Febea Inviato 30 Dicembre, 2009 Segnala Share Inviato 30 Dicembre, 2009 (modificato) Proprio agli sgoccioli di questo intenso anno decido di aprire un nuovo topic per sincero capriccio poetico :s10: sulla scia de "Il mare nelle canzoni italiane": il filo rosso è con certezza il mare, ma molto probabilmente anche un'affermazione di Montale: "So che l'arte della parola è anch'essa musica, sebbene abbia poco a che fare con le leggi dell'acustica". :s02: Gli esponenti più importanti della poesia italiana hanno prodotto opere e componimenti significativi: i nomi degli autori si rincorrono senza troppa difficoltà in un elenco fluido: Carducci, Pascoli, d'Annunzio, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese e altri ancora. L'intenzione e le idee c'erano già da qualche mese, ma ammetto che l'ampiezza del materiale a disposizione e l'impegno di organizzarlo in modo serio mi hanno fatto tentennare, così, dopo vari pensa e ripensa, mi butto oggi nel vasto mare facendomi forte del fatto che non devo elaborare una tesi di laurea e che posso contare sui contributi di tanti C.ti: molti di voi hanno una poesia nel cuore. Intanto inizio io con qualche goccia. RIASSUMENDO Carducci G., San Martino Pascoli G., Dalla spiaggia, in Myricae Tristezze Pascoli G., La baia tranquilla, in Myricae Tristezze Pascoli G., La sirena, in Myricae Tramonti Pascoli G., Il naufrago, in Nuovi poemetti d'Annunzio G., L'onda, in Alcyone Saba U., In riva al mare Saba U., Canzonetta Ungaretti G., Più non muggisce, non sussurra il mare Montale E., Maestrale Montale E., Meriggiare pallido e assorto Montale E., Antico, sono ubriacato dalla voce Pavese C., Di salmastro e di terra, in La terra e la morte Leopardi G., Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea, in I Canti Leopardi G., L'infinto Leopardi G., A Silvia Leopardi G., Aspasia Leopardi G., Ad Angelo Mai Bellati A., ...A sud est Quasimodo S., Le morte chitarre Quasimodo S., S'ode ancora il mare Montale E., Su una lettera non scritta Montale E., Serenata indiana Autore sconosciuto, poesia in dialetto genovese Montale E., L'anguilla Montale E., Clivo Foscolo U., A Zacinto Foscolo U., Dei Sepolcri Alighieri D., Canto V e Canto XXVI Carducci G., San Martino La nebbia agli irti colli Piovigginando sale, E sotto il maestrale Urla e biancheggia il mar; Ma per le vie del borgo Dal ribollir de' tini Va l'aspro odor de i vini L'anime a rallegrar. Gira su' ceppi accesi Lo spiedo scoppiettando: Sta il cacciator fischiando Su l'uscio a rimirar Tra le rossastre nubi Stormi d'uccelli neri, Com'esuli pensieri, Nel vespero migrar. Pascoli G., Dalla spiaggia, in Myricae Tristezze C'è sopra il mare tutto abbonacciato il tremolare quasi d'una maglia: in fondo in fondo un ermo colonnato, nivee colonne d'un candor che abbaglia: una rovina bianca e solitaria, là dove azzurra è l'acqua come l'aria: il mare nella calma dell'estate ne canta tra le sue larghe sorsate. O bianco tempio che credei vedere nel chiaro giorno, dove sei vanito? Due barche stanno immobilmente nere, due barche in panna in mezzo all'infinito. E le due barche sembrano due bare smarrite in mezzo all'infinito mare; e piano il mare scivola alla riva e ne sospira nella calma estiva. Pascoli G., La baia tranquilla, in Myricae Tristezze Getta l'ancora, amor mio: non un'onda in questa baia. Quale assiduo sciacquìo fanno l'acque tra la ghiaia! Vien dal lido solatìo, vien di là dalla giuncaia, lungo vien come un addio, un cantar di marinaia. Tra le vetrici e gli ontani vedi un fiume luccicare; uno stormo di gabbiani nel turchino biancheggiare; e sul poggio, più lontani, i cipressi neri stare. Mare ! Mare! dolce là, dal poggio azzurro, il tuo urlo e il tuo sussurro. Pascoli G., La sirena, in Myricae Tramonti La sera, fra il sussurrìo lento dell'acqua che succhia la rena, dal mare nebbioso un lamento si leva: il tuo canto, o Sirena. E sembra che salga, che salga, poi rompa in un gemito grave. E l'onda sospira tra l'alga, e passa una larva di nave: un'ombra di nave che sfuma nel grigio, ove muore quel grido; che porta con sé, nella bruma, dei cuori che tornano al lido: al lido che fugge, che scese già nella caligine, via; che porta via tutto, le chiese che suonano l'avemaria, le case che su per la balza nel grigio traspaiono appena, e l'ombra del fumo che s'alza tra forse il brusìo della cena. Pascoli G., Il naufrago, in Nuovi poemetti Il mare, al buio, fu cattivo. Urlava sotto gli schiocchi della folgore! Ora qua e là brilla in rosa la sua bava. Intorno a mucchi d'alga ora si dora la bava sua lungi da lui. S'effonde l'alito salso alla novella aurora. Vengono e vanno in un sussurro l'onde. Sembra che l'una dopo l'altra salga per veder meglio. E chiede una, risponde l'altra, spiando tra quei mucchi d'alga... "Chi è? Non so. Chi sei? Che fai? Più nulla. Dorme? Non so. Sì: non si muove". E il mare perennemente avanti lui si culla. Noi gli occhi aperti ti baciamo ignare. Che guardi? Il vento ti spezzò la nave? Il vento vano che, sì, è, né pare? E tu chi sei? Noi, quasi miti schiave, moviamo insieme, noi moriamo insieme costì con un rammarichìo soave... Siamo onde, onda che canta, onda che geme... Tu guardi triste. E dunque tua forse era la voce che parea maledicesse nell'alta notte in mezzo alla bufera! Non siamo onde superbe, onde sommesse. Onde, e non più. L'acqua del mare è tanta! Siamo in un attimo, e non mai le stesse. Ora io son quella che già s'è franta. Ed io già quella ch'ora là si frange. L'onda che geme ora è lassù, che canta; l'onda che ride, ai piedi tuoi già piange. Noi siamo quello che sei tu: non siamo. L'ombre del moto siamo. E ci son onde anche tra voi, figli del rosso Adamo? Non sono. È il vento ch'agita, confonde, mesce, alza, abbassa; è il vento che ci schiaccia contro gli scogli e rotola alle sponde. Pace! Pace! È tornata la bonaccia. Pace! È tornata la serenità. Tu dormi, e par che in sogno apra le braccia. Onde! Onde! Onda che viene, onda che va... d'Annunzio G., L'onda, in Alcyone Nella cala tranquilla scintilla, intesto di scaglia come l'antica lorica del catafratto, il Mare. Sembra trascolorare. S'argenta? S'oscura? A un tratto come colpo dismaglia l'arme, la forza del vento l'intacca. Non dura. Nasce l'onda fiacca, súbito s'ammorza. Il vento rinforza. Altra onda nasce, si perde, come agnello che pasce pel verde: un fiocco di spuma che balza! Ma il vento riviene, rincalza, ridonda. Altra onda s'alza, nel suo nascimento più lene che ventre virginale! Palpita, sale, si gonfia, s'incurva, s'alluma, propende. Il dorso ampio splende come cristallo; la cima leggiera s'aruffa come criniera nivea di cavallo. Il vento la scavezza. L'onda si spezza, precipita nel cavo del solco sonora; spumeggia, biancheggia, s'infiora, odora, travolge la cuora, trae l'alga e l'ulva; s'allunga, rotola, galoppa; intoppa in altra cui 'l vento diè tempra diversa; l'avversa, l'assalta, la sormonta, vi si mesce, s'accresce. Di spruzzi, di sprazzi, di fiocchi, d'iridi ferve nella risacca; par che di crisopazzi scintilli e di berilli viridi a sacca. O sua favella! Sciacqua, sciaborda, scroscia, schiocca, schianta, romba, ride, canta, accorda, discorda, tutte accoglie e fonde le dissonanze acute nelle sue volute profonde, libera e bella, numerosa e folle, possente e molle, creatura viva che gode del suo mistero fugace. E per la riva l'ode la sua sorella scalza dal passo leggero e dalle gambe lisce, Aretusa rapace che rapisce le frutta ond'ha colmo suo grembo. Súbito le balza il cor, le raggia il viso d'oro. Lascia ella il lembo, s'inclina al richiamo canoro; e la selvaggia rapina, l'acerbo suo tesoro oblía nella melode. E anch'ella si gode come l'onda, l'asciutta fura, quasi che tutta la freschezza marina a nembo entro le giunga! Musa, cantai la lode della mia Strofe Lunga. Saba U., In riva al mare Eran le sei del pomeriggio, un giorno chiaro festivo. Dietro al faro, in quelle parti ove s'ode beatamente il suono d'una squilla, la voce d'un fanciullo che gioca in pace intorno alle carcasse di vecchie navi, presso all'ampio mare solo seduto; io giunsi, se non erro, a un culmine del mio dolore umano. Tra i sassi che prendevo per lanciare nell'onda (ed una galleggiante trave era il bersaglio), un coccio ho rinvenuto, un bel coccio marrone, un tempo gaia utile forma nella cucinetta, con le finestre aperte al sole e al verde della collina. E fino a questo un uomo può assomigliarsi, angosciosamente. Passò una barca con la vela gialla, che di giallo tingeva il mare sotto; e il silenzio era estremo. Io della morte non desiderio provai, ma vergogna di non averla ancora unica eletta, d'amare più di lei io qualche cosa che sulla superficie della terra si muove, e illude col soave viso. Saba U., Canzonetta Ero solo in riva al mare, all'azzurro mar natio, e pensavo te amor mio te lontano a villeggiar. Era il vespro, era nel mare presso a scender l'astro d'oro; d'onda in onda un rivol d'oro si vedeva folgorar. Di tra i monti in ciel lo spicchio della bianca luna nacque; si vedeva in un sull'acque il suo argento tremolar Ungaretti G. Più non muggisce, non sussurra il mare, Il mare. Senza i sogni, incolore campo è il mare, Il mare. Fa pietà anche il mare, Il mare. Muovono nuvole irriflesse il mare, Il mare. A fumi tristi cedé il letto il mare, Il mare. Morto è anche lui, vedi, il mare. Il mare. Montale E., Maestrale S'è rifatta la calma nell'aria: tra gli scogli parlotta la maretta. Sulla costa quietata,nei broli, qualche palma a pena svetta. Una carezza disfiora la linea del mare e la scompiglia un attimo, soffio lieve che vi s'infrange e ancora il cammino ripiglia. Lameggia nella chiaria la vasta distesa, s'increspa, indi si spiana beata e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia vita turbata. O mio tronco che additi in questa ebrietudine tarda, ogni rinato aspetto coi germogli fioriti sulle tue mani, guarda: sotto l'azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; nè sosta mai: perchè tutte le immagini portano scritto "più in là!" Montale E., Meriggiare pallido e assorto Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d'orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi. Nelle crepe del suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch’ora si rompono ed ora s'intrecciano a sommo di minuscole biche. Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare mentre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi. E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. Montale E., Antico, sono ubriacato dalla voce Antico, sono ubriacato dalla voce ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono come verdi campane e si ributtano indietro e si disciolgono. La casa delle mie estati lontane, t'era accanto, lo sai, lá nel paese dove il sole cuoce e annuvolano l'aria le zanzare. Come allora oggi in tua presenza impietro, mare, ma non piú degno mi credo del solenne ammonimento del tuo respiro. Tu m'hai detto primo che il piccino fermento del mio cuore non era che un momento del tuo; che mi era in fondo la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso e insieme fisso: e svuotarmi cosí d'ogni lordura come tu fai che sbatti sulle sponde tra sugheri alghe asterie le inutili macerie del tuo abisso. Pavese C., Di salmastro e di terra, in La terra e la morte Di salmastro e di terra è il tuo sguardo. Un giorno hai stillato di mare. Ci sono state piante al tuo fianco, calde, sanno ancora di te. L'agave e l'oleandro. Tutto chiudi negli occhi. Di salmastro e di terra hai le vene, il fiato. Bava di vento caldo, ombre di solleone tutto chiudi in te. Sei la voce roca della campagna, il grido della quaglia nascosta, il tepore del sasso. La campagna è fatica, la campagna è dolore. Con la notte il gesto del contadino tace. Sei la grande fatica e la notte che sazia. Come la roccia e l'erba, come terra, sei chiusa; ti sbatti come il mare. La parola non c'è che ti può possedere o fermare. Cogli come la terra gli urti, e ne fai vita, fiato che carezza, silenzio. Sei riarsa come il mare, come un frutto di scoglio, e non dici parole e nessuno ti parla. Modificato 25 Aprile, 2010 da Febea Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
lazer_one* Inviato 30 Dicembre, 2009 Segnala Share Inviato 30 Dicembre, 2009 (modificato) Ho visto il titolo ed ho subito pensato al Carducci! Brava Febea! Forse questa discussione (e le analoghe) potrebbero essere messe in bacheca...oppure nella bacheca della biblioteca. Lazer_ :s20: ne Modificato 30 Dicembre, 2009 da lazer_one Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Totiano* Inviato 30 Dicembre, 2009 Segnala Share Inviato 30 Dicembre, 2009 mica male come idea, bravo Antonio! ci ragiono un'attimo e vedo... Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
dieblaureiter Inviato 30 Dicembre, 2009 Segnala Share Inviato 30 Dicembre, 2009 Prima di tutto complimenti a Febea, al suo buon gusto e cultura. Quoto la proposta di Lazer. E lancio una proposta di un ulteriore topic: il mare nei film italiani. :s32: Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 30 Dicembre, 2009 Segnala Share Inviato 30 Dicembre, 2009 (modificato) I Canti di Leopardi mi hanno accompagnato per gran parte della mia vita e ancora mi capita di sfogliare il bel volume dei Classici Mondadori, così delicatamente sgualcito che usavo nel '68 all'università. Il cuore con l'età si è un po' più indurito ma l'emozione della lettura delle Ricordanze permane ancora intatta. Il canto è molto lungo perchè possa essere riportato interamente e mi permetto di scegliere i brani per me più significativi. Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea Tornare ancor per uso a contemplarvi Sul paterno giardino scintillanti, E ragionar con voi dalle finestre Di questo albergo ove abitai fanciullo, E delle gioie mie vidi la fine. Quante immagini un tempo, e quante fole Creommi nel pensier l'aspetto vostro E delle luci a voi compagne! [...] Che dolci sogni mi spirò la vista Di quel lontano mar, quei monti azzurri, Che di qua scopro, e che varcare un giorno Io mi pensava, arcani mondi, arcana Felicità fingendo al viver mio! Ignaro del mio fato, e quante volte Questa mia vita dolorosa e nuda Volentier con la morte avrei cangiato. Né mi diceva il cor che l'età verde Sarei dannato a consumare in questo Natio borgo selvaggio, intra una gente Zotica, vil [...] Viene il vento recando il suon dell'ora Dalla torre del borgo. Era conforto Questo suon, mi rimembra, alle mie notti, Quando fanciullo, nella buia stanza, Per assidui terrori io vigilava, Sospirando il mattin. Qui non è cosa Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro Non torni, e un dolce rimembrar non sorga. Dolce per se; ma con dolor sottentra Il pensier del presente, un van desio Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui. [...] O speranze, speranze; ameni inganni Della mia prima età! Sempre, parlando, Ritorno a voi; che per andar di tempo, Per variar d'affetti e di pensieri, Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo, Son la gloria e l'onor; diletti e beni Mero desio; non ha la vita un frutto, Inutile miseria. E sebben vóti Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro Il mio stato mortal, poco mi toglie La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta A voi ripenso, o mie speranze antiche, Ed a quel caro immaginar mio primo; Indi riguardo il viver mio sì vile E sì dolente, e che la morte è quello Che di cotanta speme oggi m'avanza; Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto Consolarmi non so del mio destino. [...] O Nerina! E di te forse non odo Questi luoghi parlar? Caduta forse Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita, Che qui sola di te la ricordanza Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede Questa Terra natal: quella finestra, Ond'eri usata favellarmi, ed onde Mesto riluce delle stelle il raggio, E' deserta. Ove sei, che più non odo La tua voce sonar, siccome un giorno, Quando soleva ogni lontano accento Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri Il passar per la terra oggi è sortito, E l'abitar questi odorati colli. Ma rapida passasti; e come un sogno Fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte La gioia ti splendea, splendea negli occhi Quel confidente immaginar, quel lume Di gioventù, quando spegneali il fato, E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna L'antico amor. Se a feste anco talvolta, Se a radunanze io movo, infra me stesso Dico: o Nerina, a radunanze, a feste Tu non ti acconci più, tu più non movi. Se torna maggio, e ramoscelli e suoni Van gli amanti recando alle fanciulle, Dico: Nerina mia, per te non torna Primavera giammai, non torna amore. Ogni giorno sereno, ogni fiorita Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento, Dico: Nerina or più non gode; i campi, L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno Sospiro mio: passasti: e fia compagna D'ogni mio vago immaginar, di tutti I miei teneri sensi, i tristi e cari Moti del cor, la rimembranza acerba. E ancora, L'infinito. Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare. "Quei monti azzurri e quel lontano mar che di qua scopro e che varcare un giorno io mi pensava, arcani mondi, arcana felicità fingendo al viver mio" non sono versi che si dimenticano facilmente. Modificato 30 Dicembre, 2009 da gichiano Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 1 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 1 Gennaio, 2010 (modificato) Ancora Leopardi con la sua A Silvia Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi? Sonavan le quiete stanze, e le vie d'intorno, al tuo perpetuo canto, allor che all'opre femminili intenta sedevi, assai contenta di quel vago avvenir che in mente avevi. Era il maggio odoroso: e tu solevi così menare il giorno. Io gli studi leggiadri talor lasciando e le sudate carte, ove il tempo mio primo e di me si spendea la miglior parte, d'in su i veroni del paterno ostello porgea gli orecchi al suon della tua voce, ed alla man veloce che percorrea la faticosa tela. Mirava il ciel sereno, le vie dorate e gli orti, e quinci il mar da lungi, e quindi il monte. Lingua mortal non dice quel ch'io sentiva in seno. Che pensieri soavi, che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia la vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta speme, un affetto mi preme acerbo e sconsolato, e tornami a doler di mia sventura. O natura, o natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? perché di tanto inganni i figli tuoi? Tu pria che l'erbe inaridisse il verno, da chiuso morbo combattuta e vinta, perivi, o tenerella. E non vedevi il fior degli anni tuoi; non ti molceva il core la dolce lode or delle negre chiome, or degli sguardi innamorati e schivi; né teco le compagne ai dì festivi ragionavan d'amore. Anche perìa fra poco la speranza mia dolce: agli anni miei anche negaro i fati la giovinezza. Ahi come, come passata sei, Quando sovviemmi di cotanta speme, un affetto mi preme acerbo e sconsolato, e tornami a doler di mia sventura. O natura, o natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? perché di tanto inganni i figli tuoi? Aspasia Torna dinanzi al mio pensier talora Il tuo sembiante, Aspasia. O fuggitivo Per abitati lochi a me lampeggia In altri volti; o per deserti campi, Al dì sereno, alle tacenti stelle, Da soave armonia quasi ridesta, Nell'alma a sgomentarsi ancor vicina Quella superba vision risorge. Quanto adorata, o numi, e quale un giorno Mia delizia ed erinni! E mai non sento Mover profumo di fiorita piaggia, Nè di fiori olezzar vie cittadine, Ch'io non ti vegga ancor qual eri il giorno Che ne' vezzosi appartamenti accolta, Tutti odorati de' novelli fiori Di primavera, del color vestita Della bruna viola, a me si offerse L'angelica tua forma, inchino il fianco Sovra nitide pelli, e circonfusa D'arcana voluttà; quando tu, dotta Allettatrice, fervidi sonanti Baci scoccavi nelle curve labbra De' tuoi bambini, il niveo collo intanto Porgendo, e lor di tue cagioni ignari Con la man leggiadrissima stringevi Al seno ascoso e desiato. Apparve Novo ciel, nova terra, e quasi un raggio [...] [...]Che se d'affetti Orba la vita, e di gentili errori, È notte senza stelle a mezzo il verno, Già del fato mortale a me bastante E conforto e vendetta è che su l'erba Qui neghittoso immobile giacendo, Il mar la terra e il ciel miro e sorrido. AD ANGELO MAI, QUAND'EBBE TROVATO I LIBRI DI CICERONE DELLA REPUBBLICA Italo ardito, a che giammai non posi Di svegliar dalle tombe I nostri padri? ed a parlar gli meni A questo secol morto, al quale incombe Tanta nebbia di tedio? E come or vieni Sì forte a' nostri orecchi e sì frequente, Voce antica de' nostri, Muta sì lunga etade? e perché tanti Risorgimenti? In un balen feconde Venner le carte; alla stagion presente I polverosi chiostri Serbaro occulti i generosi e santi Detti degli avi. E che valor t'infonde, Italo egregio, il fato? O con l'umano Valor forse contrasta il fato invano?[...] [...]Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, Ligure ardita prole, Quand'oltre alle colonne, ed oltre ai liti Cui strider l'onde all'attuffar del sole Parve udir su la sera, agl'infiniti Flutti commesso, ritrovasti il raggio Del Sol caduto, e il giorno Che nasce allor ch'ai nostri è giunto al fondo; E rotto di natura ogni contrasto, Ignota immensa terra al tuo viaggio Fu gloria, e del ritorno Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto L'etra sonante e l'alma terra e il mare Al fanciullin, che non al saggio, appare. [...] Modificato 29 Gennaio, 2010 da gichiano Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Febea Inviato 4 Gennaio, 2010 Autore Segnala Share Inviato 4 Gennaio, 2010 (modificato) Riporto volentieri la poesia scritta sul calendarietto del 2010 ricevuto in omaggio ieri mattina alla biglietteria del Museo Tecnico Navale di La Spezia (la mia seconda visita -dopo quella in occasione della Festa della Marineria del giugno scorso-, ma stavolta più approfondita...). Sullo sfondo dell'opera di Roberto Braida, La polena innamorata, sono riportate le seguenti parole di Anna Caterina Bellati: ... A sud-est dei nostri pensieri c'è il mondo come lo vorremmo, c'è un'isola non trovata alla quale guardiamo in segreto Per raggiungerla ci imbarchiamo in un viaggio di sola andata e il mare, metafora del desiderio, è il nostro unico compagno. Modificato 4 Gennaio, 2010 da Febea Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
lazer_one* Inviato 6 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 6 Gennaio, 2010 La Befana mi ha portato un paio di libri... ovvero la festività della Befana mi ha portato a regalarmi due libri fotografici di Philip Plisson intitolati Saggezza del mare e Tagliamare. Il primo accompagna ogni giorno dell'anno con una foto ed un commento tratto da opere classiche, sia di prosa che di poesia. Il secondo è semplicemente grande (30 x 46 cm!). Immaginatevi la prua del Vespucci 60 x 46 cm...oppure il bulbo della Queen Mary 2 su 4 pagine (120x46 cm) A proposito de mare c'è già una discussione dedicata ai proverbi? Mi sembra di no e secondo me varrebbe la pena di crearla. Lazer_ :s02: ne Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Febea Inviato 7 Gennaio, 2010 Autore Segnala Share Inviato 7 Gennaio, 2010 Wow, che bei libri!!! Lazer_One a questo punto non ti senti in dovere di allietarci ogni giorno con le poesie riportate? :s02: Dai su, hai come arretrato solo sette giorni e la bella notizia è che dovrai riportare solo quelle di autori italiani... non è poi un impegno così gravoso. :s41: A proposito de mare c'è già una discussione dedicata ai proverbi? Mi sembra di no e secondo me varrebbe la pena di crearla. E cerrrrrrrrto che c'è! Si trova in Nautica, Parola di marinaio. Indovina chi l'ha aperta... :s04: Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
lazer_one* Inviato 7 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 7 Gennaio, 2010 (modificato) Wow, che bei libri!!!Lazer_One a questo punto non ti senti in dovere di allietarci ogni giorno con le poesie riportate? :s02: Dai su, hai come arretrato solo sette giorni e la bella notizia è che dovrai riportare solo quelle di autori italiani... non è poi un impegno così gravoso. :s41: E cerrrrrrrrto che c'è! Si trova in Nautica, Parola di marinaio. Indovina chi l'ha aperta... :s04: Achh! Parola di marinaio è passato attraverso le maglie delle mie reti da ricerca! Per le poesie vedo di organizzarmi. Lazer_ :s02: ne PS: Il libro più piccolo è in saldo alla Feltrinelli oppure anche su IBS con 30% sconto Modificato 7 Gennaio, 2010 da lazer_one Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 7 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 7 Gennaio, 2010 (modificato) E' piacevole soffermarsi per qualche tempo la sera nel salotto letterario di Elena a conversare amabilmente, seppure in modo virtuale, di poesia, di mare e di poeti. Oggi ho tra le mani una piacevolissima edizione del '56 dei Poeti allo Specchio della Mondadori, bella da vedere e da sfogliarne le pagine di buona grammatura, un titolo ed un poeta prestigiosi, Il falso e vero verde di Salvatore Quasimodo. Ne leggo la prima poesia, molto conosciuta, Le morte chitarre. La mia terra è sui fiumi stretta al mare, non altro luogo ha voce così lenta dove i miei piedi vagano tra giunchi pesanti di lumache. Certo è autunno: nel vento a brani le morte chitarre sollevano le corde su la bocca nera e una mano agita le dita di fuoco. Nello specchio della luna si pettinano fanciulle col petto d'arance. Chi piange? Chi frusta i cavalli nell'aria rossa? Ci fermeremo a questa riva lungo le catene d'erba e tu amore non portarmi davanti a quello specchio infinito: vi si guardano dentro ragazzi che cantano e alberi altissimi e acque. Chi piange? Io no, credimi: sui fiumi corrono esasperati schiocchi d'una frusta, i cavalli cupi, i lampi di zolfo. Io no, la mia razza ha coltelli che ardono e lune e ferite che bruciano. Modificato 8 Gennaio, 2010 da gichiano Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Febea Inviato 7 Gennaio, 2010 Autore Segnala Share Inviato 7 Gennaio, 2010 Grazie Stefano per la bella immagine del salotto... Per rendere ancora più piacevole la tua permanenza e quella di altri C.ti -e per darvi maggiore accoglienza- sul tavolino trovate un vino liquoroso e del cognac di prima qualità: servitevi pure. La pioggia picchietta sui vetri e il mare rumoroso si allunga sulla spiaggia: continua a leggere, ti ascoltiamo. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
lazer_one* Inviato 7 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 7 Gennaio, 2010 1 gennaio Foto di Venezia "La sera, fra il sussurro lento dell'acqua che succhia la rena, dal mare nebbioso un lamento si leva: il tuo canto, o Sirena." G. Pascoli - La Sirena da Myricae Lazer_ :s41: ne Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Febea Inviato 9 Gennaio, 2010 Autore Segnala Share Inviato 9 Gennaio, 2010 Ehi Lazer, passa al 02 gennaio... La sirena l'ho già inserita nel primo messaggio! :s02: :s01: Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
lazer_one* Inviato 9 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 9 Gennaio, 2010 la prossima citazione del libro è al 12 di gennaio ma è di un arcinoto Giacomo... Vado a cercare quello sui detti perchè ce ne uno bretone interessante! Lazer_ :s02: ne Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 10 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 10 Gennaio, 2010 In queste notti in cui è facile sentire, se non sempre il rumore del mare, almeno il cadere della pioggia ed è il tempo in cui i ricordi affiorano con forza misurata, propongo un'altra poesia di Quasimodo, questa volta tratta da Giorno dopo giorno, S'ode ancora il mare. Già da più parti s'ode ancora il mare, lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce. Eco d'una voce chiusa nella mente che risale dal tempo; ed anche questo lamento assiduo di gabbiani: forse d'uccelli delle torri, che l'aprile sospinge verso la pianura. Già m'eri vicina tu con quella voce; ed io vorrei che pure a te venisse, ora, di me un'eco di memoria, come quel buio murmure di mare. Mi verso un po' di cognac, grazie. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Red* Inviato 12 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 12 Gennaio, 2010 (modificato) Le incredibili Donne del nostro Forum ! Con i loro pensieri,con i loro scritti,con le loro idee riescono a darci momenti veramente piacevoli. La tua idea,cara Febea,la trovo bella e delicata come le poesie già citate. Spero che essa trovi,in questo Forum,un posto ragguardevole. Grazie Febea. 1-Verso l'Infinito di Leopardi. 2-Il posto dal quale Leopardi l'osservava. 3-L'Infinito (osservando da sinistra a destra) 4- 5- 6- 7- 8-Palazzo Leopardi 9- 10-Dalla finestra dell'albergo ALLA LUNA O graziosa luna,io mi rammento Che,or volge l'anno,sovra questo colle Io venia pien d'angoscia a rimirarti: E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai,che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto Che mi sorgea sul ciglio,alle mie luci Il tuo volto apparia,che travagliosa Era mia vita:ed è,ne cangia stile, O mia diletta luna.E pur mi giova La ricordanza,e il noverar l'etate Del mio dolore.Oh come grato occorre Nel tempo giovanil,quando ancor lungo La speme e breve ha l memoria il corso, Il rimembrar delle passate cose, Ancor che triste,e che l'affanno duri ! G. Leopardi Certo un pò fuori tema questa : ma datemene il permesso ! Red Modificato 13 Gennaio, 2010 da Red Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 14 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 14 Gennaio, 2010 (modificato) Per la nostra padrona di casa ho preso da uno scaffale un libro che ho molto amato, La bufera e altro di Eugenio Montale in una edizione del 1972 dello Specchio Mondadori. Propongo Su una lettera non scritta. Per un formicolìo d'albe, per pochi fili su cui s'impigli il fiocco della vita e s'incollani in ore e in anni, oggi i delfini a coppie capriolano coi figli? Oh ch'io non oda nulla di te, ch'io fugga dal bagliore dei tuoi cigli. Ben altro è sulla terra. Sparir non so né riaffacciarmi; tarda la fucina vermiglia della notte, la sera si fa lunga, la preghiera è supplizio e non ancora tra le rocce che sogno t'è giunta la bottiglia dal mare. L'onda, vuota, si rompe sulla punta, a Finisterre. Tengo ancora il libro sul tavolo perchè nei prossimi giorni ne vorrei leggere altre. Modificato 15 Gennaio, 2010 da gichiano Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Febea Inviato 15 Gennaio, 2010 Autore Segnala Share Inviato 15 Gennaio, 2010 Le incredibili Donne del nostro Forum !Con i loro pensieri, con i loro scritti, con le loro idee riescono a darci momenti veramente piacevoli. La tua idea, cara Febea, la trovo bella e delicata come le poesie già citate. Spero che essa trovi,in questo Forum,un posto ragguardevole. Grazie Febea. Oh Red... :s15: :s10: Grazie, sei sempre molto sensibile... Per la nostra padrona di casa ho preso da uno scaffale un libro che ho molto amato, La bufera e altro di Eugenio Montale in una edizione del 1972 dello Specchio Mondadori. Ehm ehm, padrona di casa... dai... direi piuttosto S.A.S. La Principessa! :s02: C.te Gichiano, Lei potrebbe allietarci per giorni interi... so che ha diversi libri da far invidia ad una biblioteca... :s01: Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 17 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 17 Gennaio, 2010 I libri di poesia li tengo di solito sul tavolo in piccole pile o in un angolo di qualche scaffale, al contrario dei libri di pregio, dei volumi di saggistica o quelli fotografici, non occupano molto spazio fisico ma quando li apro e ne leggo qualche pagina mi conquistano per sempre. Ancora Montale, Serenata indiana. È pur nostro il disfarsi delle sere. E per noi è la stria che dal mare sale al parco e ferisce gli aloè. Puoi condurmi per mano, se tu fingi di crederti con me, se ho la follia di seguirti lontano e ciò che stringi, ciò che dici, m'appare in tuo potere. Fosse tua vita quella che mi tiene sulle soglie - potrei prestarti un volto, vaneggiarti figura. Ma non è, non è così. Il polipo che insinua tentacoli d'inchiostro tra gli scogli può servirsi di te. Tu gli appartieni e non lo sai. Sei lui, ti credi te. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
GM Andrea* Inviato 17 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 17 Gennaio, 2010 (modificato) Una curiosità: la Musa di Montale, Annetta/Arletta, era in realtà Anna degli Uberti, figlia dell'Ammiraglio Guglielmo e quindi nipote ex fratre del più famoso Ubaldo. Non lo sapevate? Sapevatelo. Modificato 17 Gennaio, 2010 da GM Andrea Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Von Faust* Inviato 17 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 17 Gennaio, 2010 Il post mi ha ricordato una poesia in dialetto genovese che avevo studiato alle elementari :s10: Autore sconosciuto. PARTO ADDIO MAÈ BEN DILETTO ME NE VAGGO A NAVEGÁ, E N' SCE L' ERBOO DE TRINCHETTO TE SALUÙ D'IN MEZO A-O MÁ ! A LANTERNA DA-I MAÈ ÈUGGI QUANDO VEGGO SCOMPARI, DI ME PÀ TRA QUELLI SCHÈUGGI A MAÈ NINNA DE SENTÌ... Traduzione : PARTO ADDIO MIO BEN DILETTO ME NE VADO A NAVIGARE, E SULL' ALBERO DI TRINCHETTO TI SALUTO IN MEZO AL MAR ! LA LANTERNA DAI MIEI OCCHI QUANDO VEDO SCOMPARIRE, A ME SEMBRA FRA QUELLI SCHOGLI LA MIA NINNETTA DI SENTIRE... Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 17 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 17 Gennaio, 2010 Una curiosità: la Musa di Montale, Annetta/Arletta, era in realtà Anna degli Uberti, figlia dell'Ammiraglio Guglielmo e quindi nipote ex fratre del più famoso Ubaldo.Non lo sapevate? Sapevatelo. Annetta ha ispirato il primo Montale, quello delle Occasioni. La poesia più famosa a lei riferita è La casa dei doganieri. Tu non ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata t’attende dalla sera in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto. Libeccio sferza da anni le vecchie mura e il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola va impazzita all’avventura e il calcolo dei dadi più non torna. Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s’addipana. Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana la casa e in cima al tetto la banderuola affumicata gira senza pietà. Ne tengo un capo; ma tu resti sola né qui respiri nell’oscurità. Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende rara la luce della petroliera! Il varco è qui? (Ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende ...) Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi va e chi resta. E in ricordo di lei Montale, già anziano, scrive nel Diario del '71 e del '72 la poesia intitolata appunto Annetta. Le ispiratrici della maturità furono la moglie Drusilla Tanzi, Mosca e Irma Brandeis, Clizia. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 20 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 20 Gennaio, 2010 Ancora da La bufera e altro, propongo la lettura di questi altri versi di Montale, meno conosciuti ma non meno intensi, e come al solito ricchi di metafore sulla figura femminile. L’anguilla L’anguilla, la sirena dei mari freddi che lascia il Baltico per giungere ai nostri mari, ai nostri estuari, ai fiumi che risale in profondo, sotto la piena avversa, di ramo in ramo e poi di capello in capello, assottigliati, sempre più addentro, sempre più nel cuore del macigno, filtrando tra gorielli di melma finché un giorno una luce scoccata dai castagni ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta, nei fossi che declinano dai balzi d’Appennino alla Romagna; l’anguilla, torcia, frusta, freccia d’Amore in terra che solo i nostri botri o i disseccati ruscelli pirenaici riconducono a paradisi di fecondazione; l’anima verde che cerca vita là dove solo morde l’arsura e la desolazione, la scintilla che dice tutto comincia quando tutto pare incarbonirsi, bronco seppellito; l’iride breve, gemella di quella che incastonano i tuoi cigli e fai brillare intatta in mezzo ai figli dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu non crederla sorella? Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 24 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 24 Gennaio, 2010 Ancora una poesia di Montale, poeta da me molto amato, ma poi forse sarà il caso di passare ad altri. Clivo, anche questa da Ossi di seppia. Viene un suono di buccine dal greppo che scoscende, discende verso il mare che tremola e si fende per accoglierlo. Cala nella ventosa gola con l'ombre la parola che la terra dissolve sui frangenti; si dismemora il mondo e può rinascere. Con le barche dell'alba spiega la luce le sue grandi vele e trova stanza in cuore la speranza. Ma ora lungi è il mattino, sfugge il chiarore e s'aduna sovra eminenze e frondi, e tutto è più raccolto e più vicino come visto a traverso di una cruna; ora è certa la fine, e s'anche il vento tace senti la lima che sega assidua la catena che ci lega. Come una musicale frana divalla il suono, s'allontana. Con questo si disperdono le accolte voci dalle volute aride dei crepacci; il gemito delle pendìe, là tra le viti che i lacci delle radici stringono. Il clivo non ha più vie, le mani s'afferrano ai rami dei pini nani; poi trema e scema il bagliore del giorno; e un ordine discende che districa dai confini le cose che non chiedono ormai che di durare, di persistere contente dell'infinita fatica; un crollo di pietrame che dal cielo s'inabissa alle prode... Nella sera distesa appena, s'ode un ululo di corni, uno sfacelo. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 28 Gennaio, 2010 Segnala Share Inviato 28 Gennaio, 2010 (modificato) Due immortali opere di Foscolo. A Zacinto. Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. E alcuni brani Dei Sepolcri, lungo carme scritto dopo l'editto napoleonico del 1804 che istituiva i cimiteri comunali vietando le sepolture nelle chiese. Tra l'incipit e la fine ho inserito la parte che più ci interessa, con la splendida descrizione della battaglia di Maratona. Dei Sepolcri All'ombra de' cipressi e dentro l'urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro? Ove piú il Sole per me alla terra non fecondi questa bella d'erbe famiglia e d'animali, e quando vaghe di lusinghe innanzi a me non danzeran l'ore future, né da te, dolce amico, udrò piú il verso e la mesta armonia che lo governa, né piú nel cor mi parlerà lo spirto delle vergini Muse e dell'amore, unico spirto a mia vita raminga, qual fia ristoro a' dí perduti un sasso che distingua le mie dalle infinite ossa che in terra e in mar semina morte? Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme, ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve tutte cose l'obblío nella sua notte; e una forza operosa le affatica di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe e l'estreme sembianze e le reliquie della terra e del ciel traveste il tempo. […] […] Ah sí! da quella religïosa pace un Nume parla: e nutria contro a' Persi in Maratona ove Atene sacrò tombe a' suoi prodi, la virtú greca e l'ira. Il navigante che veleggiò quel mar sotto l'Eubea, vedea per l'ampia oscurità scintille balenar d'elmi e di cozzanti brandi, fumar le pire igneo vapor, corrusche d'armi ferree vedea larve guerriere cercar la pugna; e all'orror de' notturni silenzi si spandea lungo ne' campi di falangi un tumulto e un suon di tube e un incalzar di cavalli accorrenti scalpitanti su gli elmi a' moribondi, e pianto, ed inni, e delle Parche il canto. Felice te che il regno ampio de' venti, Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi! E se il piloto ti drizzò l'antenna oltre l'isole egèe, d'antichi fatti certo udisti suonar dell'Ellesponto i liti, e la marea mugghiar portando alle prode retèe l'armi d'Achille sovra l'ossa d'Ajace: a' generosi giusta di glorie dispensiera è morte; né senno astuto né favor di regi all'Itaco le spoglie ardue serbava, ché alla poppa raminga le ritolse l'onda incitata dagl'inferni Dei. […] […] Proteggete i miei padri. Un dí vedrete mendico un cieco errar sotto le vostre antichissime ombre, e brancolando penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne, e interrogarle. Gemeranno gli antri secreti, e tutta narrerà la tomba Ilio raso due volte e due risorto splendidamente su le mute vie per far piú bello l'ultimo trofeo ai fatati Pelídi. Il sacro vate, placando quelle afflitte alme col canto, i prenci argivi eternerà per quante abbraccia terre il gran padre Oceàno. E tu onore di pianti, Ettore, avrai, ove fia santo e lagrimato il sangue per la patria versato, e finché il Sole risplenderà su le sciagure umane. Modificato 28 Gennaio, 2010 da gichiano Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 5 Febbraio, 2010 Segnala Share Inviato 5 Febbraio, 2010 Ci vorrebbe un esperto per ritrovare nella Divina Commedia tutti i passi in cui Dante cita il mare, io mi limito a riportarne uno dei più famosi, la tragica storia di Ulisse e dei suoi compagni. Inferno Canto XXVI «O voi che siete due dentro ad un foco, s'io meritai di voi mentre ch'io vissi, s'io meritai di voi assai o poco quando nel mondo li alti versi scrissi, non vi movete; ma l'un di voi dica dove, per lui, perduto a morir gissi». Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando, pur come quella cui vento affatica; indi la cima qua e là menando, come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori e disse: «Quando mi diparti' da Circe, che sottrasse me più d'un anno là presso a Gaeta, prima che sì Enëa la nomasse, né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né 'l debito amore lo qual dovea Penelopè far lieta, vincer potero dentro a me l'ardore ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore; ma misi me per l'alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi, e l'altre che quel mare intorno bagna. Io e ' compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov' Ercule segnò li suoi riguardi acciò che l'uom più oltre non si metta; da la man destra mi lasciai Sibilia, da l'altra già m'avea lasciata Setta. ``O frati", dissi ``che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'è del rimanente non vogliate negar l'esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Li miei compagni fec' io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de' remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle già de l'altro polo vedea la notte, e 'l nostro tanto basso, che non surgëa fuor del marin suolo. Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo, quando n'apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avëa alcuna. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; ché de la nova terra un turbo nacque e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l'acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com' altrui piacque, infin che 'l mar fu sovra noi richiuso». Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
malaparte* Inviato 6 Febbraio, 2010 Segnala Share Inviato 6 Febbraio, 2010 Di papà Dante mi pare manchi ancora questa, un po' più serena... Guido, ì vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento, e messi in un vasel ch'ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio. Sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse 'l disio. E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch'è sul numer de le trenta con noi ponesse il buono incantatore: e quivi ragionar sempre d'amore, e ciascuna di lor fosse contenta, sì come ì credo che saremmo noi. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 9 Febbraio, 2010 Segnala Share Inviato 9 Febbraio, 2010 Anche la più bella e conosciuta storia d'amore della letteratura italiana può rientrare in questa discussione, grazie al fatto che in questo canto Dante fa riferimento al mare, sia pure fuggevolmente. Il poeta e Virgilio si trovano nel girone in cui coloro che hanno peccato di lussuria vengono eternamente spinti senza meta dalla bufera. Inferno Canto V […] Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote. Io venni in loco d'ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto. La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta. Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento; bestemmian quivi la virtù divina. Intesi ch'a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento. E come li stornei ne portan l'ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena. E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid'io venir, traendo guai, ombre portate da la detta briga; […] Paolo e Francesca si avvicinano trascinati dal vento e la donna inizia il racconto del loro tragico amore. […] Quali colombe dal disio chiamate con l'ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l'aere dal voler portate; cotali uscir de la schiera ov'è Dido, a noi venendo per l'aere maligno, sì forte fu l'affettuoso grido. «O animal grazioso e benigno che visitando vai per l'aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, se fosse amico il re de l'universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c'hai pietà del nostro mal perverso. Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che 'l vento, come fa, ci tace. Siede la terra dove nata fui su la marina dove 'l Po discende per aver pace co' seguaci sui. Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte. Quand'io intesi quell'anime offense, china' il viso e tanto il tenni basso, fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?». Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!». Poi mi rivolsi a loro e parla' io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio. Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri, a che e come concedette Amore che conosceste i dubbiosi disiri?». E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. Ma s'a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice. Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangea; sì che di pietade io venni men così com'io morisse. E caddi come corpo morto cade. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 13 Febbraio, 2010 Segnala Share Inviato 13 Febbraio, 2010 Continuando con i classici riporto le prime ottave dell' Orlando furioso 1 Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, le cortesie, l'audaci imprese io canto, che furo al tempo che passaro i Mori d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, seguendo l'ire e i giovenil furori d'Agramante lor re, che si diè vanto di vendicar la morte di Troiano sopra re Carlo imperator romano. 2 Dirò d'Orlando in un medesmo tratto cosa non detta in prosa mai, né in rima: che per amor venne in furore e matto, d'uom che sì saggio era stimato prima; se da colei che tal quasi m'ha fatto, che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima, me ne sarà però tanto concesso, che mi basti a finir quanto ho promesso. e della Gerusalemme liberata 4 Tu, magnanimo Alfonso, il quale ritogli al furor di fortuna e guidi in porto me peregrino errante, e fra gli scogli e fra l'onde agitato e quasi absorto, queste mie carte in lieta fronte accogli, che quasi in voto a te sacrate i' porto. Forse un dí fia che la presaga penna osi scriver di te quel ch'or n'accenna. 5 È ben ragion, s'egli averrà ch'in pace il buon popol di Cristo unqua si veda, e con navi e cavalli al fero Trace cerchi ritòr la grande ingiusta preda, ch'a te lo scettro in terra o, se ti piace, l'alto imperio de' mari a te conceda. Emulo di Goffredo, i nostri carmi intanto ascolta, e t'apparecchia a l'armi. 6 Già 'l sesto anno volgea, ch'in oriente passò il campo cristiano a l'alta impresa; e Nicea per assalto, e la potente Antiochia con arte avea già presa. L'avea poscia in battaglia incontra gente di Persia innumerabile difesa, e Tortosa espugnata; indi a la rea stagion diè loco, e 'l novo anno attendea. 7 E 'l fine omai di quel piovoso inverno, che fea l'arme cessar, lunge non era; quando da l'alto soglio il Padre eterno, ch'è ne la parte piú del ciel sincera, e quanto è da le stelle al basso inferno, tanto è piú in su de la stellata spera, gli occhi in giú volse, e in un sol punto e in una vista mirò ciò ch'in sé il mondo aduna. 8 Mirò tutte le cose, ed in Soria s'affisò poi ne' principi cristiani; e con quel guardo suo ch'a dentro spia nel piú secreto lor gli affetti umani, vide Goffredo che scacciar desia de la santa città gli empi pagani, e pien di fé, di zelo, ogni mortale gloria, imperio, tesor mette in non cale. 9 Ma vede in Baldovin cupido ingegno, ch'a l'umane grandezze intento aspira: vede Tancredi aver la vita a sdegno, tanto un suo vano amor l'ange e martira: e fondar Boemondo al novo regno suo d'Antiochia alti princípi mira, e leggi imporre, ed introdur costume ed arti e culto di verace nume; 10 e cotanto internarsi in tal pensiero, ch'altra impresa non par che piú rammenti: scorge in Rinaldo e animo guerriero e spirti di riposo impazienti; non cupidigia in lui d'oro o d'impero, ma d'onor brame immoderate, ardenti: scorge che da la bocca intento pende di Guelfo, e i chiari antichi essempi apprende. 11 Ma poi ch'ebbe di questi e d'altri cori scòrti gl'intimi sensi il Re del mondo, chiama a sé da gli angelici splendori Gabriel, che ne' primi era secondo. È tra Dio questi e l'anime migliori interprete fedel, nunzio giocondo: giú i decreti del Ciel porta, ed al Cielo riporta de' mortali i preghi e 'l zelo. 12 Disse al suo nunzio Dio: "Goffredo trova, e in mio nome di' lui: perché si cessa? perché la guerra omai non si rinova a liberar Gierusalemme oppressa? Chiami i duci a consiglio, e i tardi mova a l'alta impresa: ei capitan fia d'essa. Io qui l'eleggo; e 'l faran gli altri in terra, già suoi compagni, or suoi ministri in guerra." 13 Cosí parlogli, e Gabriel s'accinse veloce ad esseguir l'imposte cose: la sua forma invisibil d'aria cinse ed al senso mortal la sottopose. Umane membra, aspetto uman si finse, ma di celeste maestà il compose; tra giovene e fanciullo età confine prese, ed ornò di raggi il biondo crine. 14 Ali bianche vestí, c'han d'or le cime, infaticabilmente agili e preste. Fende i venti e le nubi, e va sublime sovra la terra e sovra il mar con queste. Cosí vestito, indirizzossi a l'ime parti del mondo il messaggier celeste: pria sul Libano monte ei si ritenne, e si librò su l'adeguate penne; 15 e vèr le piagge di Tortosa poi drizzò precipitando il volo in giuso. Sorgeva il novo sol da i lidi eoi, parte già fuor, ma 'l piú ne l'onde chiuso; e porgea matutini i preghi suoi Goffredo a Dio, come egli avea per uso; quando a paro co 'l sol, ma piú lucente, l'angelo gli apparí da l'oriente; 16 e gli disse: "Goffredo, ecco opportuna già la stagion ch'al guerreggiar s'aspetta; perché dunque trapor dimora alcuna a liberar Gierusalem soggetta? Tu i principi a consiglio omai raguna, tu al fin de l'opra i neghittosi affretta. Dio per lor duce già t'elegge, ed essi sopporran volontari a te se stessi. 17 Dio messaggier mi manda: io ti rivelo la sua mente in suo nome. Oh quanta spene aver d'alta vittoria, oh quanto zelo de l'oste a te commessa or ti conviene!" Tacque; e, sparito, rivolò del cielo a le parti piú eccelse e piú serene. Resta Goffredo a i detti, a lo splendore, d'occhi abbagliato, attonito di core. 18 Ma poi che si riscote, e che discorre chi venne, chi mandò, che gli fu detto, se già bramava, or tutto arde d'imporre fine a la guerra ond'egli è duce eletto. Non che 'l vedersi a gli altri in Ciel preporre d'aura d'ambizion gli gonfi il petto, ma il suo voler piú nel voler s'infiamma del suo Signor, come favilla in fiamma. 19 Dunque gli eroi compagni, i quai non lunge erano sparsi, a ragunarsi invita; lettere a lettre, e messi a messi aggiunge, sempre al consiglio è la preghiera unita; ciò ch'alma generosa alletta e punge, ciò che può risvegliar virtù sopita, tutto par che ritrovi, e in efficace modo l'adorna sí che sforza e piace. 20 Vennero i duci, e gli altri anco seguiro, e Boemondo sol qui non convenne. Parte fuor s'attendò, parte nel giro e tra gli alberghi suoi Tortosa tenne. I grandi de l'essercito s'uniro (glorioso senato) in dí solenne. Qui il pio Goffredo incominciò tra loro, augusto in volto ed in sermon sonoro: 21 "Guerrier di Dio, ch'a ristorar i danni de la sua fede il Re del Cielo elesse, e securi fra l'arme e fra gl'inganni de la terra e del mar vi scòrse e resse, sí ch'abbiam tante e tante in sí pochi anni ribellanti provincie a lui sommesse, e fra le genti debellate e dome stese l'insegne sue vittrici e 'l nome, 22 già non lasciammo i dolci pegni e 'l nido nativo noi (se 'l creder mio non erra), né la vita esponemmo al mare infido ed a i perigli di lontana guerra, per acquistar di breve suono un grido vulgare e posseder barbara terra, ché proposto ci avremmo angusto e scarso premio, e in danno de l'alme il sangue sparso. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Febea Inviato 14 Febbraio, 2010 Autore Segnala Share Inviato 14 Febbraio, 2010 A una persona davvero speciale dedico questa poesia di M. Gualtieri: "Un capocannoniere non è abbastanza per me. Ci vuole il tuo cuore tempestato il tuo cuore da marinaio scapestrato, e la tua radio ricevente che mi porta per i mari del mondo fino alla Cina fino a tutto l'oriente che lo sai, è il mio punto d'appoggio principale. Io non so districarmi fra quel tuo essere bussula e uragano e dal mio silenzio ti chiamo a salvarmi col tuo magnetismo terrestre a salvarmi a legarmi quando il fondale mostra i turchesi e mi chiama. Tu allora vieni indicando una scia di delfini mi metti in mano il pane che getterò sull'acqua issi la randa e il fiocco e inseguiamo la gioia con un sole alle spalle e un sole avanti che ancora non vediamo" Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 24 Febbraio, 2010 Segnala Share Inviato 24 Febbraio, 2010 A una persona davvero speciale dedico questa poesia di M. Gualtieri: "Un capocannoniere non è abbastanza per me." Uomo fortunato! Complimenti. :s10: :s02: :s01: Continuo in tema di navigazione con questa lirica di Ungaretti tratta da Sentimento del tempo: Pari a sè 1925 Va la nave, sola Nella quiete della sera. Qualche luce appare Di lontano, dalle case. Nell'estrema notte Va in fumo a fondo il mare. Resta solo, pari a sè. Uno scroscio che si perde... Si rinnova... Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 27 Febbraio, 2010 Segnala Share Inviato 27 Febbraio, 2010 Ancora versi di Giuseppe Ungaretti. Da Il porto sepolto. Pellegrinaggio Valloncello dell'Albero Isolato, il 16 agosto 1926 In agguato in queste budella di macerie ore e ore ho strascicato la mia carcassa usata dal fango come una suola o come un seme di spinalba Ungaretti uomo di pena ti basta un'illusione per farti coraggio Un riflettore di là mette un mare nella nebbia Universo Devetachi il 24 agosto 1916 Col mare mi sono fatto una bara di freschezza Da Naufragi. Allegria di naufragi Versa il 14 febbraio 1917 E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 8 Marzo, 2010 Segnala Share Inviato 8 Marzo, 2010 Concludo con Ungaretti. Allegria di naufragi E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare Ci scorderemo di quaggiù, E del mare e del cielo, E del mio sangue rapido alla guerra, Di passi d'ombre memori Entro rossori di mattine nuove. Il dolore Giorno per giorno 1940-1946 4 Mai, non saprete mai come m'illumina L'ombra che mi si pone a lato, timida, Quando non spero più... 7 In cielo cerco il tuo felice volto, Ed i miei occhi in me null'altro vedano Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio... 8 E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto 9 Inferocita terra, immane mare Mi separa dal luogo della tomba Dove ora si disperde Il martoriato corpo... Non conta... Ascolto sempre più distinta Quella voce d'anima Che non seppi difendere quaggiù... M'isola, sempre più festosa e amica Di minuto in minuto, Nel suo segreto semplice... 13 Non più furori reca a me l'estate, Né primavera i suoi presentimenti; Puoi declinare, autunno, Con le tue stolte glorie: Per uno spoglio desiderio, inverno Distende la stagione più clemente!... L'allegria Agonia Morire come le allodole assetate sul miraggio O come la quaglia passato il mare nei primi cespugli perché di volare non ha più voglia Ma non vivere di lamento come un cardellino accecato Dove la luce 1930 Come allodola ondosa Nel vento lieto sui giovani prati, Le braccia ti sanno leggera, vieni. Ci scorderemo di quaggiù, E del mare e del cielo, E del mio sangue rapido alla guerra, Di passi d'ombre memori Entro rossori di mattine nuove. Dove non muove foglia più la luce, Sogni e crucci passati ad altre rive, Dov'è posata sera, Vieni ti porterò Alle colline d'oro. L'ora costante, liberi d'età, Nel suo perduto nimbo Sarà nostro lenzuolo Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 15 Marzo, 2010 Segnala Share Inviato 15 Marzo, 2010 Dopo tanti classici un po' di poesia contemporanea. Da Sempre aperto teatro di Patrizia Cavalli. Quando mi parli ti trasogni nei tuoi suoni, mi guardi e non ti accorgi che sto per affogare. Mi lasci sola nel mio schiumoso mare. Ora ho capito, tu sei davvero il mare. Ho preso la rincorsa e mi sono tuffata, ti ho centrata, ma senza farmi male, tu non più bruna ma bionda, gli occhi cerulei, e nuotavo nuotavo sulla tua molto accogliente superficie. Tu in piedi poi altamente signorile pompaduresca con i capelli alti e costruiti, ossequiente io a tanta signoria, timida e distante ti guardavo, felice sapevo che eri mia. Come in presenza tu, per tua virtù, del corpo che ti tiene, intera ora appari, materia compattissima, tuo spazio tuo presente, tutta presente in questa superficie, sicurezza della pelle, tu senza nostalgia, senza passato, rappresa nello spazio e nel presente, monade stretta che non si lascia entrare, chiesa severa erta che si basta in se stessa e non decade, e io sempre rubata e mescolata in liquido volatile che espatria, fiume corrente che non raggiunge il mare, pensiero sciolto, perduto e mai raccolto, in sperpero autunnale. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 3 Aprile, 2010 Segnala Share Inviato 3 Aprile, 2010 Tre poesie di Maria Luisa Spaziani tratte da La traversata dell'oasi. Anche la Spaziani è una poetessa contemporanea, fra l'altro legata affettivamente a Montale negli anni Cinquanta e Sessanta. Ora si fa più scarlatto il geranio e più salina l'onda del mare. E' marzo, ma bastano tre viole e odora una foresta tropicale. Sì, ho scoperto il tuo significato dopo aver saccheggiato tante immagini. Moltiplica e magnifica la vita la tua lente su un mondo sconsacrato. * Troppo violento è il tuffo anche se è dolce questo mare d'aprile. Non somiglia ai nostri abbracci, cieli in cui l'allodola sprofonda a minibalzi approssimati. Scendere in acqua lentamente. Inizia dal piede una spirale d'avvolgenza, poi gambe, ventre e seni si abbandonano in gloria a quella mano. * Tu sei il mare, ostacolo e legame, strada maestra e insondabile baratro. Mi limito a solcarlo: vascelletti e barchette di vane parole. Mandami i tuoi tifoni, i grandi aratri che fino al cuore scavano e rovesciano. Travolgimi fin dove le mie sillabe, vagiti e gusci non hanno più senso. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Marpola* Inviato 8 Gennaio, 2011 Segnala Share Inviato 8 Gennaio, 2011 Appassionato di tutto ciò che riguarda il mare, raccolgo anche aforismi e poesie che lo riguardano... :s01: Ho visto il thread sui proverbi di mare. Molto interessante, ma le poesie suscitano EMOZIONI... Chi ha qualcosa da mandarmi che non conosco già? Intanto io comincio a pubblicare una breve poesia del grande Eduardo De Filippo... ’O mare nun acide... ’o mare è mmare e nun ’o sapè ca te fa paura… Io quanno ’o sento nun è ca dico “’o mare fa paura” ma dico “’o mare sta facendo ’o mmare”. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Visitatore giovannibandenere Inviato 8 Gennaio, 2011 Segnala Share Inviato 8 Gennaio, 2011 Questo era un mio libro di letture quando andavo a scuola; sono un pò meno di 500 pagine fra poesie e narrazioni con qualche illustrazione. Posto una traccia e resto a disposizione per eventualità . Un saluto gnb. (Bologna-IX-1957-Tipografia Luigi Parma): -------------------------------------------------------------------------- ] ------------------------------------------------------------------------- Questo era un libro delle elementari pre WWII; di marinaresco c'è solo la poesia che posto, il resto è di tutto un pò, abbondantissimamente in linea con quel tempo. (Officine grafiche A.Mondadori Verona, A.1939 XVII): ------------------------------------------------------------------------- =========================================O Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Marpola* Inviato 9 Gennaio, 2011 Segnala Share Inviato 9 Gennaio, 2011 (modificato) Grazie infinite! :s20: Davvero belli da conservare quei libri!! Intanto, in attesa (spero) di altri contributi, ecco qui alcune citazioni un pò più recenti.... tutte del grande Jacques Mayo :s01: "Il mare è la nostra culla. Siamo fatti, in gran parte, della sua stessa sostanza. Sott'acqua non sono limitato dalla forza di gravità, è davvero come essere in un'altra dimensione... in un altro mondo. L'uomo va sott'acqua perché corrisponde a un bisogno del suo subconscio... per ricercare le sue origini... E' un ritorno, dunque, e questo ritornare è una forma di sicurezza interiore. Quando hai conosciuto una persona... un posto bello... pensi sempre di ritornarci, no?" "E' un mondo più nobile, più puro e più giusto di quello degli uomini. Ma bisogna mostrasene degni e accostarsi con il cuore e con la mente. Non cercate di bruciare le tappe: le tartarughe di mare non nuotano forse molto veloci, ma vivono a lungo e vanno lontano... molto lontano!" "L'uomo non muore finché sa sognare. E il sogno dell'Homo delphinus vivrà finché l'uomo non avrà distrutto il mare completamente". Modificato 9 Gennaio, 2011 da Marpola Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Bearing Inviato 9 Gennaio, 2011 Segnala Share Inviato 9 Gennaio, 2011 Pagine bellissime... grazie di averle condivise! Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
LT Melekhin * Inviato 9 Gennaio, 2011 Segnala Share Inviato 9 Gennaio, 2011 Suggerirei di unire il contributo cui sopra alla discussione "Il mare nelle poesie italiane" aperta in Quadrato Ufficiali dal Comandante Febea in data 30 dicembre 2009. Saluti! :s01: Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Totiano* Inviato 10 Gennaio, 2011 Segnala Share Inviato 10 Gennaio, 2011 ottima idea... Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 15 Febbraio, 2011 Segnala Share Inviato 15 Febbraio, 2011 (modificato) E' piacevolissimo riprendere a frequentare il salotto di Elena dopo tanto tempo. Ne ho sentito la mancanza e, vista la lunga assenza, spero di essere perdonato se questa volta propongo un classico greco nella splendida traduzione di Filippo Maria Pontani. Da Archiloco, poeta sommo, considerato dagli antichi pari ad Omero, di cui purtroppo ci sono giunti solo brevi frammenti. Guerriero e marinaio, nacque a Paro, nelle Cicladi, da famiglia aristocratica, visse nel VII secolo a. C. rimanendo ucciso poco più che trentenne in un combattimento con gli abitanti della vicina isola di Nasso. Nembi. Glauco, vedi: su dal fondo tutto il mare s'agita, va dall'alto delle Gire erto un nembo: un indice di tempesta. La paura coglie a un tratto l'anima. * A deriva sul profondo mare navi rapide vanno. Via, s'allenti tutta la tensione delle vele e si mollino le scotte. Tu, se vuoi superstite il ricordo del tuo nome, cogli il vento e salvaci. Tieni lungi dagli scogli la tua barca, non gettarla ove più s'attorce l'onda spaventosa ergendosi ...oramai provvedi tu. L'eclisse. Oramai non c'è nessuna cosa inattendibile né mirabile né assurda, da che il padre degli dèi, occultando la chirìa meridiana, ha fatto notte (un sudore di paura ha imperlato gli uomini). Oramai tutto potremo credere possibile. Non guardate più allibiti se le fiere prendano dai delfini, in cambio, i loro pascoli nell'acqua e dei flutti del sonante mare s'innamorino più che della terra, e quelli cupi monti cerchino. Modificato 2 Marzo, 2011 da gichiano Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Febea Inviato 16 Febbraio, 2011 Autore Segnala Share Inviato 16 Febbraio, 2011 E' piacevolissimo riprendere a frequentare il salotto di Elena dopo tanto tempo. Ne ho sentito la mancanza e, vista la lunga assenza, spero di essere perdonato se questa volta propongo un classico greco nella splendida traduzione di Filippo Maria Pontani. Da Archiloco, poeta sommo, considerato dagli antichi pari ad Omero, di cui purtroppo ci sono giunti solo brevi frammenti. Guerriero e marinaio, nacque a Paro, nelle Cicladi, da famiglia aristocratica, visse nel VII secolo a. C. rimanendo ucciso poco più che trent'enne in un combattimento con gli abitanti della vicina isola di Nasso. Bentornato... ti stavamo aspettando. E poi... è un piacere ascoltarti... le tue introduzioni ricordano quelle di un coinvolgente professore... Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 17 Febbraio, 2011 Segnala Share Inviato 17 Febbraio, 2011 Ritorniamo agli italiani. Da Come un'allegoria (1932-1935) di Giorgio Caproni. Spiaggia di sera. Così sbiadito a quest'ora lo sguardo del mare, che pare negli occhi (macchie d'indaco appena celesti) del bagnino che tira in secco le barche. Come una randa cade l'ultimo lembo di sole. Di tante risa di donne, un pigro schiumare bianco sull'alghe, e un fresco vento che sala il viso rimane. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
gichiano Inviato 26 Febbraio, 2011 Segnala Share Inviato 26 Febbraio, 2011 E un Pasolini del 1971, una poesia del ricordo tra le Pagine Corsare di una più impegnata e civile. Da Trasumanar e organizzar. Atene Ai tempi di Atene le ragazze ridevano alle porte di casette basse tutte uguali (come nei quartieri poveri di Rio); queste casette erano disposte lungo viali che a quei tempi profumavano (non ricordavi il nome) di tigli Le sere, come suole, erano eterne perchè c'era da concludere tutta una cerimonia (salire per le scale polverose alle camere da letto; che era un'ascensione; e faceva ridere ancor di più le ragazze) fuori si continuava a vegliare perchè gli ateniesi sono chiacchieroni, soprattutto i maschi E, soprattutto, restava quell'odore di tigli per i vialoni; le ore che le ragazze non conoscono, ma esse non piangono per questo, anzi ridono, ridono fra loro Perchè tutta la vita è loro e le attende, quasi eterna [...] [...] Ma nessuno sa cosa accadrà se non qualche vecchio mendico a cui non importa nulla; chi non ha famiglia o vicinato o si illude di averli Magari in regioni lontane, legate da un entroterra che resterà sempre sconosciuto, o legate al mare, l'Adriatico che si fa sempre più diafano Comunque qui è notte d'estate. c'è leternità della giovinezza, le schermaglie sono state portate a termine vittoriosamente - il mancato bacio vittoria dell'aridità della vergine; lui se n'è andato,"alto e biondo", sprofondato nell'odore dei tigli Si rientra a casa, le voci si continuano ad alzare dalle altre case; il vicinato parla, con voci insonni, forse si sentono raganelle lontane, e certo viene un leggero vento dal mare C'è la guerra; e se le ragazze ridono è perchè sono sante - Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
malaparte* Inviato 1 Marzo, 2011 Segnala Share Inviato 1 Marzo, 2011 Di Archiloco avevo postato qualcosa a suo tempo... E quindi, pur capendo che qui si tratta di poesia italiana chiedo ulteriore estensione ed esenzione....anche se mi rendo conto che si rischia di socchiudere la porta a una baraonda internazionale! Ho ritrovato un volumetto di 48 pag., 15 cm, Canti giapponesi, ed. L'Estremo Oriente, Venezia, 1921, che comprai, da quanto ho appuntato, nel 1974 alla Fiera del Libro di Bologna (cioè sulle bancarelle :s02: di quando ero all'università...ergo a poche lire). Chiedo quindi licenza di condividere...altrimenti (sì, questo è un ricatto!!! :s03: ) potrebbe venirmi l'uzzolo di trascrivere una certa poesia di tal Malaparte Curzio (pratese) sui livornesi....poesia che parla, sì, di mare....ma anche... :s03: Meglio tornare al clima rarefatto dei giapponesi: Sulla spiaggia, abbandonata, una barca - piena d'acqua dove, bianco, si riflette questo cielo di primo autunno (Akiko Yosano) Una pozzanghera d'acqua lasciata sulla sabbia è oblio dell'onda. Una nube smarrita sui monti lontani è oblio del vento Una piuma d'argento caduta a caso sulla terra è oblio dell'uccello che passa. Il bisogno di sognare e di rimpiangere è oblio dei giorni e della giovinezza (Ryuko Kawagi) Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Febea Inviato 2 Marzo, 2011 Autore Segnala Share Inviato 2 Marzo, 2011 Di Archiloco avevo postato qualcosa a suo tempo...E quindi, pur capendo che qui si tratta di poesia italiana chiedo ulteriore estensione ed esenzione....anche se mi rendo conto che si rischia di socchiudere la porta a una baraonda internazionale! Ho ritrovato un volumetto di 48 pag., 15 cm, Canti giapponesi, ed. L'Estremo Oriente, Venezia, 1921, che comprai, da quanto ho appuntato, nel 1974 alla Fiera del Libro di Bologna (cioè sulle bancarelle :s02: di quando ero all'università...ergo a poche lire). Chiedo quindi licenza di condividere...altrimenti (sì, questo è un ricatto!!! :s03: ) potrebbe venirmi l'uzzolo di trascrivere una certa poesia di tal Malaparte Curzio (pratese) sui livornesi....poesia che parla, sì, di mare....ma anche... :s03: Meglio tornare al clima rarefatto dei giapponesi: Accetto volentieri il contributo internazionale :s20:, magari il C.te Gichiano la farà accomodare per la lettura su una poltrona poco comoda del salotto... si addatta vero? :s03: Mi pare di intravedere nel preambolo una velata minaccia :s41: poetica nei confronti della mia metà :s15: , o vado errando? :s05: :s02: :s01: Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
malaparte* Inviato 2 Marzo, 2011 Segnala Share Inviato 2 Marzo, 2011 il C.te Gichiano la farà accomodare per la lettura su una poltrona poco comoda del salotto... si addatta vero? :s03: Mi pare di intravedere nel preambolo una velata minaccia :s41: poetica nei confronti della mia metà :s15: , o vado errando? :s05: :s02: :s01: Velata minaccia???Assolutamente no!! !RICATTO PURO!!! Trattasi della "Cantata dei livornesi che vanno per mare" del succitato. Al limite, se me la vedessi brutta potrei sempre cavarmela dicendo che era una citazione letteraria....comunque non riporto , per signorilità, neanche la prima quartina. :s03: Chiudiamola qui.... :s02: Quanto al C.te Gichiano... sono convinta che abbia poltrone comode ed accoglienti dove leggere e meditare. Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
LT Melekhin * Inviato 2 Marzo, 2011 Segnala Share Inviato 2 Marzo, 2011 Trattasi della "Cantata dei livornesi che vanno per mare" del succitato. Al limite, se me la vedessi brutta potrei sempre cavarmela dicendo che era una citazione letteraria....comunque non riporto , per signorilità, neanche la prima quartina. :s03: Allora???? Stiamo aspettando.... :s03: Citare Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
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