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La Marina Militare Italiana Dal 1981 Al 1990


BUFFOLUTO

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951 in servizio nel periodo 1981-1990

Nuove costruzioni: Sommergibili classe “Sauro” 3ª serie

 

I sommergibili Salvatore Pelosi e Giuliano Prini rappresentano un miglioramento rispetto ai battelli delle serie precedenti

e presentano un leggero aumento delle dimensioni e del dislocamento; il maggior spazio ottenuto a bordo, granzie anche

ad una più razionale sistemazione di alcuni macchinari ed il minore ingombro di alcune apparecchiature, è stato sfruttato a

beneficio dei sistemi imbarcati, alcuni dei quali rinnovati; le prestazioni del sistema di combattimento, grazie ad una maggiore

integrazione e adozione di apparecchiature più moderne, è stato migliorato; l’ipotesi di dotare i battelli della classe “Sauro” di

missili antinave a cambiamento d’ambiente viene inoltre abbandonato.

Per quanto riguarda la componente operativa i battelli sono dotati di un nuovo sistema integrato, denominato SACTIS,

connesso con i principale sensori di bordo in grado di assolvere alle funzioni di navigazione, tracciamento e designazione

dei bersagli, tracciamento radar e dei segnali acustici.

 

“Salvatore Pelosi” 522

cantiere: Fincantieri - Monfalcone

impostazione: 23 luglio 1986 (fonte Turrini: 23 luglio 1985)

varo: 29 novembre 1986

consegna M.M.: 14 luglio 1988 (23 luglio 1988)

motto: “In silentio et spe”

 

“Giuliano Prini” 523

cantiere: Fincantieri - Monfalcone

impostazione: 30 luglio 1987

varo: 12 dicembre 1987

consegna M.M.: 11 novembre 1989 (fonte Turrini: 17 maggio 1989)

motto: “Quid possit itala virus”

 

Caratteristiche tecniche:

 

Lungh. f. t.: 64.35 m

Largh. max: 6,83 m

Imm. media: 5,66 m

Disloc. in sup. (dosato): 1.476 t

Disloc. in imm.: 1.680 t

Riserva di spinta: 12%

Apparato motore: 2 gruppi elettrogeni da 1.210 CV; 1 motore elettrico Marelli da 2.585 Kw; 1 elica a 7 pale

Velocià max in sup.: 11 nodi

Velocità max in imm.: 20 nodi

Auton. in sup.: 3.000 miglia a 11 nodi

Auton. in imm.: 250 miglia a 4 nodi

Quota operativa max.: 300 m

Coeff. di sicurezza: 2

Equipaggio: 7 ufficiali e 36 sottufficiali e comuni

Armamento

6 tubi lanciasiluri da 533 mm a prora

12 siluri di riserva

 

Fonti consultate:

 

- DALLA LEGGE NAVALE AL TERZO MILLENNIO
– La Marina Militare Italiana dal 1975 al 2000

Michele Cosentino – Supplemento alla Rivista Marittima N. 10 – ottobre 2000;

-
Le unità della Marina Militare
Stato Maggiore della Marina – U.D.A.P. edizione marzo 1993;

-
Mario Cecon
L’evoluzione del sommergibile in Italia dal 2° dopoguerra
– R.I.D. n° 11 - novembre 1993;

-
Alessandro Turrini
I sommergibili di Monfalcone
- Supplemento alla Rivista Marittima n° 11 – novembre 1998
;

-
Alessandro Turrini
Gli squali dell’Adriatico
Monfalcone e i suoi sommergibili nella storia navale italiana –

Vittorelli Edizioni 1999;

- Sito
;

- Sito www.marina.difesa.it.

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951 in servizio nel periodo 1981-1990

Nuove costruzioni: Aliscafi classe “Sparviero” serie “Nibbio”

 

 

Premessa

 

I primi tre anni di servizio dell’aliscafo lanciamissili Sparviero sono impiegati esclusivamente in prove di valutazioni della piattaforma, con lo scopo di verificarne la validità operativa e di suggerire eventuali migliorie da adottare per una nuova serie di unità, che la Marina italiana inserisce nel programma di costruzioni navali della Legge Navale del 22 marzo 1975.

 

I risultati ottenuti sono eccellenti per cui si passa ad ordinare ai Cantieri Navali Italiani della Fincantieri di Muggiano, che ha rilevato la società dei Alinavi della Spezia, sei degli otto aliscafi previsti attribuendo ad essi i seguenti nomi: Nibbio P 421, Falcone P 422, Astore P 423, Grifone P 424, Gheppio P 425 e Condor P 426.

 

Gli aspetti migliorativi più evidenti adottati per la nuova serie consistono nella diversa forma della sovrastruttura, ridisegnata in seguito a prove di valutazione su modelli per renderla più aerodinamica e la sostituzione del radar con apparecchiatura di nuova generazione; non evidenti sono invece l’adozione di una turbina a gas di modello leggermente potenziato e un apparato diesel Isotta Fraschini; infine un alleggerimento complessivo dello scafo e delle sovrastrutture consente un dislocamento di 60,5 t p.c. rispetto a quello dello Sparviero di 63 t.

 

Generalità e caratteristiche

 

Le caratteristiche della serie “Nibbio” ricalcano quelle del prototipo; la sovrastruttura, molto arretrata, comprende la controplancia, la timoneria, la centale operativa di combattimento (C.O.C.) e le prese d’aria per la turbina a gas; l’ampio spazio di prora garantisce una visuale ottica di tiro da parte del cannone molto ampia; i due contenitori di lancio dei missili Teseo sono collocati in posizione laterale ad estrema poppa; le alette di sostentamento, in acciaio inox anticorrosione e ribaltabili, sono del tipo “canard”; quella anteriore inserita nel dritto di prora è in grado di sopportare un terzo della forza di sostentamento dinamico; le altre due sono collocate fuori bordo in posizione laterale all’altezza dei contenitori di lancio.

 

Due sono gli apparati motori impiegati; il primo, necessario per la navigazione in dislocamento a moto lento e per le manovre in porto, utilizza un motore diesel Isotta Frassini ID 38 N6V da 160 hp, che aziona un’elica quadripala montata su piede poppiero (Zetadrive), consentendo una velocità massima di 8 nodi ed un’autonomia di 1.050 miglia; il sistema propulsivo principale è costituito da un motore a getto d’acqua, azionato da una turbina a gas Rolls Royce-Marine Proteus 15 M/560 da 5.000 hp, azionante una pompa a idrogetto con due giranti a doppia presa d’acqua Termomeccanica; la velocità massima in sostentamento è di 50 nodi e l’autonomia in volo varia da 350 a 750 miglia in funzione della velocità (450 miglia a 45 nodi).

 

Notevole importanza ai fini operativi delle unità, la cui stabilità può essere compromessa dal moto ondoso, è il sistema di sostentamento, di tipo submerged foils, con superfici portanti completamente immerse, particolarmente adatto per ottenere migliore stabilità in presenza di moto ondoso; con mare forza 4 la velocità massima è limitata a 40 nodi. Il sistema di sostentamento è caratterizzato da tre alette, nella configurazione “canard”, ciascuna delle quali dotata di flaps sul bordo d’uscita e ciascuno dei due piloni laterali dotato di presa di acqua, per alimentare la turbopompa e generare così il violento getto di reazione, che viene espulso da due eiettori sistemati sotto la carena leggermente a proravia dello specchio di poppa, che ha un foro centrale per lo scarico della turbina a gas; la navigazione a lento moto e in galleggiamento in acque basse è effettuata con i piloni delle ali completamente ruotati di 180°, in maniera da emergere completamente dalla superficie del mare.

 

Il sistema di controllo dell’assetto, nell’impossibilità di essere affidato a un controllo manuale a causa dei numerosi fattori prevedibili e imprevedibili da tenere sotto controllo in condizioni di volo, è affidata ad un calcolatore di assetto AN 700, il cui compito è quello di analizzare tutti i dati pervenuti dai vari sensori, messi a disposizione delle unità e comprendenti: due giroscopi, tre accelerometri per misurazioni di rollio, beccheggio, imbardata, velocità angolare di virata e spostamenti verticali della nave in corrispondenza dei piloni alari, due coppie di altimetri ultrasonici per il controllo della quota di volo, l’anemometro per la misura della direzione della velocità del vento, in funzione soprattutto dell’eventualità di forti ed improvvise raffiche laterali; tutti i dati elaborati e processati si rendono quindi necessari per apportare le opportune correzioni, mediante servomeccanismi, a tutti gli organi di governo della nave; è interessante notare come in caso di onda lunga la navigazione sia automaticamente regolata ad una quota costante rispetto alla superficie del mare; in caso di onde brevi invece la quota è riferita all’altezza media del moto ondoso; la velocità di decollo è di circa 20 nodi, quella di sostentamento di circa 30 e quella massima di 50; a 40 nodi l’accostata di 180° è caratterizzato da un raggio evolutivo di 125 m ed una velocità di accostata di 8° al secondo; grazie alle spiccate doti di automazione ciascuna unità ha un equipaggio composto solamente da due ufficiali e sette fra sottufficiali, sottocapi e comuni.

 

L’artiglieria imbarcata consiste in un pezzo automatico OTO Melara da 76/62 mm in versione compatta;

il cannone, in torretta stagna di materiale plastico e con cadenza di tiro di 85 colpi al minuto, è sistemato a proravia della timoneria; è asservito ad una D.T. Elsag Argo NA 10 mod.3, con radar di tiro Selenia Orion RTN 10X; è in grado d’impegnare bersagli di superficie a distanze di circa 11.000 m ed aerei di circa 16.000 m; la massima elevazione è di +85°, la minima di -15°; la dotazione di munizioni consiste in 85 colpi di pronto impiego nella virola e 30 in riservetta; peso totale dell’impianto pari a 7,4 tonnellate; peso del proiettile 6,2 Kg con velocità iniziale di 925 m/s.

 

I due lanciatori sono sistemati ad estrema poppa ai lati della sovrastruttura con inclinazione fissa in elevazione di 15° e spostati rispetto alla linea di chiglia di 10° a dritta e sinistra; il sistema imbarcato è l’OTOMAT (OTO Melara e Matra) per il lancio di missili superficie-supeficie Mk 1 Teseo, con gittata 80 Km e peso al lancio di 770 Kg (210 Kg relativi alla testata di guerra con 60 Kg di esplosivo); il missile è dotato di un turboreattore per il volo di crociera e di due booster a propellente solido; è lungo 4,46m, con corpo cilindrico di 40 cm, velocità massima di Mach 0,9; il volo avviene a pochi metri dalla superficie del mare e l’arma è condotta verso il bersaglio da un sistema a guida inerziale nella prima fase della traiettoria, e a guida attiva, nella fase finale; la nuova versione Mk 2 del Teseo, con gittata transorizzonte (180 Km) e guida “mid-course”, determina la necessità di avvalersi della collaborazione degli elicotteri imbarcati o provenienti dalle basi a terra.

 

 

Apparecchiature elettroniche

 

- radar di navigazione e scoperta di superficie
SMA MM/SPQ-701
; apparato in banda X dotato di doppia antenna stabilizzata in grado di operare in agilità di frequenza e provvisto di
MTI
(nota 1) digitale, l’antenna inferiore è utilizzata per la guida del missile;

- sistema D.T.
Elsag Argo NA 10
mod. 3 con radar
Selenia RTN 10X;

- consolle per l’assegnazione ed il lancio dei missili
SMA OJ-702
;

- consolle per il controllo del tiro del cannone
Elsag NA 21
;

- sistema di navigazione e tracciamento
SMA MM/SSN-715
;

- sistema di controllo automatico dell’assetto (
CAA
)
SEPA AN 700
;

- sistema
ECM/ESM Elettronica
;

- sistema di comunicazioni
HF/UHF Elmer
.

 

Impiego operativo

 

 

- distruzione o neutralizzazione di unità di superficie militari e/o mercantili;

- trasferimenti rapidi, con possibilità di spostare la logistica per mezzo di autocarri;

- azioni di gruppi d’incursori contro installazioni costiere, porti ed unità ormeggiate;

- azione di sostegno ad operazioni navali di più ampia portata, coordinate con altre unità navali.

 

Entrate in servizio tra il 1982 ed il 1984, le sei unità della serie “Nibbio” sono trasferite presso il Comos di Brindisi per formare la Squadriglia Aliscafi.

 

Nota 1

MTI (Moving Target Indicator) – Ha lo scopo di filtrare tutti i bersagli in movimento da quelli fissi, utilizzando la differenza di fase del segnale ricevuto mediante l’applicazione del principio dell’effetto Doppler. (Nota 2)

 

Nota 2

Doppler è l’effetto che si verifica con segnali acustici o elettromagnetici che crea uno spostamento di fase in avvicinamento ed allontanamento; in acustica è ben noto l’effetto di una sirena in movimento.

 

Fonti consultate:

 

 

 

 

 

 

-
UNITÀ VELOCI COSTIERE ITALIANE
motosiluranti, motocannoniere, V.A.S., motomissilistiche e aliscafi lanciamissili Erminio Bagnasco Ufficio Storico della Marina Militare – Roma ediz. 1998;

-
DALLA LEGGE NAVALE AL TERZO MILLENNIO
La Marina Militare dal 1975 al 2000 Michele Casentino – Supplemento alla Rivista Marittima N. 10 – ottobre 2000;

-
Panorama Difesa
N. 6 agosto- settembre 1983;

-
LE UNITÀ DELLA MARINA MILITARE
Stato Maggiore della Marina UDAP ediz. Marzo 1993;

-
MARINA MILITARE
scelte e programmi anni ’80 Dossier jp4 N. 5/1980;

-
MARINA MILITARE
compiti, impegni, prospettive Dossier jp4 N. 4/1987;

-
Rivista Italiana Difesa
N. 6 – giugno 1983;

-
Panorama Difesa
dicembre 1991.
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  • 2 weeks later...

errata corrige

 

nel post 134 di pag. 5 è stata corretta la seguente frase:

 

-
radar di scoperta di superficie secondario
SMA MM/SPS-702
, la cui antenna è posta sulla mensola superiore dell’albero di trinchetto; l’apparato emittente è in banda
X
, in grado di rilevare bersagli di dimensioni ridotte ed a quote di volo molto basse; è associato ad un interrogatore
IFF
;

 

con:

 

 

 

-
radar secondario di scoperta di superficie
SMA MM/SPS-702
, la cui antenna è posta sulla mensola superiore dell’albero di trinchetto; l’apparato emittente è in banda
X
, in grado di rilevare bersagli di dimensioni ridotte ed a quote di volo molto basse; l’antenna inferiore è impiegata come guida per i missili
Teseo
;
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Mi permetto di fare i miei complimenti più sinceri per la mole di lavoro e la ricchezza di informazioni che contraddistinguono i suoi post sulla "storia della marina militare" dagli anni 1951 al 1990.

 

Proprio perchè la mole di informazioni è così vasta, e considerando che passare ore davanti al monitor per leggere e guardare le bellissime immagini non è certo salutare...(e poi io sono un amante della carta stampata, lo confesso) mi chiedevo se lei o qualcuno del forum ha pensato di rendere tutti i suoi post in un formato pdf o altro formato facilmente stampabile....

 

Grazie e ancora molti complimenti!

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  • 1 month later...

Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951

in servizio nel periodo 1981-1990

Nuove costruzioni:

Pattugliatori d’altura classe “Cassiopea”

 

Premessa

 

Con l’entrata in servizio dei pattugliatori d’altura della

classe “Cassiopea”, La Marina italiana pone fine alla

necessità d’impiegare unità, ormai vetuste e non più

idonee al servizio di squadra, per operazioni di controllo

delle coste nazionali e di soccorso in caso di sinistri.

 

L’esigenza a livello internazionale di rendere più ampia

la fascia marittima territoriale nasce negli anni Settanta

da parte di alcuni Stati desiderosi di creare una nuova

zona per permettere la protezione dei diritti di pesca,

tutela ambientale e sfruttamento di eventuali risorse

minerarie.

 

La nuova disciplina viene approvata nel 1982 dall’UNCLOS

(United Nations Convention on the Law of the Sea) e crea

una ZEE (Zona Economica Esclusiva) di 200 miglia

dalle linee di base.

 

Secondo la nuova convenzione la ZEE è un’area esterna

ed adiacente alle acque territoriali in cui lo Stato costiero

ha diritto sovrano sulla massa d’acqua sovrastante il

fondo marino ai fini dell’esplorazione, sfruttamento,

conservazione e gestione delle risorse naturali, viventi

e non viventi, compresa la produzione di energia dalle

acque, dalle correnti e dai venti; al fine di poter esercitare

questo diritto lo stesso Stato può adottare misure di

polizia, quali abbordaggio, ispezione, fermo e procedimenti giudiziari.

 

Senza voler entrare nei particolari, occorre segnalare

che la mancanza di chiarezza della disciplina nei riguardi

della libertà di navigazione da parte di paesi terzi, alimenta

contenziosi creati da contrastanti valutazioni interpretative.

 

La possibilità di applicazione della convenzione nel mar

Mediterraneo è poi ulteriormente aggravata a causa

della ristrettezza del bacino, in cui le distanze tra Paesi

costieri, che si affacciano frontalmente sul mare,

sono inferiori alle 400 miglia; le controversie

in questa circostanza devono essere risolte con appositi

accordi tra ciascun stato interessato; in questo delicato

contesto e in assenza di apposite intese con i Paesi interessati,

nasce quindi per la Marina italiana la necessità di potersi

avvalere di una nuova categoria di unità con caratteristiche

specifiche per assolvere a questo rilevante compito.

 

La legge del 31 dicembre 1982 “Disposizione per la

difesa del mare” n° 979 viene pubblicata sulla Gazzetta

Ufficiale del 18 gennaio 1983 e viene conosciuta

dall’opinione pubblica come “Legge del mare”; essa

definisce mezzi, compiti e ruoli necessari al fine di poter

compiere la funzione di controllo e sorveglianza della

Zona Economica Esclusiva.

 

Il compito della protezione dell’ambiente marino ed

della prevenzione di effetti dannosi per le risorse del

mare sono demandati al Ministero della Marina Mercantile

(attualmente Ministero dei Trasporti e della Navigazione),

che provvede alla formazione, d’intesa con le regioni,

del piano generale della difesa del mare e delle coste

marittime dall’inquinamento e di tutela dell’ambiente marino.

 

Per assolvere a questi compiti e assicurare la vigilanza ed

il soccorso in mare, il Ministro della Marina Mercantile

provvede:

ad un servizio di protezione dell’ambiente marino;

al potenziamento del servizio di vigilanza e di soccorso

in mare, che istituzionalmente è affidato alla Guardia Costiera;

all’istituzione, d’intesa con il Ministero della Difesa,

di un servizio di vigilanza sulle attività marittime ed

economiche, compresa quella della pesca.

 

Il servizio di vigilanza è assicurato mediante la costruzione

o l’acquisto di unità navali ed aeromobili, da iscrivere

rispettivamente nei quadri del naviglio e nel registro

degli aeromobili militari dello Stato, che devono essere

progettati ed attrezzati anche per il soccorso in zone

d’altura e per operazioni antinquinamento; con decreto

del Ministro della Marina Mercantile, di concerto con il

Ministero della Difesa, si determinano le caratteristiche

tecnico-operative dei mezzi da acquisire.

 

Il servizio di sorveglianza è demandato alla Marina Militare,

che ha il compito di equipaggiare e condurre i mezzi;

le spese per l’acquisizione delle unità da utilizzare a

questo scopo sono a carico del Ministero della Marina

Mercantile, mentre quelle di gestione e manutenzione

sono a carico del Ministero della Difesa.

 

Al fine di poter assolvere ai compiti descritti Marina

Mercantile e Marina Militare definiscono le caratteristiche

fondamentali delle unità navali da impiegare:

 

capacità operative in aree al di là del limite esterno

del mare territoriale (12 miglia);

 

i compiti principali prevedono la vigilanza sulle attività

marittime ed economiche, compresa la pesca;

 

autonomia idonea per effettuare operazioni di altura;

 

velocità sufficiente per poter perlustrare in brevi tempi

ampi tratti di mare;

 

capacità specifiche per permettere il soccorso in zone

d’altura: soccorso e recupero naufraghi, attività antincendio

ed antinquinamento, rimorchio.

 

La legge stabilisce che ai Comandanti dei Pattugliatori venga

attribuita la qualifica di Ufficiale di Polizia giudiziaria.

 

Nel gennaio 1986, per appalto concorso, viene aggiudicato

alla Fincantieri CNI il contratto per la costruzione di

soli quattro pattugliatori d’altura della classe “Costellazioni”

(poi “Cassiopea”): Cassiopea, Libra, Spica, Vega;

una quinta unità, denominata Orione, viene esclusa dal

contratto per ragioni di bilancio; la spesa preventivata

di 140.270 milioni di Lire è a carico del Ministero della

Marina Mercantile ( poi Ministero dei Trasporti e della Navigazione).

 

 

 

 

Generalità

 

Lo scafo, in acciaio Fe 42, ha configurazione del tipo

a ponte superiore continuo con un’ampia e compatta

sovrastruttura centrale, che lascia libera la poppa, per

le operazioni di decollo ed appontaggio dell’elicottero

imbarcato, e la parte prodiera, dedicata a varie operazioni

quali: recupero oli, bonifica, trasporto, movimentazione

e difesa, mediante l’unico cannone imbarcato.

 

La suddivisione dello scafo, oltre al ponte superiore

continuo (ponte di coperta), consiste verticalmente in

tre interponti (ponte di corridoio, ponte di copertino e stiva);

longitudinalmente è suddiviso in dieci compartimenti stagni,

mediante nove paratie stagne.

 

Le forme della prora presentano una pronunciata

svasatura sopra il galleggiamento ed un ampio slancio,

di circa 6,5 m sulla Pp AV (Nota 1), con un ampio

paraonde al fine di ridurre la l’imbarco di acqua,

con mare agitato, sul ponte di coperta; nell’ampia

zona prodiera trovano posto il cannone da 76/62 mm

e la grossa gru per la movimentazione dei carichi;

la sovrastruttura centrale, in lega leggera, ospita il ponte

di comando, l’alberatura per il sostegno delle antenne

dei radar e delle apparecchiature elettroniche, il fumaiolo

posizionato in maniera decentrata sulla sinistra, i sistemi

antincendio e nella parte poppiera l’hangar; l’ampio ponte

di volo si estende fino a estrema poppa, dotata di

configurazione a specchio; le apparecchiature per l’ormeggio

ed il rimorchio trovano posto sul ponte di corridoio.

 

La nave è dotata di due sistemi di stabilizzazione:

 

una coppia di pinne che assicurano la riduzione di un rollio

libero da 30° a 3° a velocità di navigazione di 14 nodi;

 

una cassa di stabilizzazione, tipo Fiume (nota 2), che consente

di stabilizzare la piattaforma anche a nave ferma.

 

Il disegno dello scafo è del tipo mercantile e rispetto alle

corvette della classe “Minerva” presenta dimensione

longitudinale leggermente inferiore, ma dislocamento

maggiore in virtù della maggiore larghezza e di un bordo

libero più elevato; anche se i pattugliatori della classe

“Cassiopea” non sono a tutti gli effetti unità combattenti,

grazie agli ampi spazi disponibili possono essere

convertiti in caso di necessità; per questa ragione

sono informalmente qualificati come “Corvettoni”.

 

Compiti operativi

 

Soccorso di altura:

Per l’assolvimento dei compiti di soccorso il pattugliatore

è dotato del servizio volo, per consentire l’appontaggio,

il ricovero e il rifornimento di un elicottero AB-212;

per il servizio antincendio sono utilizzati due monitori

per il lancio di acqua e schiuma con gittata di 60 m,

ciascuno alimentato da un’elettropompa da 300 t/h e

rifornito da un apposito serbatoio di liquido schiumogeno

da 400 litri e come riserva una cassa di liquido da 9 t;

per il servizio salvataggio naufraghi sono a disposizione

una motobarca da 8,5 m, un battelo pneumatico da 4,5 m

con motore da 50 hp, una seppietta insommergibile ed

autoraddrizzante da 8,5 m con motore da 110 hp, in grado

di sviluppare la velocità di 13,5 nodi e con autonomia

di 120 miglia a 9,5 nodi; può dare rimorchio ad una unità

minore fino alla velocità di 6 nodi; è dotata di un’infermeria

attrezzata per il ricovero di quattro degenti ed una sala

per interventi chirurgici d’urgenza; può anche imbarcare

una camera di decompressione multiposto.

 

Supporto tecnico-logistico ad altre unità:

 

Disponibilità di posti letto, oltre a quelli del personale

di bordo; due officine meccanica ed elettronica;

 

fornitura di energia elettrica, acqua e gasolio ad unità minori;

 

pezzi di rispetto, conservati nella stiva prodiera e

movimentati con la gru idraulica.

 

Antinquinamento:

Con lo scopo di vigilare su azioni d’inquinamento delle

acque ed intervenire in caso di necessità, le unità sono

dotate di gabinetti per analisi chimiche speciali;

offrono capacità di bonifica con disperdente erogato

con apposite aste irroratrici brandeggiabili sistemate

sulla zona prodiera delle due murate; hanno in adozione

panne galleggiabili di contenimento, capacità di raccolta,

per mezzo di sea-skimmer, di materiali inquinanti, possibilità

di conservare a bordo le sostanze inquinanti recuperate;

per i propri servizi, l’unità non ha scarichi diretti fuori bordo

ed ogni liquido o solido viene preventivamente trattato.

 

Apparato motore

 

L’apparato motore, condotto dalla sala motori oppure

da una centrale in telecomando, è composto da due

Diesel veloci G.M.T. BL-203.16M a sedici cilindri,

ciascuno accoppiato alla propria linea d’asse con elica

a cinque pale orientabili; i motori sono unidirezionali per

cui le eliche sono a passo variabile e reversibili; la

potenza complessiva è di 7.490 hp (5507 Kw);

la velocità massima di 20,5 nodi e l’autonomia

di 3.300 miglia a 17 nodi.

 

La centrale elettrica è dotata di tre gruppi Diesel-alternatori

Isotta Fraschini ID-36-SS-6V da 500 Kw ciascuno

e Diesel-alternatore d’emergenza da 120 Kw.

 

Elettronica di bordo

 

radar ricerca di superficie SMA MM/SPS-702, installato

su un apposito sostegno sull’albero;

radar di navigazione GEM Elettronica MM/SPN-748,

installato sull’albero;

direzione di tiro Argo NA-10 con radar

MM/SPG-70 (RTN-10X) Orion;

sistemi di controllo della navigazione Loran C (Nota 3)

e GPS Navstar;

radiogoniometri automatici per la goniometria e l’analisi

delle emissioni elettromagnetiche nelle bande:

HF, VHF, UHF, SHF.

 

Armamento

 

1 cannone da 76/62 mm a.a. OTO-Melara tipo MMI

o “allargato”;

2 mitragliere OTO-Melara/Oerlikon da 25/80 mm in

impianti singoli, che hanno sostituito altrettante

armi da 20/70 mm;

2 mitragliere da 12,7 mm in impianti singoli;

1 elicottero Agusta-Bell AB-212.

 

 

Le unità entrate in servizio tra il 1989 ed il 1991

sono assegnate al Comando della 1ª Squadriglia

Pattugliatori (COMSQUAPAT UNO), con base

ad Augusta.

 

 

 

Nota 1

Perpendicolare avanti PPAV

E' la perpendicolare al piano di galleggiamento di progetto

passante per l'intersezione tra la traccia di tale piano con la

superficie della struttura anteriore della nave detta RUOTA DI PRORA.

 

Perpendicolare addietro PPAD

E', generalmente, la perpendicolare al piano di

galleggiamento passante per l’asse di rotazione del timone .

 

 

Nota 2

La cassa tipo Fiume è un mezzo di stabilizzazione

passivo, in grado di essere attivo anche a nave

ferma, costituito da una cassa, estesa da murata

e murata, che presenta nella zona centrale una

opportuna strozzatura che obbliga il liquido contenuto

nella cassa stessa ad oscillare, quando la nave rolla,

in controfasce con il movimento del rollio.

 

Nota 3

Il LORAN (LOng RAnge Navigation, dall'inglese

navigazione a lungo raggio) è un sistema di

radionavigazione terrestre tramite onde radio

LF (a bassa frequenza) che sfrutta l'intervallo di

tempo tra i segnali ricevuti da tre o più stazioni

per determinare la posizione di una nave o di un aereo.

La versione del LORAN oggi in uso è denominata

LORAN-C, ed opera sulla banda di frequenze da

90 a 110 kHz, inclusa nella porzione LF dello spettro radio.

Varie nazioni fanno uso di questo sistema, tra

cui Stati Uniti d'America, Giappone e vari paesi europei.

La Russia utilizza un sistema quasi identico, sulla stessa

banda di frequenza, chiamato Chayka.

 

 

 

Fonti consultate:

 

Corvette e pattugliatori italiani

Ufficio Storico Marina Militare edizione 2004

 

Le unità della Marina Militare Stato Maggiore della Marina

U.D.A.P. edizione marzo 1993

 

Michele Casentino DALLA LEGGE NAVALE AL TERZO MILLENNIO

La Marina Militare Italiana dal 1975 al 2000

Supplemento alla Rivista Marittima N. 10 – ottobre 2000

 

Fabio Caffio LA ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA

Rivista Marittima giugno 2012-11-05

 

Sergio Rissotto Nuove unità per La Marina Militare:

i pattugliatori classe “Costellazioni” -

Rivista Italiana Difesa N 6 giugno 1988

 

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Le operazioni di dragaggio

 

Accenni storici

 

I primi studi di un rudimentale strumento di offesa da utilizzare nei confronti della parte immersa di una nave sono effettuati, durante il regno di Elisabetta I, dall’ammiraglio Sir William Monson; spetta in seguito a Robert Fulton e David Bushnell la realizzazioni delle prime torpedini, da cui deriveranno le mine del periodo contemporaneo.

 

La mina è l’unica arma che, a differenza di altri strumenti di offesa, non è diretta verso uno specifico bersaglio, bensì viene lasciata attiva in maniera occulta fino a cogliere l’occasione di esplodere per un innesco procurato.

 

Nell’impiego operativo iniziale queste armi sono distinte in autonome o controllate, in quanto le prime sono attivate a causa dell’urto contro eventuali ostacoli, le seconde sono cariche depositate a stretto contato del bersaglio e poi fatte esplodere mediante un comando lontano a filo; la prima è fatta deflagare nel 1843 da Samuel Colt

per mezzo di un comando da terra, con innesco ad impulso elettrico portato da un cavo immerso ad una distanza di 5 miglia.

 

Il primo impiego di mine si ha invece nel 1848 da parte dei Tedeschi per proteggere Kiel dalla flotta danese; il meccanismo d’innesco delle armi, utilizzate dai Russi durante la Guerra di Crimea (1853-1856), risulta molto ingegnoso per l’epoca in quanto l’esplosione viene procurata per urto; la rottura di tubicini di vetro permette all’acido solforico contenuto di mescolarsi con un composto di clorato di potassio e zucchero, generando quindi una fiammata, il cui calore provoca l’esplosione per effetto termico della carica esplosiva; un grande impiego di mine viene poi fatto durante la Guerra di Seccessione americana (1861-1865), in quella ispano-americana nel 1898 e durante il conflitto russo-giapponese (1904-1905).

 

Le esperienze acquisite durante la guerra tra Russia e Giappone sono sfruttate nel primo conflitto mondiale, in cui si stima in 250.000 il numero di mine impiegate; quello stimato nel secondo conflitto mondiale si aggira sui 500.000 ordigni; con sistemi tecnologici sempre più innovativi questa insidiosa arma d’offesa continua ad essere impiegata nella Guerra di Corea (1950-1953), nelle acque del Canale di Suez nel 1956, nel conflitto del Kippur del 1973, nella crisi del Golfo e durante la Guerra in Irak (1990-1991).

 

Impiego dei mezzi di offesa

 

Le mine, denominate anche torpedini, impiegate sia contro navi di superficie che sommergibili, vengono utilizzate per creare sbarramenti difensivi a protezione di punti considerati strategici, quali porti, canali o stretti, ed offensivi laddove possano costituire un intralcio alla libera navigazione delle forze avversarie; si suddividono in tre categorie essenziali:

 

mine lasciate alla deriva: regolate ad una specifica profondità di galleggiamento, in funzione del tipo di bersaglio da minacciare, sono lasciate attive per un periodo di tempo prefissato;

 

mine ancorate: dotate di spinta positiva sono ancorate al fondo e la loro immersione è in funzione della lunghezza del cavo di ormeggio;

 

mine da fondo: dotate di spinta negativa le armi si poggiano su bassi fondali; dal punto di vista degli effetti causati dalla loro deflagrazione sono le più insidiose in quanto sfruttano l’effetto dell’onda d’urto riflesso dallo stesso fondale; naturalmente in questo impiego operativo non possono essere utilizzati ordigni ad urto.

 

L’esplosione del detonatore delle armi viene prodotta elettricamente mediante corrente elettrica fornita da una pila contenuta nelle mine; queste si suddividono in diverse categorie, in relazione al tipo d’interferenza utilizzata per procurare l’innesco:

 

mine ad urto:

l’impatto della nave contro la superficie della mina determina la deformazione di un’appendice urtante che permette l’attivazione della pila, innescando con la corrente elettrica generata l’attivazione della carica esplosiva; le mine ad antenna hanno invece appendici in rame; in seguito al contatto della massa metallica di una nave si genera una corrente galvanica che chiude il circuito del relais, stabilendo il contatto tra pila e detonatore; dotate di spinta positiva, a causa dei pesi del cavo d’ormeggio hanno limitazioni operative determinate dalla profondità del fondale, che accresce il peso del cavo d’ormeggio e limita quello della carica esplosiva, la quale non può superare il peso critico di auto-affondamento; il modello P 200, costituito dalle mine più grandi utilizzate dalla Regia Marina nella seconda guerra mondiale, sono dotate di 200 Kg di esplosivo;

 

mine magnetiche:

sono da fondo se dotate di spinta negativa; in questo caso sono adatte ad essere utilizzate in bassi fondali per ostruire porti o passaggi obbligati; un sensore magnetico, posto all’interno della torpedine, in presenza di una massa metallica viene influenzato significativamente dall’intensità del campo magnetico, prodotto da una nave in transito; il congegno di accensione viene così innescato mediante l’azione di un realis;

 

mine acustiche:

possono essere a spinta negativa da fondo o spinta positiva ancorate;

un sensore microfonico che percepisce un incremento significativo del suono, causato dal rumore prodotto da una nave in avvicinamento, innesca con il solito sistema la carica esplosiva;

 

mine magneto-acustiche: combinazione delle precedenti categorie di torpedini descritte;

 

mine a pressione: è un sistema più sofisticato in quanto è il sensore d’innesco è sensibile all’onda di pressione, generata da una nave in fase di avvicinamento.

 

Le operazioni di sistemazione dei campi minati è devoluta ad unità realizzate o trasformate per lo specifico compito classificate “posamine”;

qualsiasi bastimento comunque può essere utilizzato se possiede abbastanza spazio per poter imbarcare le attrezzature e le armi; nei due recenti eventi bellici si sono utilizzati cacciatorpediniere, torpediniere, incrociatori, sommergibili e perfino aerei; al fine di salvaguardare la sicurezza delle unità destinate alla posa di mine, queste si armano automaticamente solamente dopo la posa in mare; in queste condizioni le torpedini risultano una minaccia, anche se semplicemente individuate, giacché non è possibile nessuna azione di recupero o disinnesco; la loro neutralizzazione è possibile solamente mediante un’azione di brillamento a distanza di sicurezza.

 

Metodi delle operazioni di dragaggio

 

Tutti i metodi per combattere l’insidia delle mine a contatto sono concentrate in due azioni fondamentali: la prima è quella di tenere gli ordigni, posati in mare, lontani dall’opera viva delle navi; la seconda è quella di permettere, dopo l’avvistamento, la loro distruzione a distanza di sicurezza mediante le armi di bordo; i sistemi di dragaggio, adottabili da tutte le unità, hanno i seguenti metodi di esecuzione:

 

dragaggio auto-protettivo:

nel corso della prima guerra mondiale, in cui la minaccia dei campi minati comporta enormi preoccupazioni soprattutto in un bacino ristretto come il Mediterraneo, le navi da battagli della Regia Marina sono dotate di un sistema di reti metalliche, tenute fuori bordo lungo le fiancate da buttafuori; la maglia protettiva che s’immerge al di sotto della linea di chiglia ha lo scopo di proteggere lo scafo da torpedini sia di natura dinamica che statica anche durante la navigazione; questo complesso ed ingombrante sistema di protezione, in verità poco usato in navigazione, verso il 1917 viene sostituito da un’attrezzatura molto più semplice e più flessibile; da un foro praticato sullo sperone della ruota di prora delle unità viene fatto passare un cavo in acciaio seghettato a ciascuna delle due estremità viene fissato un paramine, detto anche “divergente”, perché ciascuno di esso è dotato di un’aletta, nella funzione di timone, in grado di esercitare una virata esterna alla rotta di navigazione in grado di allontanare i due paramine dalla linea di rotta; per azione dinamica il cavo sotteso assume una forma di “V” rovesciata, il cui vertice coincide con il dritto di prora; il cavo viene inoltre tenuto sotto la superficie del mare dell’azione alante delle alette di profondità dei due paramine, l’angolazione è opportunamente calibrata in funzione della velocità di navigazione e della quota di dragaggio; solamente nel malaugurato caso in cui la posizione di una mina sia perfettamente in linea con la rotta dell’unità, questa potrebbe venire a contatto con lo scafo; negli altri casi il cavo sotteso aggancia il cavo di ormeggio della torpedine e lo porta fuori rotta sul lato di dritta oppure su quello di sinistra; l’attrito generato dallo sfregamento effettuato dal cavo seghettato generalmente determina la rottura del cavo d’ormeggio, in caso contrario è la cesoia del paramine ad entrare in azione; spezzato il cavo d’ormeggio la mina venuta a galla può essere fatta brillare a distanza dalle artiglierie di bordo.

 

Dragaggio protettivo:

questo metodo è adottato da unità leggere in funzione di scorta protettiva, che si pongono in testa alla formazione navale; l’unica differenza rispetto alla descrizione precedente consiste nel fatto che i l cavo dei paramine viene filato in mare dalla poppa.

 

Nel corso della prima Guerra mondiale si rende necessario impiegare imbarcazioni di piccole dimensioni, particolarmente attrezzate per operazioni di dragaggio simili a quelle già descritte; la leggerezza delle unità impiegate garantisce una migliore sicurezza contro urti accidentali ed un minor rischio nell’entità dei danni in caso d’incidente, ottenendo un beneficio in termini del rapporto costo/efficacia; i compiti operativi di queste unità classificate “dragamine” possono avere carattere esplorativo, nel caso sia necessario appurare la presenza di sbarramenti minati in zone d’interesse operativo, carattere di bonifica qualora si reputi necessario ripulire determinate zone d’interesse strategico.

 

Le operazioni di dragaggio possono inoltre avere diverse tipologie di esecuzione:

 

protettivo:

nel caso si desideri tenere sgombre particolari rotte immediatamente prima del passaggio di una formazione navale;

 

di zona:

nel caso sia necessaria bonificare una particolare area strategica;

 

sistematico:

generalmente attuato al termine di un conflitto con lo scopo di effettuare una bonifica su larga scala; per la necessità d’individuare anche ordigni alla deriva, che hanno rotto per cause varie il legame con il cavo d’ormeggio, si esplorano sistematicamente vaste aree con una tecnica chiamata “spazzolamento”.

 

Apparecchiature per il dragaggio meccanico

 

Nei riguardi delle mine ad urto il primo tipo di apparecchiatura utilizzata è quella meccanica tipo “Oropesa”, il cui nome deriva dall’unità britannica che per prima l’ha imbarcata; questo tipo di dragaggio, denominato meccanico, è quello sommariamente già descritto ed adottato da cacciatorpediniere e torpediniere, che sono tutti dotati di due paramine posizionati all’estrema poppa; le unità di dragaggio, poiché hanno il compito di controllare aree più vaste, sono generalmente dotate di paramine più grandi e di forma più affusolata; a causa della caratteristica dell’attrezzatura adottata e per la presenza dell’aletta con funzione di timone dei due “divergenti”, il cavo filato da poppa assume una forma a “V” rovesciata più ampia ed è mantenuto alla profondità voluta da un immersore, il cui cavo di rimorchio è di lunghezza regolabile; il cavo seghettato di dragaggio, compreso tra immersore e divergente, che nel suo assetto orizzontale si dispone secondo una curva, scorre sulla catena d’ormeggio delle mine e agisce su di essa, sia direttamente per attrito, oppure per opera di una o più cesoie di cui è munita l’estremità; in particolari casi possono essere utilizzate cesoie esplosive; l’apparecchiatura “Oropesa” può anche essere impiegata per il dragaggio a sciabica, in cui un unico paramine è rimorchiato da due dragamine ed il cavo di rimorchio assume una conformazione a “V” dritta; questo sistema viene adottato se si desidera aumentare la linea della superficie da spazzare.

 

Apparecchiature per il dragaggio magnetico

 

All’inizio della seconda Guerra mondiale viene prodotto un sistema d’innesco, per le cariche esplosive, ad influenza magnetica, che viene immediatamente introdotto sia nei siluri che nelle mine; si rende pertanto necessario impiegare battelli costruiti con materiali amagnetici e dotati di un’apparecchiatura particolare, costituita da un generatore di potenza adeguata in corrente continua, che alimenta tramite un cavo isolante immerso in acqua due elettrodi che sottoposti ad un potenziale di tensione elettrica di poli opposti produce una corrente nella soluzione salina del mare, utile per generare un campo magnetico, che a distanza di sicurezza (circa 200 metri) innesca il detonatore ad influenza magnetica, permettendo il brillamento della carica esplosiva; poiché ci sono mine che esplodono in un solo senso della variazione del campo magnetico, il generatore provoca periodicamente un inversione della direzione del campo; l’apparecchiatura di dragaggio magnetico generalmente utilizzata viene denominata a cavi dritti tipo “LL”;

in determinate operazioni di dragaggio magnetico possono essere utilizzate varie combinazioni di cavi quali: “LL modificato”, “jig aperto” e “jig chiuso”, che modificano ampiezza e forma del campo magnetico, per meglio adattarsi all’area da esplorare.

 

Apparecchiature per il dragaggio acustico

 

Nel secondo dopoguerra, mettendo a frutto l’esperienze ottenute nella tecnica subacquea, in cui si sono fatti passi significativi nella realizzazione di sensibili apparecchiature nell’emissione ed individuazione dei segnali sonori nell’acqua, vengono adottati sensori d’innesco ad influenza acustica, aggiungendo un ulteriore ostacolo alle operazioni di dragaggio. La sensibilità d’innesco di queste tipo di mine è legata a quei caratteristici rumori generati dagli organi di movimento delle navi in navigazione: quali apparati motori, eliche e flusso di acqua lungo la carena; è naturale quindi che le unità da dragaggio siano dotate di un potente generate di suono, costituito generalmente da una campana acustica della forma tronco-conica, munita di un martello a molla azionato da un motorino elettrico; il martello colpisce una membrana provocando onde acustiche, costituite da frequenze armoniche atte a simulare rumori di navi in movimento in maniera da attivare il dispositivo d’innesco a distanza di sicurezza; la campana è collegata al dragamine per mezzo di tre cavi: uno elettrico per l’alimentazione del motorino, uno di sospensione ed uno di rimorchio; è utile porre in evidenza che le moderne mine possono utilizzare tutte le tecniche d’innesco descritte, costringendo le unità di dragaggio ad adottare particolari procedure per le operazioni di bonifica.

 

Accenni storici sulle unità di dragaggio della Marina italiana

 

La prima guerra mondiale trova impreparata la Regia Marina nell’affrontare in maniera adeguata la necessità di contrastare la minaccia dei campi minati; l’Italia non avendo a disposizione una numerosa flotta peschereccia d’altura, considerati molto adatti al dragaggio, tra il 1916 ed il 1917 acquista con urgenza 47 piropescherecci giapponesi, che vengono adattati e classificati vedette dragamine; nel frattempo la cantieristica nazionale viene coinvolta per produrre, a partire dal 1916, una serie di 58 unità classificate rimorchiatori dragamine.

 

Queste unità, tutte attrezzate per il dragaggio meccanico, entrate in servizio dalla fine della prima Guerra mondiale fino al termine della seconda, sono di diverse tipologie; vecchie unità, prevalentemente pescherecci, adattati allo scopo; unità acquisite, in seguito agli eventi bellici, da Austria, Germania, Jugoslavia e Francia; solamente a partire dal 1943 si dà inizio ad un programma di costruzione di 49 dragamine veloci, dei quali solo un modesto numero entrano in servizio; si tratta di battelli in legno, con scarse qualità marine, di appena 101 t di dislocamento, da impiegarsi solamente nel dragaggio costiero e nella vigilanza foranea dei sorgitori.

 

La situazione che si presenta dopo l’8 maggio 1945, quando all’Italia viene dato l’oneroso compito da parte dell’ International Mine Clearance Board, di bonificare le proprie acque territoriali, è drammatica; la consistenza delle forze di dragaggio a disposizione della Regia Marina si riassume nelle seguenti unità:

 

Vedetta;

R.D. 6, 16, 20, 21, 25, 27, 28, 29, 32, 34, 38, 40, 41;

D.V. 102, 103, 104, 105, 113, 131, 132, 133, 134, 148, 149;

 

si tratta in definitiva di 25 imbarcazioni, alle quali si aggiungono nell’oneroso compito di bonifica, molte unità che, originariamente destinate ad altri compiti, sono modificate per poter imbarcare le attrezzature da dragaggio; le corvette della classe “Gabbiano” si manifestano le più idonee a questo compito; è solo possibile effettuare il dragaggio meccanico, poiché sono tutte inadatte per gli ordigni ad influenza magnetica.

 

La grave carenza della Marina italiana di dragamine viene risolta grazie all’intervento della Royal Navy, che mette a disposizione un elevato numero di unità da dragaggio disarmate e disponibili a Malta, a causa della smobilitazione del personale britannico; viene istituita una commissione formata da quattro ufficiali della Regia Marina, scelti per la conoscenza della lingua inglese, che a bordo dell’incrociatore Garibaldi sbarcano a Malta il 19 gennaio 1946, per prendere contatto con il personale del Comando Dragaggio Malta e procedere alla consegna delle unità da cedere all’Italia per le operazioni di bonifica.

 

Si tratta di:

 

16 dragamine amagnetici, tipo M.M.S. (Motor MineSweepers)ricevuti in prestito nel 1946 e restituiti nel 1951;

 

16 dragamine meccanici classe “DR” o “300”, “trawlers” ceduti nel 1946, iscritti sino al 1948 nel naviglio ausiliario ed in servizio nella MMI fino al 1965;

 

 

17 dragamine amagnetici costieri classe “400” o “Fiori”, tipo Y.M.S. costruiti negli Stati Uniti e ceduti alla Royal Navy; acquistati in Italia nel 1947, sino al 1948 iscritti nel naviglio ausiliari e radiati tra il 1966 ed il 1968; dotati dell’apparecchiatura “Oropesa” per il dragaggio meccanico, impiegata nelle versioni “LL”, “LL modificato” e “Jig aperto” per quello magnetico e di apparecchiatura acustica rimorchiata lateralmente.

 

 

È con queste forze che la Marina italiana completa nel corso del 1950, non senza abnegazione e sacrifici da parte del personale impiegato, il compito di bonificare i mari nazionali da una porzione delle circa 100.000 mine posate solamente nel mar Mediterraneo.

 

Il principale impulso dato ad un serio ed esteso ammodernamento della flottiglia da dragaggio della Marina italiana viene dato a partire dal 1953,con l’ingresso in servizio di un consistente numero di moderne unità da dragaggio.

 

Tra il 1953 ed il 1955 vengono trasferiti in Italia 17 M.S.C. (MineSweeper Costal), della originaria serie A.M.S. (Auxiliary Minesweeper Series), progettati e costruiti negli U.S.A., iscritti nella U.S.Navy e quindi ceduti alla Marina italiana come fornitura M.D.A.P. (Mutual Defense Assistance Program), che costituiscono la classe “Agave”; a questi viene aggregato il Mandorlo, trasferito in Italia nel 1960 e dotato di caratteristiche operative migliorate.

 

Tra il 1955 ed il 1957 entrano in servizio 19 M.S.C., tutti costruiti in cantieri nazionali su licenza americana; dodici dei quali finanziati con bilancio ordinario dello Stato e sette, costituenti la serie “Bambù”, con finanziamento M.D.A.P. ed iscritti, prima della cessione all’Italia, nei ruoli dell’U.S.Navy.

 

Tutti gli M.S.C. fanno parte dello stesso progetto ed hanno compiti operativi costieri; sono costruzioni in legno al fine di limitare al massimo l’impiego di materiali magnetici, sono dotati di numerose cinture di smagnetizzazione, hanno a disposizione l’apparecchiatura “Oropesa”, per il dragaggio magnetico possono utilizzare le attrezzature “LL”, “LL modificato”, “jig aperto” e “jig chiuso”, l’apparecchiatura per l’innesco acustico degli ordigni può essere rimorchiata sia lateralmente, che di poppa.

 

Tra il 1956 ed il 1957, entrano in servizio quattro dragamine M.S.O. (MineSweeper Ocean) americani classe “Agile”, che costruiti negli USA, vengono trasferiti con finanziamento M.D.A.P. alla Marina Italiana; sono unità in legno con livello di smagnetizzazione molto spinto e caratteristiche dello scafo oceaniche, adatti per il dragaggio meccanico, magnetico ed acustico; le attrezzature utilizzate sono simili a quelle imbarcate sui M.S.C.

 

L’ultima serie di dragamine entrati in servizio nel 1957 è costituita da 20 M.S.I. (MineSweeper Inshore) appartenenti alla classe britannica “Ham”, finanziati dal Mutual Defense Assistance Program, costruiti in cantieri italiani e poi trasferiti alla Marina Militare. Costruiti in legno per il loro basso dislocamento sono impiegati per il dragaggio in bassi fondali e nelle acque interne.

 

L’avvento dei cacciamine

 

La fine della crisi arabo-israeliana del 1973, rende evidente l’inadeguatezza dei mezzi di dragaggio italiani; all’invito egiziano, rivolto alle maggiori Marine, di contribuire alla bonifica del canale di Suez, la Marina Militare può semplicemente offrire il contributo della nave appoggio Cavezzale, particolarmente attrezzata per l’assistenza ad attività subacquee con l’impiego un nucleo di sommozzatori; proposta comunque declinata dalle autorità egiziane.

 

Per poter neutralizzare i nuovi ordigni disseminati nel corso di questo conflitto, costituiti da sofisticati ed intelligenti congegni elettronici in grado di eludere i sistemi classici adottati dai dragamine del dopoguerra, c’è bisogno di trovare nuovi mezzi e un diverso concetto operativo. Tramonta così il termine “dragamine” per essere sostituito da uno più aggressivo “cacciamine”, la cui parola esprime direttamente il concetto per poter ottenere il risultato finale: individuare a distanza di sicurezza qualsiasi ordigno a prescindere dai sistemi d’innesco utilizzati, mettendo da parte le vecchie attrezzature di dragaggio ed impiegando sofisticate apparecchiature di rilevazione tipicamente adottate nella lotta antisom.

 

L’unica soluzione da adottare con immediatezza è la trasformazione nel 1975 del dragamine Mandorlo; l’unità viene dotata di un sonar rimorchiabile a profondità variabile tipo AN/SQQ-14, in grado di operare su due frequenze acustiche distinte; una con tonalità più bassa per la scoperta della presenza di mine e l’atra con tonalità più alta, che per merito di una migliore precisione, permette una classificazione e localizzazione più accurata dell’ordigno individuato.

 

Un moderno sistema di navigazione permette di determinare con precisione l’area della spazzata, avendo possibilità istante per istante di correggere eventuali deviazioni dalla rotta stabilita, dovute alle correnti ed al vento; il brillamento delle mine individuate viene ancora effettuato con l’intervento di esperti operatori subacquei.

 

Impiegato come prototipo sperimentale, i test effettuati sul Mandorlo risultano utili per promuovere miglioramenti necessari per consentire la trasformazione, tra 1978 ed il 1984 presso l’Arsenale di La Spezia, di altri sei M.S.C. Castagno, Cedro, Gelso, Frassino, Platano e Loto; a partire dal 1979 tutte le unità adattate prendono la classifica di cacciamine.

 

Organizzazione delle forze di dragaggio

 

In seguito all’accordo del 12 giugno 1982, in ambito internazionale, i dragamine della serie “Bambù” rimasti in servizio: Bambù, Mango, Mogano e Palma, dopo i necessari lavori di trasformazione in pattugliatori e inquadrati nel 10° Gruppo Navale raggiungono il Sinai, ove si è insidiata la M.F.O. (Multinational Force and Observers).

 

L’organizzazione delle residue forze di dragaggio, costituita dagli ultimi dragamine i servizio e dalle unità trasformate in cacciamine, è la seguente:

 

4° Gruppo Dragamine con sede La Spezia

 

54ª Squadriglia Dragamine Costieri: Castagno, Larice.

55ª Squadriglia Dragamine Costieri: Frassino, Gelso, Platano.

57ª Squadriglia Dragamine Costieri: Agave, Cedro, Edera, Loto, Sandalo.

74ª Squadriglia Dragamine Litoranei: Aragosta, Astice, Mitilo, Polipo, Porpora.

 

2° Gruppo Dragamine con sede Messina

 

53ª Squadriglia Dragamine Costieri: Gelsomino, Giaggiolo, Vischio, Timo.

61ª Squadriglia Dragamine Oceanici: Salmone, Sgombro, Storione, Squalo.

 

5° Gruppo Dragamine con sede Ancona

 

58ª Squadriglia Dragamine Costieri: Ebano, Mandorlo.

 

 

Fonti consultate:

 

G. Giorgerini e A. Nani ALMANACCO STORICO DELLE NAVI MILITARI ITALIANE 1861-1995

Ufficio Storico della Marina Militare – Roma 1996

 

Erminio BagnasconLA MARINA ITALIANA Quarant’anni in 250 immagini (1946-1987)

Supplemento alla Rivista Marittima 1988

 

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  • 1 month later...

Quello che viene messo in mare, è un paramine, utilizzato, come protezione passiva delle navi. l'apparecchiatura Oropesa, è ben diversa, in qyuanto si basa su divergenti e immersori. per quanto riguarda il dragaggio meccanico, l'apparecchiatura era una sola, “LL”, “LL modificato”, “jig aperto” e “jig chiuso”, era il modo di disporre le apparecchiature, al fine di variare la zone d'influenza magnetica creata. alla 54^ Squadriglia, mancano i seguenti dragamine: Cedro, Alloro, Olmo. questultimo fra l'altro è stato il primo cacciamine della marina italiana, fu dotato di un sonar rimorchiabile e di una piccola COC, al fine di rilevare su tavolo tattico i contatti del sonar e inviare su di essi personale SDAI. ho qualche problema a postare foto,ma ne ho molte di dragaggio.

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  • 2 weeks later...

Quello che viene messo in mare, è un paramine, utilizzato, come protezione passiva delle navi. l'apparecchiatura Oropesa, è ben diversa, in qyuanto si basa su divergenti e immersori. per quanto riguarda il dragaggio meccanico, l'apparecchiatura era una sola, “LL”, “LL modificato”, “jig aperto” e “jig chiuso”, era il modo di disporre le apparecchiature, al fine di variare la zone d'influenza magnetica creata. alla 54^ Squadriglia, mancano i seguenti dragamine: Cedro, Alloro, Olmo. questultimo fra l'altro è stato il primo cacciamine della marina italiana, fu dotato di un sonar rimorchiabile e di una piccola COC, al fine di rilevare su tavolo tattico i contatti del sonar e inviare su di essi personale SDAI. ho qualche problema a postare foto,ma ne ho molte di dragaggio.

 

Ringrazio per le precisazioni e le preziose informazioni del comandante Squadrag54, che dallo pseudonimo comprendo chiaramente che in materia ne sappia molto più di me; prendendo la palla al volo lo inviterei, se sia possibile, a fare una ricostruzione sui gruppi e squadriglie di dragaggio dal 1951 al 2000; dalle mie fonti consultate in quel periodo il Cedro risultava assegnato alla 57^ Squadriglia.

 

Tenendo conto che non sono un addetto ai lavori, molto spesso ho seria difficoltà nel comprendere a fondo le informazioni che le varie fonti propongono, a volte mi sembrano errate e le correggo altre volte le ignoro; sull'apparecchiatura Oropesa ho intuito che le diverse versioni avevano lo scopo di variare la conformazione dell'area da bonificare, ma non il resto non mi era chiaro.

 

Alloro ed Olmo non li ho presi in considerazione il primo perché nel 1983 è stato classificato nave ausiliaria il secondo perché nel 1983 risultava già radiato.

 

 

Negli anni Sessanta ho avuto occasione di effettuare parecchie fotografie di dragamine, ma non conosco quale squadriglia era operativa a Taranto, credo che si trattava della classe "Bambù".

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Errata corrige

 

Nel post 172 di pagina 6

è stata sostituito il seguente periodo:

 

17 dragamine amagnetici costieri classe “400” o “Fiori”, tipo Y.M.S. costruiti negli Stati Uniti e ceduti alla Royal Navy; acquistati in Italia nel 1947, sino al 1948 iscritti nel naviglio ausiliari e radiati tra il 1966 ed il 1968; dotati del sistema “Oropesa” per il dragaggio meccanico, di apparecchiature tipo “LL” (trasformabile in “LL modificato”) e tipo “Jig aperto” per quello magnetico e di apparecchiatura acustica rimorchiata lateralmente.

 

con:

 

17 dragamine amagnetici costieri classe “400” o “Fiori”, tipo Y.M.S. costruiti negli Stati Uniti e ceduti alla Royal Navy; acquistati in Italia nel 1947, sino al 1948 iscritti nel naviglio ausiliari e radiati tra il 1966 ed il 1968; dotati dell’apparecchiatura “Oropesa” per il dragaggio meccanico, impiegata nelle versioni “LL”, “LL modificato” e “Jig aperto” per quello magnetico e di apparecchiatura acustica rimorchiata lateralmente.

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951

in servizio nel periodo 1981-1990

 

La Missione del 14° Gruppo Navale

 

L’opportunità di poter effettuare un collaudo della reale capacità operativa dei cacciamine si offre nel 1984, proprio al termine del ciclo dei lavori di trasformazione di sei M.S.C., che iniziati nel 1978 terminano nel 1984 con il rientro in servizio del Platano.

 

Il governo egiziano seriamente preoccupato per la chiusura precauzionale del canale di Suez, in seguito all’esplosione di alcune mine in quelle acque, avanza una richiesta internazionale di aiuto per la sua bonifica; l’appello viene accolto da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia ed Italia; il 13 agosto 1984 lo Stato maggiore della Marina invia in Egitto una delegazione, per la pianificazione di un eventuale intervento da parte del nucleo contromisure mine; quindi si fissano i criteri di suddivisione delle zone di operazione da suddividere tra le nazioni partecipanti comprese l’Egitto; alle forze italiane vengono assegnate come priorità principale le zone del Grande Lago Amaro e della Baia di Suez e come priorità secondaria un’area interposta tra le zone di competenza americana e britannica.

 

Il 14 agosto viene costituito il 14° Gruppo Navale composto dalla nave appoggio Pietro Cavezzale ed i cacciamine Castagno, Frassino e Loto; il mattino del 22 agosto le unità salpano dalla Spezia e raggiungono Porto Said la sera del 28 agosto; dopo il transito nel canale di Suez giungono nella base navale di Adabiya la sera del 29 agosto; dal 31 agosto al 17 settembre operano nella Baia di Suez, lavorando in coppia con la terza unità ferma per manutenzione; dopo il trasferimento nel Grande Lago Amaro il 19 settembre iniziano l’attività di bonifica, che viene interrotta il giorno successivo; a causa di un’ulteriore preoccupante esplosione nella parte centrale del Golfo di competenza britannica, le unità italiane sono urgentemente trasferite nel settore di propria assegnazione come priorità secondaria, dove operano intensamente dal 23 settembre fino al 3 ottobre, impiegando giornalmente dall’alba al tramonto tre cacciamine; dopo una breve sosta ad Adabiya si trasferiscono il 5 ottobre, per completare la bonifica, nel Grande Lago Amaro fino al 7 ottobre.

 

Le operazioni di bonifica da parte del 14° Gruppo Navale si concludono nel giro di 38 giorni, compreso quelli dei vari trasferimenti; dopo uno scalo tecnico ad Ismailia, il 10 ottobre le unità salpano e raggiungono La Spezia il mattino del 19 ottobre 1984.

 

L’attività di bonifica del 10° Gruppo Navale di può riassumere in:

 

59 giorni di missione

42 giorni di presenza nelle zone di operazione

124 miglia quadrate esplorate

2.485 ore di moto

15.644 miglia percorse

Fonte: wikipedia.org

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sull'assegnazione delle unità alle varie squadriglie, può reganre confusione, posso però assicurare che dal 79 al 81, Nave Cedro era assegnata alla 54^ squadriglia, dove con nava Castagno si alternava come unità capo squadriglia, inoltre in quel periodo le due suddette unità, si alternavano in periodo di armamento e riserva, dipendeva dai lavori da effettuare, ed erano in genere assegnate agli stessi Comandanti e secondi. Dopo il mio periodo d'imbarco a Squadrag54, fui assegnato come ufficiale in seconda ai DD.RR. Mitilo e Porpora, che si alternavano in armamento. se la cosa interessa, potrei cercate di riassumere le varie tipologie di dragaggio, sia meccanico con l'apparecchiatura Oropesa, si magneto acustico con LL.

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951

in servizio nel periodo 1981-1990

 

La Missione del 14° Gruppo Navale

 

 

La missione ha visto impegnate le unità di CMM per 59 giorni, di cui 42 trascorsi nelle zone di operazioni.

E' stata esplorata in totale un'area di 124 miglia quadrate (circa 285 Km2).

Sono stati localizzati 483 contatti, di cui 236 investigati e classificati come «non mine»

Per assolvere la missione le unità hanno effettuato in totale 2.485 ore di moto e percorso 15.644 miglia.(circa 30 mila Km)

Le unità hanno risposto pienamente al compito assegnato.

Pur trattandosi di scafi vetusti, operanti in severe condizioni ambientali, si sono verificate soltanto avarie di lievissima entità, peraltro prontamente riparate con i mezzi di bordo e che non hanno inciso sull'assolvimento della missione.

Gli equipaggi sono stati duramente impegnati nella condotta delle operazioni, protrattesi praticamente senza interruzione per ben 42 giorni in condizioni climatiche per essi inconsuete.

Complessivamente sono stati impegnati 305 uomini, di cui 32 Ufficiali, 128 Sottufficiali, 140 marinai e 5 civili.

 

Per chi desidera saperne di più può saricare il seguente documento

 

http://www.marinaidi...ar_rosso_1.pdf

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951

in servizio nel periodo 1981-1990

Nuove costruzioni:

Cacciamine classe “Lerici”

 

Dopo la trasformazione nel 1975 del Mandorlo (nota 1), si profila con chiarezza la strada da seguire per combattere con più efficacia la minaccia delle moderne mine, diventate sempre più sofisticate ed insidiose; la soluzione più rapida e più semplice è quella della trasformazione di altri sei M.S.C., per costituire in breve tempo un primo valido nucleo di cacciamine, a cui si offre nel 1984 l’opportunità di effettuare un collaudo operativo, partecipando alle missioni di bonifica del Canale di Suez; contemporaneamente però si avvia un programma più ambizioso con lo scopo di realizzare ex novo unità appositamente concepite, in grado di assolvere in maniera più adeguata a questo specifico compito.

Il problema fondamentale nell’applicare le nuove procedure di bonifica, in relazione ai nuovi sistemi di minamento, consiste nella localizzazione degli ordigni alla maggiore distanza possibile per poi neutralizzarli con l’intervento di personale specializzato e mezzi adeguati, che operano isolati e a distanza dall’unità madre; in definitiva il cacciamine ha il compito di scoprire ed individuare le mine immerse con l’ausilio di sensibili apparati sonar; la distruzione degli ordigni è invece affidata a mezzi subacquei, con propulsione propria e filoguidati, dotati di proiettori e visori televisivi ed in grado di collocare cariche distruttive nelle loro vicinanze; la nuova tecnologia permette quindi l’impiego di mini-sommergibili in grado di sostituire l’intervento di personale altamente specializzato, con una notevole riduzione del fattore di rischio.

Particolare attenzione occorre indirizzare per la progettazione degli scafi da utilizzare per i cacciamine, che conservando le doti amagnetiche devono comunque essere particolarmente robusti, per assorbire le sollecitudini delle esplosioni, e nello stesso tempo leggeri, per limitarne il dislocamento; per risolvere questo particolare aspetto della progettazione, si rende chiara la necessità, utilizzando una nuova tecnologia, di ricorrere ad una resina rinforzata con fibra di vetro, la vetroresina nota come G.R.P. (Glass Reinforced Plastic); la società italiana Intermarine di Sarzana viene incaricata di sviluppare il progetto dello scafo in collaborazione col personale della Marina Militare.

 

Le specifiche richieste per la realizzazione dei nuovi cacciamine sono le seguenti:

silenziosità e doti amagnetiche molto spinte;

scafo in grado di generare una limitatissima pressione sull’acqua;

elevatissima robustezza dello scafo con la soluzione di adottare la vetroresina, dopo le positive prove effettuate sulla sezione di uno scafo;

ottimizzazione del rapporto costo/efficacia;

funzionalità e semplicità;

idoneità ad operare non solo nel Mediterraneo, ma anche in bacini caratterizzati da condizioni climatiche ed ambientali critiche.

 

I compiti da assolvere sono quelli di localizzare, classificare, identificare e neutralizzare le mine ormeggiate e da fondo con lo scopo di tenere libero l’accesso alle basi navali e ai porti commerciali.

 

La “Legge Navale” del 22 marzo 1975 prevede la costruzione di dieci cacciamine, ma la continua lievitazione dei costi di realizzazione riduce il numero a sole quattro unità: Lerici, Milazzo, Sapri e Vieste, che ordinate il 7 gennaio 1978 entrano in servizio nel 1985.

Lo scafo di tipo “monoscocca”, cioè privo di strutture longitudinali al disotto della linea di galleggiamento, è caratterizzato da un lungo castello di prora, che termina a poppavia del fumaiolo ed è suddiviso in 10 compartimenti stagni; le sovrastrutture, saldate chimicamente allo scafo, formano un unico blocco, costituito dalla plancia e da una tuga, che si raccorda al fumaiolo; l’albero di sostegno delle antenne radar e telecomunicazioni è posizionato alle spalle della plancia di comando; la struttura in vetroresina, oltre a garantire doti di robustezza e leggerezza, assicura resistenza agli agenti atmosferici, alla corrosione e assenza di deformazioni permanenti a causa degli effetti del moto ondoso.

Particolare cura è riservata agli impianti di bordo, avendo cura di posizionare tutti i macchinari e le apparecchiature rumorose in strutture sospese per smorzare le sollecitazioni provocate da cause interne ed esterne, contribuendo ad abbattere la segnatura acustica dell’unità.

Lo scafo è dotato di pinne antirollio incorporate e di una cassa di stabilizzazione passiva sistemata nella parte centrale, eventualmente utilizzabile per imbarcare ulteriore combustibile in maniera di aumentare l’autonomia dell’imbarcazione.

 

Apparato motore e sistema propulsivo

 

Il sistema propulsivo dei cacciamine della classe “Lerici” è costituito da due sottosistemi:

il primo per la navigazione di crociera, dotato di motore diesel BL.230-8M, con potenza massima complessiva di 1.600 hp, collegato ad un asse con elica a cinque pale a passo variabile con gruppo riduttore;

il secondo per la navigazione di ricerca, dotato di tre propulsori oleodinamici retrattili con eliche intubate (una a prora e due a poppa) alimentati da due gruppi diesel-generatori Isotta Fraschini ID-36-SS6V sistemati al disopra del ponte principale, con lo scopo di ottenere una segnatura magnetica molto ridotta ed una tenuta ottimale del punto fisso.

La velocità massima è di 15 nodi e l’autonomia a 12 nodi è di 2.500 miglia.

 

Apparecchiature, strumenti di dotazione ed armamento:

 

sonar di ricerca e classificazione FIAR AN/SQQ-14, con trasduttore a profondità variabile, installato a proravia del propulsore ausiliario prodiero, per evitarne il disturbo, durante la fase di ricerca;

due differenti minisommergibili filoguidati R.O.V. (Remotely Operated Underwater Vehicle), impiegati per l’identificazione e la neutralizzazione delle mine:

“MIN 77” Whitehead-Riva Calzoni;

“Pluto” della società italiana GAYMARINE;

un sistema di dragaggio meccanico “Oropesa” Mk 4;

attrezzature per assicurare il supporto ad un nucleo di 6-7 sommozzatori, in grado di operare autonomamente in piena sicurezza;

radar di navigazione SMA MM/SPN-703, con antenna collocata su di una mensola in cima all’albero;

sistema integrato di navigazione Motorola MRS III;

GPS e sistema di comando e controllo Datamat MM/SSN-714(V)3, in grado di elaborare con precisione la rotta di esplorazione e il corretto posizionamento;

apparati di telecomunicazioni UHF, VHF, HF, MF;

un cannoncino Oerlikon da 20/70 mm.

 

 

Eccettuato il sonar tutte le apparecchiature per la caccia ed il dragaggio sono sistemate a poppa e sulla parte terminale del castello di prora.

 

Dopo la radiazione dei vecchi dragamine in legno, i nuovi cacciamine, insieme agli M.S.C. trasformati, formano le Forze Contromisure Mine suddivise in due Squadriglie la 53ª e la 54ª.

 

(nota 1)

Il programma di trasformazione, finanziata con i fondi del bilancio ordinario, dei vecchi dragamine in cacciamine prevedeva nella sua formulazione originale la conversione di dieci unità, poi ridotta a sette.

 

 

Fonti consultate:

 

G. Giorgerini e A. Nani ALMANACCO STORICO DELLE NAVI MILITARI ITALIANE 1861-1995

Ufficio Storico della Marina Militare – Roma 1996

 

DALLA LEGGE NAVALE AL TERZO MILLENNIO – La Marina Militare Italiana dal 1975 al 2000

Michele Cosentino – Supplemento alla Rivista Marittima N. 10 – ottobre 2000

 

LE UNITÀ DELLA MARINA MILITARE Stato Maggiore della Marina U.D.A.P. marzo 1993

 

Sito: wikipedia.org

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951

in servizio nel periodo 1981-1990

Nuove costruzioni:

Cacciamine classe “Lerici”

 

 

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951

in servizio nel periodo 1981-1990

Nuove costruzioni:

Cacciamine classe “Lerici”

 

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951

in servizio nel periodo 1981-1990

R.O.V. Pluto

 

Nel corso del 1983 viene organizzata, nel lago di Como, una dimostrazione sulle doti di capacità e manovrabilità del R.O.V. Pluto, realizzato dalla società italiana Gaymarine.

 

Si tratta di un veicolo sommergibile telecomandato in grado di condurre in maniera autonoma ispezioni di ordigni subacquei e permettere la loro distruzione; di dimensioni ridotte e peso contenuto, lo scafo del Pluto, realizzato in fibra di vetro, è composto da due sezioni entrambe fissate ad una slitta anti-urto:

 

quella posteriore di forma allungata contiene le apparecchiature elettroniche e l’apparato di propulsione, alimentato da batterie di accumulatori a gel solido con autonomia di 1-2 ore, cinque eliche intubate di navigazione e manovra, la presa d’acqua del misuratore di profondità, la carica esplosiva (in mancanza di questa si fissa un’equivalente peso in zavorra), il gancio baricentrico per le operazioni di sollevamento ed infine lo spinotto per il collegamento via cavo con l’unità madre;

 

la sezione anteriore è di forma sferica ed è fissata alla slitta mediante un fulcro centrale che permettere il movimento in elevazione di 240° in entrambi i sensi; la testa contiene tutti i sensori necessari per un’accurata ispezione costituiti da: telecamera compatta con notevole potere risolutivo, apparecchiatura fotografica, sonar direzionale con portata di 30 m (accuratezza di 1 m e risoluzione di 25 cm), bussola, due lampade alogene da 75 watt ed un flash.

 

L’attrezzatura necessaria per garantire la completa l’operatività del Pluto si completa a bordo dell’unità madre con un verricello automatico con 500 m di cavo per teleguida di 6 mm di diametro, una consolle di controllo con la presenza di un solo operatore e l’apparecchiatura per l’attivazione a distanza della carica esplosiva deposta.

 

Le doti di manovrabilità del mezzo sono assicurate dalla presenza di cinque eliche intubate con altrettanti motori: due per la navigazione orizzontale, due per le manovre verticali e una per permettere spostamenti trasversali, in effetti simula il timone; nella prima fase dell’ispezione il Pluto viene diretto verso l’obiettivo dall’operatore della consolle con l’ausilio dell’operatore del sonar di bordo; nella fase finale l’avvicinamento può essere controllato autonomamente mediante i sensori installati nella testa rotante; il basso livello di segnatura magnetica del veicolo permette un avvicinamento senza rischi fino 0.5÷1 m dal bersaglio; depositata la carica esplosiva, questa è fatta esplodere dopo il recupero del veicolo a bordo e dopo che la nave madre abbia raggiunto una distanza di sicurezza.

 

Destinato a migliorare la dotazione dei sette cacciamine tipo “Mandorlo” ed ad essere imbarcati a bordo delle quattro unità della classe “Lerici”, le prove effettuate hanno consentito di stabilire, per una singola missione, un tempo medio di esecuzione di 30 minuti:

 

messa a mare del veicolo – 5 min.

tempo di arrivo sul bersaglio, navigando alla massima velocità su un percorso di 500 m, - 4 min.

osservazione del bersaglio e posa della carica esplosiva – 10 min.

rientro sottobordo all’unità madre – 6 min.

recupero a bordo del veicolo – 5 min.

 

In definitiva considerando l’autonomia di 120 minuti della batteria degli accumulatori e calcolando il consumo per ogni missione, si possono effettuare quattro missioni, prima della necessità di sostituire la fonte dell’energia elettrica.

 

 

 

Versioni di R.O.V. Pluto della Gaymarine

 

R.O.V. (Remotely Operated Underwater Vehicle) PLUTO

Veicolo per ispezione con capacità trasporto carichi o accessori

 

Peso: 160 Kg

Velocità: 4 nodi (dipendente dalle configurazioni)

Propulsione: 2 motori orizzontali, 2 verticali, 1 trasversale

Sensori: 2 sonar, 1 videocamera, 1 fotocamera

Carico trasportabile: 45 Kg (in aria)

Profondità: da 300 a 1000 m (oltre a richiesta)

 

 

R.O.V. (Remotely Operated Underwater Vehicle) PLUTO PLUS

Veicolo per ispezione e controminamento

 

Peso: 315 Kg

Velocità: 6 nodi (dipendente dalle configurazioni)

Propulsione: 2 motori orizzontali, 2 verticali, 1 trasversale

Sensori: 3 sonar, 1 videocamera

Carico trasportabile: 100 Kg (in aria)

Profondità: da 300 m (oltre a richiesta)­­

 

 

R.O.V. (Remotely Operated Underwater Vehicle) PLUTO GIGAS

Veicolo subacqueo per condizioni marittime estreme

 

Peso: 600 Kg

Velocità: > 7 nodi

Propulsione: 4 motori orizzontali, 2 verticali, 2 trasversali

Sensori: 4 sonar, 1 videocamera

Carico trasportabile: 100 Kg (in aria)

Profondità: 600 m (oltre a richiesta)

 

 

 

 

 

 

Fonti consultate:

 

articolo Il sistema cacciamine Pluto di Odoardo Di Sertano

pubblicato su Panorama Difesa jp4 agosto-settembre 1983

 

sito: gaymarine.it

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951

in servizio nel periodo 1981-1990

 

Riorganizzazione delle unità da dragaggio

 

A partire dal 1985 le quattro unità della classe “Lerici”, insieme ai sette M.S.C. trasformati, costituiscono le Forze Contromisure Mine, con base alla Spezia, formate dalla 53ª e dalla 54ª Squadriglia Cacciamine, delle quali la prima viene trasferita nella città ligure da Messina, sua base di origine.

 

La Forza di Dragaggio, costituita dai vecchi M.S.O., M.S.C. e M.S.I. viene abolita e le unità che ne facevano parte subiscono sorti diverse; una parte sono poste in disarmo e quindi radiate, le restanti sono utilizzate per impieghi vari.

 

Le unità della classe “Salmone”, che formano la 61ª Squadriglia Dragamine Oceanici del 2° Gruppo, con base a Messina, pur conservando le attrezzature da dragaggio, continuano ad essere prevalentemente impiegate in compiti di sorveglianza costiera e vigilanza pesca; Salmone nel 1990 e Sgombro nel 1991 passano in disarmo; mentre Storione e Squalo nel periodo 1992-1993 sono sottoposti a lavori che con lo sbarco delle apparecchiature da dragaggio e alcuni miglioramenti strutturali, che riguardano principalmente la plancia, permettono loro di essere denominati pattugliatori, pur conservando il codice d’identificazione NATO originale.

 

Mirto e Pioppo, convertiti in navi idrografiche negli anni Settanta, continuano la loro attività, in attesa di essere sostituiti da nuove unità, appositamente concepite per lo svolgimento di questo tipico ruolo.

 

L’ Alloro nel 1983 viene classificata unità addestrativa assumendo il distintivo ottico NATO di riconoscimento A 5308.

 

Dal 1982 Bambù, Mango, Mogano e Palma, sottoposti a lavori di adattamento, formano il 10° Gruppo Navale con il compito di pattugliare le acque del Sinai nell’ambito del contingente internazionale M.F.O. ; dal 1988 vengono ufficialmente classificati pattugliatori e mutano il codice d’identificazione NATO, nell’ordine:

P 495, P 496, P 497, P 498.

 

Dei venti dragamine M.S.I. della classe “Aragosta”, negli anni Settanta vengono poste in disarmo undici unità, di queste singolare sorte spetta allo Scampo, che utilizzato come mezzo di trasporto veloce assume la denominazione MEN 205 prima e MEN 211 poi; tra il 1980 ed il 1983 viene sottoposto a lavori di trasformazione piuttosto radicali e rientra in servizio come Murena e identificativo NATO A 5305; l’unità viene classificata nave esperienze con compiti di lancio siluri e supporto per attività di lancio; delle rimanenti nove unità ancora in servizio all’inizio degli anni Ottanta, Gambero, Granchio, Pinna e Riccio sono poste in disarmo tra il 1981 ed il 1982; Aragosta, Astice, Mitilo, Polipo e Porpora fanno ancora parte della 74ª Squadriglia Dragamine Litoranei, che nel 1967 è stata trasferita dalla Spezia a Messina per poi ritornare presso la base ligure nel 1978; a decorrere dal 1° febbraio 1985 le cinque unità superstiti vengono classificate “navi ausiliarie per addestramento”, assumendo rispettivamente le seguenti identificazioni NATO:

A 5378, A 5379, A 5380, A 5381, A5382

e riorganizzate nel 74° Comando Gruppo Navale Addestrativi (COMGRUPNAVADD74) alle dipendenze operative del Dipartimento dell’Alto Tirreno ed impiegate per attività addestrative degli Ufficiali dell’Accademia Navale per compiti di vigilanza nelle acque della Spezia.

 

Fonti consultate:

 

G. Giorgerini e A. Nani ALMANACCO STORICO DELLE NAVI MILITARI ITALIANE 1861-1995

Ufficio Storico della Marina Militare – Roma 1996

 

DALLA LEGGE NAVALE AL TERZO MILLENNIO – La Marina Militare Italiana dal 1975 al 2000

Michele Cosentino – Supplemento alla Rivista Marittima N. 10 – ottobre 2000

 

LE UNITÀ DELLA MARINA MILITARE Stato Maggiore della Marina U.D.A.P. marzo 1993

wikipedia.org

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951

in servizio nel periodo 1981-1990
Nuove costruzioni:

LPD classe “San Giorgio”

 

 

Premessa

 

In seguito all’annullamento del progetto della classe “Quarto” e l’acquisizione nel 1972 di due LST di provenienza U.S.A., si offre il tempo necessario per pensare a nuove soluzioni per la realizzazione di una forza da sbarco, in grado di soddisfare le nuove esigenze della Marina italiana, che si manifestano nel corso degli anni Settanta e Ottanta; in effetti l’impiego delle unità da sbarco Grado e Carole viene anche esercitato in compiti operativi, che fanno parte di un contesto internazionale, che negli anni Sessanta erano difficilmente prevedibili.

 

 

Specifiche del progetto

 

Il progetto si sviluppa tenendo conto dell’esigenza di una serie di specifiche, che possono essere così sintetizzate:

 

dimensioni e dislocamento limitato;

capacità di trasporto truppe a livello di battaglione;

dotazione di bacino allagabile;

massima flessibilità d’imbarco, parcheggio e trasporto di mezzi cingolati e ruotati;

dotazione di mezzi da sbarco tipo MTM (Moto Trasporto Medio) e MTP (Moto Trasporto Piccolo);

ponte di volo continuo, da utilizzare sia per l’attività elicotteristica, sia per il trasporto di mezzi terrestri e merci;

economia di costruzione adottando specifiche caratteristiche delle navi mercantili, adottando un sistema di costruzione modulare.

 

Ruoli e compiti

 

Le unità della classe “San Giorgio” sono poste nella categoria delle LPD (Landing Platform Dock), termine adottato dalla U.S.Navy per indicare quelle unità, che possiedono sia le capacità di una AKA (Attack Cargo Ship), dedicata al trasporto di materiali, sia quelle di una LSD (Lading Ship Dock), dotata di bacino allagabile, per permettere l’imbarco diretto di veicoli e truppe sui mezzi di trasporto; per quanto detto la nuova categoria viene classificata nella Marina Militare come “nave da trasporto e sbarco”, con il compito di svolgere operazioni d’imbarco, trasporto e sbarco di truppe, materiali e mezzi tra due porti, ma anche da porto e zone sprovviste di approdi e con attrezzature portuali non utilizzabili; le specifiche della Marina Militare inoltre prevedono la possibilità d’intervento in caso di calamità naturali, per operazioni di soccorso ed assistenza, sia in patria che all’estero, l’adozione di un sistema di bonifica della superficie di mare, in caso di gravi episodi d’inquinamento e la possibilità d’imbarcare gli Allievi Ufficiali dell’Accademia Navale per le crociere d’istruzione estive.

 

Descrizione dello scafo

 

Lo scafo delle unità della classe “San Giorgio” è caratterizzato da un ponte continuo, tipico di portaerei e portaelicotteri, che non si estende comunque fino a prora estrema, consentendo così la possibilità d’imbarcare, in zona prodiera, un cannone con la relativa Direzione di Tiro; il dritto di prora è slanciato e si raccorda nell’opera viva con un bulbo dotato di una protuberanza abbastanza evidente, in funzione esclusivamente idrodinamica; le sovrastrutture costituiscono un unico blocco, collocato a metà dello scafo in posizione laterale a dritta, dove naturalmente trova posto la plancia di comando; c’è un unico fumaiolo ed un albero di dimensioni molto limitate per sorreggere le antenne radar e di telecomunicazioni; poiché il progetto prevede limitate dimensioni, lunghezza f,t, di 133,30 m, larghezza di 20,05 m e dislocamento di circa 6.000 t, a causa di un ponte di volo di lunghezza ridotta, le unità possono imbarcare un numero ristretto di elicotteri, da parcheggiare in coperta non essendo disponibile l’aviorimessa.

 

Lo scafo è suddiviso in quattro zone orizzontali.

 

Ponte di volo e sovrastruttura, che comprende plancia di comando, locali operativi, il centro per l’assistenza delle operazioni di volo, alloggi ufficiali.

 

Ponte di corridoio, adibito principalmente ad alloggi e locali di vita per l’equipaggio.

 

Garage costituito da un ponte continuo che, estendendosi da poppa a prua può essere completamente utilizzato come autorimessa; imbarco e sbarco di automezzi e cingolati può avvenire mediante l’utilizzo di rampe, utilizzando il portellone abbattibile poppiero, la celata sollevabile prodiera ed il portellone a scorrimento laterale, posizionato in zona prodiera sulla murata di dritta; a estrema poppa sotto la linea di galleggiamento c’è il bacino allagabile, di dimensioni idonee per contenere un MTM lungo 18,50 m; altri due MTM sono imbracati e poggiati su apposite selle sul ponte di volo all’altezza dell’isola; la soglia del bacino è sotto la linea di galleggiamento per cui può essere allagato aprendo il portellone poppiero; con portellone chiuso l’allagamento è possibile mediante l’utilizzo di apposite valvole di presa a mare; il raccordo tra il bacino ed il piano del garage, denominato “spiaggia” permette l’imbarco diretto di un automezzo o cingolato a bordo di un MTM, utilizzando il portellone abbattibile dello stesso; nel caso non siano previste operazioni anfibie il bacino è coperto da una chiusura metallica, permettendo l’imbarco e lo sbarco dei veicoli attraverso il portellone poppiero; in posizione laterale sono sistemati i depositi di materiale e munizioni, le stazioni di condizionamento, i locali delle centraline oleodinamiche, i locali servizi, la lavanderia, la stireria, il locale nostromo e le segreterie.

 

La zona più bassa comprende i depositi per i liquidi, i locali per l’apparato motore e dei gruppi elettrogeni, la cambusa e le celle frigorifiche, la centrale di condizionamento, gli alloggi per il personale trasportato ed il locale per l’elica di manovra prodiera.

 

Considerando la strozzatura creata tra l’isola e la collocazione dei due MTM, sistemati in coperta, il ponte di volo è in effetti suddiviso in due zone: una prodiera di circa 800 mq destinata al parcheggio ed un’altra poppiera di circa 900 mq, utilizzata per il decollo e l’appontaggio degli elicotteri; quest’ultima è dotata di luci di appontaggio e sentiero luminoso per le operazioni notturne.

A proravia dell’isola trova posto un motoscafo veloce per trasporto VIP ed una gru per la movimentazione di carichi pesanti.

Nella parte centrale il ponte di volo è munito di un elevatore, che permettere il trasferimento degli automezzi tra ponte e garage.

 

Apparato motore

 

L’apparato motore imbarcato sulle unità della classe “San Giorgio” è costituito da due motori diesel Grandi Motori Trieste A-420.12 a dodici cilindri, per una potenza complessiva di 16.800 hp (12.353 Kw), ciascuno in grado di azionare due assi ciascuno dei quali, accoppiato a un gruppo riduttore, aziona un’elica pentapala a passo variabile; per consentire una migliore manovrabilità in porto, viene utilizzato un propulsore elettrico ausiliario con elica intubata a prora; la velocità massima consentita è di 20 nodi; l’autonomia a 20 nodi è di 4.500 miglia circa.

L’energia elettrica è assicurata da quattro gruppi GMT B 230.6 da 770 Kw ciascuno (450v, 60 hz) con Centrale Operativa di Piattaforma ed impianto di automazione comprendente i seguenti sistemi:

 

telecomando e telecontrollo dei motori principali;

automazione della centrale elettrica;

controllo delle misure e degli allarmi.

 

Dotazione elettronica, armamento, attrezzature e mezzi

 

La dotazione elettronica è composta da:

 

radar scoperta di superficie S.M.A. MM/SPS-702;

radar di navigazione GEM Elettronica MM/SPN-748;

Direzione di Tiro Argo NA-10 con radar SPG-70 (RTN-10X);

sistema di guerra elettronica ESM-ECM;

sistema di navigazione GPS/NAVSTAR;

sistema generazione di rumore NIXIE;

sistema lancia-chaff.

 

L’armamento è composto da:

 

1 cannone OTO-Melara da 76/62 mm a.a.;

2 mitragliere da 20/70 mm

2 lanciarazzi

1 nebbiogeno Simmel

 

Possibilità d’mbarcare due elicotteri pesanti tipo CH-47 e 36 veicoli tipo VCC-1.

 

 

L’equipaggio è di 163 effettivi con capacità di trasporto di 353 persone con carico massimo trasportabile di 1.226 t.

 

Il San Giorgio L 9892, inserito nella Legge Navale del 22 marzo 1975, viene commissionato ai Fincantieri di Riva Trigoso ed impostato il 27 maggio 1985, varato in forma ufficiale il 21 febbraio 1987, scende in mare il 25 febbraio a causa delle cattive condizioni del mare; è consegnato alla Marina Militare Italiana il 13 febbraio 1988.

 

Il San Marco L 9893, realizzato con il contributo dei fondi della Protezione Civile, viene impostato presso i Fincantieri di Riva Trigoso il 26 marzo 1985, varato il 10 ottobre 1987 e consegnato il 14 maggio 1988; a differenza dell’unità gemella i principali compiti del San Marco riguardano operazioni di soccorso umanitario per conto della Protezione Civile, per cui l’unità ha una componente ospedaliera più completa, una superiore capacità di produrre acqua potabile e la possibilità di eseguire interventi di bonifica antinquinamento tramite l’impiego di solventi biodegradabili.

 

Fonti consultate:

 

G. Giorgerini e A. Nani ALMANACCO STORICO DELLE NAVI MILITARI ITALIANE 1861-1995

Ufficio Storico della Marina Militare – Roma 1996

 

DALLA LEGGE NAVALE AL TERZO MILLENNIO – La Marina Militare Italiana dal 1975 al 2000

Michele Cosentino – Supplemento alla Rivista Marittima N. 10 – ottobre 2000

 

LE UNITÀ DELLA MARINA MILITARE Stato Maggiore della Marina U.D.A.P. marzo 1993

 

Rivista Italiana Difesa N. 1 – gennaio 1986

wikipedia.org

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951 in servizio nel periodo 1981-1990
Nuove costruzioni: Navi ausilirie

 

Negli anni Ottanta si porta a compimento il rinnovamento della componente ausiliaria della Marina italiana, che per motivi di bilancio è stata trascurata nel corso di diversi decenni;

il beneficio ricevuto non è solo dovuto all’acquisizione di nuove costruzioni, ma anche alla spiccata omogeneità delle unità facenti parte della medesima categoria, soprattutto per quanto riguarda quella dei rimorchiatori, suddivisi in tre gruppi assolutamente omogenei: rimorchiatori d’altura, rimorchiatori costieri e rimorchiatori portuali.

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951 in servizio nel periodo 1981-1990
Nuove costruzioni: Navi esperienze

 

Nave esperienze Raffaele Rossetti A 5315

 

Costruita presso i Cantieri Picchiotti di Viareggio, varata il 12 luglio 1986 e consegnata alla Marina Militare il 20 dicembre 1986, viene posta alle dipendenze del Dipartimento Marittimo dell’Alto Tirreno ed assegnata alla sede della Spezia.

L’unità è progettata e realizzata per esigenze di studio, sperimentazione e ricerca a supporto della Commissione Permanente (Mariperman La Spezia) per lo sviluppo di nuove tecnologia da applicare a nuovi sistemi d’arma e di piattaforma.

 

Nave esperienze Vincenzo Martellotta A 5320

 

L’unità progettata e costruita presso i cantieri navali Picchiotti di Viareggio viene consegnata alla Marina Militare nel dicembre del 1990; è poi inserita nel quadro di un ampio progetto italo-francese per lo studio e la realizzazione di un sistema d’arma per un siluro leggero. Ha sede di ascrizione e di assegnazione nella base navale della Spezia e la sua attività consiste principalmente nel fornire appoggio al C.S.S.N. (Centro Supporto Sperimentazioni Navali) come unità in mare per le sperimentazioni ed i collaudi di nuovi sistemi d’arma ed apparecchiature. A bordo sono presenti considerevoli apparecchiature di moderna tecnologia computerizzata. Poiché dotata di un propulsore ausiliario prodiero e di uno azimutale immergibile poppiero, nonché di un gommone e di una gru di medio carico nella zona di poppa, l’unità si rivela particolarmente versatile ed idonea anche alla conduzione di operazioni in mare che prevedono la movimentazione di carichi medio-leggeri.

 

Fonte consultata

­sito: www.marina.difesa.it

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Unità di costruzione nazionale a partire dal 1951 in servizio nel periodo 1981-1990
Nuove costruzioni: Motoscafi appoggio sub

 

Mario Marino Y 498

 

L’unità costruita alla Spezia, presso il Cantiere Crestitalia di Ameglia, è destinata ad assicurare attività operativa/addestrativa del G.O.I. (Gruppo Operativo Incursori) ed è anche impiegata per le esigenze addestrative della Scuola incursori e le attività sperimentali dell’ufficio studi.

 

Alcide Pedretti Y 499

 

L’Unità costruita alla Spezia,presso il Cantiere Crestitalia di Ameglia, è varata il 17 maggio 1984 e consegnata alla M.M.I. il 4 maggio 1985.

Motoscafo Appoggio Subacqueo (MAS) attrezzato per operazioni di salvataggio sommergibili e in grado di svolgere interventi subacquei in appoggio al Gruppo Operativo Subacquei fino a –80 mt.
Dotata di una camera iperbarica multiposto in grado di effettuare tutte le tabelle terapeutiche previste dalle norme in vigore per malattie da decompressione e sovrapressione polmonare, fornisce principalmente supporto alle attività subacquee condotte dal Gruppo Scuole ed, occasionalmente, al G.O.S. e dal G.O.I. e dall’ufficio studi di COMSUBIN.

 

Fonte consultata

 

Sito: www.marina.difesa-it

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