello...quale è stata la loro fine?

 

Altro piccolo appunto, non polemico :happy: verso l'ufficio storico della Marina che dimostrò una certa "amnesia" sull'accadimento, certo non di "alto valore storico", ma che forse meritava almeno un paio di righe sui testi ufficiali.

 

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Curiosamente dei "disertori" non si è mai saputo niente sopratutto degli ufficiali responsabili del battello...quale è stata la loro fine?

 

Altro piccolo appunto, non polemico :happy: verso gli storici ufficiali della Marina una certa "amnesia" sull'avvenimento che sebbene di scarso valore storico, meritava almeno un paio di righe sui testi ufficiali.

 

magico_8°/88

Ed invece no, grazie al testo curato da Alessandro Marzo Magno "Rapidi e invisibili" - il Saggiatore (2007), dove è raccontata proprio la storia della defezione del sommergibile F. 16, sappiamo chi sono e come è andata a finire per gli 11 componenti dell'equipaggio composto da sommergibilisti, sottufficiali e comuni, appartenenti a tutta la squadriglia dei battelli classe "F" di Venezia.

 

Il racconto "Siamo decisi a tutto: i sommergibili italiani e la causa fiumana" scritto da Graziano Tonelli, riporta con dovizia di particolari le vicissitudini di questo equipaggio raccogliticcio guidato da un M.llo che per alcune ore videro la base di Venezia messa in assetto di guerra per l'allontanamento di un battello che si sapeva avrebbe ingrossata la Marina fiumana.

 

"Sembrerebbe quindi che la principale preoccupazione dell'alto graduato [viceammiraglio Diego Simonetti nel testo] fosse quella di non favorire nuove adesioni alla causa fiumana. Questo scambio epistolare non fa che ri­badire, come sottolineato dai principali studiosi della vicen­da fiumana, il fatto che gli ideali dannunziani avevano fatto presa ed erano particolarmente sentiti sia tra i graduati che tra i semplici marinai. Infatti, come emergerà dall'inchiesta sui sommergibilisti dell'F-16 e dell'H-2, le motivazioni di ordine ideologico e patriottico che li avevano indotti a cercare di intervenire in aiuto dei legionari saranno sempre messe in risalto e più volte sottolineate nel corso degli interrogatori ai quali saranno sottoposti. Motivati, appunto, dall'ardore pa­triottico che D'Annunzio propagandava, alcuni componen­ti dell'F-16 decideranno di prelevare il battello subacqueo ormeggiato nell'arsenale di Venezia per raggiungere Fiume, asportando, per lo stesso intento, dei congegni da un'altra unità della classe F.

Così, staccatosi dalla banchina dell'arsenale militare per completare la carica di aria compressa alle 8.30 di venerdì 11 ottobre 1919, il sommergibile costiero F-16 CL (??), passando per la bocca di porto del Lido, uscirà senza autorizzazione verso il mare aperto. L'unità era stata rifornita di carica elettrica e di combustibile e aveva a bordo viveri di riserva per tre giorni. La torpediniera contrassegnata dal 42 PN si metterà imme­diatamente all'inseguimento del sommergibile, che stava se­guendo la rotta di 130° della bussola Spery, intercettando l'u­nità a circa 20 miglia dall'arsenale veneziano. Il capitano di corvetta Augusto Mengotti, comandante della torpediniera, ordinerà invano ai fuggiaschi il rientro alla base pena il can­noneggiamento del battello. La risposta unanime dei membri dell'equipaggio all'intimazione di rientrare a Venezia sarà il grido «Viva il re, viva l'Italia, viva Fiume liberata!», al quale farà seguito un improvviso cambio di rotta del sommergibile.

Il tentativo di sottrarsi alla caccia e di proseguire senza ten­tennamenti verso Fiume, malgrado l'ordine perentorio di tor­nare alla base, non andrà a buon fine per il guasto delle bussole di bordo, avaria che impediva di governare correttamen­te il mezzo subacqueo.

Inoltre, le condizioni meteorologiche avverse e il mare mol­to mosso non facevano che peggiorare il già precario assetto dell'unità, causando un improvviso e non voluto urto della prora del sommergibile contro la poppa della torpediniera, il tutto, fortunatamente, senza danni né per le due unità né per gli equipaggi. Come specificato nei verbali di accertamento, il mal funzionamento delle bussole era dovuto all'affrettata ac­censione delle stesse e al loro imperfetto orientamento, più che a una loro effettiva rottura, anche se alcuni problemi ai siste­mi di orientamento dell'unità erano già stati rilevati nel corso di una recente prova in mare.

Altri interessanti particolari emergono dalla lettura del rapporto dove lo zelante comandante del sommergibile, il tenen­te di vascello Carlo Savio, specificava che il «clima» creatosi all'interno della base militare tra i membri degli equipaggi dei sommergibili non era il migliore e, anzi, che egli stesso aveva nei giorni precedenti raccolto alcune «dicerie» riguardanti una progettata uscita in immersione di qualche battello. Quindi, per impedire la fuga, aveva disposto ulteriori e opportuni in­terventi per ostacolare un eventuale movimento del sommer­gibile F-16, che si trovava in posizione favorevole rispetto agli altri mezzi subacquei. Tra queste disposizioni spiccava quella di sbarcare dai sommergibili tutti i viveri di riserva e di smon­tare tutti gli organi di comando dei motori elettrici e termici e degli apparecchi di funzionamento dei timoni verticali. Inol­tre, egli aveva istituito un servizio più ferreo di guardia ai som­mergibili, raddoppiando il numero delle sentinelle.

Ma veniamo agli 11 ardimentosi implicati nel tentativo di fuga, che, sebbene costretti ad abbandonare l'azione a causa dell'incidente e, di conseguenza, incarcerati, continueranno a dichiararsi fedeli alla causa fiumana. «Saremmo arrivati a Fiu­me a qualunque costo» diranno orgogliosamente al loro diretto superiore «compreso quello di immergersi se qualche si­lurante ci avesse dato la caccia». L'imputazione a loro carico sarà di diserzione, complotto e rivolta in tempo di guerra: ac­cusa che prevedeva la fucilazione. Per fortuna il giudizio sarà momentaneamente sospeso, anche per l'intervento di D'An­nunzio, così gli undici militari rimarranno reclusi per cinque lunghi mesi nelle carceri veneziane.

Tra le carte conservate negli archivi del Vittoriale figura una vibrante lettera che il Vate aveva inviato al presidente del tri­bunale di marina incaricato di emettere la sentenza nei confronti degli sfortunati protagonisti della vicenda. Scriveva D'Annunzio il 25 novembre:

 

Mio caro Comandante,

La conosco ottimo Italiano e sagacissimo capo. Per ciò mi ar­disco di scriverLe. So che da Lei sarà presieduto il Tribunale davanti a cui si presenteranno come accusati i valorosi sottouf­ficiali e marinai del sommergibile partito da Venezia per raggiungere Fiume d'Italia. L'accusa è formata con un'acredine che io debbo chiamare ignominiosa in una Italia dove i disertori di Caporetto sono dall'amnistia riconsacrati cittadini integerrimi. Non so quel che il Governo della corruzione e della menzogna voglia imporre al Tribunale. La bilancia della giustizia ha oggi per giogo lo scettro di Cagoia, che non è se non un corto ba­stone di poliziotto. Ma so che il Presidente del Tribunale è un nobile marinaio, di mente acuta e di animo prode.

NeI giudicare altamente l'alta colpa degli undici fiumani, Ella farà opera di salute e di concordia, evitando a me il dolore d'una reazione necessaria contro una condanna iniqua.

Occorre specificare che non sarà solamente l'intervento di D'An­nunzio a salvare la vita agli undici sommergibilisti ma, in gene­rale, l'atteggiamento comprensivo e indulgente mantenuto dal governo verso la causa fiumana e in particolare nei confronti dei militari che avevano disertato per l'italianità di Fiume. Gli undici marinai che parteciparono al tentativo di raggiungere Fiu­me, tutti imbarcati sui sommergibili del tipo F facenti parte della squadra di Brindisi, erano: il savonese Arturo Torello (sottocapo torpediniere), l'alessandrino Leonetto Bergamasco (sottocapo silurista), i sottocapi meccanico Giuseppe Morro di Lai­gueglia (Sv) e il milanese Augusto Modena, gli elettricisti scelti Tersilio Fiorilli di Tivoli (Rm), Ivo Cercignani di Pomarance (Pi), Luigi Vercellin di Roma. Due di questi undici militari, i sot­tocapi meccanico Francesco Ravera di Monza e Argimiro Calamari di Vellana, risultavano imbarcati sul sommergibile F-9, mentre il sarzanese Luigi Devoto e lo spezzino Attilio Tivegna, anch'essi sottocapi meccanico, provenivano dall'equipaggio dell'F-6. Tra i giovanissimi protagonisti di questa vicenda (avevano tutti compiuto da poco i vent'anni) assume particolare risal­to la figura del maresciallo Luigi Devoto, che morirà il 22 agosto 1940 in seguito all'affondamento del sommergibile Iride. In un articolo celebrativo, pubblicato poco dopo la sua tragica scomparsa, se ne esaltava con chiari toni propagandistici la figura di «prode marinaio», ricordando la sua partecipazione alla guerra mondiale, dove si era guadagnato la croce di ferro al valor militare e il suo contributo alla gloriosa impresa fiumana.

Infatti, il giornalista aggiungeva, erroneamente (o forse vo­lutamente...), che il Devoto era

 

riuscito a fuggire da Venezia con un sommergibile e a raggiungere il comandante Gabriele D'Annunzio a Fiume. Catturato dall'allora imbelle governo italiano il prode marinaio fu processato e condannato a morte, ma fortunatamente, in se­guito all'avvento al potere del governo fascista, fu graziato e riammesso nella Regia marina e insignito il 23 marzo 1920 della Stella d'Oro di Fiume.

 

Devoto si guadagnerà anche un altro alto riconoscimento du­rante la campagna per la conquista dell'impero e la Cruz Roja del Merito Militar, onorificenza assegnatagli per aver parteci­pato, distinguendosi per il coraggio dimostrato, alla spedizio­ne in Spagna."

 

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