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250 Kg Di Dinghy


Secondo Marchetti

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Questo è l'esperimento a cui avevo accennato in un'altra discussione: armare con la randa a tarchia di un Dinghy 12" un gozzo grossomodo ligure.

 

Dico grossomodo perché quell'affare è uscito una ventina d'anni fa da un cantiere della media Val Nervia che, dice mio padre, laminava il matt con la cassuola e riempiva di cemento lo scafo fino all'altezza della linea di galleggiamento, col risultato che questa barchetta da poco più di 4 metri pesa fra i 250 ed i 300 kg, ed ha anche forme di carena simmetriche ma un po' fantasiose :s03:

 

Per ovviare al problema della propulsione di tale massa, se fino all'anno passato disponevamo solo di un paio di buoni remi, quest'anno ci si è presentata un'occasione sotto la forma della vela suddetta, che ci è stata regalata.

 

Si tratta di un esperimento in tutto e per tutto: non abbiamo la più pallida idea, solo un moderato pessimismo, riguardo al fatto che uno scafo come quello possa bolinare sotto una tale superficie di tela; non sappiamo neppure se, in caso di scuffia, il gavone a prua conterrà abbastanza aria da assicurare l'affioramento dello scafo (e per questo ne stiamo costruendo un secondo a poppa).

 

Perlomeno dal punto di vista estetico, però, ne valeva la pena

 

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Un pensierino anche a Betasom: questo è il logo che avevo dipinto a prua qualche anno fa :s03:

 

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E' niente male...sembra proporzionato tra scafo e superficie velica.

Io forse avrei piazzato l'albero un po' più a prua (non molto, però).

Avete considerato la possibilità di usare derive laterali?

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Le derive laterali non ti servono per annullare lo scarroccio, ma per virare in prua.

La lancia armata di cui parlo nella "Vespa di mare" aveva la medesima superficie antiscarroccio del tuo gozzo: cioé nessuna, salvo quel poco di dritto di controchiglia rachitica. Di bolina saliva come un treno, ma per farla virare di prua dovevi mandarle i fiori e invitarla a cena.

Una decina di anni fa ho contribuito a collaudare un gozzo costruito per le regate di Stintino (superficie velica imponente e niente chiglia) ed era sempre la stessa solfa: per virare di prua si calavano due remi a murata, stile trireme.

Per la velocità non preoccuparti: hai mai visto come una Star si mette in spalla i suoi quattrocento chili di piombo con meno di due nodi di vento ?

E poi cosa vuoi che siano i duecentocinquanta chili del tuo bistrattato gozzo ? Lo Snipe sino agli anni settanta pesava di stazza almeno centonovantadue chili di puro legno, senza ausili di stuoia di vetro o di cemento. E quello su cui mi feci le ossa ne pesava almeno trenta in più (ci bruciavo una frizione della 850 coupé ogni autunno, quando lo alavamo in secco).

Modificato da marat
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Ci sono riuscito ancora una volta (lo avevo già fatto con Alagi).

Ho cancellato il post di Marchetti e l'ho sostituito con il mio: quello sopra non é farina del sacco di Secondo, é del sacco mio.

Non so come lo faccio (e tantomeno perché) ma lo faccio magnificamente bene.

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Non si preoccupi Maestro, attendevo il suo parere e questo val bene un post cancellato :s01:

 

A Fabio dicevo, se ben ricordo, che l'albero si trova lì "faute de mieux", è la posizione più avanzata possibile se non si vuole fare un buco nel gavone, e che se proprio dovesse dimostrarsi intollerabilmente orziera installeremo un fiocco con buttafuori. Lo vorrei mettere comunque, mi piacciono gli armi complessi, ma per ora ho fretta di andare in mare e vedere come si comporta.

 

Per la questione della virata, abbiamo previsto un generosissimo timone, sperando che aiuti...

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E come ancora/e, cosa prevede la dotazione di bordo?

 

Stone anchor (dalle mie parti natali: màzzira)

Richiede perizia per la realizzazione del nodo con il quale viene assicurata alla cima di ancoraggio (cosidetto nodo "a pacco postale"). Tuttavia comporta:

- Investimento iniziale contenuto

- Durata pressoché illimitata

- Ragguardevole tenuta su qualsiasi tipo di fondale.

- In caso di incastro irreversibile può essere mollata sul fondo con la sola perdita supplementare della cima di collegamento.

 

 

50252925294029688768n.jpg

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Stone anchor (dalle mie parti natali: màzzira)

Richiede perizia per la realizzazione del nodo con il quale viene assicurata alla cima di ancoraggio (cosidetto nodo "a pacco postale"). Tuttavia comporta:

- Investimento iniziale contenuto

- Durata pressoché illimitata

- Ragguardevole tenuta su qualsiasi tipo di fondale.

- In caso di incastro irreversibile può essere mollata sul fondo con la sola perdita supplementare della cima di collegamento.

 

 

50252925294029688768n.jpg

 

e partecipa all'aumento della zavorra mobile....

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Stone anchor (dalle mie parti natali: màzzira)

Richiede perizia per la realizzazione del nodo con il quale viene assicurata alla cima di ancoraggio (cosidetto nodo "a pacco postale"). Tuttavia comporta:

- Investimento iniziale contenuto

- Durata pressoché illimitata

- Ragguardevole tenuta su qualsiasi tipo di fondale.

- In caso di incastro irreversibile può essere mollata sul fondo con la sola perdita supplementare della cima di collegamento.

 

 

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...e in caso di attacchi da parte di pirati o malintenzionati funge anche da arma 'controundente'! :s20:

Modificato da sertore
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Semplicemente meraviglioso :s03: :s03: :s03: suggerirei però un restauro!!!

E come ancora/e, cosa prevede la dotazione di bordo?

 

Il restauro è previsto, possibilmente applicando un maggior rigore filologico all'emblema (dovrebbe essere in rosso pieno, la sega era più corta e scalata, l'occhio pieno e senza ciglia, la bocca senza denti...)

L'ancora è un ancorotto a marre ripiegabili da una decina di kg, con due metri di catena e trenta di cima. Applicandovi il secchio di bordo al posto del gruppo ancorotto+catena, si ottiene anche una buona ancora galleggiante.

 

 

e partecipa all'aumento della zavorra mobile....

 

Il problema è che, secondo le leggi della fisica, la zavorra mobile ha una fastidiosa tendenza a mobilizzarsi verso l'esatto punto della barca in cui l'applicazione del suo peso è meno opportuna, contribuendo fattivamente al peggioramento delle situazioni seccanti, quali le straorze.

Portandosi a bordo una pietra con una cima, inoltre, si può avere una ragionevole certezza che, al momento meno opportuno, come ad esempio una scuffia, la cima vi si attorciglierà attorno al piede.

Quello che a terra si chiama pessimismo, in mare si chiama sano realismo.

Modificato da Secondo Marchetti
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I lavori procedicchiano: oggi ho impagliato il timone nella fibra di vetro; dato che la barra deve passare attraverso lo scafo, questa deve essere facilmente smontabile per poter togliere e mettere al proprio posto la pala: ho dunque trovato due tubi di carbonio che si incastrano l'uno dentro l'altro senza giochi, e con quello di diametro maggiore ho fatto l'alloggiamento della barra; peccato che, con tre strati di tessuto di vetro a coprirlo, non si veda più il carbonio :s03:

(In realtà a vederlo il timone ha una forma abbastanza disgustosa, con due ganasce di legno sulla testa della pala per tenere il posizione il tubo non è certo elegante quanto altri prodotti del nostro atelier :s10: però dovrebbe funzionare, perlomeno)

 

Per avere un bompresso amovibile, dunque negli effetti un buttafuori, pensavo di usare un sistema simile, ma inverso: uno spezzone di tubo di piccolo diametro resinato ad un foro passante per lo scafo, sul quale si sarebbe innestato il tubo di diametro maggiore, cioé il buttafuori vero e proprio: ma la proposta è stata bocciata perché non rispettava le norme anti-teppismo che, in quest'angolo d'Africa, sono di rigore.

Mio padre infatti pensava che uno, martellandoci addosso con una grossa pietra, avrebbe potuto rompere il tubo con facilità... Tanto per darvi un'idea dei problemi con cui dobbiamo avere a che fare. In effetti da noi i corpi morti sulla spiaggia (non sono solo i cuneesi ustionati della domenica: i corpi morti, per chi non lo sapesse, sono punti d'ancoraggio fissi, sia a terra che in mare) servono per due cose: la funzione tradizionale, quella di fare da punto d'ancoraggio per i paranchi d'alaggio delle barche; la funzione locale, quella di essere chiusi a lucchetto su un anello della barca per evitare che la teppaglia notturna ci butti la roba a mare :s03:

 

Se dunque non userò la barra in carbonio per darla sulle gengive ad uno di questi Signori eventualmente colto sul fatto, prossimamente la installerò al suo posto :s01: Ma averla amovibile, qui, può sempre tornar comodo...

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Se per ganasce di legno intendi guance, sino a qualche decennio fa il marchingegno era lo standard usuale, perché non c'era altro modo di accoppiare una barra di leno ad una testa di timone dello stesso materiale. Il risultato non era disgustoso, almeno tale non mi é mai parso.

Tuttavia fissare un manicotto alla testa di un timone non mi pare che richieda guance. E' sufficiente un'ingessatura con due o tre strati di mat, e due staffe a U rovesciata di acciaio inox da un millimetro di spessore e 15 di larghezza, acconciamente fissate al timone con due bulloncini passanti (le sole staffe, senza ingessature, le usavo per i miei tecnologici timoni da un chilo e due tutto compreso, profilo Naca, pala non pivotante e barra fissa per abbattere giochi e vibrazioni).

Per il bompresso, e tenuto conto della obbligatoria discrezione con cui si ficcanasa in questi lavori, io non rinuncerei ad un canonico bompresso in puro legno. Albero in legno, boma in legno, picco in legno, e bompresso in carbonio ? Dì a tuo padre che mi aspetto un atto di resipiscenza.

Modificato da marat
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Se per ganasce di legno intendi guance, sino a qualche decennio fa il marchingegno era lo standard usuale, perché non c'era altro modo di accoppiare una barra di leno ad una testa di timone dello stesso materiale. Il risultato non era disgustoso, almeno tale non mi é mai parso.

Tuttavia fissare un manicotto alla testa di un timone non mi pare che richieda guance. E' sufficiente un'ingessatura con due o tre strati di mat, e due staffe a U rovesciata di acciaio inox da un millimetro di spessore e 15 di larghezza, acconciamente fissate al timone con due bulloncini passanti (le sole staffe, senza ingessature, le usavo per i miei tecnologici timoni da un chilo e due tutto compreso, profilo Naca, pala non pivotante e barra fissa per abbattere giochi e vibrazioni).

Per il bompresso, e tenuto conto della obbligatoria discrezione con cui si ficcanasa in questi lavori, io non rinuncerei ad un canonico bompresso in puro legno. Albero in legno, boma in legno, picco in legno, e bompresso in carbonio ? Dì a tuo padre che mi aspetto un atto di resipiscenza.

 

 

Ho dovuto usare un paio di guance perché la pala, fatta con tre strati di compensato da circa quindici, si rastremava alla sommità al solo strato centrale: appoggiare un tubo largo quaranta mm su un così ridotto spessore mi pareva rischioso. Inoltre le staffe in inox costano, le guance le ho ricavate da ravatti di compensato che ho trovato per terra fra gli scarti. E questo timone deve essere il più possibile pesante, per compensare da sé la propria spinta di galleggiamento e non aver bisogno di fermi. Per lo stesso motivo dell'economia e del peso, ho preso per la barra un tubo d'alluminio di un impianto d'irrigazione. Lo stick sarà probabilmente il solito bastoncino da sci.

Certo il risultato con le staffe sarebbe stato molto più gradevole dal punto di vista estetico, glielo concedo!

 

Quanto al carbonio, lo usiamo per la sicurezza o, più onestamente, perché non abbiamo profili di legno atti allo scopo :s03:

 

Per le foto, cercherò di non restar sordo al grido di dolore :s01:

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Dunque, questo è il timone dello scandalo :s03: Oltre a dover alzare la poppa su un catafalco fatto con i parai (le traversine di legno usate per spostare il gozzo sulla spiaggia, che non so proprio come si chiamino in italiano), per poterlo installare ho dovuto anche scavarci due palmi sotto; qualcuno si dev'essere allarmato per tanti traffici, perché stamane mentre brigavo son venuti a trovarmi quelli della capitaneria per dirmi di togliere la mia baracca dal terreno demaniale e di riportarla in quello del circolo :s03:

Oltre ad essere infestati da teppisti, siamo anche molto ben voluti, si capisce, dai bagnanti a cui abbiamo dovuto espropriare venti metri di mare per farci il nostro corridoio d'alaggio; sorvolando sul fatto che per due bagnanti che sbrodolano fuori dal corridoio ve ne troviamo quattro dentro, in barba a cartelli e divieti, questi non perdono occasione per rendere la nostra permanenza in loco piacevole e serena, abbaiando ad ogni autorità costituita contro i tiranni espropriatori del litorale ed i loro abominevoli crimini; una settimana fa era stata la volta dei vigili urbani, che avevano ricevuto un reclamo perché "fra le barche non ci si potrebbe passare con una sedia a rotelle" :s68:

 

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Torniamo in topic (ora devo dare il buon esempio più che mai); questo è il circuito della scotta: archetto a poppa, tre bozzelli e due gallocce. Metodo Darwiniano: se uno non sa fare i nodi attorno alle gallocce, o disfarli con fulminea rapidità, mal gliene incoglierà...

Dalla parte dell'albero si intravvede il caricabasso, la sua scottina m'è rimasta un po' lunga.

 

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Oggi, scavo del traforo della Ruota di Prua; questi grossiers che l'avevano costruito hanno avuto la bella pensata di inserire un piastrone d'alluminio da 5 mm per assicurare la tenuta dell'anello che vedete sotto la pernaccia; questo accorgimento ha reso lo scavo del foro passante, tramite punte e frese, un'attività rapida e piacevole :s10:

Il tubo messo in opera è quello di diametro maggiore, che andrà poi tagliato a misura e resinato sul posto, all'interno del quale si inserirà il bompresso vero e proprio

 

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Modificato da Secondo Marchetti
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i parai (le traversine di legno usate per spostare il gozzo sulla spiaggia, che non so proprio come si chiamino in italiano)

 

Falanche. Nell'italiano di Cielo d'Alcamo si chiamano falanche. Ma noi, com'é noto, siamo mezzi greci (un debito, una razza).

 

 

questo è il circuito della scotta: archetto a poppa, tre bozzelli e due gallocce. Metodo Darwiniano: se uno non sa fare i nodi attorno alle gallocce, o disfarli con fulminea rapidità, mal gliene incoglierà...

 

Santo ragazzo, ascoltami. Io ho cominciato su uno Snipe che, per risparmiare pure sull'inglese, chiamavamo Beccaccino. Tutto l'armamentario che quel volatile possedeva per governare la randa consisteva in una scotta in pura canapa che ti spellava le mani pure se indossavi guanti da pompiere americano, in un archetto, in un bozzello di rinvio a metà boma, e punto. Non esisteva bozzello di rinvio sul paramezzale (sul fondo, per i non addetti) sicché la scotta la tenevi in mano per come scendeva dritta dal boma, o, in alternativa, fra i denti. E siccome non avevano ancora inventato nemmeno il vang , con quella scotta in mano tu interpretavi anche la parte in commedia di quell'attrezzo ancora non nato.

In compenso esistevano due generose gallocce di legno, una su ciascuno dei lati del pozzetto.

Vedi: mai, se non due o tre volte per i lunghi anni in cui ho navigato su quella galea veneta, ho osato dare volta alla scotta su quelle gallocce. E quelle due o tre volte ho messo immediatamente il trincarino in acqua.

Ora io dico: capisco che una torretta di recupero potrebbe sembrare un lusso sfrenato ed eticamente riprovevole in tempi di crisi globale. Ma due strozzascotte Nemo, Viadana, di ottava mano, con le ganasce usurate e le molle rotte, no ? Capisco che toglierebbero molto dell'allure-Vespucci (che peraltro é messa assai a mal partito dal rig del fiocco) ma magari salverebbero il fondoschiena (a te e alla tua stagionata bella) da qualche straorzata o da qualche strapoggiata di troppo.

Modificato da marat
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Vedi: mai, se non due o tre volte per i lunghi anni in cui ho navigato su quella galea veneta, ho osato dare volta alla scotta su quelle gallocce. E quelle due o tre volte ho messo immediatamente il trincarino in acqua.

Ora io dico: capisco che una torretta di recupero potrebbe sembrare un lusso sfrenato ed eticamente riprovevole in tempi di crisi globale. Ma due strozzascotte Nemo, Viadana, di ottava mano, con le ganasce usurate e le molle rotte, no ? Capisco che toglierebbero molto dell'allure-Vespucci (che peraltro é messa assai a mal partito dal rig del fiocco) ma magari salverebbero il fondoschiena (a te e alla tua stagionata bella) da qualche straorzata o da qualche strapoggiata di troppo.

 

La sua opinione è sempre benvenuta ma consideri anche che, se il vento sale al di sopra della soglia di tranquillità, prevediamo di ammainare speditamente tutta la biancheria e di rientrare a remi :s03:

Inoltre non si può andarci in meno di tre persone, il numero minimo indispensabile per alarlo in spiaggia: potrò ben imporre a due tapini che trattengano la scotta a mano, dando solo mezzo giro attorno alle trappole, dato che non avranno nient'altro da fare a bordo.

Alla torretta ci ho pensato, ne ho anche trovate cinque o sei, ma dovrei preparare un altro pezzo per farne la base; come soluzione di transizione ho avvitato le due gallocce, verranno sempre buone per gli ormeggi.

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Gli strozzascotte umani sono soluzione acconcia, che approvo incondizionatamente.

 

Anch'io ho sempre pensato che il buon timoniere deve essere prima di tutto un buon negriero.

 

Oggi ho resinato al suo posto il tubo del bompresso; spero domani di poter provare il fiocco.

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Oggi ho in effetti provato il fiocco, anzi, ne ho provati tre prima di trovare quello col gratile abbastanza corto da potervi stare. Ed ho anche scoperto che l'Equipe è buono per qualcos'altro che abbuiare allievi di scuola vela, serve anche ottimamente come "banca dei pezzi". Da un Equipe ho infatti preso in prestito sia il fiocco che la torretta della randa :s03:

Anche se mi fa ribrezzo tutto ciò che appartiene a quella classe, il suo fiocco, sul bompresso del gozzo, non è poi così malvagio.

Per chi non lo sapesse, l'Equipe è una scopiazzatura ridotta dell'FD e, come tutte le derive francesi post-470, è una trappola imbarazzante. Il design è carino, discendendo dall'FD non poteva essere altrimenti, ma l'allestimento è scandaloso: navigare su un Equipe vuol dire cercare di tenere il posteriore all'interno di una vaschetta di yogurt fradicia, con passascotte metallici e spigolosi in ogni dove, niente cinghie, una deriva a baionetta da accudire quando si va in poppa e da tenere giù coi piedi in tutte le altre andature, un albero che loccia come un cosacco alticcio e pare sempre in procinto di rovinarvi in capo, una specie di orinatoio all'estrema prua in cui lo spinnaker dovrebbe infilarsi ogni volta che lo si ammaina, un forellino sulla paratia anteriore della vaschetta in cui dovete inserire il tangone senza ficcarlo fra le ginocchia del timoniere, anche perché le ginocchia di tutti sono sempre pressapoco all'altezza degli occhi. Ah, ed una ghinda con uno strozzatore che non tiene, il che spiega l'albero ubriaco. Lo so perché nelle giornate che il vento saliva e gli allievi sbiancavano, per la paura o per i "gattini" (conati di vomito, n.d.a.), io di solito passavo dal gommone all'Equipe con l'equipaggio più mal messo per tentare di riportarlo a casa (avete presente i film dove il pilota dell'aereo si sente male e cercano quello che sappia farlo atterrare? Ecco). E l'unica volta che son stato su un Equipe da prodiere, son volato in acqua quando il paranco del trapezio ha ceduto di schianto :s07:

Bene, questo è quanto per l'aneddoto. Domani, se il tempo sarà buono e se non dovrò usare i remi in modo improprio in discussioni con i bagnanti che si troveranno sulla battigia, penso che potrò fare la prima prova a mare.

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Io le mie intenzioni non è che non dovrei dirle: per ripararmi dalla Sfiga® non dovrei nemmeno pensarle!

Chiedere per le prove a mare una giornata di poco vento, mare calmo e pochi trichechi spiaggiati sarebbe stato troppo: così stamane ho avuto poco vento ma nubi e mare mosso. Mi son detto: "Pazienza, oggi torno e provo almeno ad armare per non perdere la giornata". Non l'avessi mai pensato: s'è alzato un levante che avrei distrutto tutto se, oltre al fiocco, avessi tirato su anche la randa :s05:

 

Qui si vede la trappola del bompresso terminata; all'attacco sul dritto di prua c'è un grillo, di modo da poterlo estrarre e riporre in luogo sicuro dopo ogni uscita, in osservanza alle nostre rigorose norme anti-teppista

 

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La parte verso poppa: il bompresso passa nel tubo e va a incastrarsi in un agugliotto di timone avvitato in coperta che gli impedisce di muoversi; non è certo elegante ma perlomeno funziona.

Quando si issa il fiocco, lo strallo, il cui attacco in cavo d'acciaio si vede sotto la pernaccia, va riposto affianco all'albero per dar modo al fiocco di virare: ho così previsto un pezzetto d'elastico con gassa a cui assicurare il moschettone dello strallo, perché non resti a ballare in giro

 

dscf3993u.jpg

 

I passascotte del fiocco provengono da un FJ dell'Alpa e sono perfetti per l'impiego che se ne deve fare qui; la scotta va poi a finire ad una grossa galloccia fissata al centro sotto il primo banco.

Per ora il carabottino è chiuso imbullonato per assicurare la tenuta delle guarnizioni di neoprene, ma appena troverò due dadi a farfalla ritornerà ad essere apribile.

 

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Il gavone poppiero, che prima della conversione non c'era. C'è una bandierina italiana presa nella vela, perché è legata all'estremità superiore del picche (con un piombino sulla cima, per tenerla distesa) e viene quindi arrotolata con tutta la mercanzia :s10:

 

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Oggi, finalmente, c'era tutto: tempo buono ed equipaggio.

L'abbiamo fatto uscire a remi col solo fiocco su, ma in bando; giunti a congrua distanza dagli scogli abbiamo riposto i remi, messo il timone e tirato su anche la randa. E' stato un successo insperato, mi aspettavo che riuscisse una ciabatta buona solo a fare il sughero col vento in poppa, s'è invece dimostrato un ottimo investimento.

Veniamo subito al punto dolente, la bolina: oggi avevamo nubi sparse ed il vento ne risentiva, cambiando visibilmente in forza e direzione, così abbiamo potuto vederne il comportamento in diverse condizioni. La sua capacità di bolinare dipende molto dalla forza del vento e dalla mano del timoniere: sorprendentemente, con 10 nodi di vento bolina meglio che con 2 nodi. Il fiocco è molto aperto e punge appena si osa mettere il naso sotto i 70° al vento, la randa invece è sempre a suo agio. Lo scarroccio, come previsto da Marat, è poco sensibile; quando sale il vento però il timone tira moderatamente all'orza, segno che agisce anche molto da deriva. Pensiamo che senza fiocco potrebbe stringere al vento ancora di più e faremo esperimenti in tal senso.

La centratura è risultata riuscita a tutte le andature: il timone dava segni di squilibrio solo a causa della sua già menzionata doppia funzione di timone e deriva. Le andature più veloci, com'era facile prevedere, si son dimostrate il traverso ed il laschetto, ma anche la bolina, larga com'è, dava soddisfazioni. Al gran lasco invece il fiocco coperto quasi interamente dalla randa smette di portare a dovere e si scende in velocità. In poppa, come su tutte le barche a vela, a metter giù i remi si farebbe prima. L'assenza di veri filetti sulla randa rende difficile regolarla a dovere.

La virata non ha mai dato problemi, l'abbrivio da solo basta a fare il giro, lasciando il fiocco a collo fin quando la randa non ricomincia a portare, poi, è ancora meglio. E' solo un po' lenta a riprendere velocità dopo. Dando una frustata alla scotta, il fiocco scavalca agevolmente la pernaccia.

Il solo brutale peso dello scafo, anche a 10 nodi di vento, basta a mantenerlo entro confortevoli limiti di sbandamento, senza richiedere l'attenzione dell'equipaggio; lo stesso peso lo rende docile sulle onde dei motoscafi, che di solito sulle derive sono causa di apprensioni, scrolloni e malumori.

Forse il punto più problematico di tutta la faccenda è quando si tira su o si ammaina la randa, che è un po' difficile trovare spazio per tutti e non dare il picche in testa a nessuno :s03:

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Quella caracca baltica ti darà molte più soddisfazioni di quelle che ti aspetti.

Noi tutti, ed io per primo, pensiamo di avere inventato la vela solo perché abbiamo affastellato tre o quattro diavolerie tecnologiche. La verità é che il disegno di uno scafo a dislocamento é arrivato al massimo dell'evoluzione possibile già da duecento anni, e che negli ultimi cinquanta abbiamo fatto molto nei tessuti e nella comprensione del funzionamento delle vele, ma avvicinandoci anche qui ai massimi rendimenti concepibili. Non ci sarà mai nessuno che correrà i cento metri in cinque secondi netti, e non ci sarà mai una barca a vela in grado di fare ottanta nodi (ne fanno molti di più le slitte a vela, e prima o poi ne parliamo, ma é un altro discorso).

Insomma, non vedrai l'arcobaleno attraverso l'acqua nebulizzata e non ci farai sci d'acqua attaccato dietro, ma la velocità che terrai sarà sempre una frazione importante di quella che potresti tenere su una tecnologicissima deriva, che per darti uno spunto di in più ti obbliga a trasformarti in un equilibrista da circo equestre cinese.

Credo che si possa migliorare di parecchio anche l'angolo di bolina. A occhio mi pare che la mura del fiocco sia troppo avanti e il punto di scotta troppo fuori. Potresti provare a portare i binari verso il centro, e, se il risultato non cambia, potresti sempre provare a murare provvisoriamente il fiocco sulla pernaccia, così... tanto per vedere l'effetto che fa.

E possibile che il fiocco dell'Equipe abbia una base non sufficientemente lunga per l'armo che hai adottato, e che chiuda con troppo anticipo, impedendo ai filetti di accelerare sul sottovento della randa.

Modificato da marat
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Anche se ormai avevo già piantato un cavallotto per il barber, ho scoperto oggi che il fiocco si può chiudere semplicemente cazzando anche la controscotta. Si guadagnano circa 5° al vento, ma ovviamente a scapito della velocità.

Oggi è anche successo a bordo un grave incidente: la deflagrazione di un flacone di crema solare su cui un membro dell'equipaggio s'era distrattamente seduto.

Le squadre controllo danni sono subito entrate in azione limitando la fuoriuscita di idrocarburi a qualche cucchiaino che non è stato possibile reinserire nel contenitore riattato. Inoltre, dato che l'onda d'urto ha diretto la bolla di prodotto verso il passascotte del fiocco di sinistra, ora ho anche una pulleggia ben oliata ed una scotta molto profumata.

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E magari avrai rotto immediatamente il contatto e diretto su Messina, inseguito da stormi di gabbiani amici e di pessima mira.

 

Signornò, nessuna rottura di contatto né attacchi aerei di gabbiani; disponiamo di un deterrente contraereo abbastanza efficace: se un gabbiano mi venisse a tiro, lo spennerei con la barra del timone. Abbiamo piuttosto provato ad investire un cormorano, però il battello ha fatto rapida immersione prima che potessimo speronarlo; scherzo, ovviamente: però era un esemplare giovane che pareva non aver la paura tipica della specie, e siamo riusciti ad avvicinarlo più del solito prima che decidesse di aver già dato troppa confidenza. Poveraccio, già i miei allievi ne storpiano il nome in tutti i modi possibili (chi lo chiama "corvorano", chi "cormoragno"), ci sarebbe mancato solo quest'ultimo insulto.

 

Domani abbiamo in programma il primo addestramento ASW: uscita di pesca alla traina. E' noto che, nel pensiero moderno, i nostri antenati non capivano niente e solo da cinquant'anni a questa parte siamo diventati furbi: difatti pare che pescando a vela, come s'è sempre fatto, mancando il rumore del motore i pesci non si spaventino e non scendano all'avvicinarsi della barca, rendendone forse non più facile ma almeno più probabile la cattura.

Pur coi benefici dell'assetto silenzioso, non aspettatevi quintalate di branzini: io non mangio pesce, pesco controvoglia ed i risultati si vedono :s03:

 

Edit: stamane, mentre tutto contento stavo sfilando la cimetta che trattiene al suo posto la coperta, ho visto una roba biancastra all'orizzonte. Mi son detto "Ho capito, vah", ho ripassato la cimetta al suo posto, l'ho rinforzata con una scottaccia perché la coperta non prendesse il volo. Mezz'ora dopo sono entrati trenta nodi di levante.

La tropicalizzazione del Mediterraneo io la vedo soprattutto nella frequenza di queste giornatacce di vento disperato, che aumenta sempre più.

Modificato da Secondo Marchetti
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Bene, quando il mare è piatto, l'equipaggio è al completo ed il vento buono, mancano i pesci: non si può avere tutto dalla vita.

In quattro ore a pendolare in rastrello antisom sulle zone d'agguato più accreditate, con due torpedini da rimorchio, non s'è presa nemmeno un'acciuga :s03:

Peraltro, quando il Maestro dà un avvertimento, ha sempre ragione: un gabbiano s'è precipitato sull'esca appena filata a mare. Per poco non pescavamo quello. Dalla prossima volta, mi porterò dietro una manciata di sassi per il tiro contraereo di sbarramento. Mi ricordo che un tempo ce li portavamo dietro perché a volte un gruppo di teppisti con cui avevamo avuto da ridire ci aspettava a riva per prenderci a sassate. Smisero il giorno che rispondemmo al fuoco con una fionda.

Per fortuna, oggi siamo cresciuti e non ci toccano più simili incontri fra culture, testimonianza delle "magnifiche sorti e progressive" dell'umanità: oggi al limite veniamo a parole coi pescatori a canna che lanciano lenze rigorosamente in pieno giorno (orario vietato dai regolamenti) e di traverso nel nostro corridoio d'uscita, con esiti che, con un metro di deriva sotto i piedi, è facile prevedere. Un giorno questo ci costerà un rogo in massa di tutte le nostre barche, ma per ora teniamo come trofei le matasse di lenza strappate che troviamo arpionate alle appendici dello scafo al nostro ritorno.

Comunque, tornando in tema, il gozzo riscuote consensi da tutti quelli che l'hanno provato: ieri ha anche superato con successo la temuta "prova dell'imbranato".

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Un giorno questo ci costerà un rogo in massa di tutte le nostre barche

 

E' già successo sulla spiaggia di Ilio. Porta fortuna, direi.

 

E poi lascia perdere le torpedini da rimorchio: non hanno mai beccato un'anima.

Affidati alle cariche di profondità: che funzionano sempre.

Sulla sua guerra Don Michele raccontava sempre di tre cose: della mitragliatrice cicloslovacca con cui aveva buttato giù metà della RAF; dei due mesi impiegati per rientrare a piedi da La Spezia al Capo dei Mulini dopo l'otto settembre (Stefano D'Arrigo avrebbe dovuto pagargli parte non piccola dei diritti d'autore di Horcynus Orca); delle mangiate di pesce che si faceva dopo qualche carica sganciata a scopo precauzionale.

Gli scopi precauzionali continuarono ben oltre la fine della guerra, dato che Don Michele, dopo la tabaccheria e la rivendita di cozze, s'era aperto pure un ristorantino di pesce fresco. Avevo fatto da un pezzo i vent'anni, navigavamo a metà dei '70, e pare che dalle parti del Faro ci fosse ancora bisogno di intimidire qualche sommergibile britannico.

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E' dunque vero che il mare, ed il Mediterraneo in special modo, unisce i suoi popoli, anche nelle cattive abitudini: un mio caro prozio, che da bambino mi affascinava con le sue storielle della guerra (altro che Biancaneve e Cenerentola, a me piaceva ascoltare la storia del soldato russo che veniva a sentire Radio Londra, e quella del proiettile di caccia francese che si conficcò in una fascia senza esplodere, e di come si armava una Breda '38), mi raccontava di come nel '45, quando la guerra era finita ma si stava meglio prima perché la fame era nera, si pescasse con gli esplosivi più disparati (disperati?), come le cariche delle mine controcarro e le ben più pratiche Stielhandgrenade tedesche. Un anziano amico di mio padre invece, di famiglia benestante e senza bisogno di andare a pesca, usava l'esplosivo in tavolette per scopi ludici, per fare scherzi agli amici.

A me queste persone mi davano l'idea di aver vissuto in una specie di età dell'oro, dove senza nemmeno cercare uno si poteva riempire la cantina di elmetti, bombe a mano, fucili, ed anche qualche mitragliatrice, tanto per gradire; dove di moschetti '91 dei fanti sbandati della IV Armata ce n'era così tanti che non valeva la pena raccoglierli, e le uniche armi davvero ricercate erano quelle lasciate dai soldati tedeschi, e si girava con tavolette di dinamite da 10 kg caricate sulla bicicletta.

 

Tornando a noi, fra le foto di una regata di gozzi a remi che abbiamo fatto domenica scorsa ne ho trovata una in cui, incidentalmente, è ripreso anche l'esperimento oggetto della discussione, pur se ne manca un pezzo.

 

adahz.jpg

 

Sempre incidentalmente, io mi trovavo sul gozzo giallo-verde (ma non siamo associati con le Fiamme Gialle, quelli sono innocenti colori di sestiere), a fare una fatica bestia.

Una fatica bestia, s'intende, per trovare la boa del percorso, che a metà lato ancora non riuscivo a vedere, per potervi puntare addosso la prua; che credevate?

Io disdegno quelli che nuotano, perché si può navigare; disdegno anche quelli che remano, dato che si può veleggiare: e se ho messo piede su un gozzo da regata a remi è solo per fare il passeggero :s03:

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Io disdegno quelli che nuotano, perché si può navigare; disdegno anche quelli che remano, dato che si può veleggiare: e se ho messo piede su un gozzo da regata a remi è solo per fare il passeggero :s03:

 

 

Mai però hai scalato le mie vette.

Io sono arrivato a stare al timone del Dignhy 12 p. d'epoca che avevo regalato a mia moglie, mentre lei, disarmati albero e boma, dava giù di remi.

Glie l'avevo regalato per questo: per dar modo alla sua passione remiera di sfogarsi. Poi però m'ero reso conto che, nonostante potenza e resistenza non le mancassero, non aveva il dono di andare dritto come si deve. E avevo trovato che un timoniere, navigato e a costo zero, si presentava come soluzione ottimale.

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  • 4 weeks later...

Io mi astengo dal trovarmi una ragazza proprio perché so che sarei troppo fesso per metterla a remare e finirei per fare io tutta la fatica :s10: Devo trovarmi una vikinga con le braccia come le mie cosce :s03:

 

Seriamente (o forse no), la scorsa settimana sono salito di livello nella prova dell'imbranato: dopo averlo affidato ad un mio amico con poca esperienza di barche a vela, l'ho consegnato agli allievi della scuola vela, ai migliori (se li vedeste all'opera vi chiedereste con apprensione come sono i peggiori): mezz'ora di voga ciascuno, per premio del loro zelo, poi su la randa e via.

Ho constatato che il fatto di avere una barca così poco manovriera li confonde non poco, però non andava male, riuscivano tuttosommato a raccapezzarcisi ed hanno anche imparato a fare il nodo della galloccia. Ad un certo momento siamo anche andati a tirare via da davanti gli scogli il gommone della scuola vela, che aveva il volante del timone fuori uso :s03:

 

Altro esperimento oggi: navigazione con la sola randa. Siamo usciti con tutta la biancheria fuori, ma con quasi 8 inattesi metri di vento perdevo in scarroccio più di quanto non guadagnassi con la bolina. Ho così provato ad ammainare il fiocco dopo aver rimesso a posto lo strallo.

 

Subito m'era parsa orziera a più non posso, potevo andare dritto solo con la barra tutta a poggiare; ma avevo il peso dell'equipaggio tutto a prua: ristabilita una parvenza d'ordine, la barra è tornata all'equilibrio. Di più, non avendo tela in eccesso rispetto alla modesta superficie di deriva, potevo bolinare quasi sul serio.

 

Per questa barca si conferma l'importanza, in bolina, di navigare senza sbandamento ed appoppati: così si approfitta al massimo della poca deriva disponibile, basta un poco di sbandamento che ricomincia a fare la saponetta. Putroppo il mio equipaggio "da pesca" è duro a capire l'importanza del giusto assetto, devo continuamente richiamarlo ed arronzarlo :s25:

 

Questione pesca: il solo vantaggio dell'andare a pesca a vela, l'andatura silenziosa, è vanificato dalle chiacchere continue del mio equipaggio: dovrò ricorrere al tappo in bocca come per i marò che si addestravano per Malta?

 

E' altresì difficile, ad ogni virata, non far incocciare le lenze dei bollentini nella lunga pala del timone; quando questo succede si deve dare una ramazzata col salabro per spingere la lenza verso il basso e liberarla. Se ho spazio, preferisco fare una larghissima abbattuta che mi evita questa seccatura.

 

Una seccatura d'altra natura è invece data dalla rarità di un gozzo a vela: siccome siamo l'unica barca di questo genere nel raggio di 100 km, a volte le altre barche vengono a passarci vicino per curiosità... a rischio di portarci via le lenze se ci passano di poppa :s03:

Modificato da Secondo Marchetti
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  • 9 months later...

Dopo un Inverno passato pressapoco così...

 

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... è il momento di rimettersi in riga per la stagione: ho dunque cominciato preparando una cosa di cui s'era sentita la mancanza l'anno scorso, un paio di panchette a poppa per sedersi da cristiani e timonare comodi quando si va a vela. Ci sono tre squadrette per parte, resinate e avvitate allo scafo. Già che avevo le mani in pasta, ho anche resinato e avvitato il carabottino a prua creando un'altra cassa d'aria. Sarà ancora impossibile da raddrizzare se scuffiasse, ma almeno non dovrebbe più andare a fondo...

 

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  • 2 weeks later...

Ed ecco il risultato finale

 

img02210.jpg

 

C'è uno scottino che parte da 3/4 del boma, passa in testa d'albero e torna giù: serve a ripiegare verso l'alto la randa per liberare spazio per quando si deve andare a remi. Decisamente più pratico dell'ammainare la randa quando si è in mare, non resta a mezzo appoggiata sui banchi. L'unico inconveniente è che resta a mezzo la scotta di randa.

 

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Dato che l'albero passa fuori al sole tutta la stagione, l'ho dipinto in color crema, che assorbe meno calore e meno UV rispetto al flating maledetto...

 

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  • 1 month later...

Dopo averlo testato con vento a 16 nodi, 20 sotto raffica, mi son reso conto che effettivamente la superficie di deriva è troppo scarsa. Ci vuole circa un'ora per guadagnare un chilometro scarso al vento, perché lo scarroccio si mangia una buona metà dell'avanzamento.

Ciò corrisponde pressapoco alla tradizione: anche i vecchi gozzi da pesca non avevano altra deriva che chiglia e timone ed ai loro padroni non seccava fare queste boline eterne.

A me nemmeno secca molto: però è in un certo senso umiliante uscire con gli Equipe della scuola vela e non poterli sverniciare, pur con 12 m2 di vela, per mancanza di deriva. Vorrei anche partecipare a delle regate di barche tradizionali e mi piacerebbe avere la marcia in più del poter fare 45° al vento.

 

Sto dunque cominciando a pensare a come installare una deriva. Dato che il fondo dello scafo è pieno di cemento, non si può ricorrere alla soluzione più semplice, una cassa unica sulla mezzeria. Sto pensando dunque ad una doppia deriva, come si trova sui catamarani. In pratica al posto di avere, mettiamo, 2 m2 di deriva su una sola superficie centrale, si hanno due derive da 1 m2 ciascuna poste sui fianchi della chiglia, a distanza conveniente l'una dall'altra.

 

Ma prima di mettersi a ritagliare dime bisogna trovare il punto in cui mettere la deriva. Se la sua posizione longitudinale fosse errata otterrei una barca con tendenza a orzare o poggiare, obbligandomi a compensare col timone (come devo fare ora, in assenza di deriva) e quindi perdendo velocità.

 

Ora, il punto in cui mettere la deriva corrisponde al centro velico della barca, ovvero il punto in cui la spinta combinata delle vele si compensa. Difficile da capire nella teoria, è una nozione elementare se vista nella pratica.

Immaginate due bambini su un'altalena, uno più grasso dell'altro: se il fulcro dell'altalena sta al centro, l'asse tenderà per forza ad inclinarsi dalla parte del bambino grasso. Ci sarà dunque un punto dell'asse in cui, se vi applichiamo il fulcro, l'altalena resta in equilibrio, e questo punto sarà più vicino al bambino grasso.

Ora, sostituiamo ai due bambini le vele, con la randa a far da bambino grasso, e la chiglia all'asse dell'altalena: il centro velico sarà il punto in cui dovrò applicare la deriva, i quanto fulcro del piano velico.

 

Il calcolo del centro velico è facilissimo e si ottiene con un semplice procedimento grafico, che potete vedere in questa pagina

 

http://www.velanet.it/users/presqueisle/it/cv.htm

 

cv.GIF

 

FIOCCO

Tracciare le linee mediane BB1 e CC1; S1 rappresenta il baricentro del triangolo ABC.

 

RANDA

Tracciare le diagonali DF e EH. Del triangolo DEH tracciare le mediane EE1 e HH1 trovando il baricentro R1; del triangolo EFH tracciare le mediane EE2 e HH2 trovando il baricentro R2; del triangolo DEF le mediane DH2 e FH1 daranno il baricentro R3; del triangolo DFH le mediane DE2 e FE1 daranno il baricentro R4. Unendo R1 ed R2, R3 ed R4 si trovera' il baricentro della figura DEFH in S2.

Unire S1 ed S2 e tracciare in un'altra parte del foglio un segmento Z1Z2 di lunghezza pari ad S1S2. Prendendo come misura la superficie di ABC riportata in cm, mm od altro, tracciare Z1Q1 ortogonale a Z1Z2; Z2Q2 rappresenta invece la superficie di DEFH. Unire Q1 e Q2 e riportare il segmento Z1Z3 su S1S2 a partire da S2. Ecco il baricentro e quindi il centro velico del sistema composto dalle due figure ABC e DEFH.

 

Applicato ad un disegno in scala 1/50 del piano velico del mio gozzo, ottengo, con una superficie del fiocco di 3 m2 ed una randa di 9.3 m2, che il centro velico è a 87 cm a poppa dell'albero

 

img22810.jpg

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Ora, teoricamente la matematica non è finita: bisognerebbe infatti trovare il centro di deriva dello scafo, ovvero la linea che divide a metà la superficie laterale dello scafo e che costituisce il punto su cui lo stesso ruota se applichiamo una spinta laterale ad una delle sue estremità.

 

Dico teoricamente perché il centro di deriva è dato in primo luogo dal punto in cui la deriva, che agisce come fulcro, va messa. Questo gozzo ha uno scafo praticamente simmetrico nel senso longitudinale ed il suo centro di deriva "naturale" è pressapoco in mezzo alle perpendicolari, ma data la scarsità della resistenza che oppone allo scarroccio questo è quasi ininfluente. Sistemando le derive sul centro velico dovrei quindi ottenere un buon centraggio; se lo scafo avesse invece un centro di deriva proprio con più personalità, dovrei tenerne conto e spostare le derive di conseguenza.

 

Un altro conto riguarda la superficie di deriva, che dev'essere all'incirca il 6% della superficie velica. Con 12.3 m2 ottengo, se so ancora fare le percentuali, che mi serviranno 0.738 m2 di deriva.

Dovrò dunque dividere questa superficie fra due figure uguali per disegnare la parte immersa delle derive.

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  • 2 years later...

La deriva ancora non l'ho fatta, però nel frattempo ho provato a cambiare l'armo, passando a qualcosa di più tradizionale, una randa latina.

 

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Guadagno 2 metri quadri di superficie e qualcosa in estetica. L'armo latino è anche più difficile da gestire, dunque più interessante. La randa è in realtà il genoa di un Dragone, e l'antenna è l'albero di un 470 spogliato di tutte le appendici.

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  • 3 weeks later...

Ho aggiunto ancora due manovre studiando un modello di sciabecco. Per prima cosa i "bracotti dell'oste", che noi chiamiamo per semplicità "volanti", le manovre che tirano verso il basso e verso poppa l'antenna; poi la trozza, il collare che tiene l'antenna attaccata all'albero; è quella sorta di collana con le palline fra albero e antenna.

La bandiera italiana è attaccata alla penna della vela e ha un piombino che dovrebbe tenerla distesa; in realtà il piombino va a arrotolarsi in giro e la tiene sempre imbrogliata!

 

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Ho sdoppiato il "bracotto", la manovra che tira il carro, la parte bassa dell'antenna, verso i lati: è il circuito con la cima rossa. Ora sta più fermo; ad ogni manovra, per passare l'antenna, basta sganciare il moschettone e riagganciarlo quando l'antenna ha cambiato lato.

Ho guarnito la base del carro con una pallina da tennis per non rovinare la coperta quando dà dei pestoni con le onde più grosse.

 

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La sartia sottovento va mollata quando si va alle andature portanti, dunque ho passato la parte in tessile dentro un paranchetto con strozzatore.

 

img09110.jpg

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