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Con Sirianni Alla Difesa Delle Legazioni Di Pechino


Red

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Prego cortesemente di correggere nel titolo

la parola " Delegazioni " in " Legazioni "

 

Grazie

 

Quale cosa meravigliosa il poter contribuire

in qualche modo a questa nostra BETASOM !!!

Io,non essendo in condizioni di poter fare molto,cerco

di arrabattarmi in qualche modo anche così : riportando

episodi di guerra trovati in vecchi libri .

Trovo però che diversi di Voi apprezzano questa mia iniziativa

e così mi incoraggiate a proseguire su questa strada.

 

Riporto ora un altro episodio tratto ancora dal libro

" Fumi all'orizzonte " di Italo Sulliotti che credo

ormai, piano piano, vi farò leggere tutto.

 

Inizio però , questa volta, con la prefazione/dedica dell''Autore

all'Ammiraglio Cavagnari del quale fu amico.

 

ALL'AMMIRAGLIO CAVAGNARI

COMANDANTE DELLA REGIA ACCADEMIA NAVALE

DI LIVORNO

 

Caro ed illustre amico,

Consentite che io Vi offra questo libro navale in memoria dei giorni - ahimè lontani ! - in cui ho vissuto sulle

Vostre siluranti, ed ho avuto la fortuna di dividere con la Marina d'Italia le ore, piene di una divina ansia, che

precedettero la guerra del mondo.

In quei giorni ho cominciato ad amare la Marina, ma a comprendere come l'Italia non la conoscesse abbastanza.

Assai prima che l'artiglio della guerra scavasse fra i popoli un solco di sangue, essa sentiva - unica " sensibile"

in mezzo a una nazione governata da inerti e sedentari - passare nell'aria il presagio infallibile delle gravi ore : quelle

in cui la Storia misura ad ogni popolo il diritto di esistere col metro dell'ardimento e del sacrificio.

Sulle coste d'Albania, nelle rade dell'Egeo, nei malsicuri rifugi dell'Africa latina, ognuno di Voi - capo o gregario, uomo

del " quadrato " o della bassa prua - scriveva ogni giorno, coll'opera intelligente e devota, l'epicedio della razza in cam-

mino. E quando tuonò sul mare la guerra, e la vita divenne una fragile cosa sospesa al filo del nulla, la Marina apparve

finalmente in tutta la sua luce : cavalleresca, silenziosa, " garibaldina ", lanciava lucente la Patria librata sui mari.

Voi, avete oggi - Ammiraglio - il compito arduo e magnifico di presiedere all'educazione di coloro che formeranno

i quadri dell'Armata di domani, e dovranno raccogliere l'eredità, orgogliosa e terribile, della generazione che fatto la guerra.

Per tutti i giovani Ufficiali - cui l'età non concesse il privilegio, che noi avemmo, di vivere le grandi giornate - io Vi offro

queste pagine dove sono rievocati, di fronte agli obliosi e agli ignari, alcuni fra gli episodi più drammatici e meno noti,

della guerra navale.

Accoglietele - Ammiraglio - coll'animo stesso dall'ora. Noi sappiamo entrambi che cumuli di nubi s'accumulano sul cielo

d'Europa e che da un'ora all'altra l'Imponderabile - che è il motore occulto della Storia - può riaccendere su tutti gli

Oceani la grande tenzone.

Oggi,come ieri, domani come oggi, l'Armata sarà pari al suo compito. E le bandiere che essa risollevò dalla tristezza

di Lissa alla gloria di Premuda , garriranno al vento del mondo fiere e vittoriose, per testimoniare il destino del popolo

più marinaro, che abbia nell'eterno suo corso, illuminato il sole.

Abbiatemi - Ammiraglio - con affettuosa devozione vostro

 

ITALO SULLIOTTI

 

CON GIUSEPPE SIRIANNI ALLA DIFESA

DELLE LEGAZIONI DI PECKINO

 

Un incrociatore cinereo, sul quale sventola a poppa la bandiera d'Italia, è all'ancora nella rada di Ce-Fu, in fondo al golfo

di Pe-ci-lì, la mattina del 28 maggio 1900.

Sulle rive del Mar Giallo, a una infinita distanza dal vecchio mondo d'Occidente, l' " Elba " rappresenta da qualche mese

la più antica e la più giovane delle Nazioni mediterranee. Comandante, ufficiali, equipaggio, sanno di essere le avanguardie

vigilanti della Patria che per la prima volta s'affaccia sulla grande ribalta della vita internazionale, di fronte a quella Cina

chiusa, immensa, misteriosa, dove si stanno elaborando i fermenti della rivolta.

L'Italia ufficiale ha compiuto uno sforzo eccezionale - dati i tempi e gli uomini - per inviare laggiù la bella nave.

Ma il suo Comandante - il capitano di fregata Casella - sa di non dover contare sulle istruzioni di Roma.

Qualunque sia la piega che stanno per prendere gli eventi, egli sarà solo a decidere la sua condotta : pesa su di lui l'alta,

orgogliosa, magnifica responsabilità del marinaio che riassume nella sua vita e nella sua linea di condotta tutta la forza

della Patria, tutto il prestigio della bandiera.

Quella mattina, Casella sta leggendo - in quadrato -le ultime notizie telegrafiche trasmesse col filo di Pechino.

Le notizie sono gravi.

L'ondata xenofoba sta allargandosi attraverso le provincie cinesi : i missionari sono circondati e aggraditi, i pochi europei

che hanno osato spingersi nell'interno, non riescono più a comunicare colla costa.

E le Legazioni, da Pechino, invocano soccorsi.

L'Italia ha laggiù un uomo giovane, energico, meravigliosamente preparato al suo compito : un diplomatico che anticipa

con l'opera sua l'immagine di quello che sarà, trent'anni dopo, il nuovo italiano : il marchese Salvago Raggi, di Genova.

Le ultime comunicazioni invocano lo sbarco di un piccolo contingente di marinai.

L' " Elba " non ha un equipaggio numeroso. Ma il Comandante Casella non esita. E si trova subito in imbarazzo a scegliere,

perché tutti offrano di partire.

La nave fa rotta per Taku. E là sbarca il plotone destinato a Pechino : sono trentanove uomini, comandati dal tenente di va-

scello Federico Paolini e dal sottotenente di vascello Olivieri : recano con sé un cannoncino da trentatré millimetri.

La ferrovia funziona ancora, con un orario incerto e con vagoni antidiluviani. I marinai viaggiano con i fucili imbracciati,

pronti al minimo allarme. E il 31 maggio discendono alla stazione di Pechino.

L'immensa città cinese, il formicaio umano del popolo giallo, presenta uno spettacolo di disordine spaventevole.

La predicazione xenofoba, la crociata contro gli uomini bianchi, hanno reso quasi impossibile la vita agli europei.

Il piccolo manipolo sfila in perfetto ordine attraverso le vie invase da una folla in delirio che lancia occhiate cariche di odio

e orribili imprecazioni contro i " diavoli bianchi ".

Sotto alla cinta della Città Proibita, i soldati imperiali agitano minacciosamente i vecchi fucili e sventolano la bandiera

del Drago. Penosamente, conservando tutto il sangue freddo, i marinai riescono a pervenire al quartiere delle Legazioni

estere. E quivi si dividono.

Undici uomini - diciamo undici uomini ! - col tenente Paolini sono inviati alla difesa del Petang, il quartiere cattolico.

E' il punto più pericoloso ; quello contro cui si scatenerà da un momento all'altro la furia dei boxers.

Vi sono riunite parecchie migliaia di cinesi cristiani : donne, vecchi , fanciulli, tutta una folla lacera, miserabile, intimorita

dalla minaccia del massacro. L' entrata del quartiere cristiano è difesa da pochi uomini, e tanto ancora il prestigio degli uomini bianchi che i dieci marinai di Paolini trattengono, con la loro presenza l'impeto dei boxers che si sfogano a percuotere latte vuote, ad emettere atroci imprecazioni, ad agitare le picche su cui si vede ondeggiare- mostruoso trofeo -

qualche testa sanguinante.

Il 20 giugno accade un fatto gravissimo.

Il ministro di Germania, barone Von Keteler, esce dalla Legazione con tranquillo coraggio, e si avvia, solo, verso il palazzo

del Figlio del Cielo . Un soldato imperiale lo affronta improvvisamente e con un coltellaccio lo uccide.

Gli europei di Pechino presentono l'avvicinarsi della tempesta.

Il quartiere delle Legazioni è posto in stato di difesa, e i telegrammi chiamano a raccolta coloro che rappresentano l'estrema

speranza ; i marinai delle navi ancorate a Tien Tsin.........

 

Il 10 giugno la colonna dell'ammiraglio Seymour si è già messa in marcia alla volta di Pechino.

E' composta da millesettecentottantadue uomini ed formata coi contingenti delle navi internazionali.

Il 1° giugno è arrivato a Taku l'incrociatore italiano " Calabria ", che ha sbarcato quaranta uomini; il comandante il tenente

di vascello Giuseppe Sirianni ed il sottotenente di vascello Camillo Premoli.

La marcia si preannuncia penosa e terribile. Si tratta di attraversare un paese in rivolta, di camminare per oltre ottanta chilometri attraverso campagne deserte dove i boxers hanno devastato i raccolti, ucciso tutti gli animali domestici, bruciato tutti i rifugi.

Il manipolo italiano cammina in testa alla colonna, cantando le vecchie canzoni della Patria.

E gli inglesi guardano meravigliati questi indiavolati ragazzi d'Italia, che sopportano con filosofia e buon umore il morso atroce della calura.

Alla sera del terzo giorno i Comandanti si riuniscono in consiglio. Non si sa più nulla di Pechino; il filo telegrafico è reciso.

E un messaggero inviato per tenere il collegamento colle navi è sparito senza lasciar traccia.

I marinai sono soli. Si scorgono nell'afa della notte, fiammeggiare incendi da ogni punto dell'orizzonte : miasmi mortali si levano dai fiumi e dai canali incontrati, e i pochi cinesi cristiani che incontrano la colonna riferiscono le terribili atrocità dei

boxers scatenati nelle campagne.

Gli inglesi pensano a tornare indietro. La situazione è troppo grave per affrontarla con forze così esigue, in un paese sconosciuto e nemico.

E le cose peggiorano ancora dopo Yang Tsung.

La colonna in marcia è stata oggetto più volte di una fitta fucileria da parte degli insorti imboscati fra le canne del fiume.

L'ammiraglio Seymour ha ordinato di non rispondere, e non ha torto, poiché ogni perdita, anche minima deve essere evitata. Ma bisogna intanto, intanto, evitare le imboscate e provvedere alla sicurezza degli attendamenti notturni.

Un informatore cinese ha assicurato che trentamila boxers si stanno riunendo ai fianchi della colonna.

Trentamila ! Troppi, in verità, per non preoccuparsene.

Una sera, otto marinai della " Calabria ", comandati dal sottocapo torpediniere Vincenzo Rossi, sono distaccati a breve distanza, su una strada che si biforca e dalla quale potrebbe venire l'attacco.

I marinai si dispongono sulla strada, dietro a un riparo di pietre.

L'ardente notte di giugno, la notte d'Oriente piena di aromi e di fremiti, scende sulla campagna. Ed ecco che, ad un tratto,

gli uomini della colonna principale sentono crepitare i moschetti, laggiù verso il posto italiano.

Si spara furiosamente. Tutti sono in piedi; rinforzi inglesi ed italiani accorrono, verso il luogo dove si combatte.

Quando arrivano, è troppo tardi. Tre marinai soltanto hanno sopravvissuto alla fulminea imboscata cinese ; cinque giacciono sulla strada, dissanguati.

E il corpo esanime del sottocapo Rossi - che impugna ancora il moschetto fra le mani rattrappite - è circondato da corpi cinesi : l'italiano è morto da " leone " come si conviene ai nostri marinai.

Pallido di emozione, Giuseppe Sirianni ordina ai suoi marinai di presentare le armi ai caduti : ai colletti azzurri che hanno

raggiunto i morti di Dogali nel sacrificio della gloria......

All'indomani la marcia tragica riprende. E' impossibile andare avanti. Sui fiumi gonfi e lutulenti la corrente trasporta i cadaveri di contadini cinesi decapitati dai boxers : il caldo è asfissiante e le malattie mietono vittime fra i marinai.

Gli ufficiali requisiscono qualche giunca panciuta che ridiscende il fiume le affidano gli ammalati.

Il 25 giugno, a Pei Tsang, la colonna Seymour si trova di fronte cinquemila soldati imperiali.

Il Governo di Pechino ha buttato la maschera ; i suoi ministri sorridenti e cerimoniosi, che hanno finto sinora di separare la

propria responsabilità da quella della rivolta xenofoba, aiutano apertamente gli insorti.

E' venuta l'ora suprema.

Con uno scatto di coraggio disperato i marinai europei - stanchi, sfiniti, oppressi dal clima e dalle privazioni - assaltano alla baionetta il campo trincerato di Si Ku, e vi si fortificano aspettando gli eventi.

Tre giorno dopo , lo squillo gioioso e marziale di una fanfara giunge da lontano, sul soffio del vento.......

E' la colonna dei rinforzi che arriva da Tien Tsin, e fanno parte altri trenta italiani, al comando del tenente di vascello Tanca

La situazione è, per il momento, ristabilita.

E l'ammiraglio Seymour,con lealtà di soldato, indirizza come primo suo atto ai Comandanti dell' " Elba" e della " Calabria"

un rapporto in cui è fatto del tenente di vascello Sirianni il maggior elogio che possa farsi di un marinaio e di un soldato.

Il sottotenente di vascello Ermanno Carlotto, con pochi uomini, è stato lasciato a presidiare il posto fortificato di Tien Tsin.

Ma le ultime notizie che giungono da Pechino mostrano che la situazione degli europei è diventata tragica ; dalla città cinese e dalla città tartara bande armate escono ogni giorno avviandosi verso il quartiere dove gli europei vivono ore di indi-

cibile angoscia.

Salvago Raggi è l'anima della difesa. Questo magnifico italiano è divenuto il superbo pioniere della Patria e della civiltà

in mezzo alla terra lontana. Il suo esempio rincuora gli uomini, incoraggia le donne che sono attanagliate dall'incubo di cadere in mano ai boxers ; maestri di una raffinata ferocia, pronti alle più spaventevoli carneficine.

Si è molto parlato di eroismo, nell'ultima guerra.

Ma chi potrà ridire, con parole adeguate, lo stoico coraggio di questo pugno di bianchi - tagliati dalla civiltà - infinitamente lontani dalla propria razza - esposti alla morte più orrenda ?

Nl primo tentativo di raggiungere Pechino, la colonna Seymour ha avuto sessanta morti e duecentocinquanta feriti.

Si tratta ora, di riprendere l'avanzata, da Tien Tsin e dal campo trincerato di Si Ku.

Si arriverà in tempo ?

Sarà ancora possibile salvare gli europei asserragliati nelle Legazioni e già scarseggianti di viveri e di armi ?

Il 4 agosto la colonna si rimette in cammino.

Seimila giapponesi si sono aggiunte alle forze europee. Ma la strada è interminabile, e l'agonia di Pechino è cominciata.

Anche questa volta, le difficoltà spaventano i Comandanti del distaccamento alleati.

Il 7 agosto essi si riuniscono a decidere. Sono quasi tutti concordi nel deliberare il ritorno alla costa : nessuno vuole assu-

mersi la responsabilità dell'avanzata verso un'incognita paurosa.

Allora un giovane ufficiale di Marina - Giuseppe Sirianni, di Genova - si fa in testa ai suoi quaranta marinai della " Calabria"

- Signori, se un solo uomo dovrà continuare la marcia sulla strada di Pechino, io sarò quello. -

Rompendo la disciplina del silenzio, i suoi quaranta mariani lanciano un triplice urrah.

E accanto a Sirianni si schierano gli austriaci e i tedeschi.

Un'ora dopo, il manipolo di eroi riprende la marcia fra i campi bruciati dal sole torrido, in mezzo al deserto della campagna cinese.

 

A Pechino regna la paura. I difensori di Petang non possono più comunicare col quartiere delle Legazioni, ormai assediate da vicino.

Dall'alba al tramonto colonne di boxers vociferanti si presentano davanti alle barricate, scaricando i fucili e agitando le picche. Gli interpreti hanno paura di tradurre agli europei il testo delle orribili minacce ; i cinesi presentano prossima la caduta delle Legazioni e preparano per i prigionieri supplizio del " taglio in diecimila pezzi " .

La fame è alle porte. I viveri sono esauriti. Manca l'acqua. I marinai si sfamano masticando poche foglie amare. Nessuno si lamenta. Tutti hanno fatto voto di morire coll'arma in pugno, pensando all'Italia lontana.

Il 14 agosto il tenente di vascello Paolini annota nel suo giornale poche parole spartane : " Siamo rimasti co cinquanta cartucce. E' la fine, e sarà bene prepararsi a morire " .

Olivieri è nelle stesse condizioni. e i cinesi cominciano a ricorrere alle mine.

Rombi continui scuotono l'aria ; gli europei chiusi nelle Legazioni hanno l'impressione della morte imminente.

Tre volte le piccole trincee sono squarciate dall'esplosivo e i difensori sono feriti; tre volte quel pugno di marinai riesce

a rifarle e a contendere, coi fucili, colle baionette, colle pietre, l'accesso ai cinesi inferociti.

Il tenente di vascello Henry - un valoroso che comanda il distaccamento francese - è ucciso con una fucilata . Negli stessi giorni il comandante Carlotto muore sulla barricata di Tien Tsin.

Gli incendi cominciano ad alzarsi nel quartiere del Fu.

I palazzi delle Legazioni sono attaccati da tutte le parti. La fucileria crepita contro i muri ; si scorgono fra le fiamme i ceffi

infernali dei boxers che avanzano e gettano petrolio sui muri . Un concerto di urla e di detonazioni scuote l'aria : pare

assistere ad una scena apocalittica.

Colla rivoltella in pugno, il marchese Salvago Raggi si è messo davanti al gruppo delle donne ; i tenenti Paolini e Olivieri,

feriti, colla testa ravvolta in bende sanguinanti, circondati dai marinai, si preparano a morire.......E il tricolore sventola

in alto sulla nostra Legazione, sotto il morso del sole d'oriente.

.........forse nella stessa ora, nell'Italia lontana, qualche parlamentare autorevole intrattiene il Governo liberale sulla oppor-

tunità di " dare soddisfazione alla opinione pubblica,trasferendo il ricevitore delle ipoteche di Roccacannuccia " .

E degli uomini muoiono laggiù, magnificamente soli col proprio disperato coraggio, in nome dell'Italia che è fatta, degli italiani che sono ancora da fare.

La sera del 17 agosto, in un momento di tregua della mischia infernale, gli europei assediati sentono giungere sul vento

un nuovo sordo fragore : una " voce " diversa da quella che sono abituati ad udire.

Gli ufficiali si guardano ; non osano credere ai propri orecchi. Non è la voce dei pezzi da sbarco della Marina ?

Due ore trascorrono. Poi, improvvisamente, si vedono le bande dei boxers allontanarsi dalle vie adiacenti alle Legazioni ;

la gente scappa da tutte le parti.

Una fanfara esplode le sue note squillanti : sono le truppe internazionali, rinforzate dai contigenti di nuove navi, che hanno

percorso a marce forzate la campagna e stanno entrando a Pechino........

Gli europei sono salvi. E la Marina italiana ha scritto la sua pagina più epica, più gloriosa , più pura, nella storia dell'ardimento e del sacrificio.

 

Passeranno gli anni. E poiché ogni uomo è fedele al proprio passato, ed all'acciaio di cui è fatta la sua anima, il giovane tenente di vascello della difesa di Pechino, Giuseppe Sirianni, guiderà dodici anni dopo la sua torpediniera - agli ordini di

Millo - entro lo sbarramento dei Dardanelli : comanderà l' " Impetuoso " nell'Adriatico guerreggiato ; guiderà all'assalto sul Piave il battaglione azzurro di San Marco : diverrà Ministro della Marina dell'Italia fascista ; difenderà, nelle Assisi navali di Londra, le ragioni del nostro diritto di popolo.

Ma i suoi marinai lo vedranno sempre - coi chiaroveggenti occhi dell'anima- dritto sulla strada ardente di Pechino, colla rivoltella in pugno e la luce del Dovere in fronte, quando comandava : Avanti !

 

FINE

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