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Sorprese Interessanti Sull'isola Di San Pietro - Taranto


Rostro

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Sull'isola di san Pietro ero tornato l'anno scorso dopo 35 anni e la cosa mi aveva suscitato emozioni forti. Quest'anno ci sono voluto andare per fare un giro più accurato specie in quelle zone che avevo frequentato da ragazzino quando vi trascorrevo ogni estate. Ho ritrovato gli edifici ormai segnati dal tempo e dall'abbandono. Tra di essi, uno in particolare ha attirato la mia attenzione anche perchè il fregio e la scritta che vi appaiono non li ricordavo affatto forse perchè allora non vi avevo dato alcuna importanza.

 

sam0582s.jpg

 

Il fregio è probabilmente quello di un reparto di artiglieria che doveva essere di stanza sull'isola durante la prima guerra mondiale. La scritta, invece, mi ha lasciato perplesso, specie la frase finale. Voi che ne pensate?

 

sam0584dg.jpg

Modificato da Rostro
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Molto interessante...

"Qui non si gode immunità" era una frase di avviso...Le chiese erano normalmente zone in cui si godeva di "immunità" cioè non si poteva essere arrestati ( hai forse presente Fra' Cristoforo nei Promessi Sposi).

La targa avverte che quella non ha evidentemente lo "status" giuridico adatto, quindi inutile rintanarsi lì sperando di cavarsela.

 

Ma chi è questo GLE (Generale, suppongo) di Real Ordine (?) Caco Don Oronzo Ciura Emo?

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Ma chi è questo GLE (Generale, suppongo) di Real Ordine (?) Caco Don Oronzo Ciura Emo?

 

Ho cominciato a fare qualche ricerca: Don Oronzo Ciura era un Canonico (Caco) tarantino. La D puntata potrebbe significare Diacono. Emo potrebbe significare Eccellentissimo. La faccenda è intrigante...

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Il fregio con cannoni e moschetti incrociati è quello dell'artiglieria da costa istituita già dal 1873 nell'ambito dell'artiglieria da fortezza. Da informazioni reperite in internet (soggette ovviamente ad auspicabili precisazioni e/o integrazioni) risulta che a Messina dal 1911 aveva sede il 4° reggimento di artiglieria da fortezza che era composto da quattro gruppi, il primo dei quali era di stanza a Taranto (come ci conferma la cartolina qui sotto trovata su internet).

Il sistema di difesa costiera della piazza di Taranto a quel tempo annoverava i due cannoni da 400 mm della Torre corazzata girevole Umberto I sull'isola di San Paolo, gli obici da 280 mm della batteria Saint Bon in zona Lama, i cannoni della batteria San Vito e gli obici da 280 mm della batteria situata sull'isola di San Pietro.

 

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  • 4 years later...

Posto nuovamente le due foto che non erano più visibili e vi metto al corrente su quello che ho scoperto a proposito della scritta misteriosa.

 

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Ma chi era questo Caco Don Oronzo Ciura Emo Gle?

Inizialmente, in mancanza di elementi concreti e di fonti da consultare, ho preso a snocciolare ipotesi senza controllo. L’unico dato certo emerso da internet grazie al C.te Argo75 (un tal Canonico Arcidiacono Oronzo Ciura di Taranto viene nominato in un atto di successione del 1809 presso l'archivio di Stato di Lecce) si limitava a farci sapere che Oronzo Ciura era un uomo di Chiesa, un Canonico tarantino appartenente ad una delle famiglie più ricche e più in vista della città (l'abbreviazione CACO ce ne dà la conferma). Conseguentemente, la lettera D puntata autorizzava a pensare alla parola Don che, di norma, precede il nome degli uomini di chiesa.

Chiarito questo primo e, tutto sommato, facile punto, occorreva avventurarsi nell’interpretazione delle due abbreviazioni seguenti che, con ogni probabilità, si riferivano alla qualifica o a un titolo del nostro prelato: EMO e GLE.

EMO sta per eccellentissimo? Oppure, eminentissimo? GLE sta per Generale? Ma cosa c’entra un generale con un uomo di chiesa? Mistero. Mi sono lambiccato il cervello a lungo e avevo quasi rinunciato, quando alla fine mi sono detto: forse è sbagliato considerare la prima parola un aggettivo e la seconda un sostantivo.

Allora facciamo il ragionamento inverso: proviamo a considerare la prima parola, EMO, un sostantivo e la seconda, GLE, un aggettivo. E qui si è accesa la fatidica “lampadina”: in quest’ordine l'aggettivo generale può assumere un significato adatto pur se riferito ad un prelato, attribuendogli, per esempio, lo stesso senso che ha nella locuzione “direttore generale”. A questo punto occorreva scoprire cosa si nascondesse dietro l’abbreviazione EMO. Mano al dizionario, dunque, e vediamo alla lettera E quali sono i sostantivi che terminano in “mo”. La ricerca ha dato i suoi frutti perché ne ho trovato uno che mi è parso assai convincente.

La prova che non mi ero sbagliato è saltata fuori per caso e con un piccolo colpo di fortuna che, poco dopo, mi ha permesso di ricostruire tutta la storia di quella iscrizione e dell’edificio sul quale era stata posta.

Nel consueto mercatino domenicale che si svolge a Taranto mi sono imbattuto in un libro pressoché introvabile che fino a quel momento avevo visto solo citato nella bibliografia di altre opere sulla storia della città bimare: “Choerades insulae” dell’Arcivescovo Blandamura, edito nel 1925 dalla Tipografia della curia arcivescovile di Taranto.

Si tratta di uno studio approfondito sulle isole Cheradi che chiudono la rada di mar grande a Taranto: San Pietro, San Paolo e San Nicolicchio (all’epoca quest'ultima esisteva ancora, prima di essere inglobata nelle opere del nuovo porto mercantile).

Scrive il Blandamura che per liberare dai pirati l’isola di san Pietro, divenuta un comodo punto di appoggio per le loro scorrerie, il governo di Napoli aveva deciso di radere al suolo la foresta che la ricopriva. In tal modo, resa del tutto inospitale, l'isola non avrebbe più offerto alcun rifugio ai briganti. Il Capitolo metropolitano di Taranto, dopo anni di abbandono, ottenne che l’isola venisse coltivata a grano e fu così che a san Pietro si insediò una piccola colonia di contadini ricoverata attorno alla cappella dedicata a San Pietro che fu fatta edificare dall’Economo Generale D. Oronzo Ciura nel mezzo della masseria del Capitolo.

 

Per capire l’origine e la spiegazione della nostra scritta che, ricordiamolo, è del 1795, dobbiamo fare un salto indietro di oltre mezzo secolo, fino ad arrivare al 1741.

Sul trono del regno di Napoli sedeva Carlo III di Borbone, giovanissimo monarca illuminato che stava cercando di dare un’efficiente organizzazione al suo Stato. La sua politica innovatrice lo portò a scontrarsi con i due poteri forti di quel periodo nel sud Italia: il baronaggio e la Chiesa. La Chiesa, in particolare, esercitava un potere esorbitante attraverso le tre immunità di cui beneficiava: l’immunità locale, l’immunità personale e l’immunità reale.

Quella che in questa sede ci interessa è l’immunità locale che consentiva a chiunque metteva piede in un luogo sacro di godere del diritto di asilo e di sottrarsi così alla giustizia civile (e qui giusta si è rivelata l'intuizione del C.te Malaparte).

Carlo di Borbone cercò di riaffermare almeno in parte la sua sovranità rinegoziando con la Chiesa gli ambiti di queste immunità. Avviò pertanto una cauta trattativa con il Papato, e la diplomazia lavorò alacremente alla preparazione di un concordato. Il compromesso venne raggiunto con la salita al soglio pontificio di Benedetto XIV e la firma il 2 giugno 1741 del concordato tra Regno di Napoli e Chiesa di Roma. Tra le altre cose il concordato prevedeva la limitazione a solo pochi casi del diritto di asilo. E qui arriviamo all'epilogo della nostra storia. Il Blandamura, infatti, scrive che alla cappella di San Pietro, ai sensi del concordato dl 1741, il governo di Napoli negò qualsiasi diritto di asilo. L’intendenza di Lecce, poi, pretese che un suo funzionario si recasse sull’isola per constatare che il divieto regio risultasse da apposita iscrizione lapidaria. Fu così che al centro della facciata della cappella fu murata la scritta: “Di real ordine qui non si gode immunità”. A far apporre la scritta dovette provvedere l’Economo generale del Capitolo tarantino, Canonico Don Oronzo Ciura.

Nel suo libro del 1925 il Blandamura scrive: “in questi ultimi anni la lapide è scomparsa, e la cappella è stata trasformata in abitazione per militari”. Tuttavia, se la seconda affermazione è confermata dallo stemma del 4° reggimento di artiglieria da fortezza-costa che, come si vede nella foto, sovrasta la scritta, la prima affermazione ci mette di fronte ad un altro mistero…

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