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Sistemazione Dell' Apparato Motore Su Unità Navali


PELLICANO

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Sistemazione apparato motore

Non abbiamo certamente esaurito i temi relativi alle caldaie, soprattutto alle caldaie navali, ma bisogna adesso considerare il contesto armonico in cui tali apparati devono collocarsi, ed il sistema che le circonda.

Per stimolare una discussione di più ampio respiro, compresi gli aspetti storici e le conseguenze di alcune scelte sbagliate sugli apparati motori, come introduzione ad una nuova discussione, a continuazione una sequenza delle sistemazioni degli apparati motori sulle unità della MMi dal 1945 al 1960: questa impostazione comporta un’ analisi delle costruzioni della RM a partire dagli anni 30, considerato che la totalità delle navi post belliche, e più della metà delle navi a vapore in servizio sino agli anni 60, avevano apparati motore (e soprattutto caldaie) , risalenti a tale periodo.

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Dagli schemi precedenti appare evidente l’ insostenibilità di progetti che sacrificavano ad una molto discutibile priorità nella velocità ogni soazio disponibile a bordo, e soprattutto aggiungevano pesi in necessari, in un momento in cui l’ esponente di peso delle unità navali avrebbe dovuto essere più equilibrato a favore di protezione ed armamento.

Gli A.M. delle corrazzate erano un assurdo ingegneristico, per il numero e la collocazione delle caldaie, difficile anche da operare quando, per il tipo di caldaia adottata praticamente non poteva inserirsi alcun tipo di automazione e/o comando a distanza.

E’ evidente l’ “affollamento delle sistemazioni, ancor più pernicioso sulle unità sottili, Ct e torpediniere o avvisi scorsa, soprattutto se comparato a quello molto compatto delle fregate e dei caccia delle prime realizzazioni postbelliche.

Lo schema di Indomito ed Impetuoso, mutato da quello tipico della US Navy servi poi per definire uno standard nella MMI, seguito con poche modifiche (fondamentalmente il tipo di turbine, nella successiva e finale epoca del vapore nella MMI ( i due Doria, i due Impavido, i due Audace).

Modificato da Totiano
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  • 3 weeks later...

Considerazioni generali sulla disposizione degli apparti motore a vapore

 

Nella progettazione di un apparato motore, già definite la potenza da sviluppare e lo spazio disponibile a bordo, il primo problema che si presenta è quello di stabilire il numero di gruppi propulsori (ossia, nel caso del vapore, il sistema costituito da caldaie-ausiliari - motrice collegata – riduttore – linea d’ assi – elica) da adottare, ed una volta definito questo primo parametro occorreva definire il numero di caldaie tra le quali doveva essere ripartita la produzione di vapore (con il solito riferimento: vapore di maggiore pressione e temperatura = caldaie più leggere – eventualmente meno caldaie).

 

Per le unità militari evidenti ragioni di sicurezza r manovrabilità impongono che i gruppi propulsori siano almeno due, anche se un tempo su unità maggiori (come le corazzate e le portaerei) si sono avuti quattro gruppi; lo standard generale è stato ed è su due gruppi.

 

Per quanto riguardava il vapore, ed il frazionamento dei generatori di vapore, occorreva tener presente che il il peso, l’ ingombro, il costo, riferiti alla potenza unitaria, diminuivano grandemente con l’ aumento della potenza (riferimenti anche di cui sopra).

Risultava quindi conveniente – dal punto di vista teorico ed economico - frazionare il meno possibile l’ apparato generatore (le caldaie), con vantaggi sulla semplificazione delle tubolature, la diminuzione di aperture e fumaioli, riduzione del personale per condotta e controllo.

Per contro l’ adozione di generatori di grande potenza avrebbe portato, eventualmente, alla conseguenza che i caso di avaria anche di un solo generatore, la diminuzione di potenza sarebbe stata eccessiva, in particolare per le navi militari, dove assumeva importanza prioritaria poter non solo suddividere la potenza ma “incrociarla” tra i due (o più) diversi gruppi motori.

 

La sistemazione dei generatori (caldaie e loro accessori) doveva comunque soddisfare le esigenze di compartimentazione e galleggiabilità della nave.

I fattori che determinavano il frazionamento più conveniente dell’ apparato generatore (le macchine erano un diverso problema) erano molteplici, in particolare riguardo alle aperture (fumaioli compresi) e privavano su ogni altra considerazione di sistemazione di volumi e pesi; definito il frazionamento si trattava di di posizionare gli apparati nello scafo, in genere secondo i seguenti concetti informatori:

  1. sistemare le motrici più a poppa possibile, allo scopo di ridurre la lunghezza delle linee d’ assi, e cercare di sistemare le caldaie immediatamente vicine, generalmente a proravia, delle motrici, allo scopo di ridurre la lunghezza delle tubolature di vapore e concentrare nel piu breve spazio possibile tutto l’ apparato motore ed i relativi ausiliari;
  2. distribuire i vari componenti dell’ apparato motore in modo che se se rimanesse inutilizzato uno qualsiasi dei macchinari od addirittura tutto un locale macchine, si possa mantenere in moto la nave con le restanti parti in efficienza. Duplicazione ed incrocio dei circuiti, con le motrici separate tra loro, come compartimentazione, da almeno un gruppo caldaie.

 

Dagli schemi più comuni già illustrati si evince che la soluzione più seguita è stata la b), con la suddivisione delle motrici in gruppi separati. La soluzione a), come relativa eccezione, soprattutto per le unità di minore dislocamento, o meno recenti, era imposta generalmente dalla mancanza di spazi.

Va inoltre notato che in molte sistemazioni era usuale che la linea d’ assi della motrice prodiera attraversasse almeno un locale caldaie poppiero, con la conseguenza di dover rialzare il basamento di almeno una caldaia, complicando in tal caso le tubolature di alimento, vapore e servizi.

 

La priorità per le navi militari era (e rimane, con differenti soluzioni oggi in voga) comunque quella di elevare il grado di sicurezza di funzionamento dell’ apparato motore in combattimento ed in caso di avarie in combattimento.

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Le reti di tubolature

Riprendendo lo schema del ciclo vapore, una volta definita l’ ubicazione (pesi/volumi) dei diversi componenti dell’ apparato motore occorre studiare la maniera più idonea a collegarli tra loro, e pure in forma ridondante, con incroci e/o duplicazioni di circuiti per soddisfare quelle esigenze di sicurezza in combattimento di cui si è già parlato.

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I requisiti principali delle reti tubolature erano (ed in parte sono ancora) i seguenti:

  1. il loro insieme deve essere il meno possibile complicato
  2. Le manovre degli organi inseriti su di esse devono effettuarsi rapidamente e possibilmente comodamente come accesso
  3. Permetter un facile accesso per visite, manutenzioni e smontaggi
  4. Assicurare con opportuni percorsi e posizioni dei rubinetti, lo svuotamento totale e sicuro (spurgo) delle tubolature)
  5. Assicurare, in particolare per le navi militari, il funzionamento dell’ apparato motore anche in caso di rotture di tubi od avarie di certi apparecchi o blocchi

Va ricordato che il vapore surriscaldato è un gas puro, inodore ed invisibile le cui perdite o trafilamenti, soprattutto quando il personale deve agire o transitare in passaggi angusti, possono letteralmente segare in due un corpo umano.

Le tubolature più importanti di un apparato motore a vapore, che spesso attraversavano vari locali, con tutti i problemi di passaggio, dilatazione e tenuta sulle paratie stagne, erano:

  1. Tubolatura acqua di alimento (comprendente sia la parte estrazione condensato, che quella di trattamento acqua, che quella di mandata in caldaia)
  2. Tubolature del vapore principale (generalmente surriscaldato, altissima pressione ed altissima temperatura)
  3. Tubolature del vapore ausiliario ( che poteva essere di vapore saturo o de surriscaldato, comunque pressioni e temperature notevoli)
  4. Tubolature del vapore di scarico
  5. Tubolature di spinta nafta
  6. Tubolature dell’ olio di lubrificazione (servizio motrici e riduttore)

Come è già stato illustrato in altra sede l’ immissione del vapore nelle tubolature doveva seguire un iter meticoloso, con tubolature asso lutate prive di liquido e porate gradualmente in temperatura; inutile poi parlare della cura nelle coibentazioni e nella loro conservazione 8il micidiale amianto, in tutte le sue forme.

Oltre ai rischi delle tubolature vapore, di ogni genere, il grande pericolo sulle tubolature nafta ed olio erano piccole perdite o fori che potessero portare alla nebulizzazione del liquido infiammabile, che si sarebbe acceso immediatamente a contatto con le parti calde . Un pericolo incombente che portò a incidenti disastrosi, come nel caso della Tn Michelagelo (il cui a.m. era di tipo militare ..)

 

E’ interessante notare che la progettazione era effettuata solo su disegni in piano, e l’ integrazione, per evitare interazioni tra le diverse reti , era effettuata attraverso un modello in scala 1:25 dell’ apparato motore: questa scala permetteva definire i vari spezzoni di tubi o condotti con la sagomatura opportuna e le relative flange, ed i singoli pezzi del modello, anche minimi, venivano poi portati in officina per essere pantografati a misura reale, per evitare lunghe e costose misure a bordo e tempi morti nell’ allestimento. Questi modelli – costosissimi –erano delle vere opere d’ arte, ed alcuni di essi sono conservati nell’ Accademia Navale di Livorno.

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Topic interessante e stimolante! Grazie per averlo impostato!

Sistemazione apparato motore

 

 

Dagli schemi precedenti appare evidente l’ insostenibilità di progetti che sacrificavano ad una molto discutibile priorità nella velocità ogni soazio disponibile a bordo, e soprattutto aggiungevano pesi in necessari, in un momento in cui l’ esponente di peso delle unità navali avrebbe dovuto essere più equilibrato a favore di protezione ed armamento.

In più occasioni ho manifestato il mio appoggio all' 'alta velocità' in campo navale. Il mio parere è che per le navi sopra ricordate si può parlare del concetto giusto con lo strumento "sbagliato": apparati motori troppo ingombranti e dispendiosi in termini di consumi che andavano a detrimento delle altre due componenti ricordate da PELLICANO: protezione ed armamento.

 

Dai disegni appare chiaramente come le caldaie fossero la parte preponderante e che dovendo per motivi di sicurezza esser collocate in locali diversi, andavano ad aumentare l' ingombro dell' app. motore.

 

Oggi, grazie, al progresso, penso che con le varie combinazioni motore Diesel, T.a g., motori elettrici, si possano fare le scelte più disparate anche in funzione del minor ingombro.

 

Ma tornando più specificamente al Topic, quali furono le soluzioni operate dalle altre Marine?

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Rispondendo ad Alfa Bravo, anticipo alcune considerazioni, comunque già introdotte nel post delle caldaie. Consideravo e considero ancora che una trattazione più ampia del tema possa aprirsi a valle di una “stabilizzazione” generale del tema della propulsione a vapore e della sistemazione degli apparati motore.

La propulsione a vapore, per le potenze erogabili, era di fatto l’ unica soluzione negli anni 30.

 

Al di la dell’ opinabilità degli indirizzi e delle specifiche della regia Marina che ponevano come priorità assoluta la velocità, il vero problema e la vera condizionante era l’ arretratezza , l’ indisponibilità e la chiusura all’ innovazione dell’ industria navalmeccanica italiana. La colpa della RM fu l’ incapacità di imporre l’ innovazione, ma d’ altra parte esisteva un cortocircuito della lobby industriale che bypassava la RM imponendo commesse a ripetizione.

 

Il punto non è ciò che fecero le altre Marine, ma ciò che non fece la Regia Marina, o ciò che l’ industria italiana dell’ epoca impedì alla RM di raggiungere.

 

Per la mancanza di materiali adeguati, per la cieca pervicacia su modelli ormai superati, con un binomio di fattori pressione/temperatura vapore che portavano a valori eccessivi l’ esponente peso a.m./potenza erogata, con altrettanto importanti implicazioni negative sui consumi e quindi sull’ autonomia, le unità italiane costruite negli anni 30 risultarono totalmente sbilanciate, a sfavore di armamento, protezione, abitabilità, dimenticando che l’ abitabilità è condizione essenziale dell’ efficienza operativa.

Il fenomeno era più acuto quanto minore il dislocamento delle unità: sacrificando tutto alla velocità e sbilanciando gli esponenti di peso a favore dell’ apparato motore (ricordiamo che la velocità cresce con il quadrato della potenza..!!) bisogna ricordare come emblematico il caso delle torpediniere che furono le più impiegate in guerra per il prevalente compito di scorta della R.M.

Quale esempio basta ricordare che partendo da un dislocamento standard originale di circa 750 T per le torpediniere e 900 T per gli avvisi corta, l’ adeguamento di dotazioni ed armamento comporto tra il 25% ed il 30% di aumento del dislocamento, con il decadimento delle prestazioni.

Basti pensare che la sola adozione di caldaie un poco più avanzate (seguendo il modello molto cautelare della US Navy senza cadere negli estremi tedeschi, risultati inaffidabili), con tutte le implicazioni favorevoli a valle, nel ciclo vapore, avrebbe comportato almeno una riduzione del 30% nella riduzione dell’ esponente di peso e nei volumi necessari, con il risultato di unità di buone prestazioni, più adeguate alla minaccia e molto più “bilanciate”.

 

Il problema reale non fu la R.M. ma fu un’ industria italiana cieca ed obsoleta, un’ industria con troppe connessioni e protezioni politiche che ancora a distanza di tempo è stata ed è sopravalutata.

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Non so se questo è il post giusto per questa discussione, che impone un ampio dibattito, approfondimenti ed il contributo di molti; forse è meglio in questa sede continuare a dare la priorità ad un approfondimento ed un livellamento tecnico su tutti gli aspetti degli apparati motore a vapore. Lascio ogni decisione al nostro moderatore

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Non so se questo è il post giusto per questa discussione, che impone un ampio dibattito, approfondimenti ed il contributo di molti; forse è meglio in questa sede continuare a dare la priorità ad un approfondimento ed un livellamento tecnico su tutti gli aspetti degli apparati motore a vapore. Lascio ogni decisione al nostro moderatore

 

concordo Pellicano, lasciamo che la discussione prosegua su livello tecnico (e non smettere!)

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Cerco di procedere in forma coerente con quanto sto postanto su caldaie navali, in modo dapoter meglio interpretare i vari problemi.

Mi scuso (ed ho ancora bisogno di assistenza) per le difficoltà che incontro nel postare disegni e foto (adesso ho problemi di dimensioni)

 

 

Le tubolature dell circuito di alimento, chiuso e semichiuso, ed i sistemi di deaerazione dell’ acqua di alimento

 

L’ acqua di alimento delle caldaie deve essere completamente prive di Sali e di ossigeno libero: la poca conoscenza dei fenomeni relativi all’ acqua di alimento fu una delle principali e continue cause di avaria delle caldaie ad altissima pressione adottate in particolare sulle unità delle Reichsmarine, con conseguenze disastrose per tutta la guerra sulla prontezza e disponibilità delle unità; al contrario l’ estrema cura nel trattamento acqua da parte della UN Navy aumentò l’ affidabilità e la disponibilità degli a.m. per mettendo lunghissime campagne continuative da parte di unità dislocate soprattutto in Pacifico.

 

Il sistema di alimentazione a circuito chiuso si realizza con il passaggio , il più diretto possibile. Dell’ acqua – vapore condensato dopo il passaggio nella turbina di bassa pressione- dal condensatore alla caldaia. Questo avviene attraverso le pompe di estrazione e di alimento, con la prescrizione assoluta che quest’ acqua non venga mai a contatto con l’ aria per non assorbire ossigeno (che in caldaia, e meglio ad alta temperatura, attaccherebbe i tubi).

Questa esigenza comporta certe complicazioni ai circuiti, con certe complicazioni sui circuiti: prima di tutto bisogna tenere conto, soprattutto per le unità militari, delle variazioni di andatura, che si traducono in variazioni del regime di alimentazione delle caldaie in funzione della richiesta e consumo del vapore. In diminuzione di andatura, in particolare, l’ acqua di condensa supererebbe il quantitativo richiesto dalla pompa di alimento .

Negli impianti a vapore meno evoluti, e quindi negli impianti adottati dalla R:M e poi dalle unità MMI sopravvissute agli eventi bellici, quando l’ acqua di condensa superava in quantità la necessità di alimento, veniva inviata ad una cassa polmone, detta “pozzo caldo”, a pressione atmosferica, dove pertanto avveniva una contaminazione di aria/ossigeno. Ovviamente quando si verificava un difetto nella richiesta della pompa di alimento, l’ acqua condensata doveva passare dal pozzo caldo al condensatore dove non solo compensava la deficienza ma dove (essendo il condensatore sotto vuoto) si privava dell’ aria assorbita durante la permanenza nel pozzo caldo.

Negli impianti RM la funzione, importantissima, di deaerazione era compiuta solo dal condensatore , dove il livello di acqua era mantenuto costante da una valvola galleggiante.

Il sistema, comune a tutti gli impianti a vapore sino agli anni 40, ed ancora in uso nella MMI sulle unità sopravvissute al conflitto, funzionava secondo lo schema seguente (che qualcuno definisce anche circuito di alimento semi-chiuso)

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Schema circuito alimento con pozzo caldo

 

Il sistema di deaerazione nel solo condensatore non era del tutto soddisfacente, e meno lo sarebbe stato aumentando temperatura e pressione in caldaia, con effetti su tutto il ciclo. Si può affermare che il sistema descritto era accettabile sino a pressioni del vapore di 25 Kg/cm2, e le caldaie RM che pur superavano tale limite di poco cominciavano a dare problemi.

La solubilità dell’ aria nell’ acqua diminuisce con l’ aumento della temperatura e diviene nulla quando l’ acqua raggiunge la temperatura di saturazione, ma riscaldando l’ acqua areata sino alla temperatura di saturazione 8ed oltre) pur non rendendo solubile l’ ossigeno contenuto nell’ aria, non si rimuovono le molecole di tale gas, che possono essere eliminate solo attraverso una energica agitazione. Bisogna sempre tenere presente che l’ azione corrosiva dell’ ossigeno aumenta all’ aumentare della temperatura.

Se questo era un limite per le caldaie RM che marciavano poco al disopra dei 300°c, si può ben immaginare quale fosse il problema per le caldaie ad alta pressione tedesche che superavano abbondantemente i 600°C, e questo, insieme all’ inadeguato trattamento chimico dell’ acqua di alimento (eliminazione di Sali e depositi) fu il vero tallone di Achille della Reichsmarine, con unità continuamente non pronte per avarie alle caldaie, oltre a continue avarie in missione.

Nella US Navy il problema fu identificato e sufficientemente risolto agli inizi degli 40, e fu uno dei (tanti) motivi che portarono la US Navy a non adottare mai caldaie ad altissima pressione ed altissima temperatura: come abbiamo già trattato, lo standard praticamente adottato di pressioni tra 40/50 Kg/cm2 e temperature tra 450 e 500°C risultarono il miglior compromesso di equilibrio che si mantenne sino alla fine dell’ era del vapore.

Fu anche lo standard adottato dalla MMI a partire dagli anni ‘ 50, con Impetuoso ed indomito e la classe Cigno/Canopo.

In questi impianti per l’ azione di seconda deaerazione e di cassa polmone è risultato necessario inserire una particolare cassa (non strutturale, in effetti un grosso cilindro con fondo semisferico e conico generalmente sistemato il più in alto possibile nel locale motrici ed in prossimità del condensatore), isolata dall’ atmosfera, detta deareatore (il cui posizionamento, in quanto standard, è stato indicato nel precedente schema del ciclo vapore.

Come abbiamo detto per separare ed eliminare le molecole di ossigeno occorreva un’ energica agitazione, “scrubbing” in inglese, che avveniva nell’ apparato schematicamente indicato a continuazione. E permetteva la quasi completa eliminazione dell’ aria dall’ acqua di condensa

 

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Schema Deareatore

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L’ acqua di estrazione dal condensatore passa attraverso il fascio tubiero allo scarico del deareatore (parte superiore Dr) e viene spruzzata attraverso una specie di soffione nella parte superiore della cassa dove esiste una specie di deflettore. L’ acqua cosi spruzzata cadendo incontra controcorrente un getto di vapore, proveniente dalla tubolatura scarichi, che agita violentemente le goccioline di acqua rimuovendo il gas e riscaldandole allo stesso tempo. L’ acqua cadendo si raccoglie sul fondo della cassa mentre la miscela di aria, gas e vapore dalla parte alta, sopra il deflettore già citato, passa attraverso il piccolo condensatore superiore (sulla destra nello schema) ed eventualmente anche in un altro condensatore (vapore scarico manicotti, di cui parleremo con le motrici) dal quale l’ aria viene eliminata e scaricata all’ atmosfera attraverso una valvola regolatrice.

Il deareatore era isolato dall’ atmosfera e funzionava a pressioni interne tra 0 e 1,2 kg/cmq, compiendo anche la funzione di preriscaldatore dell’ acqua di alimento sino a 100/120 °C. Il deareatore era tanto efficace che riduceva il contenuto di ossigeno a 0,01 millilitro per litro d’ acqua, in qualsiasi condizione di funzionamento compresa la massima potenza..

Come ulteriore aiuto e controllo dell’ acqua di alimento, per evitare il formarsi di bolle di vapore nel circuito di aspirazione, tra il deareatore e le pompe di alimento principale erano inserite pompe centrifughe, sottostanti il deareatore ed innescate per gravita, definite “pompe aiuto alimento”.

 

Sistema di alimento caldaie e sicurezza relative

Componente fondamentale, considerato che sulle moderne caldaie, come le caldaie FW adottate dalla MMI, in mancanza o ritardo di alimento idi soli 20 secondi (!!!) si sarebbero cominciate a scoprirsi nel collettore superiore le estremità dei fasci tubieri, danneggiandoli.

L’ acqua di alimento, proveniente con una certa temperatura dal deareatore (sulle navi più anziane direttamente dal condensatore), veniva spinta – ad alta pressione, ovviamente maggiore della pressione di esercizio della caldaia - attraverso le pompe di alimento che, prima dell’ ingresso nel collettore superiore facevano circolare l’ acqua nei riscaldatori di alimento o nell’ economizzatore situato sullo scarico al fumaiolo dei gas combusti.

Ovviamente per ragioni di sicurezza, i circuiti di alimento dovevano essere duplicati: ogni caldaia aveva due sistemi di alimentazione, “principale” e “ausiliario”, indipendenti tra loro, ognuno servito da una pompa, ciascuna in grado di fornire da sola alla caldaia l’ acqua necessaria per la massima produzione di vapore prevista.

All’ attacco delle due tubolature di alimento, sul collettore superiore della caldaia, erano sistemate due “valvole di alimento”, anch’ esse – rispettivamente- “principale” ed “ ausiliaria”: le caratteristiche di queste valvole erano quelle di non ritorno, ossia venivano mantenute aperte dalla maggior pressione rispetto alla caldaia delle pompe di alimento ma si chiudevano istantaneamente (il fungo della valvola era staccato dall’ asta) in caso di caduta della pressione di alimento per evitare svuotamenti della caldaia. I tempi di reazione su tali valvole erano talmente ridotti, per l’ immissione dell’ acqua in caldaia, che le stesse erano collegate a sistemi automatici detti autoregolatori dell’ acqua di alimento.

Degli autoregolatori di alimento e delle particolari necessità parliamo nella sezione caldaie.

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:smiley19:Bellissima trattazione dell' argomento, mi permetto solo di sottolineare che la velocita di una nave aumenta con il cubo della potenza, e quindi anche un piccolo aumento delle prestazioni definite in fase progettuale, significano aumento considerevole del peso, dei depositi combustibile a discapito delle protezioni armamenti ecc.

 

Riguardo agli incidenti dovuti al contatto tra liquidi combustibili (spray) e superfici calde oltre a quello citato della T/N Raffaello che dovette invertire la rotta e tornare a Genova per un incendio nella sala macchine di poppa, altro simile che avrebbe potuto portare a conseguenze disastrose in termini di vite umane e disastro ambientale avvenne sulla petroliera Anita Monti nei pressi di Città del Capo. (credo nel '71)

L'incendio avvenne nel locale motore in prossimità della turbina di alta pressione per la rottura del manicotto flessibile dello scarico olio di raffreddamento del reggispinta. Il contatto dell'olio caldo con superfici altrettanto calde ne provocò l'accensione ( temperature di 210°-220° e di 510°C)

Lo spegnimento dell'incendio avvenne, in pratica, in due tempi : prima mediante scarico dell'intera batteria di anidride carbonica, non essendo risolutivo dopo alcune ore dall'alto (osteriggi) con introduzione di manichette BTW alimentate dalla pompa incendio di emergenza - questa seconda fase comportò l'allagamento dell'intero locale macchina sino ad un livello di circa 7 metri (dalla linea di costruzione al piano valvole di manovra).

Inimmaginabile la stessa situazione su di una nave della RMI in fase operativa.

https://www.dropbox.com/s/gccd2uj1jwjco8z/2-anita_monti_locale_machine_incendiato.jpg?dl=0

https://www.dropbox.com/s/iq38t1vb86fgqps/2-anita_monti-giorgio_santagata.jpg?dl=0

Modificato da Helsingor
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Grazie Helsingor

sto cercando di portare il tutto ad un livello comune di interpretazione per poi entrare in dettagli di casi specifici e, spero, di analisi storica sugli .am.

Conosco personalmente i casi che hai menzionato e, proprio nel post che oggi sto caricando, nella descrizione introduco i problemi di rischio e di estinzione

Sull' Anita Monti non si ricorse all' estinzione a vapore che avrebbe comportato meno danni.

a dopo

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Le tubolature

L’ interno di una nave è caratterizzato da ragnatele di tubi, reti cavi, condotte che si intersecano si sovrappongono, in alcuni con forme e percorsi che sembrano irrazionali, e ciascuna di esse deve essere nota nei dettagli al personale di condotta e manutenzione, e nel possibile essere accessibile.

 

I percorsi cavi e tubolature erano la parte più dura e meticolosa della progettazione navale, oggi risolta in gran parte con il disegno tridimensionale computerizzato, ma sino a pochi anni or sono si ricorreva costantemente a modelli in grande scala 1:25 per verificare la fattibilità della sistemazione e poi ricavare repliche in scala definitivi di ciascun tratto o passaggio da portare in officina e portare a dimensioni reali rispettando le forme.

 

Ogni tubolatura è sostanzialmente costituita da relativamente corti da spezzoni di tubo, non solo per il trasporto e l’ installazione ma per ragioni funzionali, con la necessità di opportune intercettazioni , di deviazioni, di collegamenti secondari, di biforcazioni, di duplicazioni: una tubolatura di conseguenza è composta di piccole parti molto complesse; i problemi relativi alle tubolature ed alla loro sistemazione ed accessibilità si esasperano sulle unità militari, dove la riduzione di spazio, la sovrapposizione e la duplicazione di circuiti richieste porta che le tubi e le condotte spesso debbano seguire percorsi tortuosi e complicati, spesso al di sotto di macchinari. Da tutto ciò deriva il problema delle giunzioni.

 

Nelle moderne costruzioni, a maggio ragione quando la manutenzione non è più demandata alle sole forze di bordo, è prevalso l’ uso della saldatura, soprattutto quando tubi e condotti sono sottoposti a condizioni estreme (temperatura e/o pressione), anche per evitare le perdite e le difficoltose regolazioni che imponevano le giunzioni di altro tipo, specialmente a flange (generalmente rimaste per tutti i collegamenti attraverso valvole). Le tubolature sono spesso di acciai speciali, e questo comporta particolari tipologie di saldatura ad arco in ambiente controllato (TIG ed altro), controllo radiografico e spesso ricottura delle saldature in loco (molto più semplice in forno, a terra, quando si può ricorrere alla prefabbricazione).

 

Le tubolature non possono però essere collegate rigidamente alle strutture dello scafo, sia per rispondere alle severe norme antishock ed antivibrazione a cui sono soggette le costruzioni navali, sia per ragioni pratiche, in quanto collegano macchinari e componenti montati generalmente su supporti elastici o comunque soggetti a notevoli spostamenti, sia ciclici che momentanei.

Quando si trattava di vapore (ed oggi comunque di alte temperature, seppur in casi e condizioni molto più limitate) interveniva il fattore dilatazione termica che complicava enormemente i problemi di allestimento e collegamento.. I collettori – definiti cosi i tubi principali – venivano collegate allo scafo od ai ponti mediante molle tarate (ad una ad una) che pur mantenendo la rigidità della tubolatura smorzando le vibrazioni, ne permettessero spostamento assiali con quella elasticità necessaria per evitare tensioni e rotture. Il problema non era né insignificante né limitato, in quanto ogni 3 o 4 metri di tubolatura doveva essere previsto un giunto di dilatazione ( di seguito , quali esempi schematici, gli accorgimenti per soddisfare i predetti requisiti di libera dilatazione delle tubolature (Maggiormente per il vapore principale, ma comunque validi e necessari in altra scala per le altre tubolature di bordo)

 

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iunti di dilatazione tubolature vapore

1)a soffietto 2 ) a lira - 3) a scorrimento

 

Tubolatura vapore principale

 

La tubolatura vapore principale era quella che portava il vapore surriscaldato dalle caldaia alle motrici; i due estremi di tale tubolatura sono le valvole di presa vapore all’ uscita del surriscaldatore di ogni caldaia e le valvole di manovra in motrice.

La sistemazione di questa tubolatura, molto complessa e con opportune ridondanze, e se possibile ad anello, era tale che qualsiasi caldaia o gruppo di caldaie di una nave potesse inviare il vapore a qualsiasi delle motrici, il gruppo turbo riduttore nelle unità moderne. Quando, soprattutto sulle unità maggiori, si poteva sistemare la tubolatura di vapore principale ad anello, veniva sviluppata in modo tale da alimentare le motrici indifferentemente con il tratto di dr o di Sn. La tubolatura, ad anello o no, doveva essere in condizione di essere “frazionata”, sia per separare tra loro i gruppi di motrici sia per intercettare eventuali avarie, di funzionamento o di combattimento.

Per le temperature e pressioni in gioco, soprattutto sulle unità di ultima generazione, della MMI a partire dagli anni 50, tale tubolatura ed i relativi accessori era costruita con acciai speciali, generalmente Cr Mo; significativo che le tubolature nelle navi post belliche fossero saldate, con enormi risparmi di peso e complicazioni nei percorsi e nelle giunte, anche se in caso di avaria si doveva ricorrere al taglio delle tubolature in loco ed alla saldatura in loco, spesso con la necessità di trattamento termico in loco del metallo.

Per la sua lunghezza e per le temperature in gioco , bisognava tener conto delle grandi dilatazioni, con appositi giunti e raccordi, ed opportuni accorgimenti per i passaggi delle paratie stagne, che dovevano rimanere sempre tali ed assicurare il funzionamento delle motrici, e delle caldaie, anche con i compartimenti contigui allagati.

Passaggio a paratia stagna di tubolatura vapore, con relativa coibentazione 15ev2tg.jpg

 

Altro elemento essenziale, e condizionante, era la coibentazione, che doveva enormemente ridurre la trasmissione di calore, in modo che per quanto calde le superfici esterne permettessero il passaggio e l’ eventuale contatto di altre parti, apparecchiature e dello stesso personale; la coibentazione , molto voluminosa ed in forma assai complicata, in modo da non lasciare nessuna fuga o mancanza di continuità, riguardava ogni raccordo, flangia, presa e strumento collegato alla tubolatura principale; il materiale principalmente usato era il tanto esecrato amianto (di cui non si conoscevano gli effetti cancerogeni) preparato in forma di cemento, coppelle, lastre, tessuti ecc, oltre all’ uso di particolari cementi per modellare le zone più difficili, di speciali cementi a base di farine fossili.

 

Di seguito uno schema , solamente indicativo e non caratteristico di alcuna unità, della tubolatura principale di una unità su due assi, con due sole caldaie e due motrici, una per asse.

Tubolatura vapore principale

Schema indicativo unità a due assi con due caldaie e due TR

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Lo schema, per essere indicativo e di immediata comprensione, come tale non tiene conto dell’ effettivo posizionamento longitudinale nello scafo dei compartimenti, né della posizione reciproca (come risulta invece dai precedenti schemi indicativi iniziali degli apparati MMI sino agli anni 60)

 

Altro punto critico, complicato, costoso erano le valvole, già citate in un post precedente di Helsingor, spesso veri gioielli di meccanica, che dovevano avere speciali dispositivi per equilibrarle e premetterne la rapida e sicura manovra, costruite con materiali speciali e con lavorazioni di grande precisione per assicurare la tenuta ad alta pressione ed alta temperatura

 

Tubolatura vapore ausiliario

 

E’ importante che le caratteristiche, e quindi le difficoltà impiantistiche, del vapore ausiliario nelle più recenti unità della MMI erano spesso superiori a quelle dello stesso vapore principale delle precedenti unità della R.M.

Tubolatura vapore ausiliario

Schema indicativo unità con due caldaie, due motrici, 4 turbogeneratori, due per locale

IMG]http://i61.tinypic.com/zl6pfp.jpg[/img]

L’ uso di vapore “ausiliario”, ossia di vapore a minore pressione di quello delle motrici principale, consentiva di realizzare tutti i macchinari ausiliari (turbopompe alimento, lubrificazione, spinta nafta, circolazione acqua di mare al condensatore, ecc nonché i vari riscaldatori) che grazie a questa scelta risultavano più semplici, potevano essere realizzati con materiali meno pregiati, risultando in definitiva più leggeri e meno costosi; era pertanto necessario disporre di una tubolatura separata per la distribuzione di vapore a condizioni e caratteristiche “inferiori”, una rete, spesso con una propria presa in caldaia ed altre volte spillata dalla rete vapore principale, che aveva un percorso più esteso ed in parte parallelo a quello del vapore principale, una rete comunque con le stesse caratteristiche di costruzione ed allestimento di quella del vapore principale.

La rete vapore ausiliario aveva un ruolo fondamentale nel lungo processo di approntamento al moto degli apparati motore a vapore: era collegata alla rete vapore principale per le operazioni di riscaldamento della stessa, e questo consentiva che in caso di avaria grave, anche le motrici, seppur a condizioni inferiore, potessero venire alimentate attraverso le tubolature del vapore ausiliario.

 

Tubolatura vapore di scarico

 

Non si potrebbe parlare di ciclo vapore, e di ciclo chiuso, se non venissero accuratamente adottati i minimi artifizi progettuali e tutte le misure di condotta per recuperare il vapore di scarico, sia ai fini del rendimento complessivo dell’ impianto, sia per evitare quelle rientrare di aria che sono cosi perniciose per la sicurezza e la vita degli impianti.

Si passava dall’ alta pressione in caldaia al vuoto spinto al condensatore, con enormi problemi tecnologici e di condotta, con notevoli rischi di condotta in ogni caso.

La tubolatura vapore di scarico convogliava gli scarichi di tutti macchinari (e componenti non dinamici, quali riscaldatori ecc) al condensatore principale o, qualora esistesse (grandi unità), al condensatore ausiliario.

Esisteva l’ accorgimento di poter scaricare il vapore all’ atmosfera in caso di necessità.

Importante era anche la funzione “attiva” di convogliare il vapore di scarico, che comunque aveva ancora un grande potere termico, tanto ai deareatori come agli evaporatori che avevano la funzione di produrre acqua distillata per il ciclo vapore.

 

Di seguito, con gli stessi concetti di semplificazione dei precedenti, lo schema della tubolatura vapore di scarico relativa al solito apparato motore.

 

Tubolatura vapore di scarico

Schema indicativo unità con due caldaie, due motrici, 2 deareatori, 1 evaporatore turbogeneratori, due per locale

2h3xvmv.jpg

Altre tubolature: tra le reti dell’ apparato motore due avevano particolare importanza, le seguenti:

  • la rete nafta, che collegava le casse deposito e di servizio, in cui erano inseriti anche sia filtri sia riscaldatori nafta (a vapore) necessari per rendere fluido e pompabile il combustibile; questa rete era servita sia con turbopompe sia con pompe elettriche. Fondamentale in questi circuiti era l’ inserimento di una valvola, detta di “rapida chiusura” che permetteva l’ intercettazione immediata di combustibile ai polverizzatori in caso di spegnimenti di emergenza
  • la rete lubrificazione: serviva a distribuire olio in pressione in tutti gli elementi dell’ A.M. principale, sia dotati di moto rotativo sia di strisciamento (cuscinetti portanti e reggispinta, equilibratori ed evidentemente riduttore). La pressione in queste tubolature era mantenuta tra i 3 ed i 4 Kg/cm2, ed aveva un gran numero di sicurezze, con ridondanza di pompe, turbopompe ed elettriche, che entravano automaticamente in funzione quando la pressione scendesse intorno a1,5Kg/cmq; l’ olio in circolazione doveva essere di alta qualità e privo di ogni impurezza solida od acqua, ed a temperatura il più possibile ridotta e costante; erano pertanto inseriti nei circuiti sia refrigeranti, sia filtri, sia depuratori centrifughi
  • la rete esaurimento e grande esaurimento: elettropompe immergibili e turbopompe (anche le stesse pompe di circolazione al condensatore) che assicurassero il rapido esaurimento, anche in caso di falla; era necessario un sistema di innesco, ed era predisposta tutta una rete di pescanti per poter attingere in qualsiasi zona dello scafo. La rete esaurimento si sovrappone normalmente alla rete esaurimento sentina, di uso continuo e normale, che si avvale di eiettori idraulici

Rischi: ogni tubolatura in pressione costituisce un pericolo, e negli a.m. a vapore i rischi erano forse addirittura esagerati, ed esistevano tutta una serie di accorgimenti pratici per proteggersi, soprattutto dalle pericolose e micidiali fughe di vapore, insidiose in quanto il vapore surriscaldato è invisibile ed inodore. Un ulteriore notevole rischio era rappresentato dalle reti nafta e lubrificante; qualsiasi piccola perdita, peggio se un forellino, si traduceva in nebulizzazione di combustibile, che alle temperature esistenti in a.m. sia superficiali che a volte ambientali, potevano portare all’ autoaccensione.

 

Uso del vapore: l’ uso del vapore era fondamentale per la lotta antincendio, soprattutto nei locali dello stesso apparato motore, era l’ agente con il quale si poteva intervenire per soffocamento, anche su fiamme libere, ed era l’ agente che tutto sommato causava meno danni collaterali; erano previste apposite prese e tratti appositi di tubolature, con erogatori (pigne) posizionate nelle aree di maggior rischio. Evidentemente lo spegnimento incendi con vapore presupponeva l’ assenza totale di personale nei locali

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Considerazioni sulla transizione da Regia Marina a Marina Militare

Già da queste semplici note si comprende quanto fosse complicato per la Regia Marina, in assenza di tecniche e processi di saldatura, con penuria di materiali speciali, dotarsi di apparati motori potenti e leggeri; il peso e la dimensione degli apparati motori, e per altri versi i consumi, furono il tallone di Achille della regia Marina, mentre meno sensibile fu – rispetto ad altre Marine, il tema dell’ affidabilità e della prontezza operativa, per la cura posta dalla R.M. nella formazione del personale, molto di più votato e dedicato alla manutenzione e riparazione con mezzi di bordo, e nella capillare diffusione di strutture arsenalizie

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