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Le Notti Avventurose Di Costanzo Ciano


Red

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Prego gentilmente voler correggere il titolo :
cambiare " di " in " con "
Grazie


Cari Comandanti,
il ricordare in questo periodo i Cento Anni dell'entrata in guerra dell'Italia
contro l'Austria-Ungheria è per me uno stimolo a ricordare,come posso,
quelli che furono i fasti della nostra Marina Militare grazie all'audacia
di Uomini che condussero azioni di vero ardimento.
Caso vuole che proprio in questi giorni trovassi un vecchio libro che ricorda
alcuni episodi di rilievo appunto della nostra Marina.
Il libro è diviso in diciassette capitoli e desidero condividere con Voi la lettura di alcuni
di essi.
E' offerto dall'Autore all'Amm.Cavagnari con una prefazione che riporto
in quanto in essa lo scrittore,che fu Ammiraglio,accenna già ad una possibile
nuova guerra.

Il titolo del libro :
FUMI ALL'ORIZZONTE
Episodi della guerra sul mare.
Autore : Italo Sulliotti
Edito da : R.BEMPORAD & FIGLIO-
Firenze-1931
Prezzo originale : £ 10

PREFAZIONE-

All'Ammiraglio Cavagnari
Comandante la Regia Accademia Navale
di Livorno.

Caro ed illustre amico,

Consentite che io Vi offra questo libro navale in memoria dei giorni - aimè lontani ! -
in cui ho vissuto sulle Vostre siluranti,ed ho avuto la fortuna di dividere con la Marina
d'Italia le ore piene d'una divina ansia,che precedettero la guerra del mondo.
In questi giorni ho cominciato ad amare la Marina,ma a comprendere come l'Italia
non la conoscesse abbastanza.
Assai prima che l'artiglio della guerra scavasse fra i popoli un solco di sangue,essa sen-
tiva- unica e sensibile - in mezzo a una nazione governata da inerti e da sedentari- pas-
sare nell'aria il presagio infallibile delle gravi : quelle in cui la Storia misura ad ogni popolo
il diritto di esistere col metro dell'ardimento e del sacrificio.
Sulle coste d'Albania,nelle rade dell'Egeo,nei malsicuri rifugi dell'Africa latina,ognuno
di Voi- capo o gregario,uomo del "quadrato" o della bassa prua- scriveva ogni giorno,
coll'opera diligente e devota,l'epicedio della razza in cammino.
E quando tuonò sul mare la guerra,e la vita divenne una fragile cosa sospesa al filo
nulla,la Marina apparve finalmente in tutta la sua luce : cavalleresca,silenziosa,"garibaldina",
lancia lucente della Patria librata sui mari.
Voi avete oggi - Ammiraglio - il compito arduo e magnifico di presiedere all'educazione di co-
loro che formeranno i quadri dell'Armata di domani,e dovranno raccogliere l'eredità,orgo-
gliosa e terribile,della generazione che ha fatto la guerra.
Per tutti i giovani Ufficiali - cui l'età non concesse il privilegio,che noi avemmo,di vivere
le grandi giornate- io Vi offro queste pagine dove sono rievocati,di fronte agli obliosi ed ignari,
alcuni fra gli episodi più drammatici,e meno noti,della guerra navale.
Accoglietele - Ammiraglio - coll'animo stesso d'allora. Noi sappiamo entrambi che cumuli di
nubi pesanti s'addensano sul cielo d'Europa e che da un'ora all'altra l'Imponderabile - che è
il motore occulto della Storia - può riaccendere su tutti gli Oceani la grande tenzone.
Oggi come ieri,domani come oggi,l'Armata sarà pari al suo compito.E le bandiere che essa
risollevò dalla tristezza di Lissa alla gloria di Premuda,garriranno ai venti del mondo fiere vit-
toriose,per testimoniare il destino del popolo più marinaro che abbia,nell'eterno suo corso,
illuminato il sole.
Abbiatemi - Ammiraglio - con affettuosa devozione
vostro
Italo Sulliotti

LE NOTTI AVVENTUROSE CON COSTANZO CIANO,DA FASANA A PARENZO-

Notte alta, caliginosa, del 12 novembre 1916.
All'imbocco del canale di Fasana tre ombre scivolano nel buio ; se un orecchio invisibile ascoltasse,
udrebbe l'ansito dei motori e delle macchine che paiono datate di una improvvisa sensibilità umana
e cercano confondersi col fragore della risacca,sugli scogli delle isole dalmate.
Cammina in testa,a giri ridotti,la torpediniera 9 P.N.. La comandava Cavagnari,un ligure di buona
razza,dai nervi saldi,dal comando breve,secco,tagliente.
Col monocolo incastrato nell'occhio,Cavagnari è sempre, in guerra o in pace,il "gentleman" del mare:
la sua figura magra,asciutta,nervosa, sembra un "accessorio" della nave.
A fianco della torpediniera,fruscia il Mas del comandante Goiran. E alle spalle di entrambi è lo " Zeffiro ",
il fantastico caccia di Costanzo Ciano,quello che tante volte ha sparso il terrore fra gli austriaci dell'Alto
Adriatico. Dove vanno ? A caccia, semplicemente.
Si è aperto il periodo epico,brillante,garibaldino della nostra guerra navale : quello in cui le navi nostre
violano i rifugi del nemico,appaiono inaspettate e temerarie sotto il fuoco delle batterie austriache,semi-
nano lo spavento fra gli equipaggi della flotta imperiale,inerte alla fonda,protetta dagli sbarramenti,dalle
ostruzioni,dalle reti.
Le ostruzioni del canale di Fasana - gli italiani lo sanno - sono formidabili.Per tentare di superarle o di
distruggerle,bisogna essere......italiani; avere nel sangue l'eredità del popolo avventuroso che,colono
o corsaro,esploratore o guerriero,recò in tutte le sponde i segni della sua gente indomabile.
Ecco: la torpediniera di Cavagnari è arrivata alle ostruzioni.Il silenzio è assoluto.
Nessuna luce brilla sulla costa nemica.Il mare ha,intorno agli sbarramenti,un ampio respiro eguale,
e l'acqua ciangotta contro la cintura degli ostacoli.
Dalla prua della P.N. tre marinai si filano nell'acqua. Dalla plancia Cavagnari li incoraggia colla voce;
il comandante di "ferro" è divenuto paterno per i suoi uomini e sulle tre navi batte un solo cuore.
L'acqua è gelata e intorpidisce subito i tre uomini.Che importa ? Lontano,verso occidente,là dove
Venezia drizza la gloria delle sue cupole verso il cielo,è la Patria che aspetta......E i tre marinai lavo-
rano,per abbassare le ostruzioni e aprire fra di esse un minuscolo varco.
Momenti terribili,poiché nessuno può dire che cosa nasconda e quali insidie prepari l'acqua nera.
Sullo Zeffiro - agile e silenzioso cane da guardia - Ciano ha l'aria di divertirsi un mondo.
Poiché Ciano si annoia soltanto a Venezia : non appena esce in mare largo e punta sull'orizzonte i suoi
occhi formidabili,lanterne grigie sotto l'arco potente delle sopracciglia,Ciano è felice : annusa l'aria per sen-
tire se " sappia di aquila a due teste ".....
A terra, gli austriaci non hanno sentito nulla.
Dietro il riparo delle ostruzioni ci sono tre navi alla fonda; masse nere addormentate.
Le batterie accendono di tratto in tratto i proiettori,ma si limitano a spazzare il cielo con una rapida pennellata.
Ad un tratto i marinai si riagguntano alle cime e salgono a bordo,grondanti d'acqua,tremanti di freddo.
Uno di essi mormora:- Comandante,il passaggio c'è.... - C'è infatti. E' stretto,minuscolo,quanto basta perchè
possa sgusciarvi dentro agilmente il Mas del comandante Goiran che s'infila nell'apertura nera e sparisce,
colle sue lucide armi mortali,verso il nemico.
Le siluranti si sono allontanate,ma nel breve spazio aperto,resta un guscio di noce galleggiante sull'acqua : un
battellino dove è disceso il marinaio De Angelis,colui che deve attendere il ritorno di Goiran e segnalargli il pas-
saggio libero,se questi, nell'ombra, non potesse ritrovarlo. L'uomo è solo, nell'immenso silenzio della notte
di guerra,percorsa dal fruscio di milioni d'ali invisibili.....
De Angelis è accovacciato nella piccola barca, e tiene,fra le mani il razzo rosso che, in caso estremo, servirà
come segnale di " ralliemeut " al Mas di Goiran.
Accenderlo, vorrà dire designarsi fulmineamente come bersaglio alle batterie della costa.
Che importa ? Un marinaio d'Italia- un marinaio di Ciano, di Goiran, di Cavagnari ! - non discute gli ordini.
De Angelis è pronto, ed ha già detto mentalmente addio alla sua terra lontana.
La notte adriatica fascia di gloria silenziosa il piccolo marinaio. Ma egli tende l'orecchio verso la terra, come
lo tendono - incrociando più al largo - i Comandanti e gli equipaggi dello Zeffiro e della P.N.9.
Poiché laggiù, fra Brioni e la terra ferma, il Mas di Goiran procede cauto e insidioso verso il bersaglio.
Un rombo scuote la notte, un fragore sordo d'acque squarciate che ricadono.......E' fatto : Goiran - il Coman-
dante " Barba rossa " - ha lanciato, e toccato lo scafo nemico........
Improvvisa, violenta, da tutte le batterie della costa scroscia la cannonata. Una sinfonia eroica accompagna
il ritorno degli argonauti.De Angelis, in piedi nel battellino, investito in pieno dalla luce lunare dei riflettori e si fa
solerchio colla mano. Poi getta un grido di gioia : una lineetta nera sbuca sulle acque tempestate di colpi e pro-
cede col ritmo martellante dei motori verso le ostruzioni : è Goiran che ritorna. S'accosta, varca il passaggio, prende
a bordo De Angelis, fila verso il largo dove lo Zeffiro e la P.N.9 attendono gli audaci.
Poi è il ritorno, e la radiante alba di Venezia che saluta i violatori del canale di Fasana......
************
- O per amore, o per forza, lo Zeffiro, a Parenzo entra. -
Chi parla così,sulla plancia del " caccia ", la notte del 12 giugno 1917 , è Costanzo Ciano. E quando Ciano
si mette in testa qualchecosa, è difficile, difficile assai - da marinaio , da soldato, da ministro - che gli avveni-
menti non pieghino sotto quella sua dura volontà, abituata a maneggiare con fermezza bonaria il meraviglioso
metallo umano degli inferiori e degli equipaggi.
- Gli sono vicini, quella notte di guerra, due uomini che recano il più disperato amore e la più fervida passione,
nella guerra di corsa cominciata sull'Alto Adriatico : il comandante Pignatti Morano e Nazario Sauro.
L'impresa non è comune, se lo fosse non ci sarebbe Ciano a dirigerla. Si tratta di entrare a Parenzo : entrare
col caccia e combinare al nemico quello che Pignatti Morano chiama un " piccolo scherzo per famiglia ".
L'obiettivo vero, e militare, è il bombardamento della base austriaca di idrovolanti.
Ma basta vedere la smorfia ironica che contrae la mascella potente di Costanzo Ciano, per capire che lo Zef-
firo vuol fare qualche cosa di più. Gli italiani hanno il sangue sbarazzino, e persino nei chiari occhi malinconici
di Nazario Sauro - già segnati dal presagio del destino e del martirio - trema quella notte una silenziosa allegria.
Lo Zeffiro fila in linea diretta su Parenzo. Lo seguono, a molta distanza, il Fuciliere e l'Alpino. Sembra una nave
da diporto che rechi ad una mèta tranquilla dei passeggeri frettolosi.
A Parenzo, dormono. Raccolte le grandi vele colorate, le barche dei pescatori istriani, che recano tutte il segno
incancellabile del Leone alato, sembrano nel piccolo porto una collezione di foglie ingiallite.
L'alba trema ad Oriente e diffonde sull'Adriatico odoroso di salsedine il suo frescore leggero.
Che cosa c'è ? Due guardie austriache che passeggiano, col moschetto a tracolla, sulle banchine di Parenzo,guar-
dano verso l'imboccatura. Una silurante sta entrando, dritta, veloce, sicura : come fosse in casa sua.
Austriaca senza dubbio. E chi può sognarsi, a Parenzo, che un nemico possa venire a passeggio,con tanta
insolente sicurezza, sotto le bocche della batteria che guardano ogni angolo della costa istriana ?
Assonnati, i due uomini guardano e sorridono. L'arrivo della nave è una distrazione.....dietro di loro un ragazzetto,
uscito prima dell'alba dalla sua catapecchia ed onusto di reti, si sofferma anch'egli a osservare.
Ecco: la silurante descrive un ampio arco spumeggiante e accosta alla banchina. Le eliche danno indietro a tutta
forza; trattenuta e frenata, la nave scivola contro la banchina e si arresta.
Un uomo,avvolto in cappotto di incerata, senza fregi al berretto, supera con un salto la murata, e si dirige verso
le guardie. Indirizza loro la parola nel più puro dialetto istriano : Dov'è la stazione idrovolanti ? Da che parte ? -
Una delle due guardi si volge verso nord, e mostra col dito la direzione di un boschetto. Ma, nello stesso momento,
sente che una mano di ferro le inchioda la bocca e due braccia erculee la sollevano trascinandola verso le murate
del caccia.......S'ode, sulla plancia, la risata fragorosa di Costanzo Ciano......
L'altra guardia ha capito. Sono gli italiani...... E fugge con urla, verso l'abitato, dove finestre cominciano ad aprirsi
e volti incuriositi si affacciano. L'allarme è dato : troppo tardi. Lo Zeffiro tira sulla stazione idrovolanti,uno, due,dieci,
venti colpi, sistematicamente, tranquillamente, come se fosse ormeggiato nella rada di Spezia in una gara al bersaglio....
Tutte le batterie hanno aperto il fuoco sulle navi italiane. Poiché anche il fuciliere e l'Alpino, apparsi davanti a Parenzo,
sparano a fuoco accelerato sulle difese costiere austriache, il cui tiro sembra nervoso, disorientato, inefficace.
Lo Zeffiro intanto, non ha nessuna fretta di andarsene. Ciano continua a bombardare la stazione idrovolanti col tiro
indiretto dei pezzi di bordo. E solo quando il tiro delle batterie austriache si accorcia, si corregge, e incomincia a inqua-
drare la nave, il Comandante dà l'ordine di andarsene.......
Tranquillo, maestoso, veloce il cacciatorpediniere italiano esce da Parenzo sotto gli occhi della popolazione stupita,mentre
un pescatore, dalla sua barca, che il risucchio fa pericolosamente ondeggiare, non trattenere l'entusiasmo e batte le mani,
applaudendo. Sulla plancia dello Zeffiro si scorge il largo viso di Costanzo Ciano e la barba di Nazario Sauro illuminati
da un sorriso. E gli austriaci tirano tirano, a tutto beneficio delle fabbriche di munizioni......

-Fine del capitolo-

I NAUFRAGHI DEL " NEMBO "

Fra tutte le coste adriatiche,quella albanese è la più pericolosa di tutte per la navigazione in guerra.
La natura speciale del terreno,il gioco delle luci,il riflesso delle acque la rendono particolarmente adatta
alla insidia e all'imboscata : se una nave può,passando vicino a terra rendersi quasi invisibile dal largo,
un sommergibile che sia all'agguato diventa,a sua volta,assolutamente inidentificabile anche per gli occhi
più vigilanti. E questo avviene normalmente in pieno giorno,è facile comprendere come la notte renda facili
tutte le sorprese.
E' la seconda metà d'ottobre del 1916 : la notte - precisamente - fra il 16 e il 17.
Il trasporto italiano " Bormida " è uscito da Santi Quaranta,diretto a Valona.Il vecchio piroscafo della Naviga-

zione Generale - un veterano delle linee del Mar Nero - cammina a tutta forza,a due miglia da terra,con tutte

le luci oscurate. Una forma nera e veloce lo precede e a un tratto e, tratto tratto,gli gira intorno,come un grosso

cane fedele che vegli nell'ombra. Si vede nell'acqua un enorme rigurgito di schiume bianche.

E' il cacciatorpediniere " Nembo ",comandato dal capitano di corvetta Russo,che scorta il postale.

La guerra sottomarina si sviluppa ogni giorno di più nell'Adriatico.

L'ammiraglio inglese Kerr,comandante delle forze alleate,ha riportato gli sbarramenti dal parallelo di Otranto

alla linea Fano Santa Maria di Leuca. Ma i sommergibili austro tedeschi continuano a passare indisturbati

fra le maglie, e nei primi giorni d'ottobre sono riusciti ad affondare lo " Stampalia ", il " Polcevera ", e la petro-

liera "Mariquita". Gli strateghi da caffè - quelli che non mancano mai e che sono stati chiamati " le pulci della

guerra " - si domandano,naturalmente, " che cosa fanno le siluranti " .

Nessuno comprende - e purtroppo nel 1915 non l'hanno ancora compreso neanche gli Alti Comandi - che oc-

correrebbe un numero inverosimile di navi leggere, per garantire la sicurezza nella " pozza adriatica ".......

L'oscurità è profonda, assoluta. Da bordo delle navi è matematicamente impossibile scorgere non dire un peri-

scopio, ma neanche un'altra nave . Mentre i periscopi, in agguato, vedono benissimo, e individuano con pre-

cisione nel campo la massa nera dei bastimenti che passano a tiro.

Così, quella notte, il comandante dell'U.16 in agguato fra due acque davanti a porto Palermo,vede improvvisa-

mente avvicinarsi una bella preda . La linea nera del " Nembro "- gli apparecchi d' ascolto hanno già avvertito

il rombo delle eliche e il ronfo sordo delle macchine - gli sta passando al traverso. Gli austriaci non hanno

neanche il fastidio di modificare la rotta : sono preparati, in perfetta posizione di lancio.

Gli uomini del " Nembo ", a posto di combattimento, non fanno neanche a tempo a scorgere la scia biancastra

del siluro che s'accosta, veloce e mortale, e piomba contro la lamiera, nel locale macchine.

Il comandante Russo, sul ponte di comando, ode uno schianto enorme, sente la sua nave impennarsi come un

cavallo trattenuto da un ostacolo,ode i gemiti dei feriti e il rantolo dell'acqua che entra gorgogliando nelle ferite

dello scafo. In due minuti, il " Nembo " è finito. A trecento metri di distanza, il " Bormida "- illeso - comincia a zig

zagare,mentre una parte degli uomini si butta in mare.

La tragedia si è svolta fulminea : quaranta uomini del cacciatorpediniere sono scomparsi con la nave e fra essi

il comandante Russo. Pochi superstiti nuotano sul gorgo,dove danzano i rottami......

Tutto finito ? No. Il destino lavora per la rivincita degli italiani. Gli scampati che tendono l'orecchio nell'orrore

della notte, odono - tre minuti dopo - una detonazione sorda : pare che l'acqua si rigonfi sotto una spinta interiore

e che una battaglia invisibile si svolga giù, nel profondo.

Che cosa mai è avvenuto ? Nel momento supremo, mentre la nave squarciata sprofondava, gli uomini del " Nembo"

si sono battuti ancora,compiendo tutte le manovre preordinate. L'ultimo comando uscito dalle labbra del capitano

di corvetta Russo,è stato quello di mollare le bombe di profondità preparate sulla coperta del cacciatorpediniere.

Così, mentre la nave scendeva verso il fondo - glorioso sarcofago d'acciaio col suo equipaggio di morti - le bombe

" hanno fatto il loro dovere ". Alla profondità voluta hanno esploso, arando il mare in un vasto raggio, frantumando

i corpi dei nostri ma compiendo, anche, la loro missione vendicatrice.

L'U.16 è rimasto, imprudentemente , nelle vicinanze.

Dopo aver tirato da vicino,il suo Comandante ha giudicato superfluo di rimettere in moto : lo scoppio del siluro che squar-

ciava il " Nembo " gli ha fatto credere di non aver più nulla da temere.

Grave errore. L'austriaco non sa che " i morti si difendono ".

Le bombe di profondità del cacciatorpediniere esplodono vicino al sommergibile : tanto vicino da squassare lamiere, da al-

lentarne i bulloni,da palarizzarne gli apparecchi più delicati, da aprire nello scafo una importante via d'acqua.

Fra un enorme trambusto, mentre la luce elettrica si spegne e gli uomini segnalano che l'acqua entra a ruscelli da prua

e da poppa, il Comandante austriaco ha appena il tempo di compiere le supreme manovre d'alleggerimento,per ripor-

tare l'U.16 alla superficie e ordinare l'abbandono della nave.

Gli uomini salgono precipitosamente in coperta, si ingolfano nella scaletta, si buttano in acqua.Sentono che sommergibile

manca loro sotto i piedi e che l'acqua guadagna la torretta, la supera, la ricopre.

Non fanno a tempo a contarsi ; gli altri sono rimasti sotto e raggiungono, nelle lente ondulazioni della nave che sprofonda,

i morti del " Nembo ". Ora sull'acqua calma dell'Adriatico, nella fitta oscurità della notte d'ottobre,italiani ed austriaci nuotano

vicini, senza accorgersi, sorretti dal prodigioso istinto di conservazione che insegna a vivere,sulle soglie della morte.

Quattro italiani nuotano di conserva, sostenendosi e incoraggiandosi l'uno con l'altro. Non vedono nulla.

Anche la sagoma del " Bormida " è sparita nell'oscurità. E il vento rinfresca. Che fare ? Il guardiamarina Ignazio Castrogiovanni

nuota in testa a tutti, in direzione della costa : lo seguono a poche bracciate il sottocapo cannoniere Luigi Ricci,il fuochista

Emanuele Pisano, il marinaio Salvatore Visalli. Sono quattro ragazzi dalle spalle quadre,dal cuore d'acciaio.

Un solo pensiero li attanaglia, doloroso, ossessionante : quello dei compagni morti e della nave perduta.

Nuotano, in silenzio. Ad un tratto Visalli getta un grido. Sulla dritta, a dieci metri di distanza, si vede una forma confusa ; un'im-

barcazione che si avvicina. Si ode il battito dei remi.

Un'imbarcazione : la salvezza........Ma il guardiamarina Castrogiovanni non è convinto.

- Silenzio nessuno risponda. Vediamo prima con chi si ha da fare.-

Occorre lo stoicismo eroico dei marinai italiani - naufraghi in alto mare, affidati soltanto alla resistenza del cuore e dei muscoli

- per porsi una domanda simile, e non affrettarsi a gridare aiuto......

Nella lancia - una lancia calata in mare dal " Bormida " nel primo momento, ed andata alla deriva- si sono rifugiati quattordici

austriaci, i superstiti dell'U.16. Essi hanno visto gli italiani. E poiché la legge del mare sopprime,nell'ora del pericolo supremo,

ogni superstite rancore di nemici, gli austriaci s'accostano per prenderli a bordo.

Uno di essi ha già impugnato un raffio e preparato una cima da gettare. Un altro li interpella in veneto.

" Ohè, del " Nembo " ! Tenete duro che vi raccogliamo.

Qui, c'è posto per tutti ".

Gli italiani hanno un attimo di esitazione. Sono vicinissimi uno all'altro; il marinaio comincia a sentirsi un granfio alla gamba

destra, e il fuochista Visalli batte i denti per il freddo.

Salire sull'imbarcazione significa la salvezza. Il mare continua a essere abbastanza calmo, e la costa sarà raggiunta facilmente.

Restare in acqua significa - con nove probabilità su dieci - perdere la vita.

Ma il guardiamarina Castrogiovanni trova il tempo di sussurrare ai suoi compagni : - Ragazzi gli austriaci sono il triplo di noi e

e noi siamo disarmati. Se ci raccolgono, ci portano a casa con loro,prigionieri. " Io direi di restare in acqua...... " -

-......... quando, nella nostra fanciullezza lontana, ci si insegnava la storia greca, si soleva esaltare lo stoico coraggio spartano.

Ma non mai una parola più " spartana " è risuonata sotto il cielo di quella pronunciata dal giovane ufficiale d'Italia, naufrago

sperduto in una notte di guerra, sull'Adriatico......

- I tre marinai, non esitano. S'ode un sussurro solo : " Sì.....sì....Comandante ".

La lancia è a pochi metri. Castrogiovanni solleva il capo sull'acqua.........

- Grazie. Andate pure. Preferiamo nuotare. Cerchiamo d'arrivare sulla costa. Non abbiamo bisogno di nulla. -

E aggiunge, cavalleresco :- Buona fortuna ! -

Gli austriaci sulla lancia, ammutoliscono per lo stupore. Quello che ha il raffio in mano, crede di aver capito male.

Ma chi sono questi uomini prodigiosi che rifiutano il dono della vita solo perché è un nemico che lo offre ?

Il sottufficiale austriaco che comanda l'imbarcazione si stringe nelle spalle. E fa un cenno. Gli uomini riprendono la voga : barca

sparisce nella notte. I quattro italiani sono soli, a sei ore dalla terra, ed hanno forza di ridere......

- Nuotare, nuotano, nuotano. Le ore passano, interminabili. L'alba comincia a imbiancare la costa d'Albania, quando spuntano

le rocce di Aspri Ruga. Gli uomini avanzano meccanicamente, sfiniti dal freddo, intorpiditi dalla stanchezza : non una parola

esce più dalle loro labbra insanguinate e tumefatte. I volti sono irriconoscibili : una maschera di sale.

Pure arrivano a terra. Con disperata energia superano l'ultimo tratto, s'arrampicano sugli scogli, si dirigono vacillando verso

il posto italiano, colle ginocchia lacerate dalle pietre. E allora una idea bizzarra, si fa strada nel cervello del guardia marina.

Gli austriaci della lancia non hanno ancora preso terra. Bisogna ricevere come si conviene gli affondatori del " Nembo ".

E saranno quattro superstiti quelli che faranno gli onori di casa........

Così, tre ore dopo, quando l'imbarcazione del " Bormida " accosta in un punto che crede deserto, gli austriaci trovano il pre-

sidio italiano schierato sulla spiaggia, e sono fatti prigionieri.

Castrogiovanni li guarda e allarga le braccia,sorridendo.

- Una volta per uno, signori. E' la vita ! -

FINE

 

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