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Gmb : Adunata!


corazzata_littorio

Messaggi raccomandati

Questo messaggio è per gli aderenti al Gruppo Modellisti Betasom,

siamo stati incaricati di redigere un articolo che verrà poi pubblicato sulla rivista "Marinai d'Italia",nello specifico, dobbiamo preparare un articolo sul modellismo, su un tema a nostra scelta.

Io avevo pensato di scrivere un articolo sui modelli che raffigurano navi della Regia Marina od anche della MMI, oppure ancora meglio, possiamo parlare dell'iniziativa relativa al Modellismo Interattivo che Betasom porta avanti, spiegando cos'è e quali siano le finalità.

 

Qualcuno si offre volontario? Non fate i timidi!!!!!

 

-------

 

Faccio una piccola e doverosa premessa: in questi giorni mi trovo a dover traslocare per motivi di lavoro, mi trovo a spostarmi in quel di Varese, quindi potrei non essere in linea per qualche giorno, sicuramente da Lunedì, tempo 3-4 giorni che mi attivano la connessione...quindi potrei tardare ad intervenire (mi raccomando fate i bravi!!).

 

Ciao Luca

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  • 2 weeks later...

Se mi date una traccia (una vaga idea di come impostare l'articolo) potrei essere utile.

 

Ciao

 

 

Fassio

 

 

:s67:

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Io potrei preparare un pezzo sul MAS 527 oppure sul Leone Pancaldo. Direi di evitare il generico: se si vuol parlare di un dato tema (nel mio caso, autocostruzione o modelli di carta) l'esposizione deve farsi con un esempio definito, altrimenti risulterebbe dispersiva e forse poco interessante.

My two cents :s02:

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da base artica, marco

io avrei scritto sulle MZ motozattere :s20: :s20: , ma causa distruzione mio archivio (grrrr..... :s05: ) non ho foto del modello :s14: .

debbo inventarmi qualcosa :s68: .

 

varese? :s12: ????? ma sei vicino a un lago :s12: :s12: ??? per caso hai portato anche qualcosa x le domeniche :s41: ????

 

salutoni marco

Modificato da bussolino
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da base artica, marco

io avrei scritto sulle MZ motozattere :s20: :s20: , ma causa distruzione mio archivio (grrrr..... :s05: ) non ho foto del modello :s14: .

debbo inventarmi qualcosa :s68: .

 

varese? :s12: ????? ma sei vicino a un lago :s12: :s12: ??? per caso hai portato anche qualcosa x le domeniche :s41: ????

 

salutoni marco

 

 

ci sono diversi laghi Marco...ma ti assicuro che non ho molto tempo libero!

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Io potrei preparare un pezzo sul MAS 527 oppure sul Leone Pancaldo. Direi di evitare il generico: se si vuol parlare di un dato tema (nel mio caso, autocostruzione o modelli di carta) l'esposizione deve farsi con un esempio definito, altrimenti risulterebbe dispersiva e forse poco interessante.

My two cents :s02:

 

 

Ottimo, direi che sarebbe cosa buona se in 2 o 3 vi impegnaste nella stesura di un articolo, così da poter poi individuare il più adatto, ovviamente la scelta la farà l'editore della rivista.

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Purtroppo unità navali Italiane non ne ho...... :s06:

 

Se vi può interessare ho l'articolo pronto sulla KM Tirpitz nel Fiordo Norvegese di Faettenfjord nel 1944 in 1/350. :s01:

 

Modello fatto in collaborazione con il mio Grande amico Cattaneo Mauro. :s01:

 

31116_135757696438137_100000117214879_397163_3640390_n.jpg

 

31116_135757689771471_100000117214879_397162_3361958_n.jpg

Modificato da konig75
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Io avrei finito :s01: (le foto le allegherò se del caso assieme al documento word, per ora le potete ritrovare nel topic dedicato)

 

MAS 527

Classe « 500 » II Serie – Scala 1/20

La storia

 

I MAS della Classe “500” erano piccole motosiluranti della Regia Marina; concepite essenzialmente per missioni di agguato contro unità di superficie in acque costiere, avevano come caratteristica principale l'elevata velocità, a cui sacrificavano tutte le altre doti, dalla versatilità operativa all'armamento, dalla robustezza fino all'abitabilità, tutte non certo entusiasmanti, ed in certi casi (quali la resistenza strutturale) persino critiche. Malgrado i loro difetti, che risiedevano nella loro concezione più che nella progettazione o nell'esecuzione, vennero riprodotti in quattro serie via via migliorate, e la quinta era in progetto alla data dell'armistizio.

La II Serie comprendeva le unità che andavano dal 526 al 549; miglioramento marginale della Serie precedente, aveva rispetto a questa uno scafo allungato ed altre modifiche di dettaglio che però non risolsero i problemi più gravi. Gli scafi, a doppio redan con carena planante, erano lunghi 18.7 metri per 4.3 metri di larghezza, e dislocavano a pieno carico 25.5 tonnellate. Erano propulsi da due Isotta Fraschini “Asso 1000”, motori marini a 18 cilindri disposti a W (tre bancate da sei) con raffreddamento ad acqua, alimentati a benzina avio e capaci di sviluppare 1000 cavalli ciascuno, più due ausiliari Carraro da 50 cavalli usati per la manovra, per la navigazione silenziosa (i grossi “Asso 1000” non erano silenziati ed il rumore era, comprensibilmente, mostruoso...) o per l'avviamento in emergenza dei motori principali, che normalmente avveniva ad aria compressa. Con 3.9 tonnellate di benzina, stivata in 6 serbatoi a poppa del locale motori, avevano un'autonomia di 400 miglia. Alle prove, i più veloci della classe toccarono i 45 nodi ma in servizio effettivo, anche nelle condizioni migliori, raramente riuscivano a superare i 40 nodi, ed il particolare tipo di carena gli rendeva impossibile, pena gravi lesioni strutturali, raggiungere alte velocità con mare formato.

Erano armati con 2 siluri mod. 170/450 x 5,46 da 450 mm, 6 bombe di profondità da 50 kg ed una mitragliera Breda mod. '31 da 13.2 mm su affusto a candeliere. Due “tubi C”, idrofoni rudimentali e praticamente inutili, erano in coperta a prua. L'equipaggio comprendeva fra i 10 ed i 14 uomini.

Ho scelto di riprodurre un'unità della II Serie in quanto meno conosciuta delle successive, eppure rappresentativa delle vicissitudini di queste piccole, spendibili siluranti, fantaccini del mare rivelatisi quasi inadatti alla guerra eppur spediti negli impegnativi teatri secondari per assicurarvi la presenza della Regia Marina; fra missioni logoranti e difficoltà di ogni sorta, seppero farsi onore, anche se gli mancò un successo eclatante per ricompensarli delle loro fatiche, mentre i più potenti e marini MAS delle III e IV Serie si facevano notare nel Canale di Sicilia o, tanto più, nel Mar Nero, dove l'incrociatore leggero russo Molotov fu gravemente danneggiato dal MAS 568.

Ed in questa guerra così diversa da come era stata immaginata, in un Mare Nostrum per niente amichevole o su acque del tutto sconosciute, i ventidue fantaccini della II Serie spesero anch'essi le loro forze senza risparmio, come a voler dimostrare ad amici e nemici che no, non erano così malnati come li si credeva. Pensati per agguati notturni di sorpresa, si ritrovarono quasi sempre a dover agire in pieno giorno, in forsennati attacchi a formazioni nemiche dall'ottima artiglieria, che avrebbero fatto pensare alla carica del fante che parte alla baionetta contro le mitragliatrici. E quando non era azione disperata, era l'estremo opposto della noia logorante del mare deserto, degli interminabili pattugliamenti alla ricerca di fantomatici sommergibili nemici, ad ascoltare il niente attraverso idrofoni che non percepivano altro che lo sciabordio dell'acqua contro lo scafo. Ferma, ascolto, avanti, ferma, ascolto: così, per giorni, per mesi.

Il numero di unità – non più di due, praticamente le uniche che erano rimaste al Sud dopo l'armistizio – sopravvissute agli eventi bellici, testimonia dell'intensità del loro impiego, dall'inizio alla fine del conflitto: erano i II Serie della XIV Squadriglia di base a Vado, che impegnavano le navi francesi il mattino del 14 Giugno 1940; e c'era anche un ormai vecchio e logoro II Serie, il '531, nel gruppo di motosiluranti della Squadriglia Castagnacci della X MAS che operava alla fine della guerra da Porto Maurizio. Era famoso - per così dire - il '531, in tempi migliori era apparso nel film “Uomini sul fondo” recitando nel ruolo pacifico dell'ambulanza che portava il medico al sommergibile sinistrato; ora di quel tempo non gli restava che la colorazione grigio scuro, era un vecchio scafo sovraccarico e dai motori usurati, eppure non mancò nell'Aprile del 1945, all'ultima battaglia di quella guerra perduta, l'operazione “Onore”, per cercarvi – e trovarvi – una fine adatta ad un combattente.

 

Il '527

 

Il '527, unità forse più anonima ma proprio per questo altrettanto interessante, fu in forza per tutta la sua carriera alla XII Squadriglia MAS; al 10 Giugno del 1940 si trovava a Porto Maurizio e partecipò alla sua prima missione di guerra nelle prime ore del 14, cercando invano di stabilire un contatto con le formazioni francesi che si sapevano navigare in zona; fu quindi trasferito nel Canale di Sicilia, dove non prese parte ad azioni rilevanti, e nel 1942 venne deciso di inviarlo con la sua Squadriglia nientemeno che sul Lago Ladoga, in Finlandia, per operare contro i russi. Le quattro unità ricevettero, uniche fra tutte quelle della II Serie, una mitragliera Breda da 20 mm in sostituzione della 13.2 mm. Operando fra difficoltà di ogni genere, da quelle logistiche a quelle climatiche, questi MAS non solo sopravvivettero in condizioni di efficienza tali da poter essere ceduti alla Marina Finlandese nel 1943, ma ottennero anche alcuni successi. Il '527 dal canto suo sostenne un'intensa azione contro un posamine; sebbene fosse già stato inquadrato e danneggiato dal tiro nemico, il MAS spinse a fondo l'attacco, serrando a breve distanza e potendo così lanciare a colpo sicuro i suoi siluri, che affondarono l'unità russa.

 

Il modello

 

Nonostante le apparenze complesse del modello, riprodurre un MAS in grande scala è un'operazione alla portata di qualunque modellista dotato di un minimo d'attrezzatura, e senza dubbio più semplice dell'autocostruzione di un'unità maggiore. I piani della Associazione Navimodellisti Bolognesi, molto completi, sono stati il nostro punto di partenza, integrati da un minimo di documentazione fotografica reperita su alcuni numeri della rivista Storia Militare, in particolare nell'eccellente articolo di Erminio Bagnasco sui “500” comparso sui numeri 127 e 128 di Aprile e Maggio 2004, da cui peraltro provengono quasi tutte le informazioni storiche e tecniche di cui disponiamo.

 

La costruzione dello scafo è molto semplice, essendo questo a carena planante e con molte superfici pressoché piane; bisogna prevedere nell'ossatura, che su questo modello arrivava in altezza fino alla coperta, il recesso per l'interno della timoneria, ed anche i bagli se si vuole posare la coperta in modo permanente. L'unico passaggio difficoltoso nella costruzione dello scafo è l'aggiunta delle fasce paraschitte sulle murate, che devono essere a sezione triangolare. Abbiamo dunque utilizzato un listello della sezione adatta, tagliato ad intervalli tanto più ravvicinati quanto minore era il raggio di curvatura, di modo che potesse conformarsi alla superficie curva; il listello grezzo è stato resinato e tenuto in posizione durante l'incollaggio con dei legacci di filo di rame, fatti passare per piccoli fori aperti appositamente nello scafo; questi non solo permettevano il passaggio dei legacci che erano senz'altro il metodo più solido per fermare il listello (la particolare stellatura del mascone impediva un utilizzo a prova d'errore dei classici morsetti), ma segnavano anche i punti precisi in cui questo andava fissato. Una volta che la resina ha fato presa, i legacci son stati tolti, i buchi stuccati ed il listello è stato rifinito e levigato.

Gli scarichi dei motori, che sporgevano dalla murata, sono stati ottenuti da un corto spezzone di tubo in plastica per impianti elettrici, la cui estremità è stata modellata a sezione ovale ponendola su una candela. Gli assi delle eliche e del timone sono tondini d'acciaio, mentre i bracci portaelica e gli attacchi del timone sono in rame saldato. Se il modello fosse puramente statico, il materiale migliore per la riproduzione di queste parti sarebbero senz'altro i fogli di carta plastica. Questa è stata invece utilizzata per la piastra di rinforzo del golfare sulla ruota di prua. Sullo specchio di poppa a dritta si trovava poi la scritta in leggero rilievo MAS 527, le cui lettere sono state ritagliate in carta.

Le eliche sono prodotte dalla Robbe, del diametro di 40 mm; sono state private dell'ogiva e forate da parte a parte per poterle inserire sugli assi. Il diametro corretto sarebbe stato di 36 mm, ma le eliche in nylon non si possono rifilare se non correndo il rischio di distruggerle...

 

La coperta, dato che in origine si voleva ottenere un modello navigante e quindi ispezionabile all'interno, è stata ottenuta da due strati di compensato col metodo pane e burro: portata alla forma giusta col pialletto, levigata e quindi incisa con righello e scalpello per rappresentare il tavolato del ponte; per un modello statico, sarebbe più speditivo posare dei listelli direttamente sull'ossatura il cui profilo superiore sarà quello del baglio.

 

La timoneria sembra essere la parte che pone gli ostacoli maggiori, ma non è così: si inizia mettendo assieme la parete posteriore, il cielo ed i due montanti anteriori sull'apertura praticata in coperta. Notiamo che anche il cielo della timoneria era ricurvo e con un certo baglio, quindi va ricavato come la coperta col metodo pane e burro. Una volta messo in posizione questo insieme, si aggiungono i montanti mancanti. La fascia inferiore della timoneria va ricavata da un foglio di carta plastica; dato che questo materiale è costoso, prima di ritagliarlo bisogna ricavare un cartamodello presentando sulla timoneria una forma di carta, grossomodo a mezzaluna. Procedendo per leggere rettificazioni successive fino ad avere una parte che combaci perfettamente con la coperta e che rispetti le altezze segnate sui montanti, si otterrà la sesta per il ritaglio del pezzo preciso dal foglio di carta plastica; questo verrà incollato con cianoacrilica sui montanti. Le finestrature invece erano piane e non necessitano simili operazioni sartoriali: saranno ricavate da fogli di acetato, come quello delle confezioni delle camicie, saranno posate solo dopo la verniciatura e necessiteranno solo dell'aggiunta dei chiarovisori, per i quali bisogna reperire un tubo di plastica del diametro adatto da “affettare”, nel mio caso un bianchetto scarico.

Le cornici orizzontali delle finestrature si ottengono con un listello di legno tenero, dato che sono piane sul lato interno e curve su quello esterno – seguono, cioè, la curvatura della parete della timoneria – e che vanno sgrossate presentandole in sede. Quelle verticali invece, più sottili, si ricavano da strisce di carta plastica. Una piccola cornice che segnava l'orlo inferiore del cielo della timoneria si ottiene incollandovi del filo di rame, stirato in modo da renderlo esente da distorsioni.

Le complicazioni derivanti dal riprodurre la timoneria vetrata possono essere evitate se non se ne riproduce l'interno, nel qual caso l'intero blocco della timoneria potrebbe essere ricavato più semplicemente col metodo pane e burro oppure da un blocco di legno tenero, come la samba. Tuttavia le operazioni descritte sopra per la riproduzione delle finestrature sono senz'altro alla portata di tutti e contribuiscono non poco al realismo del modello, per cui mi sento di sconsigliare la timoneria piena. Arredare l'interno, inoltre, è molto facile ed appagante: si tratta solo di costruire una “scatola” delle dimensioni del locale, e di aggiungervi gli scarni accessori che vi si trovavano al vero: le cassettiere laterali, una piccola pedana per il timoniere, un corrimano, la scaletta d'accesso e poi la plancia, l'unico pezzo che richiede un minimo di destrezza in quanto deve seguire il profilo interno della timoneria, e va anch'esso preceduto da un cartamodello per ricavarne la forma esatta. Questa va completata con la ruota del timone, un semplice volante a 4 razze ricavabile saldando del filo di rame, due piccoli telegrafi di macchina, la bussola e due quadranti, il tutto riproducibile con facilità sfruttando vari ammennicoli.

Sopra il cielo della struttura si trovava un complesso insieme di prese d'aria e di alette frangivento; per queste ultime la carta plastica si presta a meraviglia; le prese d'aria però sono parti a doppia curvatura e volendo rappresentarle cave ho dovuto ricorrere alla termoformatura a partire da dei master di legno. Ovviamente avrei potuto fermarmi alle forme in legno, cui avrei pitturato in nero l'estremità anteriore, ma ho voluto comunque effettuare questo esperimento ed i risultati mi han dato ragione.

 

Il resto delle essenziali sovrastrutture che si trovano sulla coperta, ovvero la tuga della sala macchine ed i vari osteriggi, si realizzano molto facilmente con compensato da aeromodellismo.

I dettagli della coperta, dunque: le bitte sono in legno e carta plastica, i passacavi sono in rame saldato, i famosi “tubi C” ed i loro supporti sono assemblaggi di listelli di legno, filo di rame, tondini di plastica e carta plastica. L'àncora è una referenza Amati, accorciata e dotata di un nuovo ceppo. Da non dimenticare, i frenelli del timone, che correvano dalla timoneria fino a poppa estrema, ed i loro bozzelli. In previsione della realizzazione di un modello dinamico, sul nostro esemplare i bozzelli a poppa nascondono due tubetti di rame piegati ad L che rinviano sottocoperta i frenelli provenienti dalla barra del timone, portandoli ad un tamburo fissato ad un servo standard. In questo modo il timone è azionato da un sistema semplice e realistico, che altrimenti avrebbe necessitato di complesse articolazioni interne. I frenelli “finti” vanno dai bozzelli poppieri fino alla timoneria e sono, ovviamente, fissi sul posto.

 

L'armamento costituisce un capitolo a parte: come per il resto, non è complesso da riprodurre ma necessita di tempo e di un poco d'inventiva. Cominciando dal più semplice: la mitragliera Breda. Questo particolare costituisce, sul modello finito, uno dei cosiddetti centri d'interesse, dove si raccoglie l'attenzione degli osservatori, e merita quindi di essere riprodotto con cura. Il treppiede di base è molto semplice, ma il complesso affusto ad O necessita di qualche attenzione, e deve essere scomposto in molte parti. Potrebbe essere costruito in lamina di rame saldata, ma noi l'abbiamo ottenuto abbastanza facilmente con carta plastica del minimo spessore. L'arma in sé è facile e divertente da costruire: si parte da un listello per il corpo principale, cui si aggiunge la cartuccia di una biro (vuota, ovviamente!) per la canna. I dettagli: filo elettrico avvolto attorno alla canna per rappresentarne le alette di raffreddamento, un cono di carta per il tromboncino spegnifiamma, un tondino tornito per la valvola di recupero dei gas, e strisce di carta plastica sul corpo per rappresentarne i rilievi. Piccoli pezzi di plastica e di tondini rappresenteranno la leva d'armamento e l'impugnatura, la testa di un chiodo il grilletto, ed il caricatore inserito lo si riproduce, volendo, con del plexiglass. L'eiezione dei bossoli avveniva sul lato inferiore del corpo della mitragliera, e di solito sotto di questa era attaccato un sacchetto raccoglibossoli, che spiega il perché della forma così astrusa dell'affusto. Non volendo però perturbare l'estetica dell'arma con un corpo flaccido appeso a mo' di remora, l'ho omesso. Chi volesse aggiungerlo potrà riprodurlo con del fazzoletto imbevuto di colla vinilica, o con dello stucco.

Presa confidenza col maneggio di piccole parti in plastica, si può considerare la rastrelliera delle 6 b.t.g. da 50 kg che stavano a poppa, sopra la barra del timone. Si comincia dalle bombe, dato che la rastrelliera sarà costruita attorno a loro per praticità: si usano sezioni di tubo per impianti elettrici, che si possono incollare con la normale colla da plastimodellismo a dei cerchi di carta plastica che ne chiuderanno le estremità; si aggiungono quindi le spolette, semplici tondini di legno. Usando dei profilati di plastica della Evergreen si possono quindi costruire le guide e le traverse della rastrelliera, che incolleremo attorno alle 6 bombe; l'estremità posteriore piegata verso il basso si ottiene semplicemente forzando un poco i profilati mentre quella anteriore, dalla curvatura molto più decisa, richiede che si incida a tratti la parte verticale del profilo, per renderlo flessibile. I sostegni del lato dritto, a forma di C, e la ruota per lo sgancio delle bombe dalla curiosa forma di stella, si lavorano con carta plastica.

Infine, le parti più difficili: i due siluri con i loro lanciatori, detti “Minisini” dal nome del loro ideatore. Si inizia dalle due armi: dopo aver cercato ogni tipo di soluzione, incluso l'utilizzo di tubi di plastica e del contenitore in alluminio di un sigaro (del giusto diametro, ma dall'estremità troppo rotonda: la testa del vero siluro aveva un profilo più accompagnato e molto caratteristico), son tornato alle origini: un vecchio, stagionato e durissimo manico di scopa. Facile da tornire anche con un trapano, tagliato alla giusta misura si è prestato ottimamente allo scopo. La simmetria fra i due siluri è stata verificata con una semplice sesta in cartoncino, ed una volta levigati sono stati completati con i coni poppieri, punte di biro in plastica, le spolette, rondelle, eliche ed impennaggi, piccoli pezzi di carta plastica tagliati tutti uguali usando ancora il metodo delle seste. I “Minisini” infine, data la loro grande complessità hanno richiesto molti passaggi; si inizia dai blocchi d'ancoraggio, in legno tenero pieno; i due longheroni ad L che sostenevano le rotaie e costituivano la struttura principale del lanciatore sono lavorati in carta plastica, con le guide ricavate da profilati Evergreen. Uniti da tondini di legno ed altri pezzi di giunzione in plastica, hanno ricevuto le due selle d'appoggio per il siluro ed una quantità di dettagli, i pistoni di spinta, le ritenute, i piccoli serbatoi dei gas per il lancio, l'avviatore del siluro. Ognuno di questi pezzi deve essere realizzato in diversi esemplari identici o speculari e forse questo è l'unico manufatto davvero tedioso da realizzare.

Mancano a questo punto solo gli ultimi dettagli: diversi tappi sulla coperta, da farsi con le teste delle puntine da disegno, le cornici dei pannelli amovibili, le piccole battagliole. Per queste bisogna procurarsi del filo di rame del diametro adatto, ma sarebbe anche possibile realizzarle con tondini Evergreen. I candelieri, piegati ad L, sono stati inseriti nei loro fori dal basso e resinati alla coperta, per avere una robustezza a prova di maltrattamento. I mancorrenti vi sono stati dunque saldati dopo esser stati piegati nelle forme giuste. Qualche colpetto di lima ha eliminato lo stagno di troppo alle giunzioni. Anche i sostegni dei salvagenti sono stati ottenuti col rame saldato, mentre i salvagenti stessi sono rondelle di compensato sgrossate, stuccate e completate con le maniglie di corda. L'albero è un unico tondino di legno tornito, così come le sue crocette; le luci bianche sono parti di stampate di plastica trasparente provenienti da altri modelli già costruiti, quelle di via sono parti in plexiglass sgrossato mentre il grosso faro sull'albero proviene da un relitto di auto Burago in scala 1/24. Le aste del jack e della bandiera sono in filo di rame, completate con bozzelli per navi in legno.

La verniciatura non riserva grandi sorprese, basta lavorare con calma per non compromettere il lavoro già eseguito. L'opera viva era in nero, che in questo caso è stato dato ad aerografo, mentre per il grigio cenerino chiaro dell'opera morta e delle sovrastrutture si è scelto l'aerografo od il pennello a seconda dei casi. Le superfici orizzontali, le tramogge per le bombe ed i lanciasiluri erano in grigio scuro, dato a pennello e quindi sigillato con una mano di trasparente opaco. I siluri, dalla caratteristica finitura metallica, sono stati verniciati semplicemente con una mano di grigio metallizzato e quindi trattati con la grafite di una mina; stesso trattamento per la Breda, ma insistendo meno con la grafite. I numeri sullo scafo hanno necessitato di una mascheratura in carta adesiva, ottenuta ricalcandola direttamente dalla vista laterale del piano di costruzione. In rosso mattone vanno anche le lettere in rilievo sullo specchio di poppa ed i salvagenti; questi richiedono l'unico atto di bravura pittorica di tutto l'insieme, per eseguire con precisione le scritte MAS 527 in bianco: lo si può fare con un pennellino triplo zero a mano libera, ma volendo si potrebbero anche cercare dei trasferibili.

Conclusa la verniciatura si può installare la varia cristalleria precedentemente preparata (vetri della plancia e degli oblò, luci di navigazione) e tendere le antenne radio in lenza da pesca, i cui isolatori si simulano con semplici perline o bozzelli per navimodellismo.

Per conservare il modello lontano da polvere ed interventi maldestri, oltre al suo invaso è stata costruita una robusta cassa ermetica che lo contiene agevolmente. Lavoro che può sembrare estraneo al processo modellistico, ma che si rivela indispensabile per assicurare una lunga e tranquilla esistenza alle nostre opere.

 

Prospettive future

 

Si è trattato di un progetto molto lungo e talvolta frustrante, com'è normale che sia, ma dalla difficoltà tutto sommato contenuta, che mi ha permesso di ottenere un modello di questa splendida “barca da corsa” che cattura lo sguardo in virtù delle idee di antica eleganza, potenza pura e fragile velocità che trasmettono le sue linee. Partendo dalla base di questi piani si possono ottenere praticamente tutti i MAS della II Serie, con modifiche di scarsa entità. Fra gli esemplari della classe di particolare interesse, suggeriamo:

 

- Uno dei MAS della XII Squadriglia ('526 – '529) con la Breda da 20 mm, nella configurazione in cui si trovavano operando sul Lago Ladoga

Il MAS 537, andato perduto durante un attacco ad una formazione navale inglese nel Canale di Caso il 4 Settembre 1940

I MAS 536, 538, 542 e 546, che sfoggiavano insoliti schemi mimetici a due toni

Il già citato MAS 531 allo stato in cui si trovava quando operava in forza alla Squadriglia Castagnacci della X MAS; si sa che era pitturato in grigio scuro uniforme, con due Breda mod. '31 aggiuntive poste ai lati della plancia. Il numero identificativo, solitamente rosso, era probabilmente stato ripassato in nero.

 

Ricordiamo infine che gli stampi realizzati per questo modello sono stati ceduti al Sig. Luca Pini, dell'omonimo studio modellistico, e che se sarà possibile egli ne produrrà un kit di montaggio.

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Ciao Corrazzata Littorio,in merito all'articolo per la rivista se ritieni che possa andare posso preparare un articolo su un mio modello " L'Attrezzatura da Palombaro", con foto se servono, modello che ha partecipatop a 3 campionati mondiali con la squadra Italiana, riportando sempre medaglie; ( 2 argenti ed 1 bronzo).

Alberto / Cavezzale

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