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Il Naufragio Della Gemma Querina E Il Baccalà


malaparte

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Ricordavo di avere seguito un documentario e di avere letto qualcosa riguardo a un antico naufragio che coinvolse marinai veneti in zona nordica e che comportò la misteriosa esistenza della Confraternita del Baccalà in Veneto....ma non ne riuscivo a ritrovare notizie, data la vaghezza dei ricordi.

A ricollocare debitamente il ricordo soccorre questa mostra di Franco Fortunato http://www.ansa.it/mare/notizie/rubriche/uominiemare/2016/04/28/la-storia-del-naufragio-della-gemma-querina-in-mostra-a-roma_b5e31c28-d371-45f0-8aad-4f2bc7eb9ebf.html

Si tratta del naufragio della Gemma Querina al largo delle Lofoten nel 1431. Se ben ricordo dal documentario, c'è anche un cippo a ricordare l'evento.

Il che spiega cosa c'entra il baccalà nella cucina del Nord Italia (non solo in Veneto, anche se lì ne fanno un blasone)

 

EDIT: altre notizie: http://accainarte.com/2016/01/21/la-storia-della-querina/

Modificato da malaparte
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Benvenuta a bordo della confraternita dei cultori del bacalà :smile:

Riassumo un po' più dettagliatamente sotto l'aspetto marinaresco la serie di eventi che spinsero fortunosamente Pietro Querini alle Lofoten (in suo lenguaggio “cu#o mundi”) e il suo avventuroso rientro nella Serenissima. Vicino al campo Santo Stefano, a Venezia, una lapide marmorea lo ricorda.

 

Pietro Querini, nobile e raffinato mercante veneziano vissuto nel XV secolo che, come tanti altri, aspirava alla ricchezza e alla gloria, progettò un viaggio nelle Fiandre che, passando attraverso lo stretto di Gibilterra gli permettesse di arrivare ai porti di Bruges e Anversa dove commercializzare le sue pregiate mercanzie. Si recò a Candia, antico nome dell’isola di Creta, a quel tempo importante possedimento della Repubblica di Venezia. Fece approntare il veliero (700 tonnellate di stazza) con botti di vino, sacchi di spezie, legname, vettovaglie e altre merci preziose.

Si trattò di un viaggio lungo e difficile, costellato di imprevisti e lutti fin da subito: cinque giorni prima della partenza, infatti, morì improvvisamente il figlio maggiore di Querini. Il vascello prese comunque il mare il 25 aprile del 1431 navigando lungo la Costa dei Berberi. Il 2 giugno a Calese (Cadice) per colpa del pedota ignorante (il pilota), alla bassa di San Pietro, toccammo una roccia ed il timone uscì dalle cancare (l'incernieratura del timone composta da agugliotto e femminella) con grande pregiudizio. Nel frattempo, Genova e Venezia erano entrate in guerra, Querini decise pertanto di aumentare il suo equipaggio fino ad avere 68 marinai e di evitare le coste per non incontrare vascelli nemici. Ripartirono arrivando a fine agosto a Lisbona, con altri problemi al timone; nell’attesa di venti favorevoli, passarono il tempo visitando la città e le sue chiese

Ripresero il mare il 14 settembre, con direzione sud ovest. Ma, durante il viaggio, incontrarono nimichevoli venti. Costeggiarono quindi il Portogallo, raggiungendo a fine ottobre il porto di Muros, in Spagna. Querini, che era un uomo molto religioso, ne approfittò per fare una breve visita al santuario di San giacomo. Oltrepassarono il golfo di Biscaglia il 9 novembre, in prossimità delle Fiandre, ma furono dirottati da una tempesta sempre più a nord-ovest, fino ad arrivare vicino alla costa occidentale dell’Irlanda. Il vento strappò il timone e le vele, mentre gli alberi cadevano uno dopo l’altro. Il 17 dicembre furono costretti ad abbandonare l’infelice nave, la quale con sommo studio e con gran delettazione avevo fabricata, e nella quale io avevo posto mediante il suo navigare grandissima speranza.

Proseguirono con le due scialuppe di salvataggio, nella più grande c’erano 47 uomini e nell’altra 21. Ritenevano di essere nei pressi dell’Irlanda, invece si trovavano vicino all’Islanda. Il 18 dicembre, Querini perse i contatti con la scialuppa più piccola. La tempesta li costrinse a disfarsi di buona parte del carico, compresi cibo e vino; questo provocò indirettamente la morte di molti marinai, alcuni perché bevvero l’acqua del mare, altri perché, vestiti in modo assolutamente inadeguato, morirono assiderati. Il 4 gennaio avvistarono terra, e spinti da un suavissimo vento per greco, il 6 gennaio vennero trasportati dalla corrente in un’isola dell’arcipelago delle Lofoten, nel nord della Norvegia, oltre il Circolo Polare Artico.

Sbarcarono in sedici, sfiniti e assetati; l’isola era ricoperta di neve e molti di loro cominciarono a mangiarla in grande quantità per dissetarsi, ma morirono subito. Il mattino seguente, dato che l’isola era disabitata, decisero di riprendere il mare, ma la barca, che era stata in balia delle onde tutta la notte, colò a picco. Costretti a rimanere, costruirono dei ripari di fortuna con i resti delle vele e dei remi e usarono il fasciame della nave per riscaldarsi. Ma, a causa del fumo provocato dalla tettoia bagnata, si gonfiarono il viso e gli occhi; furono inoltre infestati dai pidocchi. Non avendo nulla da mangiare, dovevano accontentarsi delle poche patelle e dei molluschi che riuscivano a trovare. Dopo undici giorni uno di loro vide una capanna di legno e trovò un grosso pesce con cui si alimentarono per diversi giorni.

In un isolotto dei dintorni viveva un pescatore con due figli; essi lasciavano i buoi pascolare nell’isola dove era naufragato Querini. Temendo che i buoi fossero fuggiti dal recinto, il 28 gennaio andarono a controllare e trovarono i tredici naufraghi.Il 3 febbraio partirono da Røst sei barche cariche di cibo e bevande dirette all’isola in cui si trovavano i superstiti; con loro c’era anche un sacerdote di origine tedesca che, parlando in latino con Querini, venne a sapere tutte le loro disavventure. Accompagnarono così i sopravvissuti a Røst, borgo forian ed estremo chiamato in suo lenguaggio “cu#o mundi”.

Querini ebbe anche modo di conoscere ed apprezzare lo stoccafisso: Prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l’una, ch’è in maggior anzi incomparabil quantità, son chiamati stocfisi; l’altra son passare, ma di mirabile grandezza, dico di peso di libre dugento a grosso l’una. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché son pesci di poca humidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e spetie per darli sapore; et è grande et inestimabile mercanzia per quel mare d’Alemagna. Le passare, per essere grandissime, partite in pezzi, le salano, e così sono buone.

I naufraghi rimasero a Røst per alcuni mesi, accuditi e curati dai pescatori e dalle loro famiglie. Nella tarda primavera ripresero il mare per tornare a Venezia carichi di stoccafissi. Querini, infatti, aveva capito subito la praticità di questo pesce per l’alimentazione dei marinai durante i lunghi viaggi in mare alla ricerca di nuovi mondi.

Arrivato in laguna diffuse la conoscenza della prelibatezza che aveva conosciuto in Norvegia. Spiegò come il merluzzo essiccato al sole divenisse stoccafisso, dalla parola norvegese stokfiss che aveva imparato nella sua avventura. La conservazione del prezioso pesce era pressoché perfetta e permetteva allo stoccafisso di essere trasportato nelle navi senza perdere il sapore e la bontà. Ecco che il Querini, pur non volendolo, aveva inventato il baccalà che poi divenne pietanza veneziana e veneta per eccellenza.

 

Per chi volesse saperne di più consiglio l'ottimo libro di Franco Giliberto e Giuliano Piovan (amico e storico comandante della nave oceanografica Umberto d'Ancona): Alla larga da Venezia: l'incredibile viaggio di Pietro Querini oltre il circolo polare artico nel 400.

https://www.betasom.it/forum/index.php?showtopic=45491&p=491983

Modificato da danilo43
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Cultrice di bacalà o baccalà, francamente...no. Benchè il mio cognome riveli la mia origine veneta, e benchè da piccola ricordi che "sotto Broletto" c'era un negozio con un rubinetto sempre aperto destinato a dissalare il baccalà.... no, il merluzzo non mi piace. E lo dico coraggiosamente e a fronte aperta..,,

Però la faccenda di Querini alle Lofoten incuriosisce.

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