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Cento Anni Fa Il Primo Giorno Di Guerra Sul Mare


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continua la serie degli articola sulla grande guerra sul mare.

 

http://www.cefalunews.net/2014/?id=45103

 

questo il link dell'articolo

 

 

24 maggio 1915

Primo giorno di guerra sul mare.

I piani di guerra approntati dalla marina austroungarica, in caso di guerra contro l’Italia, prevedevano, una serie di attacchi a sorpresa contro le principali basi navali, al fine di cercare di ridurre la superiorità della Regia Marina, il bombardamento delle citta costiere dell’Adriatico al fine di provocare il panico nella popolazione civile, cosa che ritentavano avrebbe provocato la richiesta di pace, ed infine una grande battaglia navale finale. Nel caso del protrarsi della guerra, invece il compito della K.u.K Kriegsmarine sarebbe stato la difesa delle coste.

Da parte Italiana, l’Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, comandante in capo della flotta dal 1913, aveva elaborato un piano che prevedeva il concentramento del grosso della flotta presso le basi di Taranto e Brindisi, al fine di bloccare il canale di Otranto, impedendo così l’accesso al Mediterraneo della flotta nemica, lasciando nell’Alto Adriatico solo naviglio sottile, con l’eccezione di due corazzate pre-dreadnought Saint-Bon ed Emanuele Filiberto dislocate a Venezia.

La strategia di Thaon di Revel, si basava su un intensa guerra di mine, facilmente attuabile data la bassa profondità del mare in questione, che prevedeva oltre alla posa di sbarramenti difensivi, davanti alle basi e coste Italiana, una massiccia posa di sbarramenti offensivi, che avrebbe bloccato la flotta nemica nelle proprie basi. A tal fine, le scorte di mine italiane, furono incrementate, passando dalle 200 armi del 1913 alle 3000 del 1915, fino alla fine della guerra furono posate in tutto circa 13.000 mine, contro le circa 6000 austriache, queste quasi tutte posate in sbarramenti difensivi. La guerra di mine, associata alle crociere di vigilanza delle unità sottili e sommergibili avrebbero dato alla Regia Marina il controllo dell’Alto Adriatico.

Il pomeriggio del 23 maggio 1915, l’ambasciatore italiano a Vienna, consegnò la dichiarazione di guerra, che prevedeva l’inizio delle ostilità dalle ore 00.00 del 24.

La marina austroungarica, privata degli attacchi di sorpresa contro le basi, dato che Venezia, unica a portata delle grandi unità, venne ritenuta troppo difesa, decise di effettuare i bombardamenti contro la costa Italiana.

Le unità austriache, uscirono dalle loro basi la sera del 23, in modo da portare l’attacco alle coste italiane nelle prime ore del 24. Gli obbiettivi, erano la linea ferroviaria adriatica, le installazione semaforiche e le citta della costa, anche se queste non essendo fornita di difesa, ad eccezione di Porto Corsini, erano state dichiarate citta aperte. Appena fuori dalle basi, le unità si divisero in piccoli gruppi con obbiettivi Porto Corsini, Rimini, Ancona, Porto Recanati, Senigallia, Potenza Picena, Termoli, Campomarino, Torre Mileto, Le Isole Tremiti, Vieste, Barletta e Manfredonia.

L’attacco contro Ancona, provoco circa 70 vittime e un centinaio di feriti, l’affondamento del piroscafo tedesco Lemnos, internato all’inizio della guerra, e leggeri danni ad altre unità mercantili presenti nel porto.

L’attacco a Porto Corsini, unica località difesa da batterie di medio e piccolo calibro, non riportò risultati significativi, proprio per la risposta delle nostre batterie, che danneggiarono se pur lievemente l’esploratore Novara, il caccia Scharfschutze e la torpediniera TB 80.

Da parte Italiana, nel alto Adriatico, vennero effettuate missione di bombardamento delle coste nemiche, nelle primissime ore del 24, i caccia Zeffiro, Bersagliere e Corazziere, di base a Venezia, attaccarono Grado, lo Zeffiro, entro nel porticciolo di Porto Buso, affondando alcuni motoscafi e tramite un drappello da sbarco, catturò 48 uomini del presidio nemico, intanto Bersagliere e Corazziere bombardarono le installazioni militari di Grado, senza risultati di rilievo.

Nelle stesse ore, anche nel basso Adriatico, le navi austro-ungariche portarono attacchi contro la costa, quello portato dall’esploratore Admiral Spaun ed i caccia Wildfang, Streiter e Uskoke contro la linea ferroviaria Adriatica nelle località di Termoli, Campomarino, Torre Mileto, Vieste e le isole Tremiti, causarono solo modesti danni.

Intanto più a sud, l’esploratore Helgoland, protetto dai caccia Csepel, Tatra, Orjen e Lika, iniziava il bombardamento di Barletta, dopo i primi colpi, che causarono danni a carri merci stazionanti nello scalo ferroviario ed il castello, fu interrotto dalla comparsa del caccia Aquilone.

Nel pomeriggio del 23, i cacciatorpediniere Turbine ed Aquilone, uscirono dal porto di Taranto, con l’ordine di perlustrare la costa sino a Manfredonia e da li iniziare operazioni di pattugliamento, circa alle 5 del mattino come su scritto, l’Aquilone avvistò l’Helgoland che aveva iniziato il bombardamento della città di Barletta e si portò decisamente all’attacco, la nave Austriaca cessò il bombardamento e si preparo ad affrontare il caccia, che dopo i primi colpi, fece rotta verso sud. L’esploratore, si mise al suo inseguimento, intanto richiamato dalle cannonate, sopraggiungeva anche il Turbine, al comando del Capitano di Corvetta Luigi Bianchi. Che visto l’aquilone, più piccolo e meno armato, in difficoltà, si porto all’attacco, attirando su di sé il fuoco nemico, quindi si diresse con rotta Nord sull’isola di Pelagosa, dove sapeva trovarsi una formazione di incrociatori Italiani intenti ad effettuare uno sbarco di truppe. L’Helgoland, si lanciò all’inseguimento, richiedendo via radio l’aiuto dei suoi caccia. Intanto il Turbine riusciva ad aumentare la distanza, alle 5.30 furono avvistate due unità, si trattava dei moderni caccia Tatra e Csepel, il Turbine si trovò così accerchiato, con il Cespel sulla sinistra, di poppa il Tatra e a dritta l’Helgoland, subito dopo le navi austriache aprirono il fuoco colpendo il Turbine e ferendo alcuni marinai compreso il comandante Bianchi, il Turbine rispose al fuoco, colpendo il Csepel, nave più vicina, alle 5.50 apparve di prora al caccia Italiano un'altra unità, per un momento si sospese il fuoco, che riprese non appena il nuovo arrivato fu indentificato come il caccia austriaco Lika. Il Turbine ormai circondato, continuo il combattimento con tutte le armi di bordo, alle 06.30 un colpo raggiunse la caldaia prodiera della nave Italiana, provocando un esplosione e la perdita di velocità, nonostante tutto si continuava a combattere fino all’esaurimento delle munizione, un secondo colpo colpiva la caldaia di poppa, provocando l’arresto della nave. Ferma, in preda agli incendi, senza più munizioni, la nave era in balia del nemico, che si avvicinava continuando il fuoco, giunte alla distanza di 1000m, gli austriaci sospesero il fuoco, ed intimarono alla nave di arrendersi, preparandosi alla cattura, ma il comandante Bianchi, ordinava l’apertura dei kingstone ( valvole di presa diretta a mare), per causare l’affondamento della nave, distrutti i documenti segreti, si portava in plancia ed ordinava l’abbandono nave, dove rimase, nonostante gli appelli dell’equipaggio a seguirlo, fino a quando un sottufficiale raggiunta a nuoto la nave, lo trascino via. Il Turbine affondava alle 6.51, mentre gli Austriaci raccoglievano i superstiti Italiani, comparvero sulla scena,(provenienti da Pelagosa dove avevano interrotto le operazioni di sbarco non appena avvisati della battaglia in corso) l’incrociatore protetto Libia e l’incrociatore ausiliario Citta di Siracusa, che cercarono di tagliare la rotta di rientro alla squadra nemica, vista la situazione, gli Austriaci si allontanarono a tutta velocità inseguiti dalle cannonate delle navi Italiane, alle quali rimase il compito di terminare il recupero dei superstiti.

Dei 53 uomini dell’equipaggio, 10 persero la vita, 32 tra cui il comandante Bianchi, furono fatti prigionieri dagli austriaci ed 11 furono recuperati dalle navi italiane.

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