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TUTTO IN UN SECONDO


Secondo Marchetti

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Certo vorrei pubblicarlo, ma non ho finito di scriverlo: al momento siamo al Gennaio del 1942 e la storia finirà a Maggio 1945, senza contare gli episodi ancora da aggiungere fra quelli già scritti e le correzioni da apportare (come quella sul colore delle vie di Catania, che da sola varrebbe un brano). Mancano quindi almeno trecento pagine (di Word, non di forum), foglio più, foglio meno. Adesso ad esempio avrò non meno di tre poesie ancora in cerca di casa...

 

E' per questo motivo che aggiorno questa anteprima ad intervalli così lunghi: è il tempo che passa fra la stesura di un episodio e quello successivo :s19:

 

Per ricambiare il vostro interesse, potrei spedirvi via mail il documento d'origine, basta che me lo chiediate via PM.

Per il momento vi ringrazio del sostegno :s55:

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Una delle poesie (ci vuole un certo coraggio a chiamarle così, ma vabbé :s19: ) l'ho accasata

 

Là fuori

 

Spesso volgendosi al mare Secondo si fermava come a fissare un punto esatto del niente, a Sud-Est. Prima, non lo faceva, scrutava la linea, se non vedeva niente distoglieva lo sguardo. Da qualche tempo non più, si fermava, e restava fisso, non assorto né assente, immobile e severo, fino a che un'occupazione, un avvenimento del mondo reale lo richiamavano altrove. A guardarlo, qualcuno che lo conoscesse con le sue debolezze ed i suoi trascorsi avrebbe detto che fissava un punto in cui, sotto il velo di tremila metri d'acqua e solido silenzio, riposava quella nave che aveva tanto amato, nonostante tutto. E pressapoco era quello che pensava, in fondo, si diceva, non era mai del tutto tornato. Se non aveva fatto nulla con Rosa né voleva farlo, era perché lui stava ancora là fuori, cogli altri.

Venuto il momento della battaglia

che tante genti lasciò senza spose,

alto urlò il tracciante che taglia

agli uomini la vita ed alle cose;

dove corse fra bianchi colonnati

la prora a fendere l'ultimo bagliore,

dove passò sui volti condannati

la voce candida del proiettore

resta ora solo un naufrago nel sole.

Altri vide che l'istinto conduce

aggrapparsi ad amiche battagliole;

altri ancora le braccia della luce

culla nell'onda, gli occhi verso il fondo.

Non fu visto, non chiamò: è rimasto

solo vivo nel cerchio blu del mondo

dissolto sotto un cielo troppo vasto.

Dove prima dettava la mitraglia

chi vive e chi no, sussurra il flutto

ciangottando con la vampa che abbaglia

stanca una solfa sul niente e sul tutto,

e il naufrago sta a sentire; aspetta...

Cosa? Non sa. Forse una nave bianca,

forse solo che la sua sete la smetta,

sete che lo sfinisce, che lo sfianca,

che troppo lentamente lo uccide.

E pargli il suo il peggior destino:

invidia compagni che colti vide

trovare il vuoto sul loro cammino

nell'istante del colpo di cannone.

E i salvati? Non li crede al sicuro:

rivedranno quella costellazione

in sogno: nebulose di siluro

sotto soli di bengala calanti.

Accecati? No, quelle sono stelle

dette non per caso illuminanti,

che vera del vero svelano la pelle;

e quant'è chiaro, nel loro pallore

che stiamo nel profondo d'un abisso:

eccolo in quel grido di dolore

del ferito, nell'occhio in morte fisso,

la mano levata, rossa, di vetro;

squarcia la scheggia, ma fa ben più paura

la certezza che non si torna indietro,

che se c'è giustizia, essa è oscura,

che Dio è una nostra marionetta,

fantasma d'immagine e somiglianza

fatto nostro re per la gran fretta

di colmare un vuoto di speranza.

Il naufrago per quello non è solo:

lui navi non vede all'orizzonte,

fumo silente, od aerei in volo;

loro hanno visto del vero la fonte

e la vita gli sa ora di veleno.

Che cambia in fondo, fra lui e loro?

Lui è disperso, ma quello è il meno:

non c'è corona di rovo o d'alloro,

tutti alla luce di quella notte

si sono scoperti alla deriva

su di una scialuppa, senza rotte

certe da seguire né una riva

da cercare. Altro azzurro vuoto,

null'altro, sta oltre il corto sguardo

nostro: peggio la paura dell'ignoto

o la certezza che non c'è traguardo

al termine del nostro vaneggiare?

Non mancano acqua e razioni:

ma lo scopo del viaggio non appare;

bevete, compagni, e le ragioni

le troverete nei corti piaceri

dell'istinto, della sete d'amore:

saranno forse i motivi più veri,

baci ferali, vampe di calore,

per tollerare le mille e mille

giornate di mal di mare, violenza

insensata, cieca ed imbecille

sostanza della nostra esistenza.

Bevete, compagni: Io ho troppa sete,

la gola secca mi si spaccherebbe,

morirei comunque; ma voi bevete,

scordate quella notte quando crebbe

l'onda vuota, e coprì la terra;

un bacio non compenserà l'ustione

di quella luce acre della Guerra,

né disperderà la disperazione

del non avere un punto d'arrivo;

ma pare proprio che in quel momento

nulla appaia più di senso privo,

né chi si chieda più dove va il vento,

che la ragione sia il viaggio stesso,

non l'approdo che non c'è. Su, spegnete

la vostra sete, vedrete il nesso

fra la battaglia ed il rosso Lete,

perderete, pare, pure il confine

che il sogno vi separa dal reale,

volerete! Vorrete le mattine

leggere che amaste in quel viale

conservare come fiori di timo,

per poter poi sfregarle fra le dita

e ritrovare quel profumo primo

che coprirà i fetori della vita.

Giunte le labbra, unite le mani

con chi amate, salvi per davvero

forse sarete. Forse un domani

un bacio salverà anche me. Spero

di no: altro cercavo che il breve

e difficile piacere, altrove

volevo arrivare che al greve

vuoto di senso, di fine, di prove.

Così com'è la vita è troppo cara,

ed il gioco non vale la candela:

a che pro gli scorni e la fanfara

se è verso il nulla che si fa vela?

Non chiamerò, se passasse una nave:

mi lascerò finire dolcemente;

sotto l'acquazzone del sole soave

sarò goccia, andrò con la corrente.

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