Secondo Marchetti Inviato 31 Marzo, 2011 Autore Segnala Share Inviato 31 Marzo, 2011 Certo vorrei pubblicarlo, ma non ho finito di scriverlo: al momento siamo al Gennaio del 1942 e la storia finirà a Maggio 1945, senza contare gli episodi ancora da aggiungere fra quelli già scritti e le correzioni da apportare (come quella sul colore delle vie di Catania, che da sola varrebbe un brano). Mancano quindi almeno trecento pagine (di Word, non di forum), foglio più, foglio meno. Adesso ad esempio avrò non meno di tre poesie ancora in cerca di casa... E' per questo motivo che aggiorno questa anteprima ad intervalli così lunghi: è il tempo che passa fra la stesura di un episodio e quello successivo :s19: Per ricambiare il vostro interesse, potrei spedirvi via mail il documento d'origine, basta che me lo chiediate via PM. Per il momento vi ringrazio del sostegno :s55: Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Secondo Marchetti Inviato 7 Aprile, 2011 Autore Segnala Share Inviato 7 Aprile, 2011 Una delle poesie (ci vuole un certo coraggio a chiamarle così, ma vabbé :s19: ) l'ho accasata Là fuori Spesso volgendosi al mare Secondo si fermava come a fissare un punto esatto del niente, a Sud-Est. Prima, non lo faceva, scrutava la linea, se non vedeva niente distoglieva lo sguardo. Da qualche tempo non più, si fermava, e restava fisso, non assorto né assente, immobile e severo, fino a che un'occupazione, un avvenimento del mondo reale lo richiamavano altrove. A guardarlo, qualcuno che lo conoscesse con le sue debolezze ed i suoi trascorsi avrebbe detto che fissava un punto in cui, sotto il velo di tremila metri d'acqua e solido silenzio, riposava quella nave che aveva tanto amato, nonostante tutto. E pressapoco era quello che pensava, in fondo, si diceva, non era mai del tutto tornato. Se non aveva fatto nulla con Rosa né voleva farlo, era perché lui stava ancora là fuori, cogli altri. Venuto il momento della battaglia che tante genti lasciò senza spose, alto urlò il tracciante che taglia agli uomini la vita ed alle cose; dove corse fra bianchi colonnati la prora a fendere l'ultimo bagliore, dove passò sui volti condannati la voce candida del proiettore resta ora solo un naufrago nel sole. Altri vide che l'istinto conduce aggrapparsi ad amiche battagliole; altri ancora le braccia della luce culla nell'onda, gli occhi verso il fondo. Non fu visto, non chiamò: è rimasto solo vivo nel cerchio blu del mondo dissolto sotto un cielo troppo vasto. Dove prima dettava la mitraglia chi vive e chi no, sussurra il flutto ciangottando con la vampa che abbaglia stanca una solfa sul niente e sul tutto, e il naufrago sta a sentire; aspetta... Cosa? Non sa. Forse una nave bianca, forse solo che la sua sete la smetta, sete che lo sfinisce, che lo sfianca, che troppo lentamente lo uccide. E pargli il suo il peggior destino: invidia compagni che colti vide trovare il vuoto sul loro cammino nell'istante del colpo di cannone. E i salvati? Non li crede al sicuro: rivedranno quella costellazione in sogno: nebulose di siluro sotto soli di bengala calanti. Accecati? No, quelle sono stelle dette non per caso illuminanti, che vera del vero svelano la pelle; e quant'è chiaro, nel loro pallore che stiamo nel profondo d'un abisso: eccolo in quel grido di dolore del ferito, nell'occhio in morte fisso, la mano levata, rossa, di vetro; squarcia la scheggia, ma fa ben più paura la certezza che non si torna indietro, che se c'è giustizia, essa è oscura, che Dio è una nostra marionetta, fantasma d'immagine e somiglianza fatto nostro re per la gran fretta di colmare un vuoto di speranza. Il naufrago per quello non è solo: lui navi non vede all'orizzonte, fumo silente, od aerei in volo; loro hanno visto del vero la fonte e la vita gli sa ora di veleno. Che cambia in fondo, fra lui e loro? Lui è disperso, ma quello è il meno: non c'è corona di rovo o d'alloro, tutti alla luce di quella notte si sono scoperti alla deriva su di una scialuppa, senza rotte certe da seguire né una riva da cercare. Altro azzurro vuoto, null'altro, sta oltre il corto sguardo nostro: peggio la paura dell'ignoto o la certezza che non c'è traguardo al termine del nostro vaneggiare? Non mancano acqua e razioni: ma lo scopo del viaggio non appare; bevete, compagni, e le ragioni le troverete nei corti piaceri dell'istinto, della sete d'amore: saranno forse i motivi più veri, baci ferali, vampe di calore, per tollerare le mille e mille giornate di mal di mare, violenza insensata, cieca ed imbecille sostanza della nostra esistenza. Bevete, compagni: Io ho troppa sete, la gola secca mi si spaccherebbe, morirei comunque; ma voi bevete, scordate quella notte quando crebbe l'onda vuota, e coprì la terra; un bacio non compenserà l'ustione di quella luce acre della Guerra, né disperderà la disperazione del non avere un punto d'arrivo; ma pare proprio che in quel momento nulla appaia più di senso privo, né chi si chieda più dove va il vento, che la ragione sia il viaggio stesso, non l'approdo che non c'è. Su, spegnete la vostra sete, vedrete il nesso fra la battaglia ed il rosso Lete, perderete, pare, pure il confine che il sogno vi separa dal reale, volerete! Vorrete le mattine leggere che amaste in quel viale conservare come fiori di timo, per poter poi sfregarle fra le dita e ritrovare quel profumo primo che coprirà i fetori della vita. Giunte le labbra, unite le mani con chi amate, salvi per davvero forse sarete. Forse un domani un bacio salverà anche me. Spero di no: altro cercavo che il breve e difficile piacere, altrove volevo arrivare che al greve vuoto di senso, di fine, di prove. Così com'è la vita è troppo cara, ed il gioco non vale la candela: a che pro gli scorni e la fanfara se è verso il nulla che si fa vela? Non chiamerò, se passasse una nave: mi lascerò finire dolcemente; sotto l'acquazzone del sole soave sarò goccia, andrò con la corrente. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
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