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I Racconti Del Nostromo - Ugo De Rossi Del Lion Nero


GM Andrea

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Titolo: I racconti del nostromo
Autore: Ugo De Rossi del Lion Nero
Editore: Paravia
Anno: 1943
Pagine: 264
Dimensioni: cm 18 x 12
Reperibilità: medio - difficile

 

 

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Diffidare dal titolo. Per regola.
Uno legge in copertina I racconti del nostromo e s'immagina di trovarci le reminescenze dei tempi della vela di un vecchio sottufficiale in disarmo.
Ma l'inconsueto nome dell'Autore desta qualche sospetto. Fondatissimo, perchè quello di Ugo De Rossi del Lion Nero è un nome che svetta nel Pantheon della Marina: anzi, degli aviatori di Marina.
Da sottotenente di vascello fu tra i primissimi a conseguire il brevetto di volo, a Centocelle (n. 31 a livello mondiale), e pure a fregiarsi del brevetto di pilota militare.
Fu lui a individuare alla Malpensa gli appezzamenti di terreno da trasformare in aeroporto militare, ove ora sorge lo scalo internazionale. Francesco Baracca prese le prime lezioni di volo da lui proprio lì.
Era uno dei quattro piloti di "più pesante dell'aria" che effettuarono bombardamenti in Libia. Comandò poi in guerra le squadriglie di Porto Corsini e poi di di Grado, volando spesso con D'Annunzio. Fu poi trasferito alla difesa antisom (con MAS e Idrovolanti) del ponente ligure.
Dopo la guerra lasciò la Marina, passando all'aviazione militare e poi a quella civile. Nel 1926 realizzò l'idroscalo di Ostia, tornò poi a fare il pilota d'idrovolanti e infine divenne comandante dell'aeroporto di Roma.
In questo testo, godibilissimo, De Rossi ci racconta la sua vita avventurosa, da alcuni episodi vissuti da guardiamarina sino alle vicende del conflitto allora in corso.
La parte più interessante è senza dubbio quella - ammontante a circa l'80% del volume - dedicata ai primordi dell'aeronautica, alla nascita dell'aviazione di Marina, alle vicende della Grande Guerra.
Non mancano notazioni ironiche: i ripetuti accenni al fatto che lui - come i suoi colleghi pionieri - non aveva proprio la minima idea del perchè quei trespoli si levassero da terra, ignorando qualsiasi legge fisica del volo; l'antipatia per i dirigibili, visti da tutti come l'arma volante del futuro e da lui fieramente avversati (anche dopo una brutta ascensione); i voli col Vate, che pur non avendo ancora perso un occhio "anche con tutti e due ci vedeva ben poco". Come osservatore d'Annunzio non era un granchè: durante un volo non riuscì a dargli nessuna informazione su un aereo che era nei loro paraggi. Conclude l'autore-pilora: "gli avrei tirato il collo se avessi potuto".
Molto interessanti anche gli episodi di guerra nel ponente ligure (e.g. l'affondamento del piroscafo Suruga)
Come dicevo, il titolo ingannevole cela un piccolo tesoro, soprattutto per gli appassionati dei primordi dell'aviazione militare.
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Perché le copertine "di una volta" erano così belle?

E perché gli anti-dannunziani si sono scoperti tali solo dopo il 1938???

 

Ma no,l'Autore non pecca certa di anti-rapagnettisimo (con un cognome così, poi, che par tratto dai suoi romanzi...)

Anzi, lo ricorda con affetto. Rievoca un episodio in cui dopo un volo invernale ad alta quota (-20°) atterrarono tutti intirizziti. Siccome gli avanzava una lastra di quelle da utilizzarsi per le foto in ricognizione, ne fece una "a tradimento" a d'Annunzio, semicongelato nella sua tenuta di volo polare (cappottone peloso, per intenderci). Dopo averla sviluppata, il Vate si rifiutò categoricamente di apporvi una dedica, perchè era venuto poco conforme ai suoi gusti; dopo mille insistenze, la firmò non primo di avervi scritto "NON SONO IO".

Ma a parte questo l'Autore evidenzia le grandi doti di coraggio e dinamismo del poeta soldato.

 

A propostio del quale, mi si permetta un piccolo OT, anzi no, visto che viene dalla penna del figlio di un colonnello commissario di Marina, Giancarlo Fusco. L'aneddoto riguarda una famosa vamp d'inizio '900, Erminia Bellati, e i vani corteggiamenti cui il Vate la sottopose. Fusco racconta come molti anni dopo la Bellati dicesse che, dopo il primo incontro in un salotto, il poeta le aveva fatto l'impressione "di un gagà di provincia che avesse letto d'Annunzio".

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