Vai al contenuto

Perchè Dobbiamo Ragionare Sulla Guerra All'isis?


Totiano

Messaggi raccomandati

Con il cuore ancora gonfio di dolore è difficile ragionare, eppure dobbiamo farlo. In questo conflitto non possiamo permetterci di essere "pressapochisti" o addirittura "economicamente egocentrici" come lo fu (non m stanchero mai di dirlo) il governo francese qualche anno fa in Libia o come lo è stato recentemente in Siria.

 

Mario Giro, della rivista Limes, ha sinteticamente raccolto quanto ogni Europeo dovrebbe sapere e discutere. Non dico condividere, anche se approvo totalmente quanto espresso, ma ragionarci prima di buttarci nella mischia. L'articolo è reperibile al link http://www.limesonline.com/parigi-il-branco-di-lupi-lo-stato-islamico-e-quello-che-possiamo-fare/87990

 


 

Parigi: il branco di lupi, lo Stato Islamico e quello che possiamo fare

 

Dopo il lutto e la condanna della barbarie per gli attentati del 13 novembre, ricordiamoci che il vero protagonista del conflitto che stiamo vivendo non è l’Occidente ma il mondo islamico. Le nostre priorità: rimanere in Medio Oriente e spegnere la guerra di Siria.
di Mario Giro
ARTICOLI, AL QAIDA, FRANCIA, JIHADISMO, SIRIA, STATO ISLAMICO, TERRORISMO, EUROPA, MEDIO ORIENTE
Di fronte alla strage di Parigi, il primo atteggiamento giusto è dolore e lutto per le vittime assieme a tutta la nostra solidarietà e commozione per un paese fratello e una città simbolo della convivenza e dei valori europei.
Subito dopo, è opportuna la più totale e ferma condanna per tali barbari attentati che nulla può – nemmeno indirettamente – giustificare.
È indispensabile essere uniti nel ripudio assoluto del jihadismo e del terrorismo islamico contemporanei, chiedendo a tutti, musulmani inclusi, di far propria una incondizionata e radicale riprovazione.
Infine occorre mettere in campo tutta l’intelligenza, la lucidità e la calma possibili, al fine di capire ciò che sta accedendo per trovare le misure adeguate. È da irresponsabili mettersi a gridare o agitarsi senza criterio: occorre prima pensare e comprendere bene. Se i barbari sono tra noi, c’è un’origine di tale vicenda, una sua evoluzione e – speriamo presto – un rimedio.
Siamo in guerra? La guerra certo esiste, ma principalmente non è la nostra. È quella che i musulmani stanno facendosi tra loro, da molto tempo. Siamo davanti a una sfida sanguinosa che risale agli anni Ottanta tra concezioni radicalmente diverse dell’islam. Una sfida intrecciata agli interessi egemonici incarnati da varie potenze musulmane (Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Iran, paesi del Golfo ecc.), nel quadro geopolitico della globalizzazione che ha rimesso la storia in movimento.
Si tratta di una guerra intra-islamica senza quartiere, che si svolge su terreni diversi e in cui sorgono ogni giorno nuovi e sempre più terribili mostri: dal Gia algerino degli anni Novanta alla Jihad islamica egiziana, fino ad al-Qaida e Daesh (Stato Islamico, Is). Igor Man li chiamava “la peste del nostro secolo”.
In questa guerra, noi europei e occidentali non siamo i protagonisti primari; è il nostro narcisismo che ci porta a pensarci sempre al centro di tutto. Sono altri i veri protagonisti.
L’obiettivo degli attentati di Parigi è quello di terrorizzarci per spingerci fuori dal Medio Oriente, che rappresenta la vera posta in gioco. Si tratta di una sorta di “guerra dei Trent’anni islamica”, in cui siamo coinvolti a causa della nostra (antica) presenza in quelle aree e dei nostri stessi interessi. L’ideologia di Daesh è sempre stata chiara su questo punto: creare uno Stato laddove gli Stati precedenti sono stati creati dagli stranieri quindi sono “impuri”.
L’Is sta combattendo un conflitto per il potere legittimandosi con l’arma della “vera religione”. Concorre ad affermarsi presso la Umma musulmana (la “casa dell’islam”, che include le comunità musulmane all’estero) quale unico vero e legittimo rappresentante dell’Islam contemporaneo. Questo nel linguaggio islamico si chiama fitna: una scissione, uno scisma nel mondo islamico. Per capirci: una guerra politica nella religione, che manipola i segni della religione, così come i nazisti usavano segni pagani mescolati a finzioni cristiane. Infatti l’Is, come al-Qaida, uccide soprattutto musulmani e attacca chiunque si intromette in tale conflitto.
Per chi ha la memoria corta: al-Qaida chiedeva la cacciata delle basi Usa dall’Arabia Saudita e puntava a prendersi quello Stato (o alternativamente il Sudan e poi l’Afghanistan in combutta coi talebani). Daesh pretende di più: conquistare “cuori e menti” della Umma; esigere la fine di ogni coinvolgimento occidentale e russo in Siria e Iraq; creare un nuovo Stato laddove esisteva l’antico califfato: la Mesopotamia.
Geopoliticamente c’è una novità: al-Qaida si muoveva in una situazione in cui gli Stati erano ancora relativamente forti; l’Is approfitta della loro fragilità nel mondo liquido, in cui saltano le frontiere. In sintesi: non esiste lo scontro tra civiltà ma c’è uno scontro dentro una civiltà, in corso da molto tempo. Per utilizzare un linguaggio da web: oggi nella Umma il potere è contendibile.
A partire da tale fatto incontestabile, due questioni si impongono all’Occidente e alla Russia.
La prima è esterna e riguarda la presenza (politica, economica e militare) in Medio Oriente: se e come starci. La seconda è interna: come difendere le nostre democrazie, basate sulla convivenza tra diversi, allorquando i musulmani qui residenti sono coinvolti in tale brutale contesa? Come preservare la nostra civiltà dai turbamenti violenti della civiltà vicina? Se ci limitiamo a perdere la testa, invocando vendetta senza capire il contesto, infilandoci senza riflessione sempre di più nel pantano mediorientale e utilizzando lo stesso linguaggio bellicoso dei terroristi, non facciamo niente di buono. Potremmo anzi concedere allo Stato Islamico la resa del “nostro” modello di convivenza, per entrare nel “loro” clima di guerra.
Occorre innanzitutto proteggere la nostra convivenza interna e la qualità della nostra democrazia. Serve più intelligence e una maggiore opera di contrasto coordinata tra polizie, soprattutto nell’ambito delle collettività immigrate di origine arabo-islamiche, che rappresentano un’importante posta in gioco del terrorismo islamico. Da notare anche che tali attentati si moltiplicano proprio mentre lo Stato Islamico perde terreno in Siria. Contemporaneamente occorre conservare il nostro clima sociale il più sereno possibile. Mantenere la calma significa non cedere ai richiami dell’odio che bramerebbero vendetta, che per rancore trasformerebbero le nostre città in ghetti contrapposti, seminando cultura del disprezzo e inimicizia. Le immagini del britannico che spinge la ragazza velata sotto la metro di Londra fanno il gioco di Daesh.
Sarebbe da apprendisti stregoni incoscienti rendere incandescente il nostro clima sociale, provocare risentimenti eccetera. Così regaliamo il controllo delle comunità islamiche occidentali ai terroristi, cedendo alla loro logica dell’odio proprio in casa nostra. Per dirla col linguaggio politico italiano: mostrarci più forti del loro odio non è buonismo complice, è parte della sfida. Il “cattivismo” diventa invece oggettivamente complice perché appunto fa il gioco dello Stato Islamico.
In secondo luogo, dobbiamo darci una politica comune sulla guerra di Siria, vero crogiuolo dove si formano i terroristi. Imporre la tregua e il negoziato è una priorità strategica. Solo la fine di quel conflitto potrà aiutarci. Aggiungere guerra a guerra produce solo effetti devastanti, come pensa papa Francesco sulla Siria. Finora abbiamo commesso molti errori: l’Occidente si è diviso, alcuni governi si sono schierati, altri hanno silenziosamente fornito armi, altri ancora hanno avuto atteggiamenti ondivaghi, non si è parlato con una sola voce agli Stati vicini a Siria e Iraq eccetera.
L’Italia ha dichiarato da oltre due anni che Iran (ricordate ciò che disse Emma Bonino prima di Ginevra II?) e Russia (ricordate le accuse a Federica Mogherini di essere filorussa?) andavano coinvolti nella soluzione. Matteo Renzi l’ha più volte ripetuto, facendone una politica. In parlamento se n’è dibattuto. Non siamo stati ascoltati, almeno finora. Tuttavia (finalmente!) le riunioni di Vienna con Russia e Iran possono far ben sperare: oggi tutti ci danno ragione. Meglio tardi che mai: il governo italiano è totalmente impegnato nella riuscita di un reale accordo.
Nel nostro paese ci sono stati anche paralleli sforzi di pace e dialogo: dalle riunioni di Sant’Egidio con l’opposizione siriana non violenta, all’appello per Aleppo di Andrea Riccardi, all’ascolto dei leader cristiani di quell’area. La fine della guerra in Siria (e nell’immediato il suo contenimento) è il vero modo per togliere acqua al pesce terrorista. Senza zone fuori controllo ove prosperare, il jihadismo perderebbe la maschera.
In terzo luogo, dobbiamo occuparci con urgenza del resto del quadro geopolitico mediterraneo: la Libia, che è per noi prioritaria (e in cui almeno si è frenato il conflitto armato mediante l’embargo delle armi); lo Yemen; la stabilizzazione dell’Iraq; le fragilità di Libano, Egitto e Tunisia…
Anche se tali crisi sono in parte legate, vanno assolutamente tenute distinte. L’Is vorrebbe invece saldarle in un unico enorme conflitto (la sua propaganda è chiara), allo scopo di mostrarsi più potente di quello che è. In tale impegno occorrono alleanze forti con gli Stati islamici cosiddetti moderati: un modo per trattenere anche loro dal cadere (o essere trascinati) nella trappola del jihadismo che li vuole portare sul proprio terreno. Ogni conflitto mediorientale e mediterraneo ha una propria via di composizione e occorre fare lo sforzo di compiere tale lavoro simultaneamente. In altre parole: restare in Medio Oriente comporta un impegno politico a vasto raggio e continuo.
È prioritario entrare dentro la spirale dei foreign fighters per prosciugarne le fonti. Ho recentemente scritto un libro su tale fenomeno. Qui aggiungo solo che non sarei sorpreso che tra gli attentatori di Parigi ci fossero vecchie conoscenze della polizia francese. Esistono antiche filiere degli anni Novanta, mai del tutto distrutte, che si riattivano in appoggio a chi pare egemone sul campo. Qualcuno può essere un combattente straniero di ritorno: il problema è capire la genesi del fenomeno. Ma non ce ne sarebbe nemmeno tanto bisogno: attentati di questo tipo possono essere compiuti da chiunque.
Si è parlato di lupi solitari; qui siamo in presenza di un branco. Un ristorante, una trattoria, uno stadio, una sala di concerti non rappresentano reali obiettivi sensibili, segno che non occorre particolare addestramento. Sorprende piuttosto che dispongano di armi da guerra, non così facili da reperire in Francia. In Italia sappiamo che le mafie ne sono provviste ma anche molto gelose. Combattere il fenomeno foreign fighters corrisponde a coinvolgere le comunità islamiche e non spingerle verso l’uscita.
Tutto ciò va fatto contemporaneamente. Gridare “siamo in guerra!” senza capire quale sia questa guerra, invocando irresponsabili atti di vendetta e reazioni armate, ci fa cadere nell’imboscata jihadista. Proprio lì lo Stato Islamico vuole portarci, per mettere le mani sull’islam europeo ma soprattutto su quello mediorientale. Vuole dividere il terreno in due schieramenti contrapposti, giocando sul fatto che per riflesso i musulmani saranno fatalmente attirati dalla sua parte.
Per tale motivo la propaganda dell’Is (come quella di al-Qaeda prima) tira continuamente in ballo l’Occidente: in realtà sta parlando alla Umma islamica per farla reagire. Intraprendere tutto ciò non è facile ma necessario.
Contenere e spegnere la guerra di Siria è il solo modo per prosciugare il lago terrorista. Sarà operazione lunga e complessa, ci saranno altri attentati, ma è una strada vincente alla lunga. Certo si tratta di far dialogare nemici acerrimi, di dare un posto a tavola a gente che non ci piace (Assad e i suoi) o a formazioni ribelli ambigue, ma è l’unico modo.
Andare in Siria in ordine sparso è al contrario la via per compiacere Daesh e i suoi strateghi: un Occidente e una Russia divisi su tutto favoriscono chi sta creando uno “Stato” alternativo. Si tratta di una vecchia lezione della storia.
L’operazione militare europea diretta, boots on the ground, è dunque necessaria? Non sembra, e comunque non ora: sarebbe andare allo sbaraglio. Ciò di cui abbiamo urgente bisogno è che ribelli siriani e milizie di Assad – assieme ai rispettivi alleati – capiscano che il nemico comune esiste, si siedano e parlino. Lo Stato Islamico furbescamente si presenta alla Umma come “diverso”: non alleato con nessuno, patriottico, anti-neocolonialista, no-global, non inquinato da interessi stranieri e puramente islamico, duro ma nazionale (nel senso che patria e nazione hanno per l’islam politico). In questo modo mette a repentaglio la sopravvivenza e gli interessi di tutti: dell’Occidente, della Russia, di Assad, dei ribelli, dei curdi e delle altre minoranze. Gli unici ad averlo apparentemente capito sono i curdi: c’è un solo nemico comune, sorto nel vuoto di potere. Il negoziato parte da questa consapevolezza e per questo deve coinvolgere anche russi e iraniani.
L’obiettivo minimo è una tregua immediata; quello massimo un patto per il futuro della Siria. Solo a queste condizioni si potrà mettere in piedi un’operazione internazionale di terra, che miri a stabilizzare il paese e a mettere l’Is spalle al muro. Solo così si potrà svelare cos’è veramente l’Is: una cricca di ex militari iracheni e fanatici jihadisti che vengono dal passato e che hanno approfittato delle nostre divisioni.
Il vuoto della politica, si sa, genera mostri. A meno – sarebbe l’altra soluzione – di non lasciare tutto e ritirarsi. Andarcene totalmente dal Medio Oriente, rinunciare tutti a ogni interesse e presenza, abbandonare i mediorientali al loro dramma. Qualcuno lo pensa, qualcuno lo dice.
Se ce ne andassimo dal Medio Oriente, gli attentati in Europa smetterebbero subito, probabilmente. D’altro canto le vittime in quella regione sarebbero ancora maggiori.

 

Link al commento
Condividi su altri siti

Lacrime di coccodrillo ed inazione

 

Concordo totalmente sul messaggio e l' impostazione di Totiano

La tragedia di Parigi è il risultato dell’ inazione, il frutto della negazione del conflitto in atto da tempo e dei suoi aspetti di guerra globale ed asimmetrica.

Persino il Papa riconosce che è in corso una terza guerra mondiale e persino il Papa ha dato un’ interpretazione opportuna e pragmatica sul porgere l’ altra guancia, condannando lui stesso l’ inazione.

Purtroppo, a di la di inopportune ed addomesticate dichiarazioni politiche sul fatto di non essere colpiti ( aggiungo personalmente … non ancora colpiti …). Noi italiani, persone, e noi Italia, paese, siamo obbiettivi prioritari e tutto vorrei essere fuori che profeta ma chi conduce una guerra (e non siamo noi) ha una strategia ed in base ad essa decide dove, come e quando colpire; forse qui si aspetta solo l’ opportunità di maggior risalto, e quella più logica ed evidente è il giubileo.

Siamo di fronte ad una guerra che è condotta (efficientemente, e da tempo) e solo i ciechi e sordi (soprattutto in politica) negano che sia stata dichiarata ed in corso.

Non vorrei tornare su un tema ovvio, e molto sfruttato, oltre che dibattuto, quello dell’ immigrazione incontrollata ; certamente l’ immigrazione non è terrorismo, ma come viene gestita da ambo le parti è strumento di terrorismo.

Il terrorismo sfrutta e si avvale dell’ immigrazione illegale, che è uno degli aspetti della guerra asimmetrica in atto, l’ aspetto della saturazione, e noi la interpretiamo diversamente, non ne cogliamo l’ aspetto del controllo, controllo che non è la negazione dell’ aiuto umanitario ma è parte della nostra difesa, della tutela della nostra gente e della nostra civiltà.

Anche qui l’ inazione è colpevole, ed i nemici non hanno comprensione né ringraziano per la nostra “bontà”, per gli sforzi umanitari (… loro decapitano ..), la interpretano come debolezza e così la sfruttano per colpire meglio, per dividere il fronte occidentale.

La discutibile chiusura dei confini francesi, in un paese dove un certo modello di integrazione (lo stesso che si vorrebbe adottare in Italia) è chiaramente fallito e si è dimostrato un boomerang, è anche un monito, un segnale all’ Italia.

Dobbiamo capire che il terrorismo è l’ espressione della guerra ai simboli (e non cito volutamente quelli religiosi, cattolici, che sono lo stesso simbolo del nostro Paese):

· non ci riguarda il perché l’«ebreo» è il nemico numero uno che secondo la visione dei fondamentalisti deturpa la purezza della terra sacra dell’Islam, ma questo vale anche per noi cristiani (praticanti o no), e pertanto anche i simboli cristiani vanno colpiti.

· Non capiamo che la cultura è blasfema, e le sale dove si tengono concerti, perché la musica è peccaminosa. Non capiamo che lo sport è pericoloso, e perché gli stadi, dove si permette alle donne di assistere alle gare, e magari senza velo.

L’ elenco sarebbe infinito, sono solo esempi, richiami, non sono provocazioni, è solo un minimo riepilogo di quanto è stato affermato pubblicamente ed autorevolmente.

E’ stato detto e reclamato in Francia, in Gran Bretagna, in Danimarca dove è partito il tumulto per le vignette su Maometto e dove un vignettista è stato raggiunto in casa da un gruppo di assalitori armati d’ascia, è quanto è stato fatto con la fatwa per i Versetti Satanici, per istigare e permettere agli zelanti fedeli sparsi per il mondo di uccidere lo scrittore blasfemo.

Erano e sono segni premonitori, che dovevamo e dobbiamo capire, non far finta di niente.

Bisogna capire che vogliono colpire non solo Londra, Madrid, Parigi, ma soprattutto Roma, e Milano è solo un segnale, con l’ accoltellamento di un ebreo davanti a una pizzeria kosher.

 

Dobbiamo quindi decidere se vogliamo difendere questi simboli, che vanno al di la’ delle stesse libertà: Se continuiamo così ci troveremo soli nei momenti di maggior bisogno e più tragici che ci dobbiamo ormai aspettare.

Siamo soli, e soprattutto sordi e ciechi, anche all’ interno: appena due giorni fa, alla vigilia dei fatti di Parigi, le nostre forze di sicurezza avevano smantellato una rete islamica (con base a Merano), chiaramente indirizzata a fatti violenti: che ha fatto la magistratura tollerante? Liberati sulla parola. E non è il primo caso, vedasi il marocchino di Rozzano, illegale, pregiudicato, accusato (forse con qualche evidenza) di partecipazione od almeno connivenza con l’ eccidio di Tunisi, e non espulso in ulteriore caso di buonismo e comodo garantismo, intanto qualcun altro provvederà …..

Islamico non è sinonimo di terrorista, ma l’ atteggiamento islamico non può essere ambiguo quando si parla di difesa e lotta al terrorismo, ed i distinguo di questi giorni delle comunità radicate in Italia e dei loro rappresentanti sono la dimostrazione di quanto sia inefficace la nostra concezione di integrazione (condita da sovvenzioni che non possiamo né sappiamo elargire ai nostri concittadini ..)

Riflettiamo, soprattutto sul fatto di essere un paese in guerra …..

Link al commento
Condividi su altri siti

Anche io sono d'accordo sul fatto che bisogna essere lucidi e calmi, è anche vero che il discorso è molto ampio e secondo me nell'ultimo periodo non tutti li stati Europei hanno preso le decisioni giuste (come quello di abbandonarci sul piano dell'immigrazione) però io sono convinto che se si usa la calma si possono trovare i rimedi per questi problemi. Si dovrebbe iniziare a prendere in considerazione i problemi più vicini a noi (prevenzione dei siti sensibili a rischio, immigrazione, integrazione ecc.) e poi pensare a possibili interventi in più in Medio Oriente. E' anche vero che prevenire tragedie del genere è molto difficile ma personalmente mi fido del lavoro che fanno i nostri ragazzi ogni giorno (un piccolo esempio: l'operazione "strade sicure") e quindi mi sento abbastanza sicuro. Adesso però agire d'impulso sarebbe uno sbaglio, bisogna valutare i problemi uno alla volta e risolverli.

 

Link al commento
Condividi su altri siti

In quanto moderatrice del Quadrato, apprezzo davvero l'equilibrio fin qui stabilito e che spero resti tale.

Bravi!

Lo so che non siete adolescenti allo sbaraglio, ma da quel che leggo sul cosiddetto e mitizzato "WEBBE" c'è d preoccuparsi. Betasom mi pare resti una nicchia di razionalità. Bene così. Grazie e bravi.

Link al commento
Condividi su altri siti

Bello leggerti ogni tanto, Luca!

Certo che è ora di agire, non lo metto in dubbio.

Ma non sarebbe meglio farlo insieme come Europa unita, in comunione di idee e scopi?

Magari, possibilmente, con una tattica e una strategia che non sia solo frutto dell'atroce dolore di queste ore?

 

Nel frattempo la Francia ha attaccato violentemente Raqqa. Lo ha fatto da sola, sulla base dei dati della sua intelligence e noti da 15 giorni (fonte

http://www.huffingtonpost.it/2015/09/27/francia-attacca-siria-raid-aereo-isis_n_8202396.html )

ora arriverà sicuramente il saccente di turno a gridare al complotto, come fu per le torri gemelle.

 

Ritorsione probabilmente dovuta per dare un segnale di esistenza in vita, probabilmente comprensibile e forse giustificato.

Ma a me vengono in mente la Libia di 3 anni fa e l'Italia che gioiva all'annuncio del Duce quel 10 giugno...

Link al commento
Condividi su altri siti

La Francia ha sicuramente reagito per il dolore e la rabbia causata dagli avvenimenti di questi ultimi giorni ma, a parer mio, sbagliano. Come dice Totiano c'è l'assoluto bisogno di stringere alleanze con l'Europa, non si può sconfiggere un nemico così insidioso da soli. Poi c'è anche la questione "Russia": Personalmentei Russi non mi stanno simpatici perchè fanno un pò quel che vogliono però Putin ha già ribadito varie volte ["Dobbiamo castigare i terroristi" http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/11848480/Parigi--Putin---Uniti.html] di creare un'alleanza internazionale per sconfiggere queste "bestie" e secondo me lui non aspettava alto. Ma sinceramento non ce li vedo proprio a collaborare insieme USA e Russia quindi sarà un bel problema. Noi adesso dobbiamo stare nel nostro e pensare al Giubileo che è l'obiettivo più a rischio in questo momento.

Link al commento
Condividi su altri siti

le analisi fin qui lette e proposte sono piu' che condivisibili.

In un altro post,ho scritto che bisognerebbe levarsi "i guanti" e uscire dall'immobilismo.

Non intendevo che bisogna lanciarsi in una corsa all'armi verso l'ignoto,ma in un prendere

sul serio e con rinnovata energia,le problematiche tutt'altro che semplici ,e che fanno suonare

le campane a morto nell'oltralpe.

I cugini non son certo esenti da errori, e condivido a pieno chi scrive che quello piu' grande

sia stato rompere gli equilibri in Libia.

D'altro canto, l'Europa e la sua storia di colonialismo indiscriminato,stanno pagando con secoli di ritardo

i propri errori,perche' la storia e' lunga e dolorosa,e si perde nella notte dei tempi.

Forse qualcuno si dimentica che l'uso di gas e di bombardamenti nei territori coloniali,per estirpare le resistenze

fece vittime che superano di gran lunga quelle che oggi ,purtroppo contiamo sui nostri territori...

Certo non e' una giustificazione,non puo' esserlo ma, nondimeno bisogna cercare di ricordare la storia e tutto quello che

avrebbe dovuto insegnare.

Qui,su questo forum,proprio dove la storia e' il motore principale del suo essere.

Concordo che l'onde emotive sono quelle che purtroppo innescano maremoti...

Speriamo solo che coloro che sono preposti alle decisioni, si ripassino un pochino di storia....

Non sono confortato pero' da quello che il nostro paese ,con i suoi rappresentanti,possa partorire...

Non vogliatemene, ma non ho grande fiducia in una classe politica che dimostra ogni giorno una ignoranza disarmante....

e soprattutto un egoismo miope che non si concilia troppo con necessita' di lungimiranza.......

Link al commento
Condividi su altri siti

concordo su quanto detto finora su questo forum, tengo a precisare alcune cose però, innanzi tutto i cosiddetti mussulmani moderati dove sono? chi sono? cosa fanno?

finora non mi sembra che si siano tanto sentiti, e non solo per gli ultimi avvenimenti ma soprattutto prima, vengono ad indicare alle autorità preposte chi sostiene ed inneggia alla guerra santa? non mi sembra, indicano chi nella loro comunità con la scusa che è tradizione segrega le donne o le costringe in qualche modo a fare cose che vanno contro la libertà individuale? non mi sembra, cercano di integrarsi nel nostro modo civile di vivere rispettando soprattutto le nostre libertà i nostri usi e le nostre tradizioni? forse ma sono pochissimi.

Detto questo preambolo sono d'accordo che contro il terrorismo non bisogna essere degli struzzi, ma fare tutto quello che in modo intelligente si può fare.

Modificato da vigile
Link al commento
Condividi su altri siti

Terrorismo e Islamismo - basta con le ipocrisie , da una parte e dall' altra

 

Sottoscrivo l’ esortazione di Malaparte, e credo che un’ associazione come la nostra, che condivide un sito di storia e politica militare , non possa esimersi da un’ analisi strategica, non strumentale,

Nessuno, meglio di chi è stato militare od è analista di storia militare, può nascondere il fatto che siamo già ben addentro un conflitto, un conflitto che una parte del mondo occidentale tende a negare, obnubilato da una difesa del benessere che ormai è solo di retroguardia .

 

Credo si debba parlane, lasciando da parte un poco della nostra passione navale, confrontarci, solidarizzare, educarci, senza però entrare in provocazioni o strumentalizzazioni partigiane.

Proprio per il nostro motto dobbiamo essere evidenza di solidarietà e consapevolezza.

 

Gli attentati di Parigi devono imporci sia un’ introspezione sia un’ assunzione di responsabilità.

 

La prima assunzione di responsabilità è ammettere di essere in guerra, ma anche di essere parte di una guerra; ciascuno di noi non sceglie né può scegliere il mondo in cui è chiamato a vivere, ma può scegliere come viverlo, è una delle scelte è l’ abbandono delle ipocrisie.

 

La prima delle ipocrisie è negare, anche di fronte all’ evidenza, che ci trovi di fronte ad una guerra di religione: ci dimentichiamo anche che nei tempi passati, neppure troppo remoti, anche nel mondo occidentale, e tra diverse professioni di fede nel mondo occidentale, ci siamo trovati di fronte e nel mezzo di guerre di religione, sanguinose, disastrose. Siamo la stessa “civiltà” occidentale che ha superato gli scontri non solo tra confessioni, ma sino ad oggi anche gli scontri che la cultura laica ha avuto in generale con il Cristianesimo quanto con il più radicale Cattolicesimo, anche per le ingerenze ed i condizionamenti della religione nella politica, nello stato, nelle divisioni sociali: siamo la stessa o no la stessa civiltà, quanto si resiste a riconoscere che oggi dobbiamo trattare allo stesso modo l’Islam?

 

Quella pietra miliare di “una libera chiesa in un libero stato” che ormai fa parte non solo della nostra cultura ma ormai del nostro DNA, non è neppure un’ aspirazione della comunità islamica, che con la Sharia e l’ applicazione della stessa ne è la negazione.

Integrazione ed accoglienza si intrecciano con tutto questo: il modello non può essere quello ereditato dal colonialismo, che è una sorta di licenza (sotto tutti gli aspetti) a soggiornare, anche per sempre, sul territorio, il nostro nel caso.

Integrazione ed accoglienza non sono beneficienza, e non si devono confondere con la stessa: significano accettazione e rispetto mutuo, e questo manca da parte di una religione che non ammette differenze, che taccia di infedeli i diversi e ne pretende la sottomissione .

 

Esiste un radicalismo religioso, islamico, che non solo giustifica, ma muove il terrorismo, ma purtroppo esiste una generale adesione a pratiche religiose che nel privato, nel trasfondo di luoghi di culto chiusi, accettano e giustificano questo radicalismo, che portate a scegliere tra i valori del paese che accoglie ed i valori (o non valori) della tradizione, scelgono questi ultimi, senza esitazioni.

 

Non voglio esprimere solo mie opinioni, ma farmi ripetitore anche delle lucide considerazioni di un pensatore come Ernesto Galli della Loggia, che non può essere tacciato di radicalismo, e meno di liberticida.

Credo esprima il senso comune di una maggioranza, moderata, silenziosa, ma se i moderati tacciono, da ambo le parti, se ci sono moderati islamici che si trincerano nell’ ignavia dicendo sommessamente che hanno le mani legate, bisogna stanare gli autoinganni e le falsità che da ambo le parti nutrono l’estremismo radicale.

 

Bisogna chiedersi come faccia il terrorismo che tutti, ma proprio tutti, definiscono islamista a non avere nulla a che fare con l’Islam: è qualcosa che dovrebbe richiedere una spiegazione, che invece non ci viene mai data dai tanti – tra noi - che pure ci ammoniscono con severità a tenere separate le due cose. Magari la stessa severità dovrebbe essere applicata ad un’ analisi della situazione …

L’unica spiegazione che spesso ci viene fornita, se non giustificazione stessa, starebbe nel fatto che la maggior parte delle vittime del terrorismo, come espressione di un confronto tra due professione di fede, sarebbero in realtà proprio gli islamici. Visto da questo punto di vista è vero: peccato però che nessuno dei mille attentati commessi in quell’ ambito “locale” sia mai stato rivendicato, che si sappia, con proclami a base di citazioni di «sure» del Corano e di relative maledizioni contro gli «infedeli»: come invece è la regola quando nel mirino è ieri Parigi o in genere l’Occidente.

In realtà, a Bagdad, in Siria, nello Yemen, a Beirut, l’impiego del tritolo o del kalashnikov corrisponde semplicemente al modo oggi più comune da quelle parti di regolare i conflitti con gli avversari, siano essi religiosi, politici, di sette.

 

L’impiego ad uso bellico dei testi sacri, insomma, è riservato soltanto all’ occidente infedele, a noi.

Dunque, smettiamola di nasconderci dietro un dito: la religione c’entra eccome. Innanzi tutto perché sinora i terroristi si sono rivelati islamici ferventi e religiosamente motivati, e poi per un’altra importante ragione, il ricatto della comune appartenenza religiosa, e della pratica religiosa nelle moschee.

Si giustifica che questa comune appartenenza religiosa leghi le mani all’islamismo moderato - che senz’altro esiste e confidiamo sia maggioritario - impedendogli regolarmente di farsi sentire e di opporsi alle imprese sanguinarie degli altri.

E’ sempre questo ricatto-vincolo che a suo modo crea nella gran parte dell’opinione pubblica islamica, nelle sterminate folle delle periferie come negli strati più elevati, se non una qualche tacita complicità, certamente l’impossibilità di dissociarsi, di schierarsi realmente contro. Qualcosa che a propria volta vincola in misura determinante anche l’azione dei governi dei Paesi islamici, che dietro le quinte giocano su due sponde.

 

Ma se le cose stanno così, se per l’esistenza del terrorismo è decisiva l’esistenza di questo ampio retroterra costituito e cementato dal fortissimo ruolo identitario della religione, non è forse qui, allora, a proposito di questo ruolo, che l’Occidente dovrebbe impegnarsi in uno scontro, lanciare una sfida?

 

Certe guerre non si vincono solo militarmente grazie alle armi (che pure sono importanti e vanno impiegate al più presto e fino in fondo) ma anche con altri strumenti. Ma non bisogna avere paura di combattere, come sottilmente inculcano i teorici della libertà regalata e non della libertà conquistata.

 

Noi siamo ancora quelli della libertà conquistata, e sappiamo che i morti al fronte saranno sempre meno delle vittime innocenti dei massacri in atto.

 

Non si tratta di dichiarare né una guerra tra civiltà né una guerra tra religioni, bensì – insieme all’ azione - di iniziare un’analisi, una discussione dai toni anche aspri se necessario, sugli effetti che ha avuto per l’appunto il ruolo identitario della religione islamica sulle società dove essa storicamente è stata egemone, una discussione su che cosa sono queste società, e sulle vicende storiche stesse del mondo islamico, forse un po’ troppo incline all’ oblio e all’ auto-assoluzione, forte anche del ricatto economico/energetico che oggi è certamente meno importante.

 

Il modo migliore per aiutare l’Islam moderato a liberarsi del ricatto religioso, delle sue paure di lesa solidarietà comunitaria, è proprio quello di incalzarlo a un confronto senza mezzi termini con un punto di vista diverso che non abbia paura della verità.

Questo deve essere fondamentale e necessario per chi ha scelto di vivere in Occidente, pur conservando – tutelato – la propria fede, ma l’ identificazione deve essere con l’ Occidente, se cosi è stata la scelta di vita.

 

Giustificare l’ inazione, tra noi, dicendo che esiste (anche?) un Islam moderato senza pretendere che questo stesso islam moderato, almeno nel nostro occidente dove è enormemente tutelato, si pronunci è un falso ed un assurdo, un’ ipocrisia che coinvolge molte fasce della nostra società occidentale; è un’ ipocrisia ed allo stesso tempo una autoassoluzione il non cercare nemmeno un confronto con questa professione di fede nel nostro territorio, che ha gli stessi diritti e lo stesso valore delle nostre professioni.

Il terrorismo islamista e il suo richiamo religioso si nutrono in misura notevole degli autoinganni, dell’ ignoranza della realtà storica, delle vere e proprie falsificazioni, che hanno più o meno largo corso nelle società che gli stanno dietro, e che da lì arrivano anche alle comunità islamiche in Europa. Non esiste un clero islamico “regolare”, esistono predicatori che sfuggono spesso ad ogni controllo, che si mimetizzano in una ragnatela di luoghi di riunione, che rifiutano ogni contatto.

 

È di questi succhi velenosi, al pari dell’ inazione occidentale, che si nutre la formazione elementare di molti dei violenti, già terroristi o complici o simpatizzanti, od in ultimo moderati conniventi: i musulmani delle nostre città ora ci dicano con chi stanno, dividano con noi gli stessi rischi e le stesse tutele di cui godiamo

 

Le comunità islamiche sanno di essere in guerra, lo dichiarano e lo dimostrano, ma la nostra comunità occidentale tende a negarlo, ma guerra è, guerra di nuovo tipo.

Quella che qualcuno chiama guerra asimmetrica, che è (anche) una guerra senza frontiere, senza contrapposizioni di Stato, una guerra due volte nuova perché mescola il modello fluido, pan territoriale, di Al Qaeda e il vecchio paradigma territoriale al quale l’IS (o Isis) è tornato per ricostituire il Califfato.

 

Di fronte a una guerra che né i paesi occidentali né lo stesso Israele , ne gli odiati (da tutti) Stati Uniti hanno voluto, è valida una sola domanda: che fare?

Come rispondere, sopravvivere e tentare di vincere, quando questo tipo di guerra ci colpisce?

Una guerra in cui non esiste un fronte con trincee, non ci sono soldati in posizione, ma ciascuno di noi, bambini, donne, anziani, è un avversario, è un bersaglio, senza esserne cosciente. Bisogna allora che ciascuno sia se non un combattente almeno un consapevole focolaio di resistenza, un punto di mobilitazione e di supporto a chi meglio agisce, e soprattutto di spinta politica.

 

Tra gli avversari della pace, subdoli alla pari del terrorismo religioso, ci sono certi movimenti pacifisti divenuti confessionali (dietro i quali sarebbe opportuno dare un’ occhiata ..) che intimidiscono politici e democratici quando sono sul punto di prendere decisioni: la guerra c’ è, e non è stata dichiarata dall’ occidente, bisogna affrontarla per quella che è, e non solo sul fronte interno, con le forze di sicurezza, ma sul campo.

Negli ultimi decenni (ma anche pochi mesi fa quando timidamente si parlava di Libia) sedicenti esperti agitavano lo spettro di centinaia di migliaia di soldati che si sarebbero dovuti impiegare sul terreno, con perdite immani (boots on the ground = blood on the ground).

Lasciamo le considerazioni agli specialisti ai professionisti, purché appoggiati dalla volontà politica e dalla solidarietà nazionale, che è quella che viene richiesta in questi frangenti: nessuno più che un soldato, che la conosce e ne è preparato, è contrario alla guerra.

In realtà, giunto il momento, potrebbero bastare meno forze di quelle che si pretendono ipotizzare, ma certo non solo qualche attacco aereo: le orde dell’IS potrebbero rivelarsi per quello che sono, delle bande, molto più coraggiose quando si tratta di sgozzare ostaggi esausti e di far saltare il cervello a giovani parigini inermi rispetto a quando bisogna affrontare veri soldati della libertà.

Siamo di fronte a una minaccia spaventevole forse più che spaventosa, ma il mondo occidentale, se lo vuole, ha tutti i mezzi per fermarla.

 

Fermare la minaccia sul campo e bonificare il retroterra culturale, con una vera politica di accoglienza ed integrazione, mirata, diversa dall’ emarginazione in ghetti: bonifica del retroterra che significa anche e moderatamente continuare a ricevere i migranti e nello stesso tempo rendere inoffensivo il più gran numero di cellule pronte a uccidere...

Accogliere a braccia aperte chi fugge dall’IS, ma discernere e contemporaneamente essere implacabili con quelli fra loro che traessero vantaggio dalla nostra fedeltà ai nostri principi per infiltrarsi da noi quale terra di missione e commettervi i loro misfatti...

Non è contraddittorio, è applicare la pietà e la carità, ma non porgere inutilmente e colpevolmente l’ altra guancia come neppure il Vangelo prevede. È anche un modo, insieme all’ azione, per non offrire al nemico la vittoria che si aspetta, cioè di vederci rinunciare al modo di vivere insieme, aperto, generoso, che caratterizza le nostre democrazie, e così sottometterci.

E’ il modo coerente di procedere in una guerra che consideriamo giusta, che comporta anche non lasciare amalgamare ciò che storicamente ha vocazione ad essere diviso; e nella circostanza mostrare alla grande maggioranza dei musulmani che non solo possono essere nostri alleati, ma concittadini se non fratelli.

Non possiamo però essere traditi nella nostra generosità ed apertura …

Link al commento
Condividi su altri siti

La "guerra di religione" ho sempre pensato fosse una scusa per interessi economici.

A monte di questo la Francia, dopo avere bombardato l'IS adesso chiede aiuto all'Europa.

Permettetemi: ma concordare con l'Europa l'ingresso tra coloro che bombardavano la Siria, avvenuto circa un mese fa non era possibile?

Quando la Mogherini sollecitava di coordinarsi con tutti g li aventi causa, compresi Russia e Iran, ed è stata cortesemente messa da parte a favore degli interessi di singolo stato, li non serviva l'aiuto dell'Europa?

Link al commento
Condividi su altri siti

"Purtroppo" concordo con Totiano sul fatto che le "guerre religiose" spesso siano fatte per fini economici, detto questo la Francia, tutta l'Europa e la NATO dovevano intervenire prima anche con l'aiuto dei Russi per evitare altri attentati dopo quello di Charlie Hebdo. Ora raccogliamo ciò che abbiamo seminato..

 

Per quanto riguarda i Carri Armati allora sembrerebbe una bufala! Diciamo che è stata una "sfortunata" coincidenza..

Link al commento
Condividi su altri siti

Mah, io trovo la questione del "non ripetere quanto accaduto in Libia", ripetuta da tempo come un mantra anche da... elevati esponenti delle istituzioni, il paragone più assurdo che si possa fare. Mi pare che si sia perso il contatto con la realtà.

La Siria è messa centomila volte peggio della Libia.

In Libia, oggi, le forze del governo legittimamente eletto controllano i due terzi del paese; del resto, la maggior parte è sotto il controllo del governo illegittimo che, sebbene islamista, è un soggetto col quale si può anche "discutere" e non lontanamente pericoloso come i veri gruppi terroristici. Tuareg e membri di milizie varie controllano solo porzioni molto ridotte della Tripolitania, e l'ISIS solo una fascia ridottissima attorno a Sirte. I morti nella guerra civile sono stati, finora, 4000.

In Siria, a controllare i due terzi del Paese è oggi l'ISIS, mentre la fascia nordorientale è di fatto sotto il controllo dei curdi locali, ed altre porzioni sparse di Paese sono controllate dai variegati gruppi ribelli. Assad controllerà forse un quarto della Siria, allo stato attuale. I morti sono ormai attorno ai 300.000.

Sono siriani, non libici, i profughi che stanno riversandosi in massa in Europa.

 

Nella realtà dei fatti, si è fatto molto meno danno intervenendo in Libia, che scegliendo di non intervenire in Siria. In entrambi i casi faccio notare come la ribellione sia scoppiata all'interno dei Paesi in questione: l'Occidente doveva solo scegliere se intervenire. In Libia lo si è fatto, e per quanto la situazione laggiù sia oggi lontana dalla stabilità, è comunque quasi paradisiaca rispetto a quella della Siria, dove quattro anni di non intervento e parole al vento da parte dell'Occidente hanno portato ad un Paese frantumato ed al conflitto forse più sanguinoso dell'ultimo quindicennio.

Link al commento
Condividi su altri siti

LColombo ha fatto un intervento perfetto perchè ho preparato delle immagini che illustrano meglio la situazione attuale (Ottobre 2015) in Siria.

 

Le immagini saranno divise in due: La prima è la cartina della Siria e fa capire meglio chi controlla le varie zone, la seconda è la legenda della cartina.

 

Spero sia chiaro :smile:

 

153tro4.jpg

 

 

17s60k.jpg

Link al commento
Condividi su altri siti

Ora però vorrei illustrare anche (con l'aiuto di un semplice disegno che ho preparato) gli interessi economici nella Siria

 

fcs38o.jpg

 

 

Per portare il petrolio in Europa bisogna fare tutto il giro della freccia nera e, passando per il canale si Suez, bisogna pagare.

 

Ma avendo la Siria non si devono più compiere tragitti (linea rossa) e sono le altre nazioni che devono pagare. E' come avere un rubinetto di petrolio sull'europa.

Link al commento
Condividi su altri siti

non discuto che in Siria la situazione sia tremendamente più tragica.

Il concetto che cerco di esprimere è che in LIbia la Francia e la Gran Bretagna ci hanno tirato il resto del mondo per i capelli, dopo che erano gia intervenute. Egoisticamente e con tutto il rispetto per i morti, magari Gheddafi rimaneva a fare il dittatore, il clima si rasserenava, arrivavano meno barconi e mantenevamo le nostre concessioni petrolifere. Con i "se" e i "ma" non si fa la storia, sono il primo a dirlo, ma che il problema davanti casa nostra sia precipitato grazie a loro non ho dubbi (il parere è sempre personale, ovviamente)

 

Ciò detto, spero a chiarimento, qualcosa va sicuramente fatto, tanto in Siria come in Libia, in Egitto ecc. . Ma la si deve fare insieme, coordinati e possibilmente sotto l'egida di un'organizzazione come l'ONU, Anche perché l'art. 5 della NATO, in questo momento, non mi sembra sia applicabile alla Francia.

Link al commento
Condividi su altri siti

Si stanno mescolando due fenomeni completamente diversi, uno interno al mondo islamico, e l'altro di strategia internazionale.Nel valutare, nei limiti del possibile, cosa fare, non possiamo dimenticare nessuno dei due. Personalmente trovo questa l'analisi più interessante in giro: http://noisefromamerika.org/articolo/beirut-parigi-sharm-provando-capire

Link al commento
Condividi su altri siti

Egoisticamente e con tutto il rispetto per i morti, magari Gheddafi rimaneva a fare il dittatore, il clima si rasserenava, arrivavano meno barconi e mantenevamo le nostre concessioni petrolifere. Con i "se" e i "ma" non si fa la storia, sono il primo a dirlo, ma che il problema davanti casa nostra sia precipitato grazie a loro non ho dubbi (il parere è sempre personale, ovviamente)

 

Ma il mio dissenso è proprio su questo punto.

In Siria, Assad è rimasto a fare il dittatore, ma il clima, lungi dall'essersi rasserenato, è andato sempre peggiorando rispetto alla Libia: i ribelli tutto sommato moderati, che all'inizio del conflitto costituivano la principale opposizione, sono stati fortemente indeboliti e frammentati, ed il loro posto è stato in larga parte preso da gruppi islamisti e soprattutto dall'ISIS. Per effetto del non intervento, la Siria - prima che i russi entrassero in campo - era avviata sulla strada per diventare la nuova Somalia, ed anche ora è ben difficile immaginare quando e come finirà...

In Libia, Gheddafi non è rimasto a fare il dittatore, ed il clima non sarà certo sereno, ma è meno peggiore di quello in Siria. Secondo mio modestissimo e personale parere, se anche in Libia si fosse lasciato che fossero Gheddafi ed i ribelli a sbrigarsela tra loro - per così dire - il rischio sarebbe stato, anche in Libia, una ulteriore recrudescenza del conflitto; una maggiore radicalizzazione dei ribelli; e non meno, ma più barconi: oltre a quelli degli immigrati e rifugiati subsahariani che arrivano oggi, anche quelli degli stessi libici in fuga dalla guerra.

Secondo me, a dispetto di quello che oggi dicono giornalisti, politici (italiani, che usano la situazione attuale della Libia - esagerata dal pessimo "giornalismo" nazionale - per giustificare la loro ignavia negli eventi del 2011) e sedicenti esperti, l'intervento francese in Libia non ha fatto precipitare un disastro che - lo ricordo - era già scoppiato da solo (non sono stati i francesi a scatenare la rivolta contro Gheddafi); secondo me, accelerando la fine della guerra civile libica e la caduta di un dittatore che ben difficilmente avrebbe potuto riconquistare il controllo sul suo popolo, si sono limitati i danni, evitando che la Libia diventasse l'orrendo carnaio, e polveriera internazionale, che la Siria è diventata in quattro anni di guerra.

Rammento ancora una cosa: i terroristi che hanno attaccato l'Occidente in questi ultimi tempi, si sono addestrati in Siria, non in Libia.

 

Senz'altro sarebbe meglio un intervento sotto l'egida ONU, ma la paralisi decisionale di questo organo, dove potenze con interessi opposti hanno diritto di veto, mi fa avere ben poca fiducia in tale istituzione (oltre a costituire sgradevole ricordo del suo defunto predecessore...)

Modificato da LColombo
Link al commento
Condividi su altri siti

Senz'altro sarebbe meglio un intervento sotto l'egida ONU, ma la paralisi decisionale di questo organo, dove potenze con interessi opposti hanno diritto di veto, mi fa avere ben poca fiducia in tale istituzione (oltre a costituire sgradevole ricordo del suo defunto predecessore...)

 

su questo hai ragione, ma questo non giustifica Francia e GB a partire con 2 settimane di anticipo rispetto ad una risoluzione internazionale (perché poi è arrivata) per il solo motivo di (consentitemi) di acquisire i diritti sul petrolio fin a quel momento prerogativa italiana. L'Italia stava attendendo (e sollecitava fortemente) le determinazioni internazionali, non era certo ferma.

 

se ho ben capito, secondo voi l'Italia doveva attaccare la Libia già sei mesi fa invece di chiedere un'azione unanime di tutta l'Europa, che peraltro ancora stenta a venire.

 

Con i dovuti distinguo, sembra di avere gia letto di simili situazioni: avvenivano nella penisola iberica circa 80 anni fa

Link al commento
Condividi su altri siti

  • 2 weeks later...

Mi scuso sin d'ora per la leggerezza dell'intervento su di un argomento così grave ed importante, ma l'intervento del giornalista sul caso dell'abbattimento del caccia russo da parte di due caccia turchi è epico.

 

Filmato Corriere della Sera

 

Nel merito: sapete dove il missile ha colpito l'aereo abbattuto?

 

A poppa!

 

Lascio a voi il giudizio su siffatti servizi giornalistici... :wacko:

Modificato da sertore
Link al commento
Condividi su altri siti

E' stato abbattuto vicino alla città Siriana di Yamadi che è a destra rispetto al rettangolo giallo. Dicono che i piloti abbiano attraversato quel "fazzoletto" di terra Turca provocando la loro reazione. Il giornalista forse non ha capito bene la differenza tra un caccia e una nave :tongue:

 

 

21mt7d4.jpg

Link al commento
Condividi su altri siti

.......Nel merito: sapete dove il missile ha colpito l'aereo abbattuto?

A poppa!

Lascio a voi il giudizio su siffatti servizi giornalistici... :wacko:

 

L'impreparazione giornalistica su tali argomenti è notoriamente risaputa. La poppa è ancora un peccato veniale. L'aereo criminalmente abbattuto viene definito dalla stampa non specializzata caccia o caccia bombardiere. Ne cito uno per tutti: http://www.repubblica.it/esteri/2015/11/24/news/turchia_abbatte_caccia_per_invasione_spazio_aereo-128031271/

Per noi, appassionati di storia militare, il Sukhoi SU-24 è un bombardiere tattico a bassa quota.

Link al commento
Condividi su altri siti

Verissimo anche questo danilo43! La generalizzazione dei mezzi e dei corpi durante i servizi gironalistici sono una cosa assurda! Come avrete sentito ripetutamente nei giorni scorsi si è sempre parlato dell'intervento e blitz delle "teste di cuoio" Francesi. Ma, precisando, queste unità sono le unità speciali della polizia Nazionale Francese conosciute come: (B.R.I.) Brigades de recherche et d'intervention (Brigata di ricerca ed intervento) e (R.A.I.D.) Recherche Assistance Intervention Dissuasion (Ricerca Assistenza Intervento e Dissuasione), ben differenti dalle generalizzate "teste di cuoio" (oltretutto appellativo del GSG-9 Tedesco).

Link al commento
Condividi su altri siti

Verissimo anche questo danilo43! La generalizzazione dei mezzi e dei corpi durante i servizi gironalistici sono una cosa assurda! Come avrete sentito ripetutamente nei giorni scorsi si è sempre parlato dell'intervento e blitz delle "teste di cuoio" Francesi. Ma, precisando, queste unità sono le unità speciali della polizia Nazionale Francese conosciute come: (B.R.I.) Brigades de recherche et d'intervention (Brigata di ricerca ed intervento) e (R.A.I.D.) Recherche Assistance Intervention Dissuasion (Ricerca Assistenza Intervento e Dissuasione), ben differenti dalle generalizzate "teste di cuoio" (oltretutto appellativo del GSG-9 Tedesco).

 

Che dire, il giornalismo italiano presenta ormai in ogni dove una autentica legione di teste di... qualcos'altro.

 

Per parte mia sono un po' sconfortato dall'atteggiamento dei vertici del Paese. C'è ora la risoluzione ONU, gli altri capi di governo dei maggiori Stati europei si mettono in moto, qui non si fa altro che ripetere parole al vento e sproloquiare insensatamente di "Libiabis". Visto che l'ISIS è presente in più Stati in Africa e Medio Oriente, se proprio non vogliono intervenire in Siria, potrebbero almeno prendere in considerazione di fare qualcosa proprio nella nostra ex quarta sponda... alla lunga la delusione prende il sopravvento.

 

Buona notte.

Modificato da LColombo
Link al commento
Condividi su altri siti

Da base artica, marco

 

Per un intervento in siria o libia, ci vogliono obbiettivi che siano maggiore che togliere di mezo genti e fonti tecniche del terrore o terrorismo.

Un intervento con risultati positivi, al giorno d oggi oltre a un azione militare rimane legata a un " robusto supporto politico e sociale" da parte di chi lo opera e deve anche avere l approvazione della finanza internaziomale e dei circoli new york usa a essa legata.

Finche questi " circoli" non sono dalla parte giusta (e per farlo debbono guadagnarci sopra, almeno di piu delle correnti attuali patriottismo o no), inutili provarci, anche se moralmente la questione lo autorizzi.

 

Poi ci si deve chiedere se un paese che vuole intervenire, ( italia, nato...?) anche in coalizzazione, abbia veramente i suoi cittadini dietro di se.

Inutile mandare soldati e mezzi se a " casa" poi il resto del parse vive la sua vita normale, percependo i fatti solo da TV e giornali.

 

Saremmo troppo esposti a " cambiamenti di posizione" dopo primi inevitabili, attentati sul proprio suolo o a liste caduti in azione.

Per l intervento e una guerra non dichiarata, a cui ci si deve aspettare purtroppo azioni letali di risposta dagli avversari la dove piu vulnerabili, e oggi la nostra societa lo e tra le proprie mura o famigliari.

 

Di conseguenza attenzione a entrare in campo, non partecipa solo il giocatore ma anche lo " spettatore".

 

Ricordo che ogni intervento militare si vince solo con la fanteria sul luogo, aeri o altro sono poco utili senza i primi, gli usa lo dimostrano, anche se cercano di usare fanterie " altrui" a pagamento. Roma alla fine cadde anche se pagava legioni di mercenari.

 

Per combatere il terorismo gli si deve togliergli i mezzi, senza soldi, niente mezzi, conseguenza al momento " qualcuno spende tanti soldi" per motivi che a persone normali non verra mai detto. (E forse megio cosi, poiche se tutti sapessero, il mondo sarebbe migliore, ma cio e un utopia).

Libia o siria o altri paesi islamici, hanno stessi nostri problemi morali; tra noi ci sono elementi che non riuscendo a vivere in societa, trovano un alibi per voler distrugere tutto con le scuse piu stupide.

Purtroppo non voliamo capire che il perbenismo puo solo funzionare quando tutti sono a posto (di testa), ma.....

 

Saluti marco

Link al commento
Condividi su altri siti

  • 1 month later...

...se avvenisse, quale italiano, mi permetto di ritenermi umiliato.

Perché? La Germania è stata assente per decenni da quasi tutte le missioni militari internazionali, accampando la propria costituzione. Ora avrà una qualche solida (...) ragione per pensare all'intervento, non discuto, ma non mi sento per niente umiliata in quanto italiana. L'Italia, per inciso, mi risulta abbia la più solida attività di intelligence in LIbia, e credo che la Germania abbia chiesto o chiederà collaborazione e parere ai "nostri" prima di eventuale intervento. Umiliata/o da che?

Link al commento
Condividi su altri siti

  • 3 weeks later...

Dopo un primo intervento considerato un po' veemente, mi ero astenuto da ulteriori passaggi sul perché ragionare (in questo forum) sulla guerra all’ ISIS, astensione per vari motivi e per non innescare una spirale di battibecchi di politica nostrana. Credo che anche in questo forum debba prevalere, rispetto alla passione per argomenti storici ed erudizione navale, il senso di vicinanza, se non di appartenenza in molti casi, ad una istituzione ed a “gente” che oggi sta affrontando la realtà dei fatti.

Discutendo di fatti, prendendo coscienza di rischi e di motivazioni, possiamo dare un grande contributo, meglio ancora se poi diverremo fattori di diffusione..

 

A mio parere non si tratta più di discutere su antefatti e responsabilità ma di presa di coscienza di una guerra in atto, che ha determinanti aspetti navali, una guerra che il nostro paese combatte da tempo e si troverà ad affrontare in maniera maggiore, anche se in vari modi e con molta demagogia si vuole esorcizzare la parola guerra.

Il post di Malaparte sull’ allarme per i traffici “mercantili” occulti riporta l’attenzione e l’ attualità del tema, e forse i moderatori valuteranno se unificare le discussioni.; per questo mi sono permesso di postare queste note in ambedue le discussioni.

Gli articoli del Corriere dimostrano come anche la “stampa generalistica” stia scoprendo una situazione allarmante e prendendo coscienza dell’importanza del nostro contributo navale per la soluzione del problema .

Come citazione molto puntuale ricordo un “appassionato” del settore che con molta veemenza solo pochi mesi fa chiedeva perche dotarsi di sofisticati sommergibili nell’ attuale scenario “di pace” o comuqnue di conflitti non tradizionali ….. ecco una delle risposte: i nostri sommergibili sono stati e sono uno dei migliori e più efficaci strumenti di intelligence …

 

Altri comandanti hanno postato efficaci piantine e schemi di flusso che già evidenziano l’ importanza dei traffici marittimi e pertanto dell’ intervento navale in atto: se consideriamo che i fronti caldi della guerra all’ ISIS riguardano già adesso l’ area siriano irachena, l’ area libica e l’ area somala, e questa sequenza è quella della strategia da seguire da parte occidentale, risulta evidente l’ importanza della guerra navale in questo conflitto, guerra navale che è e sarà prevalente nelle prossime immediate fasi.

La diatriba “boots on the ground” è fuorviante rispetto agli interventi navali da mettere in atto, in congiunto, mentre per il momento nel Mediterraneo allargato è la MMI ad averne il peso maggiore; tutte le attività nazionali ed i tentativi multinazionali di far fronte alla crisi migratoria non sono che aspetti iniziali, anche di messa a punto, di un dispositivo navale che non deve essere solo umanitario ma di vero contrasto ad un traffico che è parte fondamentale della strategia e sulla proiezione dell’ ISIS

 

C’ è da chiedersi quanto l’ occidente sia preparato, ed in questo contesto quanto la nostra Marina sia preparata, aggiungerei quanto si fa, anche come informazione all’ opinione pubblica, per supportare la MMI in questo frangente.

 

Se analizziamo i programmi della MMI, non ultima la non dichiarata “legge navale”, è facile vedere che esiste da tempo una giusta visione strategica ed una corretta pianificazione operativa: tutte le unità previste hanno le caratteristiche necessarie per operare nello scenario operativo che si è aperto ed in quello che è prevedibile anche a breve termine, il problema è stato ed è politico/finanziario, dei tempi in cui questi necessari mezzi verranno messi a disposizione della MMI; pur nelle limitazioni di bilancio e nella dilatazione dei tempi siamo di fronte ad uno strumento bilanciato, in grado di operare in tutto il mediterraneo (ma anche in quello allargato che comprende l’ Oceano Indiano ed i suoi accesssi), a protezione degli interessi italiani ed europei, seguendo quegli indirizzi economici che puntano a determinati settori, come l’ off shore energetico, od a previlegiare certe partnership se non alleanze con paesi del medio oriente e del Nordafrica

Link al commento
Condividi su altri siti

Join the conversation

You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.

Visitatore
Rispondi a questa discussione...

×   Hai incollato il contenuto con la formattazione.   Rimuovi formattazione

  Sono ammessi al massimo solo 75 emoticon.

×   Il tuo link è stato automaticamente aggiunto.   Mostrare solo il link di collegamento?

×   Il tuo precedente contenuto è stato ripristinato.   Pulisci l'editor

×   Non è possibile incollare direttamente le immagini. Caricare o inserire immagini da URL.

Caricamento...
  • Statistiche forum

    • Discussioni Totali
      45k
    • Messaggi Totali
      521,7k
×
×
  • Crea Nuovo...