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Relitti In Albania


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Dal 3 al 10 luglio, un team di subacquei italo-albanesi ha svolto immersioni nel golfo di Durazzo, Valona e Saranda su relitti di navi mercantili italiane, perdute durante il secondo conflitto mondiale, identificando il relitto del piroscafo Probitas e documentando per la prima volta i piroscafi Luciano e Rosandra.

 

Nel complesso gli obiettivi delle immersioni sono stati relitti affondati dal 1940 al 1943 e in particolare: motonave Paganini, piroscafo Probitas, nave ospedale Po, piroscafo Luciano, motonave Rovigno e piroscafo Rosandra.

 

Il relitto della motonave Paganini (2.427 ton.), affondato al largo di Durazzo il 28 giugno 1940 è stata la prima meta raggiunta. L’attenzione è poi stata rivolta al piroscafo da carico Probitas (5.084 ton.), affondato da aerei tedeschi all’interno del porto di Saranda nel pomeriggio del 25 settembre 1943. Successivamente sono stati documentati i relitti del piroscafo Luciano (3.329 ton.) affondato il 15 aprile 1941 e della nave ospedale Po (7.289 ton.), affondata il 14 marzo 1941 entrambi vittime di aerei siluranti inglesi, e della motonave Rovigno (451 ton.) affondata il 22 settembre 1943 da motosiluranti britannici, per concludere infine con il piroscafo Rosandra (8.034 ton.), affondato da siluri del sommergibile britannico “Tactician” il 15 giugno 1943. Quest’ultimo giace nei pressi della Baia dell’Orso ad una profondità che varia dai 43 agli 80 metri, raggiunto grazie all’utilizzo di miscele trimix.

 

Hanno partecipato alle immersioni Cesare Balzi, Alessandro Boracina del NAUTICAMARE DIVE TEAM Verona, Michele Favaron di ACQUELIBERE SUB Padova istruttori IANTD, Mauro Pazzi di SUB DELPHINUS Ravenna, Igli Pustina e Arian Gace di BLU SUB Tirana.

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Dal 3 al 10 luglio, un team di subacquei italo-albanesi ha svolto immersioni nel golfo di Durazzo, Valona e Saranda su relitti di navi mercantili italiane, perdute durante il secondo conflitto mondiale, identificando il relitto del piroscafo Probitas e documentando per la prima volta i piroscafi Luciano e Rosandra.

 

Nel complesso gli obiettivi delle immersioni sono stati relitti affondati dal 1940 al 1943 e in particolare: motonave Paganini, piroscafo Probitas, nave ospedale Po, piroscafo Luciano, motonave Rovigno e piroscafo Rosandra.

 

Il relitto della motonave Paganini (2.427 ton.), affondato al largo di Durazzo il 28 giugno 1940 è stata la prima meta raggiunta. L’attenzione è poi stata rivolta al piroscafo da carico Probitas (5.084 ton.), affondato da aerei tedeschi all’interno del porto di Saranda nel pomeriggio del 25 settembre 1943. Successivamente sono stati documentati i relitti del piroscafo Luciano (3.329 ton.) affondato il 15 aprile 1941 e della nave ospedale Po (7.289 ton.), affondata il 14 marzo 1941 entrambi vittime di aerei siluranti inglesi, e della motonave Rovigno (451 ton.) affondata il 22 settembre 1943 da motosiluranti britannici, per concludere infine con il piroscafo Rosandra (8.034 ton.), affondato da siluri del sommergibile britannico “Tactician” il 15 giugno 1943. Quest’ultimo giace nei pressi della Baia dell’Orso ad una profondità che varia dai 43 agli 80 metri, raggiunto grazie all’utilizzo di miscele trimix.

 

Hanno partecipato alle immersioni Cesare Balzi, Alessandro Boracina del NAUTICAMARE DIVE TEAM Verona, Michele Favaron di ACQUELIBERE SUB Padova istruttori IANTD, Mauro Pazzi di SUB DELPHINUS Ravenna, Igli Pustina e Arian Gace di BLU SUB Tirana.

 

Supplice mi rivolgo alla sua bontà...posti qualche foto o ci farà morire d'invidia :s03: .

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FAccio le veci del Primo Lord del Mare SIr. De Domenico integrando con qualche informazione tratta dal non sempre preciso "Navi mercantili perdute" dell'USMM:

 

Paganini: motonave – passeggeri- 2427 tsl.

 

Costruita nel 1928. Appartenente alla società di navigazione Tirrenia con sede a Napoli. Iscritta al compartimento marittimo di Fiume, matricola N°55.

Non requisita dalla Regia Marina , né iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello stato.

Il 28 Giugno 1940, mentre navigava in convoglio diretta a Durazzo, verso le ore 06.50, nel locale macchine, si sviluppò un incendio. Alle ore 11.00 circa, ad una decina di miglia da Durazzo (41°27’N, 19°11’E) si verificò un’esplosione e quindi l’affondamento.

 

 

Probitas: motonave – carico – 5048 tsl.

 

Costruita nel 1919. Appartenente alla Soc. An. Industrie ed Armamento con sede a Genova. Iscritta al compartimento marittimo di Genova, matricola N°870.

Requisita dalla Regia Marina dal 23 Settembre 1941 (a Genova) al 19 Febbraio 1942. Non iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello stato.

Partita da Brindisi il 24 Settembre 1943, il 25 giunse a Santi Quaranta, in Albania. Quivi, lo stesso giorno, mentre si accingeva a ripartire per Brindisi, fu attaccata con bombe da aerei tedeschi e affondata.

 

 

Po: piroscafo – misto – 7289 tsl.

 

Costruito nel 1911. Appartenente alla Soc. An. Di Navigazione Lloyd Triestino con sede a Trieste. Iscritto al compartimento marittimo di Napoli, matricola N°482.

Requisito dalla Regia Marina dal 21 Maggio 1940 al 14 Marzo 1941 ed iscritto, come nave ospedale, nel ruolo del naviglio ausiliario dello stato dal 10 Luglio 1940 al 14 Marzo 1941.

La sera del 14 Marzo 1941, mentre si trovava nella rada di Valona, alle ore 23.15, venne silurato da un aereo avversario. Affondò dopo circa dieci minuti, nel punto 40°22’N, 19°28’E, non lontano dalla foce del Rio Secco.

 

 

Luciano: piroscafo – carico – 3329 tsl.

 

Costruito nel 1913. Ex Maronian. Appartenente ai Servizi Marittimi Eugenio Szabados con sede a Venezia. Iscrittto al compartimento marittimo di Venezia, matricola N°277.

Requisito dalla Regia Marina dal 25 Dicembre 1940 (a Napoli) al 15 Aprile 1941. Non iscritto nel ruolo del naviglio dello stato.

Alle prime ore del mattino del 15 Aprile 1941, mentre, con un carico di munizioni, si trovava nella rada di Valona, durante un attacco di aerosiluranti nemici, protrattosi dalle ore 00.40 alle ore 02.00, fu colpito da un siluro. Affondò in breve tempo a causa dello scoppio del carico.

 

 

Rovigno: piroscafo – passeggeri – 451 tsl.

 

Costruito nel 1941. Appartenente alla Soc. An. Di Navigazione Istria con sede a Trieste. Iscritto al compartimento marittimo di Trieste, matricola N°446.

Requisito dalla Regia Marina dal 9 Gennaio 1942 (a Trieste) al 12 Settembre 1943. Per lo stesso periodo, con la sigla D.29, iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello stato ed impegnato nel servizio di scorta ai convogli.

Dopo l’8 Settembre 1943 fu catturato da tedeschi a Valona. Silurato da motosilurante britannico nella rada di Valona alle ore 02.10 del 22 Settembre 1943.

 

 

Rosandra: piroscafo – misto – 8034 tsl.

 

Costruito nel 1921. Appartenente alla Soc. An. di Navigazione Lloyd Triestino con sede a Trieste. Iscritto al compartimento marittimo di Trieste, matricola N°415.

Non requisito dalla Regia Marina, né iscritto al ruolo del naviglio ausiliario dello stato.

Silurato dal sommergibile britannico Tactician, verso le ore 16.30 del 14 Giugno 1943, nel punto ad 8 miglia a ponente di Porto Palermo (Albania). Affondò alle ore 00.35 del giorno successivo (15 Giugno), nelle vicinanze della Valle dell’Orso, mentre era in corso il tentativo di rimorchio a Valona.

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Comandante Lefa, attiro la Sua attenzione sul mio ultimo post nel topic "La Marine Nationale d'antan" (immagini subacquee del relitto della DANTON).

Quanto alla perfidia, siamo in grado di consegnare subito la merce. E' per l'efferatezza vera e propria che ci vuole un po' più di tempo (citazione da "Pretty Woman": lei vuole spendere (negli abiti di Julia Roberts) solo una cifra scandalosa, oppure una vera e propria somma oltraggiosa (outrageous)?

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Per una volta, mi sento di entrare in campo a gamba tesa (credo si dica così).

Da una ricerchetta che feci a suo tempo, ormai credo inutilizzabile, traggo alcune notizie sul PO (Che sarebbe più corretto definire "Unità Trasporto Feriti", anziché nave ospedale (le navi ospedale vere e proprie avevano altre, più impegnative, caratteristiche):

 

 

Era un’unità della Marina austro-ungarica, la Wien, passata all’Italia. Aveva il pregio della velocità, ma non teneva bene il mare, rollava fortemente.

[...] La sera del 14/3/41 presso Valona, a un miglio e mezzo dalla costa, riceve l’ordine di oscuramento totale. Brutta situazione. Infatti alle 23.13 viene colpita da un aerosilurante.

Tra le vittime, si ebbero le Infermiere Volontarie Maria Federici, Vanda Secchi, ed Ennia Tramontani (madre del gerarca Roberto Farinacci), che, prese dal panico, si erano gettate a mare; nonostante il pronto intervento di un ufficiale, che si tuffò per aiutarle, sparirono immediatamente tra i flutti.

 

 

Ci fu il tempo per filare scialuppe e zattere. Tra i naufraghi, c’era anche Edda Ciano Mussolini, che ad ogni costo, pur non avendo seguito i corsi da infermiera, aveva voluto essere imbarcata (indossava infatti divisa bianca senza croce rossa). Durante un’ intervista televisiva , riguardo all’affondamento, fece notare che suo padre , in quei giorni, era in Albania, e che gli inglesi credevano che si trovasse a bordo.

Personalmente, ho dei dubbi su tale affermazione di Edda Mussolini: non penso che gli inglesi ritenessero che il duce fosse sulla Po. La nave, oltretutto, non era in porto, ma ancora al largo; se Mussolini (che peraltro in quel momento non era neanche in città) avesse voluto incontrare la figlia avrebbe più probabilmente aspettato l’ormeggio nel porto di Valona. Restano peraltro i dubbi sull’oscuramento totale imposto dalla Capitaneria.

Edda ricorda però con molta sicurezza la splendida notte di “luna incredibile”, con una “luce meravigliosa”, e la sua capogruppo, che rimase schiacciata tra la murata e le onde. E poi aggiunge (pensando forse alla maniacale burocrazia italica, a cui neppure le navi ospedale sfuggivano):

 

Il mare era pieno di carte. Non ho mai visto tante carte, cartacce, pezzi di libro, pezzi di registro, tutto così….E in mezzo un signore che urlava: “Dov’è la sorella Ciano? Dov’è la sorella Ciano?”. Era il direttore dell’ospedale.

Della Po rimase ad affiorare la cima dell’albero di trinchetto.

 

Fonti:

Dobrillo Dupuis, la Flotta bianca: le navi ospedale italiane nel secondo conflitto mondiale, Milano, Mursia, 1978. .

Dall’intervista rilasciata da Edda Ciano a Nicola Caracciolo, per “La storia siamo noi”, RAI, 1982

Modificato da malaparte
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Gent.mi Com/ti,

in merito alla PO (ex Vienna, ex Wien), vi posto il testo dell'intero articolo a mia firma apparso sulla rivista MONDO SOMMERSO dl dicembre 2009.

 

Il naufragio di Edda Ciano

(testo Cesare Balzi - foto Mauro Pazzi)

 

Nella baia di Valona, appoggiato su un fondale di 35 metri, giace uno dei più grandi e suggestivi relitti di tutto l’Adriatico, la nave ospedale «Po», affondata il 14 marzo 1941.

 

Prologo. «La contessa naufragò su questa spiaggia, arrivarono i soldati italiani, la fecero salire su un camion e la portarono via». Inizia così il racconto di Neki, un tempo ufficiale della marina albanese, in seguito comandante di mercantili, valido collaboratore nel 2005 per le mie ricerche all’interno della baia di Valona. La contessa era Edda, primogenita di Mussolini e moglie dell’allora Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, imbarcata nel 1941, in qualità di crocerossina, sulla nave ospedale «Po», una delle 22 navi «bianche» che rimpatriarono ammalati, naufraghi e feriti nel corso della seconda guerra. La spiaggia dalla quale parte il racconto è quella di Radhima, sul litorale albanese, a sud di Valona. Primo nome, Wien. La nave venne varata il 4 marzo 1911 a Trieste nel cantiere Lloyd Austriaco, fu battezzata con il nome «Wien». Il piroscafo, dalle linee classiche degli scafi di quell’epoca, fu adibito al trasporto passeggeri. Con una stazza di 7.289 tonnellate, lungo 134 metri e largo 17, aveva cabine per 185 posti di prima classe, 61 di seconda e 54 di terza. L’apparato motore era costituito da 8 caldaie e 2 macchine a quadruplice espansione; la potenza di 1.580 n.h.p. poteva sviluppare una velocità di 17 nodi. Allo scoppio del primo conflitto mondiale, dopo essere stata requisita dalla K.u.K. Kriegsmarine, la marina militare asburgica, fu trasformata in nave ospedale e venne danneggiata una prima volta. Dopo essere stata riparata, nel dicembre 1917 venne requisita nuovamente dalla marina austroungarica ed adibita a nave caserma per il personale della marina tedesca imbarcato su sommergibili di base a Pola. La mattina del 1° novembre 1918 il destino della «Wien», ormeggiata all’interno del porto di Pola, si incontrò con quello dei mezzi d’assalto della Regia Marina Italiana. Il primo affondamento a Pola. Due ufficiali, Rossetti e Paolucci, riuscirono a penetrare nel porto a bordo di una «mignatta» un originale mezzo d'assalto semovente, costituito da una parte centrale, contenente il motore, e da due parti estreme, che costituivano le cariche da applicare alle carene delle navi nemiche. Gli operatori avrebbero dovuto raggiungere l'obiettivo a cavalcioni del mezzo e poi, regolata l'orologeria all'ora dell'esplosione, cercare di riprendere il largo per ritornare sul mezzo che li aveva trasportati davanti alla base nemica. All'una del mattino Paolucci e Rossetti, lasciati a mille metri dalle ostruzioni dai MAS 94 e 95, riuscirono a superare gli sbarramenti e si ritrovarono all'interno della base. Attaccarono la «Viribus Unitis», corazzata della marina austro-ungarica e alle 4 e 45, sotto la chiglia di quest'unità, fu sistemata da Rossetti la carica esplosiva che ne provocò più tardi l’affondamento. A causa dell’aumentato chiarore del mattino, furono però scoperti e presi prigionieri da una motobarca austriaca. Per non far cadere in mano al nemico il mezzo da loro genialmente ideato ed impiegato, furono aperte le valvole di affondamento ed attivata la seconda carica. La «mignatta», abbandonata a se stessa e senza governo, andò ad arenarsi in un'insenatura e il suo scoppio provocò l'affondamento del piroscafo «Wien» che vi era ormeggiato. In seguito la nave fu recuperata dalle autorità italiane, requisita come preda bellica e dopo essere stata immatricolata nel 1921, con il nome «Vienna», iniziò il servizio passeggeri per il Lloyd Triestino. Solo nel 1935 venne ribattezzata con il nome «Po» e in seguito allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, fu requisita il 21 novembre 1940, dalle autorità italiane e trasformata nuovamente in nave ospedale. Dopo aver navigato sul fronte libico, da Tripoli e Bengasi, per rimpatriare i feriti della campagna nordafricana, fu inviata nel febbraio del 1941 nel Basso Adriatico per prestare soccorso ai feriti provenienti dal fronte greco-albanese. Aveva fino a quel momento compiuto 14 missioni e trasportato oltre seimila feriti. 815° Squadrone aereonavale inglese. Uno dei più famosi squadroni dell’aria, composto da aerosiluranti Fairey «Swordfish» della FAA (Fleet Air Arm), l’aviazione della marina britannica, il 12 marzo 1941, fu trasferito dalla portaerei HMS «Illustrious» all’aeroporto di Paramythia, in Grecia, vicino al confine con l’Albania, con l’ordine di effettuare incursioni sui porti di Valona e Durazzo e le basi militari italiane di Berat e Tirana. Alle 21.15 del 14 marzo, gli «Swordfish» si alzarono in volo dalla base, armati ciascuno di un siluro da 730 chilogrammi. Oltrepassarono a diecimila piedi di altitudine la catena montuosa a sud della baia di Valona e raggiunsero il mare, scorgendo così le unità militari e mercantili italiane presenti in quel momento in rada. La notte era chiara ed illuminata dalla luna. Un velivolo, abbassatosi alla quota di cinquemila piedi, dopo aver superato i monti della penisola del Karaburuni, riuscì ad individuare un bersaglio - ben visibile e privo di illuminazione, come il pilota descriverà più tardi nel rapporto - e a lanciare il siluro. Al comando dell’aereo si trovava il tenente Michael Torrens-Spence, il comandante «Tiffy», il quale si convinse di aver ottenuto un successo quando vide una grande fiammata alzarsi dal lato di dritta di una grande nave passeggeri. Erano le 23.15. La notte del 14 marzo 1941. «La nave “spedaliera” – prosegue Neki, pronunciando il nome con cui gli albanesi chiamano il relitto – arrivò quella sera e si ormeggiò nella baia, a un miglio dalla foce del Rio Secco. Da questo punto vicino alla costa, era possibile trasferire sulla nave i feriti che provenivano a bordo di ambulanze e camion dalle baracche dell’ospedale militare n°403 e da quello situato sulle colline, sulla strada che oggi conduce a Radhima». La nave, infatti, oltre ad essere adibita al trasporto, poteva garantire non solo le prime cure mediche, ma vere e proprie immediate prestazioni ospedaliere. Vi erano una sala operatoria, varie sale di medicazione e ambulatori, perfino gabinetti radiologici e laboratori di analisi. Gli ampi spazi delle 4 stive erano utilizzati per calare verso il basso e distribuire ai vari ponti le barelle con i feriti più gravi. «Quella sera c’erano altre navi alla fonda – continua Neki, facendo riaffiorare i ricordi del padre – alcune proprio nelle vicinanze della “spedaliera”, altre più a sud, in fondo alla baia, vicino a Pasha Limani», (le navi più a sud erano i piroscafi «Stampalia» e «Luciano» e la torpediniera «Andromeda», mentre nelle vicinanze a 400 metri di distanza dalla «Po», era alla fonda il «Genepesca II»). Dipinte di bianco, con fasce verdi sulle fiancate e grandi croci sui fumaioli, sempre illuminate e riconoscibili durante la notte, le navi ospedale godevano della protezione delle norme del diritto umanitario, che, tuttavia, in molte occasioni non venne rispettato. Gli accordi internazionali (convenzione dell’Aja 1906 e Ginevra 1907) prevedevano infatti che, per garantire una protezione notturna alle navi ospedale, queste dovessero essere completamente illuminate. Per contro però, una nave illuminata nell’oscurità, poteva essere un segnale di identificazione dell’obiettivo per gli aerei nemici. Se la «Po» fosse stata illuminata, quella notte, avrebbe potuto indicare facilmente le navi vicine, come bersagli legittimi. Il Comando Marina di Valona dette ordine di oscurarla, assimilandola in questo modo a normali piroscafi da trasporto. Edda Ciano, in una intervista rilasciata prima della sua scomparsa avvenuta l’8 aprile 1995, così ricorda quei terribili momenti: «Ero in cabina e stavo leggendo un libro dello scrittore inglese Wodehouse, prima di addormentarmi, quando ad un tratto sentii, insistente e vicino, il rombo degli apparecchi. “Sono i nostri”, riflettei senza particolare emozione, poi, all’improvviso, uno schianto e una botta tremenda: la luce schermata si spense, la nave precipitò nel buio più fitto. “Ahi, non sono i nostri”, pensai con maggiore emozione e corsi fuori in vestaglia, per rendermi conto di ciò che stesse accadendo. La nave era così inclinata che bisognava trovare un solido appiglio per reggersi in piedi; l’acqua arrivava al livello dei ponti. Eravamo stati colpiti da un siluro nemico: si andava a picco, non c’era dubbio». Crimini di guerra? Nel corso della seconda guerra mondiale quasi tutte le navi «bianche» subirono attacchi, specie da parte dell’aviazione inglese. Alcuni si conclusero con l’affondamento altri, i più numerosi, con danneggiamenti e feriti, nonostante nelle Marine di tutto il mondo il principio della solidarietà nei confronti del nemico naufragato fosse legge sacra, assoluta, inviolabile. Gli esempi furono numerosi: la nave ospedale «Arno» che, completamente illuminata, fu affondata da aerei inglesi nel ‘42 a circa 60 miglia a nord di Tobruk; la «Virgilio», la «Principessa Giovanna», e molte altre ancora che, gremite tuttavia di malati e feriti del fronte nord africano, furono attaccate ripetutamente da aerei anglo-americani. Si comprende, quindi, come gli inglesi non accettarono mai il diritto della non inviolabilità delle navi ospedale, ritenendo che, sotto le insegne delle grandi croci, si potesse celare il trasporto di materiale militare illegale e non ospedaliero. La nave «Po», alle ore 23.15, fu gravemente colpita dal siluro lanciato dallo Swordfish del tenente Torrens-Spence. In seguito all’esplosione sulla fiancata di dritta della «Po», si aprì un grosso squarcio che la fece affondare rapidamente e il comandante decise subito di far evacuare la nave. Appena due minuti dopo il siluramento l’acqua del mare cominciò a penetrare dai boccaporti di poppa e quattro marinai rimasero intrappolati, senza via d’uscita, nei locali oramai sommersi. A questi si aggiunsero altre persone fra cui tre crocerossine (le sorelle Federici, Secchi e Tramontani). Dei 240 imbarcati, persero la vita 20 membri dell’equipaggio e oltre alle tre infermiere della croce rossa, una quarta morì per setticemia dopo qualche mese, per aver ingerito acqua mista a nafta. La trentenne crocerossina Edda Mussolini si salvò, naufragando a Radhima, secondo le circostanze descritte da Neki. La chiglia della «Po» si adagiò per la seconda volta sul fondale, come era avvenuto il 1° novembre 1918 quando venne colpita a Pola, ma questa volta ad una profondità di oltre 30 metri. L’altezza dell’albero maestro, tuttavia, era tale che l’estremità affiorava dalla superficie per oltre un metro, indicando così il punto esatto del sinistro. Nei giorni successivi vennero inviate tre unità militari e otto palombari della Marina Italiana lavorarono all’interno del relitto per dieci giorni, per il recupero delle salme. Da allora il relitto giace a meno di un miglio dalla costa albanese. Il relitto perfetto. Si trova sulla sponda orientale di una baia chiusa su tre lati e con una profondità massima al centro di 54 metri, in assetto di navigazione, con la prora rivolta a sud; il fondale sabbioso è di 35 metri; il punto meno fondo sulla coperta è di soli 15 metri. E’ il relitto su cui ogni istruttore vorrebbe portare i propri allievi per fare svolgere ogni genere di corsi, da quelli avanzati a quelli tecnici, dai corsi con miscele all’addestramento in ambiente chiuso, insomma il relitto perfetto! Nonostante la bassa profondità bisogna comunque porre molta attenzione: i numerosi accessi invitano chiunque ad entrarvi, ma va raccomandato quanto sia necessario adottare tutte le procedure utilizzate in immersioni in ambienti ostruiti oltre a possedere un ottimo controllo del proprio assetto, per non alzare nuvole di sabbia e sospensione, che possano ridurre la visibilità delle vie di uscita. Per poterlo apprezzare, sono tuttavia indispensabili diverse immersioni, pianificando quale zona del relitto si vuole esplorare, seguendo le regole della gestione dei gas. Durante la prima immersione è facile lasciarsi assalire dal desiderio di esplorare più punti, pinneggiando così freneticamente senza una meta tra i ponti esterni e gli ambienti interni. E’ consigliabile, invece, per un subacqueo ricreativo dedicare immersioni distinte per l’esplorazione della prora e della poppa, lasciando ai subacquei più esperti l’esplorazione degli ambienti ostruiti. Data la profondità sono adatte miscele iperossigenate che però attualmente non sono ancora reperibili sul territorio albanese. La visibilità è spesso buona, tanto che in assenza di vento e corrente, dalla superficie si intravede la sagoma del relitto, ma data la poca profondità che ci divide da esso e la lunghezza dello scafo (oltre 130 metri!) non si riesce a percepire da prora a poppa. E’ incredibile come, dopo circa settant’anni, la «Po» appaia ancora in grado di solcare il mare! In assetto di navigazione, le eliche semi affondate nella sabbia, le ancore sistemate come in quella tragica notte. L’immersione. La prua è perfettamente verticale; nell’occhio di cubia di dritta è alloggiata un’ancora, in quello di sinistra scendono le maglie della catena che manteneva la nave alla fonda e che prosegue oggi in orizzontale sul fondale sabbioso allontanandosi dallo scafo per oltre 50 metri. Lasciata la prora, procedendo verso poppa, si può notare lo stato di conservazione della coperta, tanto che in alcuni punti sono presenti i resti della gomma posta fra le tavole di legno. Superati gli argani e due stive, si arriva all’imponente cassero. E’ possibile entrare con facilità e muoversi in quello che una volta era il ponte di comando, siamo esattamente sopra le cabine di prima classe, all’interno delle quali ci si può lasciar calare. Ora l’assenza dei pavimenti rende questi ponti un unico ambiente e restano divisi solo dalle strutture metalliche su cui era poggiato il legno, tutto intorno vetrate ormai distrutte, da cui entra la luce esterna creando dei suggestivi giochi di luce. E’ un luogo sommerso in cui tutto sembra essersi fermato e per alcuni istanti la mente del subacqueo, tra quelle pareti e in quelle stanze ben riconoscibili, sotto ai ventilatori ancora appesi ai soffitti, tra pile di piatti, tazze da colazione ancora infilate l’una nell’altra, bicchieri, e poi tra ampolle, bottiglie, fiale, strumenti ospedalieri e letti ammassati, riesce a fare un salto indietro nel tempo ed «immergersi» nella storia. All’esterno dello scafo, procedendo verso poppa si possono notare nella parte alta le gru delle scialuppe e, subito sotto, due piani di corridoi esterni. Anche nella zona poppiera la coperta è perfettamente integra e uscendo all’esterno dello scafo è possibile apprezzare l’elegante profilo della poppa e del timone alto più di 10 metri. Le eliche sono parzialmente insabbiate ma ancora visibili a circa 30 metri di profondità. La falla provocata dal siluro si trova a centro dritta ma bisogna porre molta attenzione, per poterla vedere ci si deve avvicinare al fondale dove la visibilità si riduce spesso notevolmente e la presenza di una grossa rete, distante pochi metri dal relitto ed in parte sospesa, ne eleva la pericolosità. Per non perdere l’orientamento, in condizione di ridotta visibilità, è meglio quindi dedicarsi all’esplorazione del relitto sulle sovrastrutture. Epilogo. L’oscuramento del relitto della «Po» è proseguito negli anni successivi alla data del suo affondamento. L’isolamento politico dell’Albania sotto il regime dittatoriale di Enver Hoxha e le tragiche vicende socio-politiche del ‘91 e del ‘97, hanno tenuto l’occidente lontano da questo paese per lungo tempo. La vicenda della nave ospedale «Po» è riemersa dapprima nel 2005, nel corso di una spedizione ufficiale condotta in Albania dalla IANTD; più recentemente il relitto è tornato ad illuminarsi sotto i riflettori dei programmi televisivi Linea Blu e TG2 Dossier. In questi ultimi anni, tuttavia, l’Albania dopo aver compiuto grossi sforzi per uscire da una grave crisi economica, propone le proprie coste come una sicura meta turistica. Ancora molto sforzi andranno compiuti per soddisfare l’esigenze di un pubblico subacqueo, ma le diverse tipologie d’immersione che l’Albania può offrire - pareti, grotte e relitti – costituiscono una valida alternativa a due passi da casa nostra.

 

SCHEDA TECNICA NAVE PO (ex VIENNA – ex WIEN)

ISCRIZIONE: Compartimento Marittimo di Napoli con matricola n. 482.

STAZZA: 7.289 ton.

DISPONIBILITA’ DI CARICO: 2.726 ton.

VARATA: 4 marzo 1911 nel cantiere Lloyd Austriaco di Trieste

APPARATO MOTORE: 8 caldaie e 2 macchine a quadruplice espansione.

POTENZA: 1.580 n.h.p.

VELOCITA’: 17 nodi

DIMENSIONI: lunghezza 134 m, larghezza 17 m, pescaggio 12 m

 

SCHEDA TECNICA FAIREY “SWORDFISH”

PAESE D’ORIGINE: Gran Bretagna

ENTRATA IN SERVIZIO: 1936

TIPO: aerosilurante, bombardiere, ricognitore

EQUIPAGGIO: tre uomini

DIMENSIONI: apertura alare 13,9 m, lunghezza 10,9 m, altezza 3,7 m

PESO: a vuoto 1900 kg (a pieno carico 3.500 kg)

APPARATO MOTORE: Bristol Pegasus III M3 da 690 hp

VELOCITA’: massima 248 km/h

QUOTA OPERATIVA: 5867 metri

AUTONOMIA: 1610 km

ARMAMENTO: una mitragliatrice Vickers K da 8 mm e secondo la configurazione un siluro da 730 kg, una mina da 700 kg, o tre bombe da 500 kg, o sei da 250 kg

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Prima della partenza per l'Albania, l'esplorazione del relitto del Probitas non era in programma. Oltre alle poche righe riportate su Navi mercantili perdute e un paio di notizie ritrovate sul web, qualche gentile Com/te sa dirmi qualcosa di più?

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Siete fortunati, perché quattro navi su sei sono state costruite a Trieste-Monfalcone, e quindi dai volumi sulla storia dei cantieri si ricavano dati e immagini.

 

In ordine alfabetico:

 

LUCIANO, ex MARONIAN, varo 18.6.1913 e completam. 8.1913, cantiere Earle's Co. Ltd., Hull, yard no. 598, armatore Ellerman Lines. Nel 1938 acquistato da E. Szabados di Venezia, nome LUCIANO, 3329 o 3385 tsl, 2127 tsn, 5088 tpl, 97.2 x 12.9 m, macchine a triplice espansione, 1911 hp, 10-10.5 nodi, affondato con un carico di munizioni.

 

Motonave mista PAGANINI, varo 23.7.1928 e compl. 29.09.1928, Cant. Triestino Monfalcone, n.costr. 194, 2424 o 2427 tsl, 1421 tsn, 2981 tpl, 85.7 x 12.2 m, diesel 1300 hp, 12-12.5 nodi, fino a 61 passeggeri. Costruita per la Adria SA di Navigaz., Fiume, l'1.1.1937 passa alla Tirrenia SA di Nav., Napoli.

 

Piroscafo misto PO ex VIENNA ex WIEN, varo 4.3.1911 e compl. 28.8.1911, costr. Lloyd Austriaco, Trieste, per l'armatore omonimo, n. costr. 125, (7156 o 7289 o) 7367 tsl, 2725 tpl, 134.9 x 16.2 m, 2 motori a quadruplice espansione, 18 nodi. Nel 1921 VIENNA per il Lloyd Triestino, nel 1937 PO per lo stesso armatore.

(segue)

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Motonave PROBITAS (1928), ex ANSALDO SAN GIORGIO PRIMO (1924) ex ANSALDO SAN GIORGIO I, costr. dal cantiere omonimo al Muggiano, compl. 3.1919, n. costr. 162, 5663 o 5923 tsl, 3556 tsn, nel 1926 5493 tsl e 3275 tsn, 115.2 x 15.7 m, diesel, 2200 hp, 10 nodi. Costruita per la Soc. Naz. di Navigaz., venduta nel 1928 alla Nova Genuensis S.A. per l'Ind. e il Comm. Mar.mo, Genova, come PROBITAS (insieme ad ANSALDO SAN GIORGIO SECONDO, ribattezzata POTESTAS), nel 1933 S.A. Ind. & Armam. (gruppo Pietro Ravano), Genova.

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Grazie, Com/te De Domenico,

sono in possesso dei dati tecnici delle navi da lei menzionate, fotografie storiche e piani di costruzione generali.

Prima di muovermi per un obiettivo raccolgo sempre documentazione che possa essere utile per identificazioni o soltanto per programmare le immersioni.

Solo che il Probitas non era i programma e sono partito senza documenti. Non trovo ad oggi foto storiche e qualche dettagli in merito all'affondamento o cosa trasportasse al momento. Grazie.

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Solo che il Probitas non era i programma e sono partito senza documenti. Non trovo ad oggi foto storiche e qualche dettagli in merito all'affondamento o cosa trasportasse al momento. Grazie.

La nave avrebbe dovuto imbarcare i nostri soldati in terra Albanese per rimpatriarli ma a causa di un'avaria non poté partire (per una conferma v. http://www.kuc.altervista.org/calvario.html)

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La Mn PROBITAS arriva a Corfù da Brindisi il 19 settembre 1943 con le Tp CLIO e SIRIO (e con la MS 33). Le tre navi vengono avviate a Santi Quaranta, dove imbarcano 1750 soldati italiani che evacuano a Brindisi giungendo il 20. Poi il 24 settembre fa parte di un convoglio da Brindisi con il P.fo DUBAC e la Mn SALVORE, nuovamente diretto a Santi Quaranta per recuperare altro personale, con la scorta della Tp STOCCO (affondata da aerei tedeschi presso Corfù il 24 stesso) e della Cv SIBILLA. Nella notte tra il 24 e il 25 SALVORE e DUBAC caricano 2700 militari, mentre la PROBITAS, arrivata in ritardo per cattivo funzionamento delle macchine, non riesce a salpare con le altre due (scortate ora da SIRIO e SIBILLA) né a filare per occhio. In seguito (25 sett.) il DUBAC viene colpito da aerei tedeschi e (assistito da SIRIO) portato all'incaglio a un miglio a nord del faro di Otranto. La SALVORE con SIBILLA va a Brindisi, mentre la PROBITAS viene affondata a Santi Quaranta, dove era rimasta, il 26 settembre per tre attacchi di Ju 87 tedeschi. Il MAS 516 raggiunge quel porto per cercarla il giorno stesso, ma non la trova perché già affondata. I superstiti raggiungono Brindisi il giorno 28 con la motolancia della nave.

 

Fonte USMM, "La Marina dall'8 settembre 1943 alla fine del conflitto", 1962.

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Grazie mille, sono i particolari che mi servivano per iniziare a stendere un più ampio articolo dedicato al Probitas. Per avere una foto storica della nave mi rivolgerò alla Fondazione Ansaldo che dovrebbe avere in archivio qualcosa. Grazie.

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Sabato, 3 luglio – Durazzo, il relitto della Paganini - di Cesare Balzi

UNA STORIA NEL CUORE. “Il mare era mosso, molto mosso. Noi eravamo giù nella stiva. C’erano i lettini a castello e c’avevano detto di stare fermi perché il mare era mosso (...). C’era un fittacchiume incredibile, non si respirava. Mi alzai e andai sul ponte. Mi ricordo che le scale erano strette ed io che sono grosso ci passavo appena. Dopo una quindicina di minuti che ero sul ponte, la nave si inclinò e io mi ritrovai in mare”. Comincia così il racconto dell’ex alpino Aldo Piccini, classe 1919, intervistato dal prof. Daniele Finzi per il suo libro “Una storia nel cuore, l’affondamento della motonave Paganini” da cui presi spunto nel marzo 2009 per le ricerche di questo relitto. Una tragedia dimenticata dagli storici, che riveste però un’importanza notevole sia per il numero delle vittime – oltre 200, in gran parte provenienti dalla Toscana – sia per il contesto in cui si svolse. I soldati della Paganini si stavano dirigendo allora in Albania per la preparazione dell’attacco che avrebbe dovuto portare l’esercito italiano diritto a Salonicco “in ventiquattro ore”. Il libro racconta come la tragedia sia ancora viva nei ricordi della gente, che l’ha vissuta sulla propria pelle, e come le cause dell’affondamento e la sistemazione dei grandi invalidi suscitino ancora molte polemiche. La ricerca, condotta dal prof. Finzi nell’arco di tre anni tra diverse province e negli archivi di molti enti e istituti anche esteri, è anche un saggio sulle modalità con cui si effettuano le ricerche sul campo, vagliando fonti e documentazione, ricostruendo un avvenimento complesso e dalle molte implicazioni storico-politiche. Dopo aver studiato questo meticoloso lavoro, telefonai all’autore il 24 novembre 2008, per informarlo che avrei da li a poco intrapreso le ricerche del relitto al largo di Durazzo. Durante i giorni 28 e 29 marzo 2009, in seguito, svolsi immersioni su un relitto situato 5 miglia da Durazzo, appoggiato su un fondale di 35 metri, in assetto di navigazione, inclinato di 45° gradi sul fianco di sinistra ed avente la prora rivolta verso sud ovest, in direzione 210°. Al termine delle immersioni, grazie ai piani generali di costruzione della nave forniti dall’Associazione Modellisti Bolognesi all’Ammiraglio Giuseppe Celeste, Presidente dell’Associazione Amici del Museo e della Storia della Spezia, constatai che il relitto apparteneva effettivamente alla motonave Paganini.

LE IMMERSIONI. Nei trenta minuti che ci separano dalla Paganini tengo un briefing sul contesto storico in cui ci troviamo, infatti, proprio il 28 giugno scorso ricorreva il settantesimo anniversario dell’affondamento. Arrivati sul punto e gettato il pedagno sulla verticale, Michele e io ci apprestiamo a scendere per verificare che sia effettivamente sul relitto e mettere nelle condizioni migliori il resto dei partecipanti con videocamere e macchine fotografiche. Come programmato dall’Italia, utilizziamo una miscela EAN30. La discesa avviene così sulla prora, verifichiamo subito che il pedagno è posizionato correttamente ad una profondità di 32 metri sul relitto; la visibilità però è scarsa, tanto da confondere il ricordo che avevo delle immersioni di oltre un anno fa. Dopo le due stive di prora, non ritroviamo il fronte del castello con il ponte di comando, ma al suo posto vi è ora un ammasso di lamiere. La cosa effettivamente è insolita. Penso tra me che deve essere successo qualcosa, o la struttura che si alzava di 5/6 metri è ceduta o forse peggio, come mi confermeranno i locali, devono aver pescato sul relitto con dinamite, come purtroppo ancora qui si usa fare. Decidiamo al termine dei 30 minuti di risalire in superficie per riferire le condizioni trovate. Dopo un intervallo di superficie di un’ora, decidiamo di svolgere l’immersione per la documentazione fotografica. Michele e io ci preoccupiamo di sagolare il relitto da prora a poppa, Alessandro e Mauro raccolgono immagini fotografiche, mentre Igli e Arian fanno riprese video con la loro telecamera. Trascorriamo un tempo di 43 minuti ad una profondità massima di 34.5 metri. Nella seconda immersione la visibilità è notevolmente migliorata e riusciamo a percorrere tutto il relitto fino a raggiungere la poppa, l’ultima parte della nave, come dimostrano le fotografie, che scomparve al termine dell’affondamento. Una signora commossa, al termine della proiezione delle prime immagini che proiettai oltre un anno fa ai congiunti delle vittime presso la sala del Consiglio Provinciale di Firenze, mi disse: «Mio padre mi raccontò di essersi salvato poiché corse a poppa, nel punto più alto della nave». Il mio sguardo va alla coperta di legno ancora intatta e con una nota di tristezza penso: «Quel soldato… doveva essere qui».

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  • 2 weeks later...

Il 24 settembre 1943, dopo le ventidue, attracca nella rada di Saranda (Porto Edda come era chiamata all’epoca) un convoglio composto dalla motonave Salvore e dalle navi da trasporto Dubac e Probitas. Fedele alla parola data rientra il Ten. Col. Cirino con viveri e munizioni e con i seguenti ordini: imbarcare quanti più uomini possibile e consegnare le armi agli albanesi all'imbarco dell'ultimo scaglione. Completate le operazioni di imbarco il convoglio riparte; purtroppo però la nave da trasporto "Probitas", la più grande di tutte, a causa di una avaria, è costretta a rimanere in porto. Le altre due unità, continuamente bersagliate dagli Stukas tedeschi, seppure con danni e vittime (circa 70 uomini), riescono a raggiungere l'Italia. In particolare la "Dubac", gravemente colpita e paurosamente sbandata sul fianco sinistro riesce a raggiungere la costa ove si arenerà evitando così di affondare. Grave il bilancio delle vittime: circa 200 morti. Quello fu l'ultimo convoglio a tornare in Patria. La nave "Probitas", ormeggiata alla banchina viene, nel pomeriggio del 25, affondata dagli aerei Ju 87 tedeschi. LA NAVE. La motonave PROBITAS (ex ANSALDO SAN GIORGIO PRIMO ex ANSALDO SAN GIORGIO I), fu costruita nel cantiere omonimo al Muggiano. Completata a marzo del 1919, con numero di costruzione 162, aveva una stazza di 5084 tons., una lunghezza pari a 115.2 metri ed una larghezza di 15.7 metri. IL RELITTO. Giunti sul lungomare di Saranda ci poniamo il problema di come raggiungere il sito di immersione. Si trova a 200 metri dalla spiaggia, al centro della rada, segnalato da una grossa boa luminosa posta sopra il relitto, in modo da avvisare il pericolo alla navigazione. Le contrattazioni di Igli con un gruppo di pescatori locali svaniscono nel nulla, non hanno licenze per lo svolgimento di attività con finalità turistiche e di uscire con loro non se ne parla. Chiediamo se sappiano almeno il nome del relitto, ma le uniche informazioni che riusciamo ad acquisire sono che la nave è di nazionalità italiana, affondata durante la seconda guerra. In seguito sarà la consulenza telefonica con Pietro Faggioli a svelarci il nome del relitto. Un po’ di vento contrario di dissuade dall’idea di percorrere a nuoto la distanza che ci separa dalla boa. Michele, a similitudine di quanto già fatto insieme per portare a termine un’immersione al lago del Corlo nelle vicinanze di Belluno, propone di affittare dei pedalò, ma alla fine sulla passeggiata troviamo un’imbarcazione abilitata al trasporto turistico per un numero massimo di tre persone. «Poco male - pensiamo Ale e io – noi vi seguiremo con i due scooter». Così ci apprestiamo, dopo avere configurato le attrezzature, al trasferimento verso il relitto nello stupore generale di passanti e bagnanti. Bussola alla mano prendiamo i riferimenti e tre metri sotto la superficie iniziamo a percorrere lo spazio che ci divide dal Probitas. La sorpresa all’arrivo è delle più grandi. Il relitto si trova adagiato sul fianco di sinistra, lo scafo è rivolto verso terra, la coperta verso il mare aperto. Noi arriviamo a velocità sostenuta dritti verso lo scafo che si alza da 25 metri di profondità sino a 3 metri dalla superficie. Una montagna di oltre 5. 000 tons di stazza lunga circa 120 metri in 25 metri di acqua. Riusciamo a fare 118 minuti di immersione durante i quali Mauro sii sofferma a scattare sulla prora intatta dove sono visibili le due ancore e le due catene, sulla poppa con gli assi e le eliche che sospese dal fondo creano un suggestivo scenario. Visitiamo l’interno delle enormi stive, senza tralasciare alcun dettaglio. Una volta raggiunta la quota dei 3 metri eseguiamo una sosta rimanendo ancora sulle lamiere del relitto! Concordiamo il ritorno verso riva nello stesso modo dell’andata: Igli, Mauro e Michele sull’imbarcazione, Ale e io ancora con l’ausilio di bussola e scooter TESEO che, usato per gli spostamenti nel corso di tutta l’immersione, ha tenuto benissimo anche in termini di autonomia.

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Spero di farvi cosa gradita nel pubblicare immagini subacquee della recente esplorazione sui relitti di piroscafi italiani affondati lungo le coste albanesi durante il secondo conflitto bellico.

 

 

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Durazzo, relitto motonave Paganini

 

 

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Baia di Valona, relitto nave Po

 

 

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Saranda (Porto Edda), relitto piroscafo Probitas

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Ci troviamo all'interno della sala macchine. Non saprei con esatezza di quale parte si tratti.

Forse qualche esperto motorista potrà correre in nostro aiuto per cercare di identificarlo.

Grazie.

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Il relitto del piroscafo LUCIANO

 

LA NAVE. Il Luciano era un piroscafo da carico di 3.329 tsl., costruito nel 1913 e appartenente ai Servizi Marittimi Eugenio Szabados con sede a Venezia. Iscritto al Compartimento Marittimo di Venezia, matricola n°277. Requisito dalla Regia Marina dal 25 dicembre 1940 (a Napoli) al 15 aprile 1941. Non iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato. Alle prime ore del mattino del 15 aprile 1941, mentre con un carico di munizioni si trovava nella rada di Valona, durante un attacco di aerosiluranti nemici, protrattosi dalle ore 00,40 alle ore 02,00 fu colpito da un siluro. Affondò in breve tempo a causa dello scoppio del carico. Morirono 24 membri dell’equipaggio. LA STORIA. Sette Swordfish dell’815° Squadron decollarono alle 23.50 da Paramythia per attaccare Valona; erano guidati da Lt Torrens Spence ed anche in questa occasione furono tutti armati con siluri. Soltanto 6 Swordifish andarono all’attacco poiché quello dell’ Lt C.S.Lea, fu costretto a sospendere la missione ed a rientrare per noie al motore. Al termine dell’attacco gli equipaggi avevano affondato il piroscafo portamunizioni Luciano da 3329 ton. assieme al più piccolo Stampalia da 1228 ton. Due degli equipaggi girarono a vuoto senza trovare obbiettivi e dopo una ricerca di circa 45 minuti essi rientrarono con i loro siluri. Poi lo Swordfish P4137, con equipaggio composto dal Sub Lt W C Sarra e J Bowker fu abbattuto ma ambedue gli uomini sopravvissero e furono fatti prigionieri. I 5 Swordfish superstiti rientrarono a Paramythia. L’IMMERSIONE. Il relitto si trova in fondo alla baia di Valona, in un punto a sud-ovest. Lo troviamo in breve tempo poiché è segnalato da una bottiglia. Scendiamo quindi tutti insieme senza esitare. Mauro e Igli, superata la coperta della prora a 14 metri, arrivano sul fondo a 26 metri. Qui si accingono subito a cogliere qualche scatto con la Nikon D300 delle strutture e la zona devastata nel corso dell’esplosione che ne provocò l’affondamento. Una moltitudine di lamiera contorte si alzano verticali dal fondo di finissima sabbia bianca, cosicché l’ottima visibilità incontrata crea uno scenario suggestivo. La Marina Militare albanese, inoltre, negli anni scorsi deve aver fatto un ottimo lavoro di bonifica del carico di munizioni all’epoca trasportato, infatti, solo pochi resti ne sono ancora custoditi. Michele e Ale dopo aver essersi soffermati su quest’ultimi, si dedicano all’esplorazione di una stiva corredati di Canon G11. Con la videocamera riprendo ogni dettaglio, tra cui anche una scialuppa di salvataggio, poco distante dalla fiancata di sinistra del relitto e semisommersa sul fondo. Dopo oltre 70 minuti di immersione, avendo completato l’esplorazione di ogni parte, risaliamo in superficie.

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Valona, il relitto della motonave ROVIGNO

 

AL PORTO DI VALONA.

Arriviamo in porto intorno alle 6.30 come programmato la sera precedente. Ad aspettarci all’ingresso del porto di Valona, Hamir, il titolare dell’agenzia “Shqiponja Travel & Tours” che questa volta ci ha trovato un’imbarcazione, adatta alle immersioni tecniche e idonea ad imbarcare un gran quantitativo di attrezzatura. Le pratiche doganali dovrebbero essere pronte, ma incontriamo qualche intoppo. L’autorizzazione allo svolgimento dell’attività pervenuta dall’Ufficio Centrale della Polizia di Frontiera di Tirana prevede, inoltre, che dobbiamo presentare nell’ordine: le fotocopie dei passaporti, una lista del personale imbarcato sul mezzo, una copia dello scopo dell’attività per la quale si esce in mare, il si della Capitaneria di Porto di Valona, l’autorizzazione da parte della Guardia Costiera di Orikum che a sua volta deve informare per via gerarchica quella di Orikum e il si definitivo dell’Ufficio della Polizia di Frontiera di Valona. Alle 14.30, determinati sino in fondo a non sospendere l’attività prevista per la giornata, siamo ancora ormeggiati in banchina. Un Ufficiale di Polizia ci rilascia infine i documenti e predispone l’ultimo controllo prima della partenza. Nel frattempo, come consuetudine, intorno a mezzogiorno si alzato un forte vento da nord-ovest ed ora il mare è abbondantemente increspato. Questa aspetto meteo, in questo momento, mi preoccupa più di quanto non mi preoccupino invece le difficoltà burocratiche, alle quali eravamo da tempo preparati. Il Com/te Colombo prende il mare e appena fuori dalle ostruzioni si inizia a ballare.

 

LA STORIA.

Mi ero immerso sul relitto della motonave Rovigno nel febbraio 2008, nel prosieguo di un'attività bilaterale tra la IANTD (Intenational Association Nitrox and Technical divers) e il Dipartimento di Archeologia Subacquea dell’Istituto Nazionale d’Archeologia albanese. Le ricerche all’epoca erano volte all’identificazione di un relitto sconosciuto, identificato localmente col nome di “maune e mermerit” (il maone del marmo). Il piroscafo Rovigno, costruito nel 1941 nel Cantiere San Marco di Trieste per la Società Anonima di Navigazione Istria, fu requisito dalla Regia Marina il 9 gennaio 1942 e fu impiegato nel servizio di scorta ai convogli dopo essere stata armata con mitragliere 20/70. Dopo l’8 settembre 1943, in sosta presso l’Isola di Saseno, fu catturato dai Tedeschi e trasferito nella rada di Valona, dove fu affondato da un siluro lanciato da motosiluranti britannici alle ore 02.10 del 22 settembre 1943. Il relitto si trova oggi adagiato su un fondale di 53 metri all’interno della Baia di Valona nelle vicinanze della penisola del Karaburuni, in assetto di navigazione, ma spezzato e diviso in due parti.

 

L’IMMERSIONE.

Giunti sul punto dell’affondamento, a 4 miglia dal porto di Valona, notiamo come il mare sia agitato e come il Comandante dell'imbarcazione non abbia esperienza di assistenza alle immersioni tecniche. Michele e Alessandro, hanno installato nel corso della mattinata l’ecoscandaglio e predisposto il pedagno con la stazione decompressiva. Decido di non scendere con loro e fare l'assistente di superficie, in particolare preoccupato non tanto dall’immersione, ma quanto dalla fase di recupero dei subacquei. Dovranno infatti risalire a bordo da una improvvisata scala fatta da due copertoni uniti fra loro, senza nessuno che gli possa porgere una mano o lanciare una cima. La ricerca del relitto procede in breve tempo e l’ecoscandaglio è preciso nel rilevarci la sagoma. Alessandro e Michele, con bibombola e due bombole decompressive, oltre a videocamera e fotocamera, saltano in acqua in prossimità del pallone di segnalazione. Comunico al Comandate Colombo di allontanarsi velocemente. Scendono, dopo aver ripreso fiato in superficie, per via delle difficoltà di restare in piedi per lungo tempo sulla barca con le attrezzature nell’attesa dell’ok a saltare. Il pedagno è sul fondo, posizionato ad una decina di metri dalla prora purtroppo non visibile. Seguendo il solco lasciato sulla sabbia a 54 metri dal peso di 8 chili, che nel frattempo è scarrocciato per la forte corrente, Alessandro fila il reel, fino a giungere sulla prora. La visibilità è scarsissima, meno di un metro. Proseguono seguendo la linea di falchetta sino ad arrivare sotto la plancia. Sulla coperta intanto è ben visibile il cannone di prora. Sulla parte superiore incontrano l’armamento antiaereo che coincide a quello visionato nel corso del briefing nelle fotografie storiche. Arrivati al punto in cui il relitto è spezzato in due parti decidono di ritornare alla cima di risalita. Trascorsi 30 minuti sul fondo risalgono e terminata la decompressione affiorano in superficie. Nel frattempo a bordo istruisco Colombo sulle modalità di recupero dei subacquei e il Colombo mi ascolta con grande professionalità ed attenzione, seguendo ogni dettaglio. Appronto le cime di corrente e mi assicuro che i copertoni siano ben saldi. Risaliti in sicurezza sull’imbarcazione rientriamo a Valona in serata esausti. Con il tramonto alle nostre spalle mormoro: «Il Rovigno è affondato il 22 settembre del ’43, e pensare che il 14 giugno era di scorta al Rosandra!». Ma questa è un’altra storia e forse… ne parleremo domani!

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Nell'ambito di immersioni tecniche che prevedono di dover percorrere delle lunghe distanze come ad esempio relitti di grandi dimensioni (nel caso dell'ultima esplorazione in Albania ben 3 piroscafi di oltre 130 metri di lunghezza) si utilizzano i DPV o trascinatori o meglio scooter subacquei. Hanno oggi raggiunto lunghe autonomie, quindi consentono di non affaticarsi con una conseguente riduzione dei consumi e di vincere spesso la presenza di forti correnti.

 

Un esempio pratico. Immaginiamo di dover esplorare un relitto. Per quanto piccolo può obbligarci ad un grosso sforzo sia durante l'esplorazione che durante il ritorno al punto di patenza. Se leghiamo tutto questo alla costante profondità ed a variabili come la corrente e eventuali emergenze, potete vedere come venga decisamente limitata la nostra esplorazione senza contare la fatica che in ogni caso ci troveremo a fare. Quindi:

 

VANTAGGI DALL'UTILIZZO DI SCOOTER

Decisamente minor fatica nella mobilità.

Minor fatica = Minor consumi.

Tempi di avvicinamento ridotti così da poter aumentare il tempo attivo della nostra esplorazione che sarà decisamente più selettiva.

Sicurezza di riuscire con una corretta pianificazione di utilizzo a ritornare sempre al pedagno o al punto d’uscita senza obbligarci a pericolose uscite e relative decompressioni nel blu.

Sicurezza di movimento anche in caso di problemi repentini derivanti dalla presenza di corrente o dall’insorgere di emergenze.

Attualmente gli scooter sono più spesso utilizzati nella subacquea tecnica, ma immergersi con lo scooter può essere estremamente divertente per ogni subacqueo in ogni ambiente di immersione.

 

Vi posto alcune foto di Gianfranco Cuoccio fotografo IANTD trimix diver, che ritraggono Alessandro Boracina IANTD technical instructor, in immersione addestrativa con scooter nelle acque del lago di Garda.

 

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Il relitto della motonave Rosandra

 

LA STORIA. Era un piroscafo misto, di stazza pari a 8.034 tls. Costruito nel 1921 e appartenente alla Società di Navigazione Lloyd Triestino con sede a Trieste. Iscritta al Compartimento Marittimo di Trieste n°415. Non requisita dalla Regia Marina, nè iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato, fu silurata dal sommergibile britannico Tactician alle ore 16,10 del 14 giugno 1943, nel punto ad 8 miglia a ponente di Porto Palermo. La nave navigava con rotta 305° alla distanza dalla costa di circa 0,7 miglia, veniva colpita al centro a sinistra. Gli altri siluri espodevano sulla costa. Il sommergibile prima lanciò 4 siluri e quindi osservò il risultato, poi, sembrandogli la nave arenata lanciò un altro singolo siluro per finire il piroscafo. Affondò alle ore 00,35 del giorno successivo nelle vicinanze della Valle dell’Orso, mentre era in corso il tentativo di rimorchiarla a Valona. L’IMMERSIONE. Pariti da Orikum alle 5.30 del mattino, arriviamo sul luogo dell’affondamento intorno alle 7.30 dopo aver percorso circa 19 miglia. Il sole ha da poco superato le cime più alte della penisola del Karaburun, esponendo alla luce il luogo in cui tra poco ci immergeremo. Il mare si è placato dall'onda lunga della notte precedente e le condizioni sembrano quindi favorelit. Il punto in cui ci troviamo è indicato in modo approsimativo sulla carta dei relitti che realizzai e che oggi è riportata sulla homepage del sito internet dell’Agenzia Nazionale del Turismo albanese. Cliccando sul nome appare una breve descrizione della nave. Insieme alla Regina Margherita, nave ospedale Po, Re Umberto, Ct Intrepido ed ai piroscafi Stampalia, Luciano, Rovigno, il relitto del Rosandra era già di mio interesse nel 2005, l'anno in cui iniziai le immersioni in questa zona dell'Albania. Mi sono sempre dedicato alle immersioni all’interno della baia, ponendomi come limite massimo delle uscite Punta Linguetta a nove miglia dal porto di Valona, senza mai proseguire verso sud per altre 9 miglia e quindi senza mai arrivare alla Baia dell'Orso. «Michele ed Alessandro – penso tra me - oggi sono la giusta compagnia per condividere questo momento». Indossate le mute, non perdiamo tempo per cercare la sagoma con l’ecoscandaglio, sicuri di andare diretti sul punto. Le coordinate cartografiche del relitto sono riportate all’interno del rapporto di affondamento di un testo dell’Ufficio Storico della Marina Militare completo della descrizione della fasi del siluramento e dell’affondamento e, dopo la pubblicazione della foto con SSS da parte di un equipe americana, la posizione del relitto rispetto alla costa ora mi è ben nota. Dopo aver preso tutti i riferimenti con la bussola verso terra, saltiamo in acqua direttamente sulla verticale del punto geografico. Sotto di noi 40 metri di acqua cristallina. Scendiamo in un blu intenso, la migliore visibilità incontrata sino ad oggi in questa area. Tra la parete e la prora del relitto ci separa una zona di sabbia di una cinquantina di metri. Trascorsi una decina di minuti, scendiamo ancora di quota portandoci a -45 metri, fino a quando Ale inizia a fare dei segnali luminosi con la torcia. Sono lontano oltre 30 metri, e tra me e lui vi è Michele, il segnale è chiaro: «L’ha trovato!». Ci aspetta euforico sulla prora. Il relitto è adagiato sul fondale con il lato sinistro e ci riuniamo tutti intorno all'ancora di dritta ancora nella propria sede. Un minuto di raccoglimento in ricordo delle sei vittime e lasciamo, come concordato un segno del nostro passaggio, la bandiera con raffigurato il leone di San Marco. Inziamo l'immersione lungo la fiancata del relitto, poi diamo uno sguardo alla coperta posta in verticale rispetto al fondo fino ad arrivare alla prima gru di prora. Gli argani e le bitte si rovano tutte nella loro posizione originale. Incontriamo il primo traliccio, rivestito di spugne color giallo acceso che risaltano in un contesto di colore blu intenso. Dietro il primo traliccio, si intravede già il secondo, e dietro ancora la plancia. Paolo Valenti, presidente dell’Associazione Marinara Aldebaran di Trieste, quando anni fa gli esposi l’idea di cercare il Rosandra mi disse: «Sarà facile identificarlo, navi con quei quattro tralicci, ne hanno costruite solo quattro, il Rosandra e le sue tre gemelle!». Percorrere tutto i 130 metri di un relitto di oltre 8.000 tonnellate è cosa ardua alla prima immersione, così decidiamo di comune accordo, respirando una miscela trimix 18/40 (18% ossigeno - 40% elio), di fermarci una volta arrivati sulla plancia, quando siamo poco oltre i 60 metri. Invertiamo la rotta dando uno sguardo sul fondo di 80 metri, senza intravedere la fine del relitto. Risaliamo così sino a 43 metri ritornando sulla prora dove è posizionata la bandiera lasciata qualche minuto prima. Lasciamo il relitto con grande entusiasmo e soddisfazione, attraversando con la bussola lo spazio di fondale sabbioso fino a quando ci appare davanti la parete della costa. Eseguiamo i "deep stop" che i computer ci indicano e arrivati a 21 metri effettuiamo il primo cambio gas con EAN50 (ossigeno 50%) e poi l'ultima tappa a 6 metri con ossigeno puro. Tutto avviene in massima sicurezza tenendosi a ridosso della parete all’interno della Baia dell’Orso. Dopo oltre 80 minuti di immersione siamo fuori. Rientriamo a Orikum per l’ora di pranzo, giusto il tempo di risciacquare le attrezzature, ordinare le auto e partire alla volta di Durazzo dove ci attende il traghetto che ci riporterà a casa.

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A memoria: il 10 giugno 1940 il ROSANDRA si trovava nella Francia del Sud, a Caronte oppure a Port-de-Bouc. Venne immediatamente sequestrato dalle autorità francesi e affidato in gestione ad un armatore francese, mi pare Méssageries Maritimes. Dopo l'armistizio del 25 giugno, venne però riconsegnato all'Italia, nell'agosto-settembre 1940, con altri quattro o cinque mercantili in analoga situazione.

Modificato da de domenico
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Esatto.

Nella cartella d'archivio relativa al Rosandra custodita presso l'Ufficio Storico MM è presenta ancora molta messaggistica originale inerente alla vicenda.

Ci sono conservate, tra le altre cose, molte lettere di famigliari che tramite la Croce Rossa chiedevano informazioni circa gli uomini dell'equipaggio.

All'inizio del luglio di quest'anno, nel leggere le risposte scritte di proprio pugno, ho provato una grossa emozione.

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Vi segnalo che domani, 26 agosto alle ore 20.30, presso la sede del Gruppo Sportivo SUB DELPHINUS in via Marinara 61 al Porto Turistico di Marina di Ravenna si terrà una serata con proiezione di video e foto dei relitti in Albania.

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  • 3 weeks later...

Nuove immagini della nave ospedale Po!

 

Dopo le prime immersioni svolte su questo relitto di alta valenza storica, nell'ambito delle IANTD Expeditions 2005 e 2007, dopo le immersioni svolte nel febbraio 2008 nell'ambito di un progetto di coperazione tra la IANTD e l'Istituto di Archeologia di Tirana, dopo i primi articoli apparsi su riviste specializzate del settore, SUB novembre 2007 e Mondosommerso dicembre 2009 rispettivamente a cura di Fabio Ruberti e Cesare Balzi, siamo tonati sul relitto della nave ospedale Po, affondata il 14 marzo 1941 nella baia di Valona in Albania.

 

Hanno partecipato alle immersoni nel mese di luglio 2010: Cesare Balzi e Alessandro Boracina IANTD normoxic trimix & technical instructor di Nautica Mare Dive Team Verona, Michele Favaron videoperatore e IANTD adv nitrox instructor di Acquelibere Sub Padova, Mauro Pazzi fotografo e istruttore CMAS di Sub Delphinus Ravenna, Igli Pustina istruttore CMAS e Arian Gace subacqueo CMAS di Blu Sub Tirana.

 

Il report completo delle immersioni sui relitti delle navi Paganini, Po, Luciano, Probitas, Rovigno e Rosandra e l'intervista al Ferdinand Xhaferaj, Ministro del turismo, cultura, gioventù e sport d'Albania, sono disponibili in edicola sul nuovo numero di Mondosommerso settembre 2010.

 

Video realizzato da Acquelibere Sub Padova.

 

http://www.vimeo.com/14938820

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Segnalo questo mese su Mondosommerso.

 

ESPLORAZIONI SUBACQUEE IN ALBANIA

 

Un esclusivo reportage lungo le coste del sud dell'Albania,

ricche di meraviglie naturali, spiaggie bianche e acque cristalline,

dove si possono trovare relitti di navi mercantili italiane

affondate durante il secondo conflitto mondiale.

 

di Cesare Balzi, foto di Mauro Pazzi.

 

 

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  • 2 months later...
  • 2 months later...

Segnalo sul prossimo numero di marzo di Mondosommerso.

 

IL RELITTO DELLA MOTONAVE PROBITAS A SARANDA

 

Dopo le vicende dell’8 settembre '43,

alcune navi mercantili furono impiegate per rimpatriare le truppe italiane schierate sul fronte greco–albanese.

 

L’affondamento della «Probitas» non consentì a molti soldati di far ritorno,

scrivendo una delle pagine più tristi del Secondo Conflitto Mondiale.

 

Abbiamo esplorato il suo relitto adagiato oggi in una baia nel sud dell’Albania,

di fronte all’isola di Corfù.

 

Testo di Cesare Balzi, foto di Mauro Pazzi.

 

 

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  • 1 month later...

Segnalo questo mese su Mondosommerso.

 

LA MOTONAVE DI SARANDA

 

Dopo l’8 settembre '43 alcuni piroscafi furono utilizzati per rimpatriare il nostro esercito schierato sul fronte greco – albanese.

L’affondamento di uno di essi, il Probitas, non permise però a molti soldati di ritornare in Patria,

scrivendo così una delle pagine più tristi del secondo conflitto mondiale.

Abbiamo esplorato il suo relitto adagiato oggi in una baia nel sud dell’Albania, di fronte all’isola di Corfù.

 

di Cesare Balzi, foto di Mauro Pazzi.

 

Diapositiva_13.png

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