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Caldaie Navali


Antonio Palmira

Messaggi raccomandati

 

In attesa di eventuali altre indicazioni del moderatore, suggerisco pero di riconcentrarsi sul tema caldaie, prima di affrontare le altre tematiche di apparato motore. Certamente oltre a quelle indicate potremmo utilmente aprire una discussione sulla sicurezza pericolosita ed errori di progettazione; gli stessi argomenti che tu hai appena citato credo vadano prima spiegati in termini generali affinche tutti i membri del forum ne capiscano le implicazioni. Se per esempio non spieghiamo esattamente cosa e come erano le OBO difficilente ci potranno seguire, e capire le necessita e complicazioni delle operazioni di lavaggio e/o butterworth

 

 

Sicuramente si! vi prego di rimanere in tema, ovvero parlare solo di caldaie in questo post.

Anche la seconda raccomandazione di Pellicano è indispensabile, Helsingor: la quasi totalità dei frequentatori del forum è assolutamente avulsa dall'argomento e necessita di spiegazioni "a prova di stupido" (con tutto il rispetto, ragazzi!) per comprendere il vostro dialogo!

Se lo reputate opportuno, invece di iniziare ex novo una discussione, ve la creo io spostando i post relativi intitolandolo "errori di progettazione"

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mi dispiace di averTi risvegliato brutti ricordi, visitai la nave a La Spezia credo nel '77, e seppi cosa le accadde alcuni anni dopo in Nord Europa. Mi farebbe piacere aprire una discussione sulla tipologia di navi OBO e Ore&oil con le implicazione sulla gestione e sulla stabilità, oltre a quella promessa sulle turbine a vapore di propulsione che fu anche oggetto della mia tesi, appena gli impegni lavorativi me lo consentiranno.

Tornando al nostro argomento, ti posto una fotografia delle caldaie membranate che hai citato, anche loro causa di non pochi problemi durante il loro impiego a bordo, tanto che su alcune si dovette ritubarle (Officine Varco Chiappella) per rottura dei tubi. Nella fotografia si può notare alla destra dell'operaio la sagomatura dei tubi bollitori per permettere l'inserimento della testa dei 5 bruciatori a caldaia completata. In questa tipologia di caldaie i bruciatori erano posti sul cielo della stessa e non frontali come negli schemi analizzati precedentemente.

 

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Caldaia pronta per l'imbarco

 

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Grazie totiano, credo anch' io che ci si debba muovere cautamente, con moderazione, per portare ad un maggior livello di conoscenza base e quindi stimolare la diretta partecipazione, domande e non solo letture

Va bene aprire un post su assurdita ed errori di progettazione, ma direi di lasciarlo aperto e alimentarlo dopo aver esaurito la scaletta base che avevi tracciato

Il duetto con Helsingor e' avvincente, appena arrivo in Italia cercehero di incontrarlo magari per impostare un lavoro a quattro mani e doppio archivio, ma non puo essere esclusivo degli altri fequentatori

Dopo questi incisi quasi personali Domani cerchero di postare una ulteriore parte piu' didattica e comprensibile, di caldaie navali

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Gli a.m. a vapore della MMI nell' ipotesi di guerra nucleare

Parte seconda: la difesa NBC ed il telecomando

 

A partire dagli anni 60 la pratica di difesa NBC, nucleare, batteriologica e chimica, consisteva nel pressurizzare l' interno della nave, con un battente positivo di 20/25 mm hg, immettendo aria filtrata attraverso appositi sistemi purificatori, batterie che per semplificare diciamo a carbone attivo, in grado di trattenere il micro pulviscolo del fall out radioattivo, o neutralizzare gli agenti chimici o batteriologici, mentre tutta la nave operava sotto un "ombrello" protettivo e decontaminante di acqua nebulizzata prodotto da spruzzatori diffusi su tutti i ponti e le sovrastrutture, alimentati dal circuito antincendio ad alta pressione.

Era ed e' il concetto di cittadella

Tutto bene, tutto bello, ma come si doveva fare con gli apparati motore, che necessitano come comburente e come refrigerante di grandi volumi di aria che ovviamente non puo' essere filtrata, e diventa così non solo un veicolo ma un accumulatore del fall out, radioattivo o batteriologico o chimico?

Soprattutto cosa si doveva fare con il personale che DOVEVA NECESSARIAMENTE presidiare ed operare le caldaie, il luogo a circolazione d' aria per antonomasia?

I locali caldaie erano considerati alla stregua dei ponti scoperti, locali contaminati, al di fuori della cittadella ed il personale avrebbe dovuto(!!!) operare con maschere e tute stagne in ambiente ad alta temperatura, a turni ridotti, per poi essere sottoposto alle procedure di decontaminazione ogni volta che smontava; Soluzione rischiosa,poco credibile che di fatto creava posizioni ad altissimo rischio, se non addirittura ad ipotizzare personale sacrificabile.

Sugli altri tipi di a.m. si arrivo' ad ipotizzare ed a sviluppare rapidamente impianti di telecomando totale mentre enormemente piu' complesso risultava il telecomando delle caldaie, basti pensare ad un esempio, il cambio dei polverizzatori.

Le caldaie, ed in genere tutto il complesso dell' apparato a vapore, erano il sistema più automatizzato in quanto a controllo ma erano anche il piu lontano e difficile dal telecomando, anche per la sensibilità del presidio umano, unico per assicurarne l' affidabilità.

Non dimentichiamo che siamo ancora lontani dall' era digitale. .... sia in termini di telecontrollo che di telecomando; gli automatismi erano ad aria compressa,delicatissimi (sistema Hagan), i telecomandi e gli azionamenti erano elettrici e/o pneumatici (nulla oleodinamico con olio in pressione per l' alta pericolosità dell' olio in pressione agli effetti dell' incendio, come dimostro' un catastrico incidente all' AM della Michelangelo).

Nella MMI, ma anche caso importante a livello internazionale, si arrivo' al telecomando solo con Audace ed Ardito, che probabilmente nella storia navale rappresentano la punta più alta (e finale) degli apparati motore a vapore, un risultato ottimale, felice, ma fuori tempo massimo.

Per inciso la MMI fu indecisa se realizzare queste unita' (le ultime prima della Legge Navale) a vapore od a gas: le licenze e le capacita industriali, anche innovative, erano disponibili, esisteva gia un' esperienza operativa propria, consolidata e positiva, della MMI in materia di TAG ma ancora una volta si ripresento' il ricorrente vizio italiano delle commesse assegnate sulla base di lobbies politico affaristiche che dovevano coprire incapacità di innovazione , adeguamento impianti, e aggiungo rinnovamento della classe dirigenziale dei cantieri e dell' industria.......

La scelta fu tradizionale,tirata per i capelli, ma almeno si produssero delle ottime navi. .... Pensate che ciascuna delle centrali dei due AM dell'Ardito aveva come strumentazione 400 punti di controllo di funzionamento e circa 240 possibilità' di intervento in telecomando, in un momento in cui l' era digitale era fantascienza: centinaia di chilometri di cavi e tubicini di rame, che alimentavano tre centrali ( Pr - sn, Pp - dr, CP, centrale di propulsione) oltre i quadri locali. Un rompicapo che metteva duramente a prova il personale, a cui si richiedeva la conoscenza perfetta del sistema, funzioni e percorsi, ed una costante capacita' di intervento correttivo e manutenzione, in ogni condizione di mare.

Il Veneto aveva un sistema simile, un po meno sofisticato ed ovviamente con relativamente migliori condizioni di accessibilità per i maggiori spazi a disposizione.

Inviato da Ipad

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Purtroppo impegni di lavoro mi hanno tenuto lontano dal forum, volevo continuare la piacevole discussione postando un documento di uno zio che fu imbarcato sulla RN Zara relativo alla conduzione delle caldaie, sperando di fare cosa gradita ai lettori.

https://www.dropbox.com/s/jq4iyqfh8vwwdi2/doc03618520150827141622.pdf?dl=0

https://www.dropbox.com/s/jl1tjhezs2e1ek8/doc03618820150827142733.pdf?dl=0

Modificato da Helsingor
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Certo, inseritelo nella biblioteca. Appena possibile scannerizzerò anche altri documenti sempre avuti in eredità dallo zio meccanico navale purtroppo perito sulla RN Zara a Capo Matapan.

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Lo ho letto tutto di un fiato! Finalmente un manuale pratico, molto diverso dai freddi testi di teoria sulle caldaie.

Qui si ha un esauriente spaccato del duro compito dei fochisti; si comprendono le fatiche del del personale in presenza di elevate temperature (la pulizia dei forni, le riparazioni ai fasci tubieri...) ed è quasi avvertibile l'odore del fumo e della combustione della nafta.

Un testo di pregio che non può mancare in biblioteca digitale.

Modificato da danilo43
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Evoluzione delle caldaie nella RM a partire dagli anni 30, in servizio nella MMI sino agli anni 60.

Se esaminiamo gli ultimo cinquant’ anni di vita del vapore nella MMI, limitandoci alle sole navi di linea e maggiori, si possono identificare due “famiglie” di apparati, quelle di concezione e matrice inglese (caldaie Ammiragliato) adottate dalla RM, e quelle di matrice e concezione USA adottate dopo la guerra dalla MMI, sia per le navi cedute dalla US Navy sia per le nuove costruzioni.

La prima “famiglia si riferisce alle caldaie triangolari (definite Regia Marina) a tre o quattro collettori, con surriscaldatore.

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CALDAIA TIPO R.M. /MMI a 3 collettori con surriscaldatore - Schema 1-1

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CALDAIA TIPO R.M. /MMI a 3 collettori con surriscaldatore - Schema 1-2

Gli schemi precedenti riguardano l’ apice dello sviluppo prebellico della produzione italiana (30 anni di evoluzione che alla fine segnava già un distacco da altre Marine), produzione segnata da una certa miopia dell’ industria, ma anche condizionata dalla scarsità nel paese di acciai di elevata qualità, scarsità ancora più acuta per manufatti quali tubi e collettori (con il difficile passaggio per questi dalla chiodatura alla saldatura, che avrebbe permesso pressioni di esercizio più elevate e macchine piu leggere).

Per inciso la forma triangolare delle caldaie di concezione e matrice inglese deriva dalla più antica combustione a carbone, con la possibilità di alimentare la fornace in contemporanea da due fronti).

Schematicamente la caldaia è costituita da collettori di acciaio, collegati tra loro da fasci di tubi di acciaio (per quanto possibile ad elevata resistenza); tra i fasci tubieri è ricavata la camera di combustione rivestita internamente, soprattutto nelle zone non interessate da tubi da uno o più strati di mattoni refrattari, sigillati con pasta refrattaria.

L’ acqua di alimento – ad elevata pressione, ovviamente superiore alla pressione di esercizio della caldaia, i riferiscono – tramite apposita pompa di elevate caratteristiche ed affidabilità, arriva al collettore superiore tramite uno o più tubi, collegati e terminati in modo da poter distribuire uniformemente l’ acqua di alimento, relativamente più fretta di quella già in ciclo nella caldaia.

L’ esigenza fondamentale è quella di mantenere l’ acqua in caldaia a livello il più possibile costante, agendo sulla mandata delle(e) pompa(e) di alimento: l’ operazione, controllata attraverso i livelli, è stata via via oggetto di automazione. Risultano con acqua (stato liquido) sia i fasci tubieri che i collettori inferiori.

Il calore trasmesso dalla camera di combustione ai fasci tubieri, nell’ operare la vaporizzazione dell’ acqua la mette in movimento (effetto termosifone) obbligandola a salire nei tubi più esposti alla fiamma ed a scendere in quelli più lontani, relativamente più freddi.

Al variare dell’ attività di combustione e della produzione di vapore, il numero di tubi (o meglio file di tubi) in cui si verifica il moto ascensionale può variare, in aumento o diminuzione. Per assicurare in qualsiasi modo la discesa verso i collettori inferiori anche con forte attività di combustione, e quindi con una numero maggiore di file di tubi impegnate nel moto ascensionale, le caldaie sono dostate di una serie di tubi di maggior diametro sistemati esternamente alla camera di combustione, se non addirittura all’ esterno dell’ involucro. Questa sistemazione tipica e molto seguita nelle caldaie di matrice statunitense, era molto molto più limitata nelle caldaie di matrice inglese, tipo ammiragliato.

Il vapore prodotto si raccoglie nella sommità del collettore superiore dal quale viene prelevato tramite un sistema in grado di separare nel possibile, per un percorso che induce centrifugazione, liquido da vapore.

Il vapore cosi prelevato, vapore saturo, passa quindi al surriscaldatore che lo trasforma in gas perfetto; il surriscaldatore è diaframmato in modo da formare in pratica due camere separate, unite da un fascio ad U; il vapore saturo entra dalla parte a temperatura inferiore, perché più lontana dalla camera di combustione e viene poi convogliato attraverso alla parte a temperatura maggiore (in quelle più recenti di materiale diverso e più resistente alle alte temperature) per essere poi inviato agli utenti.

E’ importante segnalare che l’ aria comburente. In questo tipo di caldaie, viene inviata alla camera di combustione, tramite le stesse aperture dei polverizzatori, diaframmate in modo da creare turbolenza, attraverso lo stesso locale caldaie che viene mantenuto per mezzo di potenti ventilatori (elettrici in avviamento e turboventilatori a regime, in leggera sovrappressione. La sovrappressione del locale serviva anche a limitare la possibilità dei ritorni di fiamma.

Il combustibile veniva introdotto in camera di combustione attraverso polverizzatori meccanici, il pù largamente usato era il tipo Mejani, sistemati nella parte frontale delle caldaie e spruzzanti per opportuna miscelazione nella turbolenza appositamente creata nell’ aria comburente; il numero dei polverizzatori in uso era variabile in funzione della potenza richiesta, e nel caso di andature ridotte venivano accessi a rotazione per mantenere uniformità di temperatura.

Si utilizzava nafta densa, preriscaldata, generalmente messa in pressione con pompe a vitoni, la polverizzazione avveniva tramite piastrine rimuovibili, con fori diversi a seconda dell’ attività di combustine richiesta: le piastrine tendevano a sporcarsi ed otturarsi rapidamente per la cristallizzazione della nafta, soprattutto quando di non eccelsa qualità, ed il sistema obbligava a continui interventi manuali complicati e pericolosi, di sostituzione dei polverizzatori, per manutenzione e sostituzione delle piastrine.

Questo tipo di apparato motore, per conformazione e materiali, risultò notevolmente pesante, di notevoli dimensioni, soprattutto in pianta, penalizzando molto le costruzioni prebelliche italiane., soprattutto le siluranti dove in molti casi non si potevano istallare caldaie affiancate (sistemazione per madiere) ma solo in successione (sistemazione per chiglia).

Modificato da Totiano
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Caro helsingor,

A me i pdf, uno con il frontespizio d uno con tutto il testo, si aprono peRfettamente, scaricandoli direttamente senza passare da drop box

Il volume e' una vera chicca, testimonianza anche della cura dedicata da sempre mella Marina Italiana, RM e MMI, alla formazione del personale

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Mi trovo ad un bivio, tra la mia incapacità (o impossibilità) di postare foto e schemi e la necessità di non raffreddare la discussione.

Sperando che funzioni ho scelto la via di postare un link al mio drop box per un documento con l' intera mia nota sulle caldaie, con relativi schemi, in pdf, e di postare comunque il testo mancante a continuazione.

https://dl.dropboxusercontent.com/u/34981230/Cenni%20sull%27%20evoluzione%20degli%20AM%20a%20vapore%20nella%20MMI.pdf

 

Le problematiche trattate sono ad intregrazione di quelle già introdotte precedentemente da altri (Helsingor in particolare), che eventualmente potremmo seguire ancora, sia in questo post sia aprendone un altro sulle diverse componenti dell' A.M. sia in altra parte, come approfondimento od analisi di incidenti, sia su navi militari che mercantili (dove

assunsero proporzioni catastrofiche).

 

A continuazione il testo a completamento dei precedenti posts, scuasandomi per la complicazione

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Prima di continuare questa breve descrizione delle ultime caldaie MMI, e' opportuno ricordare che nel progetto e nella storia di questi apparati per lungo tempo si confrontarono due scuole, quella dei tubi dritti e quella dei tubi curvi, via via sempre più' sagomati; l' adozione di tubi dritti rispondeva alla prioritaria esigenza di sostituire più' facilmente, anche con mezzi di bordo, tubi scoppiati ed usurati (eliminando perdite di vapore) in un' epoca in cui non erano disponibili materiali di alta qualità, mentre l' adozione di tubi curvi e poi via via sagomati - certamente di difficile sostituzione - che permettono un maggio sfruttamento del calore in caldaia ed un efficace controllo del passaggio dei gas caldi di combustione corrisponde alla progressiva disponibilità di tubi di acciaio speciale e di alta resistenza al calore.

La pratica di sostituzione dei tubi con soluzioni di emergenza ed addirittura con mezzi di bordo fu progressivamente abbandonata, sostituita dall' altrettanto complicata e difficile procedura di otturazione delle due estremità dei tubi usurati (operazione che comportava ovviamente lo spegnimento delle caldaie interessate, il loro raffreddamento e la loro ventilazione per accedere ai collettori, procedure successive che necessitavano di vari giorni continuativi, con pesanti ripercussioni sull' approntamento dell' unità.

 

Il passaggio al secondo tipo di caldaia, la "matrice statunitense", postbellico, limitato ai tipi FW, Foster Wheeler, segnò anche una profonda rivoluzione dell' industria italiana, colmando un gap tecnologico ultra ventennale ( come esempio la FW apri una filiale in Italia, e tutti e tre i principali costruttori di caldaie acquisirono le relative licenze e si adeguarono alle stesse).

Come si può notare dagli schemi successivi siamo di pronte a soluzioni strutturali e forme totalmente diverse da quelle già trattate in precedenza. Si è persa la conformazione a sezione “triangolare”, e siamo di fronte a caldaie più compatte, sviluppate relativamente in verticale, con ridotta superficie in pianta, nelle quali il miglior controllo del passaggio dei gas combusti permette di ridurre l' uso dei refrattari e quindi il peso della caldaia mentre le ridotte dimensioni in pianta ne permettono la sistemazione affiancate per madiere (in larghezza) anziché per chiglia (lunghezza)

 

Caldaia FW a doppio focolare (tipo DD642 e successivi di costruz. bellica, ) - schema 2-1

Questo schema viene riportato anche come riferimento ad altri tipi di caldaie adottati dalla US Navy (per esempio Aviere ed Artigliere avevano caldaie Babcock) ma Il tipo maggiormente impiegato nella MMI fu il tipo D a focolare singolo, ed a questo si fa riferimento per gli approfondimenti (schema 2-2)

 

Caldaia FW a unico focolare, tipo D (anche Caldaia FW MMI), - schema 2-2

In questo caso i collettori inferiori sono uno a sezione circolare, cui fa capo il fascio vaporizzatore principale, ed altri due, novità assoluta per l' Italia, a sezione quadrata cui sono collegati due fasci, vere proprie pareti di tubi vaporizzatori, esposte al calore di irraggiamento, che servono anche per raffreddare un fianco ed il dorso della caldaia ( ed a ridurre l' uso di materiali refrattari.

Esistono poi due altri collettori quadrati, di entrata ed uscita del surriscaldatore, di cui tratteremo in seguito: la scelta dei collettori quadrati era dovuto alla maggiore facilità di accesso e lavoro per la mandrinatura dei tubi e la tenuta dei numerosi portelli di ispezione -

 

Con queste caldaie, di costruzione nazionale, le cui varianti trovarono largo impiego nella Marina mercantile ed in costruzioni per l' estero, si colmò un gap industriale di miopia e disattenzione delle solite lobbies che dominarono le commesse del ventennio, i cui indirizzi la RM aveva inutilmente cercato di opporsi: tra il 1937 ed il 1940 si svilupparono una serie di studi del GN sugli a.m. delle contemporanee costruzioni estere, a cominciare dai transatlantici che in realtà tutti avevano a.m. di derivazione militare. Costruzioni all' altezza dei tempi, caldaie dove temperature e pressioni erano molto elevate e comportarono l' adozione di accorgimenti costruttivi e soprattutto di acciai speciali resistenti ad alte temperature finalmente resi disponibili dall' industria nazionale.

 

Una grande novità fu la modalità con cui veniva introdotta in caldaia l' aria comburente; prelevata dai ventilatori ( elettrici e turbo) non veniva immessa in locale ma sospinta in una intercapedine che circonda tutta la caldaia. In tal si ottennero i vantaggi di preriscaldare l' aria comburente, di contribuire al raffreddamento della struttura e quindi ridurre pesi e volumi di refrattari ed isolamenti, ma anche di evitare la sovrappressione del locale caldaie, reso così più abitabile per il personale ma anche di maggiore semplicità costruttiva eliminando le garitte di accesso che dovevano compensare la differenza di pressione con gli altri locali navi. Anche se concepito per altri fini, rendimento termico e riduzione pesi, è evidente il contributo di tale sistemazione per ridurre (anche se non eliminare), la contaminazione in ambiente dei locali in condizioni di guerra NBC .

 

Caldaia FW a unico focolare, tipo D (anche Caldaia FW MMI), - schema 2-3

Vista in assonometria; notare la complessità delle guarniture del collettore superiore

 

In quanto alla sequenza e percorsi dei fluidi, l' acqua di alimento prima di essere immessa nel collettore superiore percorre un fascio di tubi alettati, detto economizzatore, sistemato all' uscita della caldaia, verso il fumaiolo, che recupera il calore dei gas allo scarico. Un fascio tubiero comunque molto sollecitato dovendo sopportare le pressioni di spinta delle pompe di alimento, che ovviamente devono mandare ad una pressione superiore a quella di esercizio della caldaia (pressioni dell' ordine superiore dei 50 kg/cmq)

Come tutte le parti e componenti delle caldaie, occorre tener conto degli spostamenti per dilatazione, più complicati e difficili da affrontare quando siamo in presenza di materiali di diversa natura.

 

Come indicato nell' assonometria precedente, 2-3, uno degli elementi costruttivi tipici di queste caldaie e' la complessità del collettore superiore, assolutamente diverso dal caso della "matrice inglese" : e' condizione necessaria ed indispensabile che il vapore (saturo) prelevato per il passaggio nel surriscaldatore sia privo di gocce, acqua allo stato liquido. L' eliminazione dell'acqua trascinata dal vapore saturo avviene obbligando il vapore stesso ad un tortuoso percorso, prima attraverso dei separatori a ciclone ( separazione centrifuga) e poi attraverso filtri a lamelle (separazione meccanica).

 

Il surriscaldatore e' costituito da due fasci di tubi ad U, sistemati orizzontalmente, intestati su collettori quadrati posizionati parallelamente in verticale.

Questa e' una delle grandi differenze rispetto ai surriscaldatori delle caldaie RM che generalmente avevano un unico collettore diviso longitudinalmente in due camere grazie ad un diaframma .

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Caldaia FW tipo D - schema surriscaldatore - schema 2-4

Tale sistemazione permette l' adozione di materiali differenziati, più idonei, nel caso in esame il collettore di uscita, a più elevata temperatura, e' costruito in acciaio al cromo-molibdeno.

 

In questi tipi di caldaie, e direi ad ulteriore complicazione ed affollamento del collettore superiore, e' sistemato un desurriscaldatore, costituito da un tubo ad U posizionato nella parte bassa per tutta la lunghezza del collettore , in modo da rimanere sempre immerso nel liquido.

Tale apparecchiatura ha una duplice funzione: la più importante e' quella di mantenere costantemente un flusso di vapore attraverso il surriscaldatore, anche nel caso di variazioni di andatura e fermata dei principali utenti, le motrici.

E' necessario preservare il surriscaldatore, posizionato nella zona più critica della caldaia: il passaggio del vapore saturo attraverso il surriscaldatore assorbe calore ed esercita una funzione refrigerante nei confronti del fascio tubiero , posizionato in un ambiente con temperature oscillanti tra 900 e 1200*C.

La seconda funzione del desurriscaldatore, operativa, e' quella di abbassare la temperatura di parte del surriscaldato da 450*C a circa 300*C: con tali temperature e con pressione ridotta, tramite valvola riduttrice, a circa 30 kg/cmq.

 

Tali misure sul ciclo portano a condizioni ottimali del vapore destinato all' azionamento dei macchinari ausiliari, permettendo che gli stessi siano di costruzione più leggera senza dover sempre ricorrere aad acciai speciali e strutture rinforzate; questa misura comporta comunque un miglioramento del rendimento del ciclo; il calore in eccesso viene in tal modo recuperato cedendolo all' acqua di alimento, in cui il desurriscaldatore e' immerso.

 

Il circuito del vapore con caldaia FW - schema 2-5

 

Lo schema indicato, con il particolare del riscaldatore nafta, si riferisce al periodo sino agli anni 70, quando il combustibile per le caldaie navali (diverso e più “raffinato” da quello delle unità mercantili, in quanto più fluido) era il Navy Twenty Point ( codifica NATO) sostituito poi, in fase finale dell’ era del vapore, dal gasolio, non tanto come misura ecologica quanto da esigenze di standardizzazione logistiche di “combustibile unico”.

Anche se di breve durata nella vita operativa della MMI, si trattò di un passaggio sostanziale, con importanti modifiche al ciclo ed alla condotta delle caldaie e degli apparati ausiliari.

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Considerazioni sui rendimenti e la rischiosità di questi tipi di caldaie

Il passaggio dalle caldaie di “matrice inglese” Tipo RM/MMI alle caldaie di “matrice statunitense” Tipo FW, il tipo standardizzato sulle unità MMI della ricostruzione postbellica, fu reso possibile dall’ introduzione nell’ industria nazionale di nuove tecnologie, nuovi impianti, nuove tecniche di lavorazione e dal costante miglioramento delle caratteristiche meccaniche e metallurgiche dei materiali resi disponibili dalla siderurgia nazionale per la costruzione dei generatori di vapore: il ricorso a materiali importati fu minimo e ridotto a casi di economia di scala nella richiesta, tale da non giustificare l’ avvio di una produzione nazionale anche se ne esisteva la possibilità (ad esempio casi isolati di pannelli di acciaio al cromo per il convogliamento dei gas di scarico).

 

Le nuove caldaie permisero aumenti di rendimenti sino a valori prossimi sino allo 0,9 (!!!), grazie ad uno sfruttamento ottimale del calore sviluppato, per l’ aumentata pressione del flusso di aria comburente, diminuzione delle sezioni di passaggio dei gas combusti, riduzione del volume delle camere di combustione (o fornaci), aumento nella percentuale di superficie riscaldante irradiata, incremento della velocità dei gas combusti, tutti fattori che comportano l’ aumento del coefficiente di trasmissione del calore.

 

Le caldaie sono risultate meno ingombranti anche per l’ adozione di bruciatori molto efficienti che permettevano di bruciare efficientemente grandi quantità di combustibile (all’ epoca nafta), molto compatti ed in grado di adeguarsi rapidamente alle richieste per variazione di andatura (pericolose quelle in riduzione): le caldaie stesse – per i ridotti volumi di acqua in ciclo – potevano adeguarsi rapidamente alle necessità di produzione di vapore.

 

In base alla tardiva conoscenza delle esperienze tedesche e sufficiente edotti dei tentativi statunitensi, esistevano conoscenze e condizioni teorico/tecniche per ulteriore miglioramento delle prestazioni dei generatori, sia come processo sia in relazione alla sempre nuova e migliore disponibilità dei materiali impiegabili, ma la MMI puntò sull’ affidabilità e durata, visto che tali teorici miglioramenti si sarebbero tradotti oltre che in un incremento dei costi di acquisizione ed installazione ed una complessità dei circuiti e delle installazioni non sempre favorevole in una unità militare e negli spazi disponibili, oltretutto con maggiori difficoltà di condotta.

Già nelle caldaie FW tipo D, e nel ciclo illustrato, le prestazioni raggiunte rendevano la condotta difficoltosa nelle continue variazioni tipiche di una nave militare, ed imponevano grande specializzazione ed esperienza da parte del personale addetto ed il continuo adeguamento delle apparecchiature di controllo, automazione e sicurezza.

 

Come semplice riferimento ed esempio di queste difficoltà tipiche dell’ impiego navale (militare) , le caldaie imbarcate sui CCTT, basta ricordare che il collettore superiore, a livello, conteneva circa 1000 Kg di acqua e che un improvviso consumo e la diminuzione di livello corrispondente a soli 400 Kg portava a scoprire i legamenti dei primi fasci vaporizzatori , con gravi problemi di surriscaldamento e pericoli di avarie ed inutilizzazione della caldaia. Il tempo per vaporizzare 500 Kg di acqua era di circa 20” , e tale era quindi il lasso di tempo a disposizione degli operatori non solo per percepire la diminuzione di livello ma anche per attuare i provvedimenti necessari e ripristinare i livelli. Un minimo di ritardo, ed un sempre possibile errore, avrebbe compromesso irrimediabilmente la caldaia; non basta certo dotare la caldaia di automatismi capaci di intervenire in tempi infinitesimi per agire su diversi fattori ed azioni (regolazione dell’ alimento, flusso d’ aria, combustibile) per ottimizzare ed adeguare la combustione, ma bisogna contare su personale allenato a gestire in qualsiasi modo l’ operazione.

 

Le evoluzioni dell’ era del vapore hanno sempre giocato su fattori multipli e valori infinitesimali che portavano al miglioramento del ciclo, a maggiori rendimenti e pertanto ad una apparente diminuzione dei costi operativi (anche se a fronte di una maggiorazione dei costi costruttivi), è stata la strada seguita molto anticipatamente, forse precipitosamente, dalla Reichsmarine e poi – dopo le primi crisi energetiche – dagli armatori privati. Tipico è il caso degli spilla menti progressivi di vapore durante l’ espansione che anziché andare a cedere il suo contenuto termico nel condensatore lo riportava direttamente nell’ acqua di alimento, ma l’ implementazione di tali processi ha portato a tante e tali complicazioni nell’ impianto (maggiori tubolature, preriscaldatori, valvole, automatismi, ecc) tali da non renderli convenienti per impianti navali (militari), primariamente per ragioni di peso ed ingombro, secondariamente per ragioni di manutenzione.

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Vorrei continuare la discussione scusandomi innanzi tutto per la mia assenza dal forum per ragioni di lavoro e agganciandomi alle pregevoli osservazioni di Pellicano sul sistema di alimento di acqua in caldaia. Nelle caldaie Cilindriche tipo Cornovaglia a tubi di fumo, la massa d’acqua contenuta era tale che permetteva un controllo del livello “a vista “ con una alimentazione dell’acqua spesso effettuata in modalità discontinua, inoltre con l’alimentazione dei forni a carbone l’inerzia termica sopperiva ai transitori generati dalle variazione di regime. Nelle caldaie a tubi d’acqua, perfettamente descritte nei post precedenti di Pellicano e come da lui evidenziato il livello della caldaia doveva essere costantemente monitorato e regolato a seconda delle varie andature e soprattutto durante le manovre. Le caldaie nei primi anni del ‘900 erano ancora viste come oggetti molto pericolosi e con ragione, infatti nei primi sette anni del secolo scorso, negli USA avvennero 368 esplosioni con 1466 vittime tra morti e feriti gravi. Le caldaie esplosero per la maggior parte a causa di mal funzionamento delle valvole di sicurezza a contrappeso (non vi erano normative unificate in merito) e per errori nella conduzione da ricercare soprattutto nella mancata vigilanza del livello di acqua in caldaia. L’ errore fatale più frequente era nel caso di livello troppo basso nel corpo cilindrico di alimentare con acqua per ripristinarlo, l’acqua a contatto con le parti “arroventate” si trasformava immediatamente in vapore, un kg di acqua che vaporizza a 4 bar aumenta il proprio volume di circa 300 volte, quindi è facile intuire le conseguenze di una non corretta conduzione e controllo del livello. Nel Primo dopoguerra si adottarono sistemi di regolazione meccanici tramite galleggiante, in Italia si hanno i primi regolatori pneumatici Spriano intorno agli anni ’30. Come già detto in precedenti discussioni, la qualità dell’ aria compressa strumentale lasciava molto a desiderare, inficiando il funzionamento della strumentazione pneumatica e rendendola poco affidabile. Il secondo problema era comunque sulla parte meccanica delle valvole di regolazione, infatti anche se il sistema attuativo era perfetto si avevano comunque problemi di tenuta e funzionamento, dovute ad erosioni o dalle differenze di pressioni tra le camere.

 

Le valvole offrivano poche scelte, nel senso che erano quasi tutte valvole a globo con la possibilità di avere singola o doppia sede. Tipiche erano le valvole Mason-Neilan, con otturatore guidato sopra e sotto, reversibili e con la possibilità di avere l’otturatore contoured o V-port.

 

 

 

https://www.dropbox.com/s/boz9wl1v18kep5x/valvola%20bilanciata.jpg?dl=0

 

 

Otturatore bilanciato

 

https://www.dropbox.com/s/lbcwurihx73oecq/valvola%20contour.jpg?dl=0

 

 

Otturatore bilanciato con gabbia

anticavitazione e/o riduzione rumore

 

 

 

Le valvole a doppia sede erano bilanciate. Per servizi più impegnativi esistevano valvole a singola sede, con otturatore guidato dall’alto soltanto.

Ad ogni dimensione corrispondeva un Cv (coefficiente di efflusso) a seconda del tipo di valvola prescelto ed era possibile ricavare grossolanamente il Cv con un semplice calcolo che consisteva nel moltiplicare per un certo coefficiente il quadrato del diametro espresso in pollici. Ad esempio per le valvole a doppia sede il coefficiente era circa 12.

I problemi legati al comportamento dei fluidi all’interno delle valvole erano poco noti e i coefficienti correttivi ancora meno. Per il dimensionamento bastava un regolo specifico che tutti i costruttori di valvole potevano fornire: il risultato era di solito abbastanza ben utilizzabile senza dare particolari problemi. La cavitazione era un problema non ancora studiato, mentre per il flashing, indipendentemente dalla sua entita, veniva suggerito di utilizzare una valvola superiore di un diametro a quella calcolata.

Uno sviluppo interessante fu introdotto da Hammel Dahl verso la meta degli anni ‘60 quando presento una valvola a gabbia per elevati ΔP con la gabbia provvista di fori contrapposti in modo da far scontrare i getti che da questi provenivano. In questo modo la dissipazione di energia veniva in gran parte eliminata tra sede e otturatore riducendo drasticamente i problemi di erosione.

L’introduzione delle valvole a gabbia che, a parità di dimensione del corpo, possono avere Cv molto diversi e in qualche modo personalizzabili ha portato all’esigenza di un dimensionamento più accurato, con programmi di calcolo eseguibili da PC, con verifica immediata di condizioni di cavitazione o di flashing e la possibilità di cambiare la geometria della valvola per superare questi problemi.

Anche il rumore, che molti anni fa era subìto come un evento non modificabile, oggi contribuisce nella scelta del tipo di valvola più adatto, nella consapevolezza che una valvola rumorosa e una valvola che darà problemi.

Spero fare cosa gradita pubblicare un manuale in uso alla RM negli anni ’30, come quello precedentemente postato, che descrive il regolatore di livello automatico modello Mumford utilizzato sulle navi della RM nel periodo tra le due guerre, se gli amministratori vorranno spostarlo nella sezione Biblioteca potrà essere consultato da quanti interessati all’argomento.

https://www.dropbox.com/s/q8ln7hoh0sn76ya/autoregolatore%20alimentazione.pdf?dl=0

Modificato da Helsingor
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  • 2 weeks later...

grazie ai preziosi suggerimenti ricevuti spero che si possano vedere le immagini che ho caricato senza ricorrere al dropbox

 

LE CALDAIE MMI ( anteriormente R.M.)

Contale definizione si indicava il tipo di caldaia – a tubi d’ acqua sub verticali – impiegate sulle navi della MMI sino agli 70, il cui apparato motore fosse stato costruito prima del 1945 (comprendeva anche San Giorgio e Sam Marco, ricostruite nel dopoguerra). Si trattava di caldaie triangolari di tipo inglese, Ammiragliato (Tanto tipo Yarrow come tipo Thornicroft) e pur avendo spesso forme diverse presentavano le stesse caratteristiche principali di funzionamento.

A continuazione la foto di una di queste caldaie, a 5 collettori, al momento dell’ imbarco (la caldaia è priva di molte parti, ma in particolare della cassa d’ aria di cui a continuazione:

2jf0yf5.jpg

 

Lo schema di questa caldaia è riportato a continuazione, mettendo in evidenza tanto il percorso del vapore quanto la presenza di murature refrattarie. 2whgodw.jpg

 

 

Tali caldaie, che in varie versioni sono state lo standard delle costruzioni navali italiani dagli anni 30 e quindi delle unità che sono state impiegate nella 2ìgm, hanno prestazioni molto inferiori a quelle delle caldaie FW poi impiegate in Marina ma soprattutto hanno un peso molto superiore, il doppio in certe versioni.

Visto che le caldaie sono l’ apparato più grande e pesante tra quelli imbarcati, e visto che l’ esponente di peso dell’ a.m. era preponderante sulle navi italiani prebelliche nelle spasmodica ricerca di alte velocità, risulta evidente come la scelta di apparati - ormai già superati al momento della costruzione di tali unità – fosse uno dei fattori critici delle inadeguatezze riscontrate.

I componenti e le strutture risultavano chiodati, compresi le chiusure dei collettori, altro fattore che contribuiva all’ incremento di peso.

In queste caldaie i fasci tubieri non proteggevano tutte le pareti della camera di combustione, con estese parti che rimanendo scoperte dovevano essere protette da materiale refrattario, in particolare il dorso e la parte inferiore delle pareti laterali. Al momento della loro costruzione non esistevano praticamente cementi refrattari e si ricorreva a mattoni refrattari, con la complicazione che in alcune zone anguste o particolarmente conformate era necessario ricorrere a mattoni sagomati (p.e. il caso dei coni dei bruciatori), costosi, pesanti, di difficile fornitura. La necessità di mattoni refrattari e la pratica di esagerare nel loro uso contribuiva all’ eccessivo peo di queste caldaie.

Dallo schema precedente va notato che la posizione dei fasci vaporizzatori ed il flusso dei gas combusti è tale da permettere ai gaso combusti di lambire dai due lati il collettore superiore (duplice cassa a fumo). Questo complicava molto la sistemazione ed impegnava notevole spazio (ed aperture nei ponti). Tale percorso dei gas difficoltava l’ installazione degli economizzatori, che avrebbero dovuto essere doppi, con il risultato che generalmente si preferì non installarli e ricorrere al preriscaldamento dell’ acqua di alimento con vapore di scarico.

La conseguenza di queste difficoltà e degli interventi correttivi, vere limitazioni sul ciclo termico e sul ciclo vapore, ebbe pesanti ripercussioni sul rendimento delle caldaie, e quindi sui consumi, e pertanto sull’ autonomia.

Il tiraggio forzato di queste caldaie avveniva pressurizzando lievemente i locali, secondo lo schema a continuazione, con notevoli complicazioni anche per la vita a bordo, per il personale, e per l’ uso di spazi oltre che per un’ ulteriore aumento dei pesi:

33wbmag.jpg

 

L’ aria comburente veniva immessa in caldaia attraverso il frontale della caldaia . Tale frontale era chiamato “cassa d’ aria”, suddivisa in multipli compartimenti chiamati cassonetti.

La foto a continuazione evidenzia quanto complicata e voluminosa fosse la cassa d’ aria

2eulcax.jpg

 

I compartimenti erano almeno pari al numero dei bruciatori, in molti casi di più.

Ogni cassonetto era munito di due portelli orizzontabili regolabili per il controllo della quantità d’ aria, mentre i polverizzatori penetravano per un tratto nei cassonetti; all’ interno di ogni cassonetto si trovavano dei diaframmi e dei condotti troncoconici coassiali alle canne dei bruciatori ; in questo modo si generavano due flussi di aria comburente, una definita primaria che investiva il getto di carburante all’ inizio della combustione , ed un’ altra definita secondaria che passava tra il esterno ed il bordo dell’ apertura in caldaia in modo da creare turbolenza e migliorare le condizioni di combustione.

2n9euz8.jpg

 

Come si vede un sistema estremamente complicato, che precludeva ogni possibilità di controllo automatico della combustione, obbligava ad un’ oculata condotta manuale bruciatore per bruciatore ed imponeva la presenza in caldaia di numerosi fuochisti, che operavano in condizioni difficili sia per il calore sia per i disagi propri di un locale in pressione.

La sistemazione con garitte non permetteva poi il rapido abbandono dei locali in caso di incidente.

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  • 2 weeks later...

Ritengo vada fatto un rapido riepilogo di certi passaggi nonché un cenno alla “corsa” del vapore (o delle caldaie) che ebbe il suo apice negli anni trenta, combattuta tra vari gruppi industriali, potenti lobbies internazionale che agivano trasversalmente in vari paesi (compresa la non “navale” Svizzera) e coinvolsero, in certi successi ma anche in numerosi e drammatici sbagli, le principali Marine, senza che né l’ industria italiana nè la Regia Marina neppure si affacciassero al balcone di questa tenzone, con pesanti ripercussioni sulle costruzioni italiane dell’epoca.

 

La stagione dei trattati navali, a cominciare da quello di Washington, impose un ripensamento delle costruzioni navali, con nuovi concetti di distribuzione dei pesi, soprattutto con l’ alleggerimento dei componenti più pesanti e di maggiori dimensioni, quelli dell’ apparato motore (esponenti di peso più equilibrati, in un quadro di rigide limitazioni del dislocamento totale che imponeva dare maggior enfasi a protezione ed armamento)

 

Abbiamo già detto che la necessità di disporre di apparati motore di grande potenza, mancando di fatto alternative affidabili, impose e generalizzò la propulsione a vapore (turbine) e lo studio e sviluppo di cicli di elevato rendimento (basso consumo) che permettessero anche la riduzione dei pesi, soprattutto dell’ elemento più pesante ed ingombrante, la caldaia, possibilmente riducendone il numero a bordo grazie a maggiore e migliore erogazione del vapore. Particolare attenzione e requisito fondamentale, oltre all’ affidabilità del generatore, era rivolta ai tempi di approntamento ed alla facilità di condotta .

 

L’ attenzione sulla condotta portò immediatamente a tre “scuole”,

  • quella inglese che prendeva prioritariamente in considerazione due aspetti, la mancanza di operatori preparati e la larvata possibilità di utilizzare diversi combustibili,
  • quella tedesca che per ridurre i pesi ed ottenere prestazioni elevate anteponeva a qualsiasi altra considerazione la sofisticazione delle caldaie e del ciclo (ed in operazioni si confrontò con serissimi problemi, sia ignoti, sia noti, come quello dell’ impreparazione degli operatori),
  • quella statunitense che alla fine puntò tutto sull’ affidabilità dei componenti, e sulla necessità di condurre operazioni continuative ed estremamente prolungate con personale mediamente preparato, comunque in generale più preparato di quello di altre Marine (operazioni continuative di sei mesi in mare da parte di unità sottili non furono un’ eccezione nella US Navy) ;

anche altre marine, soprattutto la francese, tentarono soluzioni autonome, sino a installazioni operative, ma senza grandi successi e senza molta diffusione.

 

Abbiamo già menzionato che esistono due indici che permettono di valutare l’ efficienza e l’ottimizzazione di un AM a vapore: il peso per CV erogato, il consumo specifico (Gr per CVh), mentre semplificando all’ estremo, e quasi provocatoriamente, ogni considerazione tecnica potremmo affermare che maggiore è la pressione e la corrispondente temperatura del vapore erogato dalle caldaie, maggiore è la potenza erogabile e possibilmente il rendimento di un AM a vapore, anche se tale incremento complica il ciclo e può pregiudicarne l’ affidabilità .

 

L’ aumento della temperatura e della pressione del vapore imposero l’ uso di materiali speciali (dall’ acciaio alle guarnizioni, per esempio,) di difficile reperimento (come nel caso dell’ Italia, che dipendeva in gran parte da importazioni, anche da paesi potenzialmente avversari) e di complicata lavorazione; al di la di una colpevole miopia industriale e di una negativa pressoché totale all’ innovazione, l’ industria meccanico/navale italiana, creata su matrice inglese e basata su licenze, ed in alcuni casi investimenti, inglesi, fu presto distaccata nella corsa verso motrici avanzate e di alto rendimento ed affidabilità.

Altrettanto colpevolmente la Regia Marina non impose all’ industria nazionale radicali cambi e specifiche adeguate, anche se bisogna riconoscere che nella maggior parte dei casi la stessa Regia Marina era tagliata fuori dal circuito decisionale basato su un rapporto diretto Regime-Lobbies finanziarie/industriali, che a loro volta agivano in cartello, ripartendosi monopolisticamente certi settori produttivi.

Mentre l’ industria italiana si limitò a lavorare senza eccessivi cambi od innovazioni sulle licenze disponibili all’ inizio degli anni 30 (od addirittura precedenti), sia per le unità navali che per i transatlantici veloci che divennero l’ emblema del regime, negli altri paesi (meno nel regno Unito) si sviluppò una corsa verso l’ introduzione di caldaie di elevate prestazioni, ad alta pressione con vapore surriscaldato; le ricerche e lo sviluppo degli apparati furono facilitati da installazioni sperimentali dedicate in terra (Royal Navy e Reichsmarine), da istituti specializzati (US Navy), dall’ integrazione/ sperimentazione dei cicli su impianti di generazione elettrica terrestri, in alcuni casi sulla trazione ferroviaria (Stati Uniti).

Inutile dire che tali supporti e presupposti mancarono totalmente in Italia.

 

I traguardi di questa corsa erano molto ambiziosi e – con il senno di poi – spesso al di fuori della portata delle tecnologie dell’ epoca. Questo spiega perché molte promettenti soluzioni del momento non ebbero seguito, e neppure successivi impieghi. Paradossale è il caso delle caldaie Velox, che rappresentarono il “must” (del tutto teorico) della fine degli anni 30. Questo tipo di caldaie generò molte aspettative, al punto che molti progetti navali e mercantili furono modificati od addirittura disegnati per il loro impiego (anche tardivamente in Italia), ma in effetti tali apparati non solo non furono mai messi a punto, ma in pratica non esistevano neppure a livello di prototipo navale. Le caldaie Velox navali, caso estremo, erano una soluzione intermedia, se non di ripiego, di un percorso della svizzera Brown Boveri ( subito imitata dalla Sulzer) che dopo un decennio, agli inizi degli anni ’50 portò, alle turbogas industriali e di generazione elettrica terrestre: sono anche tuttora un esempio della spregiudicatezza commerciale (si potrebbe anche definire scorrettezza) e della manipolazione di informazioni tecniche e di un progetto molto teorico da parte di questo importante gruppo. La storia di questo progetto e della sua manipolazione meriterebbe un racconto a parte.

 

I traguardi di tutti i costruttori, in ogni paese, erano tanto ambiziosi da delineare quasi una macchina ideale, ed alcuni prefiguravano:

  • poca acqua/vapore in ciclo, non solo per ridurre i pesi ma anche per adeguare rapidamente le richieste alle variazioni di andatura (peccato che, tra gli altri limiti, gli automatismi dell’ epoca non fossero adeguati..)
  • rapido se non immediato approntamento da freddo (problema di materiali ma soprattutto di riduzione dei volumi e dei fluidi in ciclo)
  • attività di combustione, ossia combustibile bruciato per mq di superficie irradiata o volume della camera di combustione (si ricorse a soluzioni di camere di caldaie pressurizzate, che si scontrarono soprattutto con la difficoltà di disporre di turbo soffianti a gas di scarico di caratteristiche meccaniche e con materiali troppo avanzati per l’ epoca)
  • combustione perfetta con grande concentrazione della combustione –e quindi del calore – in specifiche aree della caldaia (anche in questo caso , tra gli altri limiti, gli automatismi dell’ epoca non erano adeguati, mancava uno standard dei combustibili, non potevano realizzarsi polverizzatori meccanici sufficientemente potenti e di sicuro funzionamento continuativo..)
  • Alta temperatura del vapore (necessità di acciai speciali che mantenessero resistenza e caratteristiche meccaniche ad alta temperatura)
  • Altissime pressioni del vapore (necessità non solo di acciai speciali per i componenti caldaia ma di accessori, quali guarnizioni e valvole, che mantenessero resistenza e caratteristiche meccaniche ad alta temperatura)
  • Circolazione forzata nei fasci tubieri (al contrario della circolazione naturale a “termosifone” con tubi di caduta che è quella più conosciuta). (soluzione molto complicata, teoricamente valida perché permetteva fasci tubieri orizzontali o sub orizzontali, ma richiedeva pompe di alimento - e circolazione – di altissime prestazioni sia come pressioni, sia come temperatura, sia come portata, al limite per lo stato dell’ arte dell’ epoca e di scarsa affidabilità come funzionamento continuativo)
  • Numerosi spillamenti e/o ricircoli del vapore per aumentare il rendimento, diminuire il consumo specifico e quindi aumentare l’ autonomia (estrema complicazione nei circuiti di bordo, soprattutto sulle unità navali, con influenza su volumi/spazi ed anche sui pesi).
  • Ciclo chiuso del vapore (negli apparati italiani esisteva ancora il “pozzo caldo”)
  • Ottimizzazione di tutto il ciclo vapore, con preriscaldamento di acqua di alimento e preriscaldamento aria di combustione, inserimento di un deareatore per l’ acqua di alimento (totalmente sconosciuto negli am italiani), efficienti dissalatori e stretto controllo dell’ acqua di alimento (distillata, pura, ossia senza sali e senza ossigeno libero grazie anche ad adeguati trattamenti chimici ..) .

Negli Stati Uniti dopo limitati esperimenti a bordo di poche unità su caldaie molto avanzate (si disponeva d’ altronde di una grande massa di dati grazie alla diffusissima generazione terrestre a vapore, con impianti molto moderni), a valle di un forte scontro tra i due principali costruttori, Babcock e Foster Wheeler, e della quasi imposizione dell’ onnipresente ed onnipotente studio di progettazione Gibbs&Cox, si abbandonò ogni velleità in questa corsa a prestazioni e valori estremi e si adottò uno standard di alte prestazioni ma assolutamente subordinato all’ affidabilità degli apparati, alle capacità di produzione di massa, alla facilità di condotta da parte di operatori comunque ben preparati, grazie all’ preparazione generale del paese ed alla continuità di servizio, di ruolo e di destinazione tipica della US Navy; tale standardizzazione del ciclo vapore è rimasta praticamente inalterata per i successivi 50 anni, sino alla fine dell’ era del vapore.

 

La Reichsmarine puntò immediatamente su caldaie ad altissima pressione (sino a 160/190 Kg cmq) ed alta temperatura (sino a 680°C), che avrebbero permesso apparati motore leggeri e potenti per le unità minori, ma si scontrò sempre con problemi di conduzione (anche per aver dismesso troppo presto le installazioni di prova in terra che avrebbero potuto trasformarsi in un centro di formazione.

La sola formazione a bordo si aggravò anche per la rapida rotazione degli equipaggi di una Marina troppo in crescita per esigenze di guerra, e le avarie si moltiplicarono; uno dei principali ostacoli, del tutto inaspettato, fu il trattamento dell’ acqua di alimento, ed i problemi della purezza dell’ acqua e del trattamento della stessa, mai totalmente risolti, furono una delle principali cause di avarie.

 

Le navi a vapore tedesche risultarono poco affidabili, per la complessità degli impianti e la loro sofisticazione, ed il fenomeno era tanto noto e temuto che la Reichsmarine puntò più di ogni altra marina sulla propulsione diesel, anche per le grandi navi (anche se la maggior parte degli apparati motore furono comunque a vapore.

Facendo un’ analisi poco più approfondita, a causa dei precedenti problemi “di dentizione”, gli equipaggi tendevano ad attribuire le colpe delle avarie al progetto ed alla qualità degli impianti di propulsione e non all’ inesperienza ed improprie procedure operative.

Si creò cosi un circuito vizioso, non riuscendo a stabilire procedure operative corrette, come nel caso dell’ acqua di alimento, le avarie tendevano a riprodursi, con unità continuamente non pronte.

I problemi erano ovviamente più acuti per le unità sottili,in particolare torpediniere e cacciatorpediniere, dove si creò il mito dell’ inaffidabilità; la causa è anche da ricercarsi nel fatto che queste erano le prime unità ad adottare i nuovi apparati, con equipaggi non adeguatamente formati sugli stessi. E’ d’ altra parte evidente che maggiore è la sistemazione, più faccile ne è l’ accesso con maggiore affidabilità.

Rispetto a Ct e torpediniere, gli A.M degli incrociatori pesanti dettero migliori sisultati, ed accettabili furono quelli delle corazzate, d altra parte Bismarck e Tirpitz beneficiarono di una maggiore conoscenza del sistema e dei suoi effetti. Non bisogna d’ altra parte dimenticare che queste unità furono progettate per propulsione turboelettrica, e quando si scartò questa ipotesi ne fu beneficiata la nuova ipotesi di spazi, maggiori, e pesi, minori, che permise notevoli miglioramenti nelle sistemazioni e nella loro accessibilità

 

Per la preparazione e l’ impegno profuso in parallelo da Industria e Reichsmarine, l'affidabilità dei diversi sistemi di propulsione diesel risultò insuperabile. Si tratta ovviamente di un confronto improprio, perché i sistemi diesel avevano prestazioni sostanzialmente inferiori a parità di peso. Tuttavia, rispetto ai nuovi impianti a vapore surriscaldato ad alta pressione utilizzati sulla maggior parte delle navi da guerra, i motori diesel utilizzati per le corazzate tascabili, S-Boat, dragamine e numerose altre unità presentarono minime difficoltà ed un bassissimo tasso di avarie ed indisponibilità delle unità.

Quale considerazione generale, conclusiva, si può affermare che la proliferazione di nuovi progetti di caldaie e di ciclo vapore, e l’ impegno di grandi gruppi industriali, sempre con consistenti appoggi governativi e spesso con il coinvolgimento delle principali Marine da Guerra , riguardò – per sommi capi – i seguenti tipi di caldaie, che riprendevano in toto od in parte le specifiche/traguardi di cui sopra, comunque tutte da classificarsi tra quelle di alta ed altissima pressione:

  • La Mont
  • Benson
  • Loeffler
  • Schmidt-Hartmann
  • Velox

Una stagione di studi e progetti, di successi ed anche utili insuccessi, che definì il successivo cinquantennio e l’ era del vapore, con enormi progressi per tutta l’industria metalmeccanica e navale, una stagione i cui effetti non toccarono l’ arrogante industria italiana (solo sul Conte Rosso si sperimentò l’ uso di una caldaia Loeffler in sostituzione di due caldaie cilindriche, ma non si sono rintracciati i risultati di tale sperimentazione.

Molte di queste caldaie si rivelarono inadatte all’ uso navale, mentre negli anni successive quasi tutte, pur con cicli ed ausiliari complicati, trovarono valido impiego nella generazione terrestre di energia elettrica

 

La Regia Marina era talmente consapevole del gap tecnologico esistente che alla fine degli anni 30, sull’ onda della moda del momento e delle più avanzate tendenze, arrivò ad ipotizzare l’ impiego di caldaie importate per le nuove grandi navi veloci.

 

Resta tuttora inspiegabile, anche sul piano pratico e della stessa speculazione, il comportamento di tutta l’ industria metal-meccanica italiana: pur avendo a disposizione un “cliente sicuro”, ed avendo quindi la certezza di un ritorno economico su qualsiasi ricerca ed investimento avesse fatto, non partecipò nè si interessò minimamente alla competizione globale in corso, per di più in un momento in cui il regime puntava sulla Regia Marina e sui transatlantici veloci per una proiezione di immagine.

Nemmeno la Regia Marina, che in tale contesto imponeva la velocità come primo requisito per le nuove costruzioni navali, anche a scapito di altre caratteristiche, e che avrebbe quindi dovuto essere la prima interessata, seppe imporre il minimo cambio tecnico, non parliamo di interventi radicali.

La corsa ai primati di velocità si corse con apparati obsoleti ed inadeguati: bisogna anche prendere in considerazione il fatto che la Regia Marina ebbe sempre problemi sui combustibili e la loro qualità, in crescita dopo la stagione delle sanzioni, ma al contrario di altre Marine e di Paesi con più elevati indici educativi e di preparazione tecnica generale, non ebbe mai seri problemi di condotta e preparazione del personale, fattore che sopperì grandemente alle deficienze di partenza, ed all’ inadeguatezza delle scelte per le nuove costruzioni.

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  • 2 weeks later...

Facendo seguito all’ interessante post di Helsingor sulle valvole , un cenno particolare merita la regolazione di alimento delle caldaie, mentre la trattazione dei circuiti relativi viene descritta a parte, nel post relativo alla sistemazione generale dell’ apparato motore.

 

L’ acqua di alimento, prima dell’ ingresso nel collettore superiore veniva fatta circolare l’ acqua nei riscaldatori di alimento o nell’ economizzatore situato sullo scarico al fumaiolo dei gas combusti.

Ovviamente per ragioni di sicurezza, i circuiti di alimento dovevano essere duplicati: ogni caldaia aveva due sistemi di alimentazione, “principale” e “ausiliario”, indipendenti tra loro, ognuno servito da una pompa, ciascuna in grado di fornire da solo alla caldaia l’ acqua necessaria per la massima produzione di vapore prevista.

Le due tubolature di alimento erano collegate al collettore superiore della caldaia attraverso due “valvole di alimento”, anch’ esse – rispettivamente- “principale” ed “ ausiliaria”: le caratteristiche di queste valvole erano quelle di non ritorno, ossia venivano mantenute aperte dalla maggior pressione esercitata dalle pompe di alimento rispetto alla caldaia ma si chiudevano automaticamente ed istantaneamente (il fungo della valvola era staccato dall’ asta) in caso di caduta della pressione di alimento per evitare svuotamenti della caldaia.

I tempi di reazione su tali valvole erano talmente ridotti, per l’ immissione dell’ acqua in caldaia, che le stesse erano collegate a sistemi automatici che nel corso del tempo risultarono sempre più complessi (ed affidabili) detti autoregolatori dell’ acqua di alimento.

Si è gia detto che la caratteristica delle valvole di alimento è quella di avere il fungo staccato dall’ asta: la funzione dell’ asta è quindi di regolare l’ alzata del fungo e quindi la quanti di acqua da immettere in caldaia

La regolazione dell’ apertura della valvola di alimento è stata oggetto nel tempo di automatismi sempre più sofisticati, completamente automatici, detti autoregolatori di alimento.

 

Schema essenziale della valvola automatica di alimento

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Come si è detto l’ evoluzione delle caldaie marine, e la ricerca di maggiore flessibilità di esercizio e di pesi sempre minori, portò a contenere in caldaia una quantità di acqua molto limitata rispetto alla produzione oraria di vapore ed erano soggette, soprattutto in manovra delle unità militari, a rapidissime variazioni di regime, per cui divennero necessari sistemi che consentissero di riportare altrettanto rapidamente alla normalità il livello di acqua nel collettore, evitando tanto le conseguenze di un livello troppo basso (danneggiamento per arroventamento dell’ attacco dei fasci tubieri)quanto troppo alto (trascinamento di acqua con pericolosi colpi di ariete nelle tubolature).

La complessità dei sistemi di autoregolazione era altissima, considerando che potevano agire o per variazione del titolo del vapore, in conseguenza della variazione di livello in caldaia, oppure – nelle caldaie più recenti, per variazione del flusso del vapore attraverso il surriscaldatore in funzione diretta della maggiore o minore richiesta delle motrici.

Ovviamente era indispensabile la massima attenzione umana e la possibilità di immediato intervento manuale.

Modificato da Totiano
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ok, ho cancellato i link superflui e i nostri post precedenti a riguardo, appena prosegui cancello anche questo mio.

 

per rimanere in tema, ti posto questa foro riferita al rimorchiatore Piombino, postata su FB ...

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Modificato da Totiano
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Le catteristiche dell’ acqua di alimento

Il problema delle caratteristiche e della qualità dell’ acqua di alimento, fondamentale per la vita e l’ efficienza delle caldaie, fu stranamente trascurato in quasi tutte le marine, meno che nella US NAVY.

Il trattamento dell’ acqua in caldaia fu tra le principali cause di avarie, continue, nella Reichsmarine, anche per la scelta effettuata di passare ad altissime pressioni e temperature.

 

Bisogna fare una piccola riflessione, senza entrare in dettagli di fisica e termodinamica: l'acqua assorbe più calore delle sostanze inorganiche comuni, per un aumento di temperatura dato.

Si espande di 1600 volte quando evapora per formare vapore a pressione atmosferica.

Il vapore può trasportare grandi quantità di calore.

Queste proprietà particolari dell'acqua ne fanno un mezzo ideale per il trasporto e la trasformazione dell’ energia.

 

Tutte le acque naturali contengono una quantità estremamente variabile di materiale dissolto e in sospensione cosi come gas dissolti. La quantità di minerali dissolti presenti nell'acqua varia da 30 g/l nell'acqua di mare a un range compreso fra 0.005 e 1500 mg/l nell'acqua superficiale, ma il vero problema non è la quantità ma la facilità di eliminare i componenti dissolti.

 

Le impurità dell'acqua causano problemi non solo nelle caldaie ma anche nell’ intero ciclo e di conseguenza bisogna porre la massima attenzione alla qualità dell'acqua utilizzata per generare il vapore.

 

Per semplicità possiamo dire che le impurità sono presenti sotto forma di sali disciolti generici (solfati cloruri e carbonati), e come tali possono venire all’ origine, rifornimento da fonti esterne o evaporatori/dissalatori ma anche da sopravvenute avarie nel circuito chiuso di bordo come ad esempio, tra le più frequenti, da perdite al condensatore, oltre che da cattivo funzionamento dell’impianto di evaporazione/distillazione.

 

I sali disciolti nell’acqua alimento possono depositarsi in caldaia sotto forma di incrostazioni oppure essere trascinati dal vapore. Le incrostazioni si formano quando per il sale disciolto viene superato il limite di solubilità a seguito della concentrazione della soluzione; si formano anche per variazione della temperatura, a cui la solubilità è legata, oppure per l’influenza di altre sostanze presenti in soluzione.

Le condizioni di precipitazione sono strettamente connesse con il fenomeno dell’evaporazione sulle superfici di scambio termico e variano da caldaia a caldaia.

Le incrostazioni in caldaia sono dannose perché riducono notevolmente il coefficiente di trasmissione del calore: ne deriva un sensibile aumento della temperatura dei tubi, con conseguenti arroventamenti locali, seguiti da rotture e scoppi.

 

Uno dei fenomeni più disattesi e dannosi riguarda il fatto che la solubilità dei sali disciolti nel vapore diminuisce man mano questo si espande ed anche se si evitassero depositi in caldaia e le sostanze trascinate arrivassero nelle turbine, le si depositerebbero sui distributori e sulle giranti, provocando una diminuzione di rendimento delle macchine.

 

Il trattamento dell’ acqua in caldaia è stato uno dei processi più gelosamente riservati e custoditi dalla US Navy, se dovessimo fare un parallelo, quasi para lla cura con cui all’ epoca dei dirigibili non fu mai ceduta fuori degli USA la tecnologia dell’ elio in sostituzione del pericolosissimo idrogeno.

 

Il servizio dell’ acqua di alimento delle caldaie ed interventi relativi

Negli impianti marini a vapore, e soprattutto in quelli navali, si fa ricorso normalmente ad acqua distillata, generalmente di produzione “propria”, realizzata in alto mare: la evaporazione/distillazione in acque costiere e portuali comporterebbe la presenza di Sali7imporità, quali i silicati, molto dannosi e più difficili da rimuovere, sia nell’ impianto evaporatore sia nell’ acqua prodotta.

Ovviamente nelle basi navali, cosi come negli impianti terrestri di generazione elettrica, si fa ricorso alla distillazione, ma il rifornimento da queste fonti era nel possibile evitato dalle unità navali.

 

L’ uso dell’ acqua distillata è imposto dal fatto già citato che le acque contengono - in percentuali estremamente variabili secondo i luoghi - alcuni Sali, quali:

  • Cloruro di Sodio
  • Cloruro di Magnesio,
  • Solfato di Magnesio, solfato di calcio,
  • Carbonato di Calcio.

Qualora tali Sali venissero immessi in caldaia con l’ acqua di alimento non evaporerebbero e depositandosi aumenterebbero gradualmente la loro concentrazione, con le seguenti conseguenze:

  1. Formazioni di incrostazioni durissime (dovute principalmente alla precipitazione di Sali di calcio e magnesio), difficilmente rimovibili, che ostacolano la trasmissione del calore e portano all’ arroventamento del metallo, con perdita delle sue caratteristiche meccaniche;
  2. Formazione di acidi liberi che corrodono il metallo dei generatori di vapore edegli utenti;
  3. Generazione di fenomeni elettrolitici, per l’ aumentata concentrazione salina e per la presenza di contatto di metalli diversi o di diversa lavorazione, con la conseguenza di concentrazione delle corrosioni;
  4. Evaporazione tumultuosa, anch’ essa dovuta all’ aumentata concentrazione salina, con la conseguenza di trascinamento di acqua da parte delle bolle di vapore che scoppiano in ritardo sulla superficie libera; l’ acqua trascinata deposita i propri Sali all’ interno dei fasci tubieri del surriscaldatore, nelle tubo latore, nelle valvole, ed infine come già citato sulle parti fisse e mobili delle turbine. Queste incrostazioni ostacolano la trasmissione del calore, abbassano il rendimento delle motrici, riducono la vita utile degli apparati.

 

Se si presta si attenzione a tali fenomeni, e si vuole evitarli, occorre definire le caratteristiche dell’ acqua di alimento e stabilire procedure rigidissime di controllo ed azione a cadenze molto strette, quali i turni di guardia a bordo, quali:

  1. capacità di trasformare i Sali di calcio e magnesio, tanto in soluzione quanto già precipitati sotto forma di depositi od incrostazioni, in precipitati pulverulenti che non aderiscono sulle superfici metalliche;
  2. controllo ed intervento sull’ alcalinità dell’ acqua, mantenendola comunque superiore a 7, per evitare le corrosioni dovute a formazione di acidi (nella MMI si manteneva a 9,5 a 11):
  3. concentrazione salina totale bassa in modo da evitare ebollizioni tumultuose.

Le tolleranze su alcali, sali, silicati, fosfati, etc. diventano minime, anche e soprattutto come tempi di reazione, con l’ elevarsi di pressione e temperatura di esercizio, e considerando che il trattamento ed i controlli relativi dovevano essere effettuati da personale anche non specificamente qualificato (come negli impianti terrestri) e comunque anche in condizioni operative critiche, fu uno dei fattori che indusse la US Navy a non spingersi oltre nell’ adozione di caldaie ad altissima pressione e temperatura.

 

L’ acqua distillata, ottenuta nella maggior parte dei casi in “proprio” dalla distillazione dell’ acqua di mare, quando l’ unità era in mare aperto, contiene comunque – seppure in basse percentuali – tutti i Sali presenti nell’ acqua da cui proviene ( opportuno per questo evitare gli estuari ..). E’ quindi necessario quando possibile un trattamento chimico nell’ acqua inviata alle casse di bordo, ma è soprattutto necessario intervenire con continuità nell’ acqua in ciclo al fine di conferire all’ acqua di alimento le caratteristiche richieste.

 

Il trattamento chimico viene generalmente effettuato introducendo direttamente in caldaia un preparato correttivo, nelle dosi e con la periodicità che sono una delle principali responsabilità del personale di guardia.

 

Lo studio del trattamento dell’ acqua in caldaia ha occupato i tecnici di tutte le Marine, dando spesso origine ad azioni di intelligence, ed ha rappresentato un problema mai totalmente e soddisfacentemente risolto.

 

L’ altra caratteristica dell’ acqua di alimento è quella di essere “deaerata”, ossia priva di ossigeno libero, che esalterebbe tutti i fenomeni di corrosione: la deaerazione, a ciclo continuo, deve intervenire con sicurezza in quanto esistono inevitabilmente molti punti in cui l’ aria filtra nei circuiti. Il tema della deaerazione come impianto è trattato con gli ausiliari, le tubolature e la sistemazione dell’ A.M., ma in questa sede occorre ribadire che i gas liberi o disciolti nell’ acqua (ossigeno assorbito dall’ aria e CO2 proveniente dalla decomposizione dei bicarbonati, ossia dallo stesso trattamento) sono perico9lissimi per le corrosioni a cui danno luogo.

L’ ossigeno si combina con l’ idrogeno atomico agevolando la dissoluzione del ferro, agendo poi come ossidante e trasforma l’ idrato ferroso in idrato ferrico, che precipita e provoca una nuova dissoluzione del ferro: un circuito pernicioso per rimpiazzare l’ idrato ferroso ossidato. La CO2 da parte sua da luogo alla formazione di bicarbonati.

 

Occorre ricordare come il 60/70% delle avarie manifestatesi nelle caldaie sono dovute ad imperfezioni nel trattamento acque delle caldaie.

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  • 3 years later...
On 18/7/2012 at 14:02, Navy60 said:

La spiegazione di Secondo M è perfetta!!...

Visto che sono stato imbarcato su: Cigno, Centauro, Audace, Veneto (tutte a caldaie) aggiungo un'altro dato...

normalmente, il servizio GN di bordo iniziava il "servizio" di navigazione 4 ore prima della partenza.

Ciò non toglie, come già detto da Secondo M. che "stressando" la macchina, si potesse partire in pochi minuti...

Quando invece, la nave è alla fonda, per un discorso di sicurezza, veniva ordinato alle macchine l'approntamento in 15 minuti (chiamato anche piccolo riscaldamento). Il problema che si può verificare alla fonda è che la nave per un motivo qualsiasi cominci ad arare (l'ancora non ha più presa!)... cioè spostarsi dal punto di fonda... in questo caso era necessario riprendere la posizione o spostarsi dal punto, nel più breve tempo possibile.

Buona sera, mi permetto di intervenire in questo post, essendo stato un Macchinista della Marina Militare, e avendo condiviso con Navy60 l'imbarco su nave CIGNO. Innanzitutto, la NAFTA era una nafta pesante, di conseguenza bisognava riscaldarla per portarla ad una temperatura di accensione, e quindi mettendola in ricircolo, lo si faceva con i riscaldatori elettrici. Chiedo scusa ma la spiegazione dell'accensione è lunga occorre del tempo per farvi avere un infarinatura. Le caldaie del secondo dopoguerra imbarcate sulle Unità Navali Italiane erano le Foster WHELLER a 5 collettori, caldaie a tubi d'acqua, con Surriscaldatore subverticale  posto tra i tubi vaporizzatori, solo su nave AUDACE, era posto nel collettore inferiore. L'accensione avveniva con torcia elettrica, sul polverizzatore di prima accensione, diametro più piccolo posto il  più distante dal fascio tubiero vaporizzatore. Una volta acceso, con protezione alta aperta, chi era a bordo in quegli anni, potrà ricordare il caratteristico rumore che usciva dai fumaioli, (protezione alta, metteva in comunicazione il fascio tubiero con l'atmosfera e così facendo permetteva la refrigerazione dei tubi vaporizzatori),  Si saliva su di pressione piano piano per permettere una buona dilatazione di tutto l'apparato.

Normalmente un apparato rimaneva acceso, non era il caso del Cigno, che assumeva energia dalla centrale elettrica del molo Lagora, dai caccia in su , apparato in funzione anche in porto, le centrali di terra non erano in grado di supportare tutte le navi ma anche per garantire una prontezza operativa, "Guerra Fredda" chiaramente tutto il sistema subiva un deperimento  veloce, e quindi necessitava di soste lavori.

Nave alla fonda, apparato acceso con turni di guardia in navigazione, onde evitare esplosioni per la presenza di residui di combustibile in platea, si ventilava la camera di combustione con i ventilatori elettrici, che sarebbero rimasti in funzione fino alla produzione del vapore desurriscaldato, utilizzato per i turbo macchinari, fino a quel momento, tutti i macchinari usati erano elettrici ( E/Pompa Spinta Nafta, E/Pompa Aiuto Alimento, e/Pompa Alimento ed E/ ventilatore di prima accensione.

Piano piano siamo saliti a 30 Kg/cmq a questo punto si apre. con molta cautela, la valvola del vapore desurriscaldato ,si chiude la protezione alta,  qui il capo caldaia di guardia, è una specie di direttore d'orchestra, perchè deve dirigere in contemporanea, su più piani,  i suoi uomini in modo che il tutto avvenga senza incedenti e all'unisono. Seguirli tutti nei diversi punti dell'apparato  e far salire di giri i Turbo/ macchinari in maniera regolare, e passare successivamente da Elettro/Macchinari a Turbo/Macchinari  (T/pompa spinta nafta T/ventilatori T/pompa aiuto alimento T/Pompa D'alimento. A dirlo sembra facile, ma vi assicuro che non lo è.

Abbiamo aperto vapore, saliamo di pressione, sul Cigno la pressione di esercizio era di 44 kg, sul Veneto, mio ultimo imbarco a vapore, dove cera un sistema di Automatismi ad aria Hagan/ termokimik ed una caldaia ausiliaria per la sosta in porto chiamata "Calderina" ma che calderina non era, la pressione di esercizio era di 50 Kg. Per aumentare la pressione abbiamo cambiato polverizzatore, saliamo velocemente,  oramai le dilazioni sono avvenute, i piedi delle caldaie sono scivolati sui binari, shock termici sono evitati, In Motrice hanno cominciato ad approntare l'apparato e quando saremo alla pressione d'esercizio, al comando del Capo Macchina, apriamo Vapore Surriscaldato per eseguire il riscaldamento delle Turbine di alta e bassa e dei T/Alternatori. quando il tutto e ben riscaldato si da il macchine provate e pronte, previo l'esecuzione dei giri di prova dell'asse.

Sulla Unità Americana dove ho avuto il privilegio di prestare la mia opera, U.S.S. AYLYN, Classe Knox, un Caccia declassato a Fregata, le caldaie erano le Babcock & Wilcox da 1180 psi.

Gli Evaporatori, per la produzione di acqua distillata, entravano in funzione, venivano accesi, solo quando si era in mare aperto, teoricamente il circuito di acqua distillata era un circuito chiuso, ma nella pratica le perdite di fluido erano enormi, quindi tutta la produzione degli  evaporatori,  andava alle caldaie. Ecco perchè, Caro Navy60, si chiudeva l'acqua in navigazione, con buona pace dell'equipaggio e noi oltre che a lavorare a temperature disumane, eravamo anche guardati male dall'equipaggio  

foster.jpg

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On 23/7/2012 at 14:48, Antonio Palmira said:

Tra l'altro ho trovato anche un interessantissimo post sulle "fumate" delle navi, in cui si parla anche della gestione delle caldaie e c'è anche una foto del Vittorio Veneto che espelle vapore dal fumaiolo posteriore, scena che purtroppo, non ho mai visto dal vivo...

Il Vapore che si vede è dovuto alla valvola detta " Protezione alta" che metteva in comunicazione il collettore superiore con l'atmosfera, e così facendo lo refrigerava fino al momento in cui si apriva vapore alle macchine, quel caratteristico rumore, enorme, indicava che la nave si stava preparando per uscire

 

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I vaporisti sono una serie speciale, un mio professore in Accademia definiva le navi a Caldaia il Liceo Classico delle propulsione, e sono sicuro che avesse perfettamente ragione.

Spiegazioni eccellenti e chiare anche per i non addetti al settore (anche se serve un po di infarinatura...), Fiftynine!

 

Le foto in caldaia, poi, sono davvero uniche, rendono davvero la sensazione della Squadra che si creava in quegli inferi!

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Ringrazio Totiano per aver giudicato positivamente il mio Post e le foto. Volendo ci sarebbe lo spegnimento dell'apparato, cosa altrettanto complicata fa eseguire.

Itempi per una accensione fatta con tutti i crismi erano di circa 4 ore, per lo spegnimento dell'apparato ne occorrevano almeno 2.

Alle volte mi sento orfano di quella propulsione, ma, ragionando con la testa e non con il cuore, bisogna dire che era una propulsione non adeguata ai tempi moderni e difficilmente attuabile con gli attuali equipaggi.

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