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Capo Horn, Gozzo Da 18 Palmi


Secondo Marchetti

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Dopo aver rimesso in sesto Gisella, mi è capitato per puro caso, aiutando un amico ad armare il suo gozzo a vela latina, di trovare un gozzo in legno abbandonato e condannato al rogo.

Sempre per puro caso mio padre conosceva il proprietario, che ha già un'altra barca da pesca e che voleva risparmiare al suo vecchio gozzo una lenta agonia sulla spiaggia. Gli abbiamo detto che se ce lo avesse ceduto avremmo provveduto noi a rimetterlo in sesto e ce lo saremmo portato via; ben contento di non dover dare fuoco alla sua vecchia barca, ha accettato. Per accaparrarcelo abbiamo dovuto scalzare la temibile concorrenza di una coppia che voleva portarselo via per farne un abbellimento da giardino...

 

Capo Horn, così si chiama la bestia, è un gozzo da 18 palmi (4 metri e mezzo) costruito dal cantiere Fazio a Varazze fra il '70 ed il '71. Uno come tanti, erano costruiti praticamente in serie, come linee e dimensioni è identico al mio A di Ape di cui alla discussione che già conoscete...

 

( https://www.betasom.it/forum/index.php?showtopic=36620 )

 

... con la differenza che questo è costruito in legno di abete, rovere e mogano anziché in paglia di vetro e stucco all'amianto. E scusate se è poco.

Ha avuto una vita intensa e proficua, andando in mare il più delle volte con 4 persone, attrezzatura da sub e 1200 metri di tremari a bordo, tornando carico di tutto quello più due palmi d'acqua, e si vede nello stato delle sue strutture. Tuttavia il legno è sano, quindi è recuperabile. Ha un bello scafo largo ma al contempo ben avviato che promette bene per un altro armo a vela latina.

 

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Deciso a mantenere il primato di "disoccupato più occupato d'Italia", il lunedì dopo la domenica della benedizione di Gisella ero già in spiaggia a fare il sopralluogo e lo studio di fattibilità.

 

Si comincia il lavoro dall'opera viva, capovolgendo il gozzo su due cavalletti di quelli usati per sostenere le bare ai funerali (gli unici che nessuno oserebbe fregare, ma non chiedetemi come li abbiamo trovati) da mettere sotto la prua per impedire alla pernaccia di toccare.

Una cura di flessibile col disco di cartavetro per portare a legno lo scafo; un settore di un corso del fasciame era effettivamente così rovinato da meritare la rimozione immediata, il che spiega il buco dalla ruota di prua.

 

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Il capo di banda, il corso più alto dello scafo (quindi il più basso nella foto), era fatto per essere lasciato verniciato a flatting e dunque era in legno di mogano e con buchi dei chiodi otturati coi tappi di legno. Ho iniziato a sverniciarlo ma il flessibile lo segnava troppo e mi son fermato lì.

 

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Il lavoro seguente consiste nel levare il calafataggio dai comenti, le fessure fra i corsi del fasciame. La canapa e il cotone, che trattengono l'umidità, saranno infatti sostituiti da un impasto di fibra di vetro e resina epossidica che durerà quanto il resto della vita utile della barca senza bisogno di interventi ulteriori.

 

Per levare canapa e cotone ho usato la sega circolare e questo attrezzo, una sega vibrante, sorprendentemente utile e versatile; ci avevo già squartato metà del gozzo da regata e anche qui è arrivata dove la circolare non riusciva a passare.

 

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Come comodità preferivo il capannone dei meccanici dove abbiamo sverniciato Gisella; come panorama preferisco la spiaggia del Darsanun dove sono ora.

 

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Veramente interessante...

a me piace già così.. e poi.. come si dice Il legno è sempre il legno.

Complimenti a te e tuo padre Secondo..

Modificato da Visitatore
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Grazie da entrambi :happy:

 

La potrei anche lasciare così, ma dai comenti svuotati puoi vederci il fondale :laugh:

 

Finita la pulizia, si risistemano i corsi che si sono staccati dai dritti di prua e di poppa, semplicemente tirandoli nella loro posizione originaria con delle viti. La cosa è possibile perché, come detto, il legno delle strutture è fondamentalmente sano.

 

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Si passa nei comenti della resina epossidica liquida per cominciare a impregnare il legno, nel caso in cui lo stucco non arrivasse a riempire la fessura per intero...

 

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Nel frattempo abbiamo quasi finito di attrezzare Valeria, un Patrone in legno lamellare. La sua antenna, non avendo trovato un altro albero di 470, è in bambù.

 

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Il suo padrone ne è innamorato nel vero senso della parola; e dire che anche quella è una barca salvata dal rogo.

 

Per quasi una settimana sono stato occupato soltanto nello stuccare i comenti con un composto di resina, microsfere di silicio, cellulosa e paglia di vetro sminuzzata. Per ogni comento, fra la preparazione dello stucco e la stuccatura, ci voleva più di un'ora.

 

I comenti troppo aperti, per risparmiare resina, sono stati colmati con l'ausilio di bacchette di legno piallate a cuneo.

 

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E' il concetto della decrescita felice: riparare il vecchio anziché gettarlo e produrre del nuovo :happy:

 

Siccome ho un ricordo ben vivo di tutti i pomeriggi passati a cercare di rimontare al vento senza molto successo, ho deciso di fare un esperimento innovativo. Per prima cosa bisogna rinforzare la chiglia sulla lunghezza di un metro con compensato da 15 mm posato su una banda di tessuto.

 

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Quindi a (violenti) colpi di scalpello e con l'ausilio della sega vibrante si apre una scassa da 35 cm x 3, passante.

 

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Fra un colpo e l'altro non riuscivo a non pensare che, se mio nonno m'avesse visto fare un lavoro del genere a un gozzo (col suo scalpello per giunta), m'avrebbe riempito di pattoni :laugh:

 

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Avete capito cosa c'è sotto? :ph34r:

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Proprio così :happy: Mezzo metro quadro di deriva sperando che basti a bolinare un po' meglio, anche se credo che in regata non la potrò usare...

 

Preparandolo per essere rivestito di tessuto di vetro, lo scafo va lisciato con carrarmato e roto-orbitale, ma il difficile viene sverniciando il capo di banda, dato che lì non si possono usare le maniere forti. La vecchia pittura, sotto l'effetto del calore, diventa un mastice tenacissimo, ovviamente la cartavetro è impossibile da usare perché si impasta subito.

 

La prima passata, e la seconda perché ce ne vogliono due, si fa con la pistola ad aria calda.

 

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Solo a questo punto, e buttando via comunque qualche disco di cartavetro, si può passare alla levigatrice.

 

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Con l'aiuto di mio padre, in una mattinata di lavoro intenso, si è passati al rivestimento con tessuto di vetro tridirezionale. Abbiamo fatto andare la resina a bicchieri, la preparavamo dentro un'insalatiera.

 

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L'asse da stiro appoggiato allo scafo è la deriva, tre strati di compensato da 6 mm intervallati da fibra di carbonio.

 

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Non fatevi prendere troppo dall'entusiasmo perché lo scafo andrà verniciato in bianco, alla fine resterà in legno a vista il solo capo di banda. Di contro, accetto suggerimenti sul colore da dare all'opera viva.

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E' il concetto della decrescita felice: riparare il vecchio anziché gettarlo e produrre del nuovo :happy:

 

Altro che decrescita felice.... questi sono dei capoLAVORI che ormai quasi nessuno sa più fare nell'epoca dell'"usa e getta"! :sad:

 

Sono semplicemente ammirato da quello che ti vedo fare... il legno sotto le tue abili mani ritorna a nuova vita.... e che vita! :smiley19:

 

Mi vengono in mente i lavori fatti nei cantieri Costaguta di Voltri, o Sangermani di Lavagna che ho avuto la fortuna di visitare tanti anni fa… Ma penso soprattutto ai maestri d’ascia Dino Para e Gigi Morri (ex dipendenti dei cantieri Carlini di Rimini, che all’inizio degli anni ‘50 fondarono il cantiere Morri & Para a Viserba), che hanno realizzato delle derive che sono vere opere d’arte (FD, Snipe e FJ), oltre a prestigiosi yacht a vela in legno concepiti dai più famosi progettisti del mondo. Gli yacht da regata realizzati in legno da Morri & Para hanno tuttora un fascino particolare e sono stati in grado di conservare per lungo tempo performance superiori a alle barche in vetroresina o in lega leggera.

 

Ti ringrazio per le bellissime fotografie e per le precise descrizioni che ci permettono di condividere il tuo pregevole lavoro. :smile:

 

Per quanto riguarda l’estetica io avrei preferito che l’opera morta mantenesse il colore caldo del legno naturale e che la carena fosse bianca. Ma dato che hai deciso di dipingere lo scafo di bianco, penso che l’opera viva potrebbe essere di un bel verde scuro. :wink:

 

Complimenti vivissimi e… aspetto le altre fotografie che documenteranno l’avanzamento dei lavori! :smile:

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Per quanto riguarda l’estetica io avrei preferito che l’opera morta mantenesse il colore caldo del legno naturale ......

 

Preferirei anch'io il legno naturale, da quanto vedo non mi pare che il rivestimento di tessuto di vetro tridirezionale abbia compromesso l'estetica ma, se la decisione è definitiva, condivido la scelta cromatica di Marcello; verde scuro o tuttalpiù blu, quest'ultimo però richiama troppo la VTR.

Complimenti ancora !!!

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Grazie a tutti per i complimenti e per il vostro parere. Siete già in quattro, contando gli "esterni" al forum, a suggerire il verde. Era anche il colore del Santa Maria, il gozzo in legno di mio nonno, quindi penso che la scelta sia bell'e fatta.

Preferisco verniciarlo perché la finitura in molti punti lascia a desiderare, si notano ancora troppe zampate di flessibile e troppe macchie di pittura blu, inoltre bisogna considerare che questa barca resterà praticamente sempre all'aperto, seppur non scoperta; una copertura a flatting resisterebbe molto meno all'azione del sole, con la pittura posso sperare di andar tranquillo per un po' più di tempo.

 

Devo rallentare i lavori sullo scafo perché ancora non abbiamo trovato la falsa chiglia, la striscia di metallo da mettere sotto la chiglia; mi porto avanti con le altre appendici dello scafo, come il timone.

 

Io a dire il vero volevo riadattare un timone di scialuppa nientemeno, che teniamo a far la muffa da qualche anno, ma mio padre ha offerto i listelli di mogano e di samba necessari, dunque ho adottato una soluzione più al passo coi tempi.

 

Si tratta di assemblare un insieme di listelli di due legni diversi, uno leggero che faccia volume ed uno duro che offra resistenza. I listelli chiari sono in samba e quelli scuri in mogano, la punta del timone (in alto nella foto perché la pala era sottosopra) è in mogano pieno per tollerare meglio eventuali "calcagnate" contro il fondo.

 

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Dopo la prova d'assemblaggio a secco, si passa alla resina e alla famosa "selva di sergenti"

 

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Il resto è mestiere già conosciuto: taglio del perimetro cercando di ottenere una curva graziosa (l'unica parte fatta su disegno è quella che va di fronte al dritto di poppa, modellata secondo il profilo di quest'ultimo) e scultura a pialletto e flessibile.

 

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Questo timone è bellissimo!! :smile:
Complimenti davvero per la cura e la perizia con cui lavori! :smiley19:

Bianco e verde sarà sicuramente un bell'effetto.... :wink: Aspettiamo il risultato....

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In realtà il timone penso che lo dovrò ritoccare ancora, il profilo mi sembra pesante, ma grazie per i complimenti. Potrei considerare di fabbricarne alcuni come decorazione per interni.

 

I colori tradizionali sono il bianco, il rosso, il blu e il verde, anche se quest'ultimo è sospettato di portare iella (in combinazione col giallo equivale a farsi fare una macumba alla barca, garantito). Stranamente è bandito il nero, che pure assieme al bianco era l'unico "colore" usato fino alla diffusione delle pitture a buon mercato. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che attira troppo il calore. Peccato perché avevo ancora due chili di pittura nera opaca "da sottomarini" da far andare.

 

Giusto una prova per assicurarsi che la deriva passi per la sua scassa, in quanto più tardi sarebbe troppo tardi per andare a ravanare là sotto.

 

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  • 2 weeks later...

Malgrado acquazzoni, regate da pazzi e altre perdite di tempo, qualcosa lo s'è fatto lo stesso

 

Tipo un'altra mano di resina giusto per andare sul sicuro

 

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Poi il verde sull'opera viva, fresco fresco da stamattina

 

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Se piove, ci si tappa in magazzino a lavorare alle appendici dello scafo, come il timone con la sua barra; in mezzo ai due, ceppo e pala del timone di Gisella, il gozzo da corsa

 

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I progressi della chimica moderna sono veramente formidabili; pensare che, levando il nastro blu, mi sono accorto che tutto il suo adesivo aveva aderito allo scafo, esattamente il contrario di come doveva succedere, e non c'è stato solvente d'uso comune che potesse darmi il minimo aiuto per rimuoverlo! L'alcool era come acqua fresca, stessa cosa la ragia, l'acetone appena un pó meglio ma mi veniva il sospetto che la colla se ne andasse più per il calore generato dallo sfregamento dello straccio che per l'azione del solvente, che comunque scorreva via a bicchieri.

Dopo aver fatto fuori un terzo di litro di acetone per far partire un palmo di banda collosa, avendo ancora otto metri di schifo da levare, sono passato ai buoni vecchi metodi di un tempo e ho grattato via tutto con uno scalpello, sempre cantando le lodi del produttore del nastro ed augurandogli una vita serena ed un commercio prospero.

 

Per il bianco ho quindi cambiato nastro, asportandolo subito questa volta. Le meraviglie della tecnica moderna mi hanno ancora stupito quando il secondo strato di pittura verde, malgrado fosse stato dato con tutte le cure del caso su un fondo perfetto, è in buona parte rimasto attaccato al nastro.

 

L'intenzione fino a venerdì era di fare una riga rossa sopra il bagnasciuga per dare un tocco di eleganza allo scafo. Visto come si stanno comportando i materiali che ho per le mani, considererò chiusa la faccenda con una seconda mano di bianco e fai che andare. Del resto è un gozzo, una barca che per sua natura vuole poche muße...

 

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Ti ringrazio :smile:

Ora sto aspettando che un fabbro mi procuri il profilo di acciaio inox per la falsa chiglia, quindi son fermo. Potrei occuparmi dei remi, dei paglioli o di rivestire il timone con la fibra di vetro ma preferisco tenermi un po' d'energia per quando dovrò attaccare l'interno dello scafo...

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  • 2 weeks later...

Complimenti per come procede il lavoro!! :smiley19:
Davvero bellissimo!! :wink:

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Figurati io! A Maggio c'è una regata di vele latine a San Remo ma ormai non riuscirò più a completarla per tempo e mi toccherà farla con la vecchia A di Ape senza deriva :smiley35:

 

Dall'ultimo aggiornamento sto ancora aspettando che un fabbro locale si faccia arrivare tre pezzi di piattina inox per fare la falsa chiglia; però capisco anche che la fornitura di quattro metri di un articolo così raro come una piattina a sezione rettangolare 30 x 6 in lega inox ad altissima tecnologia costituisce una sfida improba per l'apparato commerciale italiano, quindi attendo pazientemente.

(Veramente già mercoledì ero passato dal fabbro e mi aveva detto che il rivenditore la piattina l'aveva ricevuta, ma che il corriere aveva "dimenticato" di mandargliela :rolleyes: )

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Finalmente la piattina è arrivata, ho speso un capitale e un pezzo è di 20 cm troppo corto ma ci adatteremo. Stasera con mio padre abbiamo fatto i buchi, facendo fuori una punta di trapano soltanto, domani fresatura e prime rifilature sul posto.

Rimpiango un pó il capannone dove abbiamo riparato Gisella, Capo Horn l'ho trovato sporco della sabbia che è piovuta, di guano che manco uno scoglio del vero Capo Horn e di moscerini kamikaze che son venuti a posarsi sulla pittura fresca.

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C'è voluto più tempo del previsto, stante la difficoltà di piegare la barra d'acciaio, ma alla fine ho completato l'applicazione della cintura corazzata

 

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Dalla cassa di deriva la falsa chiglia si sdoppia per garantire un passaggio uniforme sui parai; le due piattine trattengono in posizione anche due lamelle di plastica che serviranno a raccordare uniformemente la deriva alla chiglia.

 

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  • 4 weeks later...

Il cantiere non si è fermato, ma il portatile con cui pubblicavo sì, e Servimg col tablet è come svitare le brugole col cacciavite a taglio.

 

Capo Horn è stato rivoltato e ho iniziato a sverniciare l'interno per eseguire lo stesso trattamento sigillante di cui ha beneficiato l'esterno.

 

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Avevo previsto di rifare le stamenaire (ordinate) spezzate ma dato che lo scafo è già tenuto assieme dallo strato esterno di fibra di vetro mi limiterò a un intervento estetico.

 

A parte sto preparando la cassa di deriva e l'albero, alto 4 metri e mezzo e in legno d'abete. Mio padre, che al momento non ha altre barche da seguire, si sta occupando di paglioli e paratie delle casse stagne.

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Troppo buoni :blush:

 

Ho iniziato a stuccare l'interno dopo averlo imbevuto di resina, sempre con la mia formula di stucco a base epossidica con paglia di vetro sminuzzata, microsfere e cellulosa. Nel frattempo ho preparato la cassa di deriva e oggi l'ho messa in opera.

 

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I triangoli di cartone sono le seste per le squadrette da aggiungere come rinforzo fra cassa e banco.

 

20150512.jpg

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Mi sembra di essere lì nel tuo cantiere....sento l'odore di resina e di vernice.... sento il profumo del legno modellato da mani sapienti e.... sono sempre più ammirato! :smile:
Complimenti vivissimi!! :smiley19:

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... con il vantaggio che la resina non ti cola sui vestiti e non ti si appiccica alle mani, e senti il profumo del legno senza respirar polvere :happy:

 

Sto aspettando di trovare un vogatore e una mezza giornata di tempo per portarlo via mare al luogo dove potrò concludere con più calma i lavori, intanto mi occupo degli accessori.

 

Ad esempio, l'albero. Avrei potuto usare quello di A Di Ape ma non mi andava di lasciare questa senza e mi era sempre parso un po' corto, quindi con poca spesa di listelli di abete, selezionati con cura per assicurarsi che siano esenti da nodi, ho messo su un palo di 4 metri e mezzo (contro i 3 e 90 dell'albero di Dinghy di A Di Ape) che, una volta piallato, accessoriato e verniciato di bianco, potrà servire allo scopo.

 

Tre strati di listelli da 2 metri con giunti a palella ad altezze diverse, il tutto incollato con la solita epossidica; mi ci son seduto sopra dopo averlo sospeso per le estremità e mi ha retto.

 

A sinistra nella foto la testa d'albero, con la scassa per la pulleggia della drizza di randa o piuttosto, trattandosi di vela latina o portoghese, della taglia.

 

20150610.jpg

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[la testa d'albero, con la scassa per la pulleggia della drizza di randa o piuttosto, trattandosi di vela latina o portoghese, della taglia.]

 

Eh...già...dicevo...,.appunto!

Mi fate divertire da matti con questo vostro misterioso linguaggio. Credo che non esista gergo più segreto di quello di...voialtri :shiftyninja:

(Lo so lo so, è specifico....)

Modificato da malaparte
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[la testa d'albero, con la scassa per la pulleggia della drizza di randa o piuttosto, trattandosi di vela latina o portoghese, della taglia.]

 

Eh...già...dicevo...,.appunto!

Mi fate divertire da matti con questo vostro misterioso linguaggio. Credo che non esista gergo più segreto di quello di...voialtri :shiftyninja:

(Lo so lo so, è specifico....)

 

si potrebbe parlare di lingua, che una volta imparata ti rimane dentro. A volte in riunioni di lavoro, mi accorgo di essere guardato in modo strano, allora ni coreggo e traduco.

Modificato da Squadrag54
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Se si parla di "misterioso linguaggio", sto provando a leggere in questi giorni "Il nostromo ligure mercantile", di G.B. Lupi (capitano marittimo e maestro di pratica), prima edizione Genova 1873, annotato dal dottor Santi Mazzini e riedito dall'editrice Pharos nel 1996 (ISBN 88 - 86375 - 04 - 2).

È un libretto di nemmeno 200 pagine che spiega come armare una nave a vele quadre partendo dallo scafo appena varato che secondo il Comandante Serafini dovrebbe essere adottato come libro di testo dagli istituti nautici; se nei licei si fa il latino, al nautico possono ben imparare come arridare uno strallo di nave a vela...

Comunque, dico che sto provando a leggerlo perché quanto a terminologia è forse il più impervio che ho mai trovato, e non so più dove ho messo la Stele di Rosetta, il glossario...

(Se vi capita di trovarlo prendetelo comunque, ne vale la pena solo per le tavole illustrate aggiunte da Santi Mazzini e per il dizionario nautico italiano - genovese.)

 

Su Capo Horn sto piallando l'albero con la speranza di renderlo tondo in sezione e rastremato, poi sto facendo un boma e sto provando a fare dei bozzelli in legno (di ciliegio e rovere abbattuti nella campagna di famiglia, con pullegge in scarti di un antico materiale isolante.)

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Su Capo Horn sto piallando l'albero con la speranza di renderlo tondo in sezione e rastremato, poi sto facendo un boma e sto provando a fare dei bozzelli in legno (di ciliegio e rovere abbattuti nella campagna di famiglia, con pullegge in scarti di un antico materiale isolante.)

 

Auguri per il bozzello di rovere, se ben stagionato, saràuna bella impresa.

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Trattasi di quella sorta di plastica che sembra tessuto annegato nell'ebanite, si lavora molto bene, senza le bizze dovute alla vena del legno. Certo, idealmente avrei voluto lavorare con del nylon, ma questo materiale se non è autolubrificante è almeno d'aspetto più antico.

 

Intanto che aspetto l'equipaggio e/o il mare calmo (si alternano nella loro indisponibilità), ho aggiunto la tavoletta alla cassa di deriva, che diventa così un banchetto su cui sedersi, e la staffa di supporto del banco a prua.

 

20150612.jpg

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Ho installato il piede d'albero, con un buco ogni palmo per poter cambiare posizione all'albero e regolare la centratura a seconda dell'armo usato (portoghese o latino)

 

20150614.jpg

 

La cassa ha ricevuto due rinforzi per scaricare sullo scafo le spinte laterali della deriva

(notare in basso il morsetto dell'età della pietra)

 

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Sto anche rimettendo a posto i supporti dei paglioli, che hanno un nome proprio che però non ricordo...

 

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Nel frattempo l'abbiamo rimesso in acqua per trasferirlo in un posto più accessibile.

 

img-2011.jpg

 

Galleggia, ed è già qualcosa. Fa un filo d'acqua dalla giunzione della cassa di deriva, com'era da aspettarsi. Sigillerò meglio la zona con bende di fibra di vetro a tempo debito. Alla voga è un po' pesante, il prezzo della robustezza e della stabilità, ma si può portare.

 

Al Circolo Velico ho ripreso il lavoro sverniciando quanto restava da fare dalla parte sopra la serretta.

 

20150710.jpg

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  • 3 weeks later...

Non ho più pubblicato aggiornamenti in quanto i lavori hanno subito un considerevole rallentamento nell'ultimo mese. Il gran caldo toglie a me la voglia di lavorare sotto il sole e fa saltare i nervi a persone solitamente ragionevoli che d'un tratto, indispettite dal rumore dei miei attrezzi e senza nemmeno tentare la via del dialogo, scelgono nei miei confronti l'aggressione verbale e la minaccia.

Sto parlando di alcuni soci del circolo velico, o dovrei forse dire più correttamente circolo delle carte, perché invero da noi esistono due circoli, uno dedito alla pratica della vela, l'altro a quella del burraco, che mal sopportano il rumore di un flessibile a 15 metri di distanza mentre sono concentrati con tutte le loro forze a non fare assolutamente nulla. Con alcune di queste persone sono venuto a parole violente ed ero a un pelo dall'afferrare un sergente per darlo nei denti a qualcuno. Poi, non volendo guastarmi il fegato e la fedina penale per quella che, secondo il parere della maggioranza schiacciante dei soci, è solo una stupida vasca di legno, ho lasciato perdere. Mi sono ridotto a lavorare all'alba, dalle 6 alle 8, massimo 9, per evitare di vedere alcuni elementi che mi attraggono il sergente fra le mani, ma non sempre trovo la volontà di alzarmi alle 5 e mezza di mattina.

Posso solo notare che i tempi in cui mio nonno riparava gozzi per la strada davanti a casa e nessuno si sognava di protestare, invocare regolamenti e interventi delle autorità competenti sono ormai lontani. Oggi per riparare una barca in spiaggia bisogna ridursi alla clandestinità. Perlomeno in una città come la mia in cui vive un'allarmante percentuale di deficienti talassofobici.

 

Detto questo, in barba al circolo delle carte qualcosa s'è fatto lo stesso.

 

20150711.jpg

 

Sto stuccando il lato interno del capo di banda, ovvero il corso del fasciame più in alto, preparando la paratia stagna per chiudere il gavone a prua e sistemando due panchette laterali a poppa, per sedervisi quando si timona. In magazzino ho completato l'alberatura e sto pitturando i paglioli.

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