Vai al contenuto

"mezzi D'assalto"


Messaggi raccomandati

Titolo: MEZZI D'ASSALTO

Autore: Contrammiraglio Ubaldo degli Uberti

Casa editrice: non indicata

Anno di edizione: 1942

Pagine: 15

Dimensioni(cm): 15 X 20

Prezzo originale: Lire 1

Prezzo di mercato: ricevuto in regalo, mai visto in librerie d'occasione, non presente su internet.

 

 

Fornisco l’integrale riproduzione di un opuscolo di propaganda non privo di interessanti spunti di riflessione.

 

slci.jpg

slc1.jpg

La dicitura è nuova, infatti è stata impiegata in questa guerra per la prima volta, ma l'idea no.

Nella guerra terrestre l'esercito assalitore oltrepassa i confini, aggancia, come suol dirsi, le forze avversarie e, Deo juvante, raggiunge il suo scopo che é di distruggerle. Se trova sulla sua via delle fortificazioni le prende d'assalto, come i Giapponesi hanno, preso, per esempio, Singapore o, se la guarnigione non molla e non è possibile trovare il punto debole da scardinare, ne inizia l'assedio. Intanto occupa territori e, se raggiunge località di importanza, se non strategica, politica, può obbligare l'avversario alla resa anche prima di averne distrutto il potenziale militare.

Nella guerra in mare il nemico che non voglia affrontare la battaglia navale, si chiude nei suoi porti e, scegliendo il momento più opportuno, può fare delle sortite offensive contro qualche punto specialmente sensibile del l'avversario il che, nel caso favorevole, oltre a infliggergli delle perdite, serve anche perché i propri equipaggi non si scoraggino e mantengano elevato il morale.

Nell'altra guerra abbiamo fatto per mesi e mesi il pendolo in Adriatico coi nostri primitivi sommergibili davanti alle interruzioni della catena di isole dalmate, dietro la quale si svolgeva praticamente indisturbato il traffico nemico, nella speranza, sempre delusa, di veder spuntare un fumo con sotto uno scafo che potesse meritare un siluro. Se ne volemmo veder qualcuno dovemmo andare a cercarlo nei canali e nei golfi, non sempre a buon mercato. E siccome solo qualche piroscafo di ben poca importanza si riusciva a trovare, fu deciso l'impiego di mezzi specialissimi, per passare, con la forza o con l'astuzia, di là dalle ostruzioni che sbarravano, come le catene che chiudevano porti ai tempi delle galere e dei vascelli, i porti di Pola e Trieste.

Goiran la notte sul 2 novembre del 1916 con un Mas normale, al quale era stato solo aggiunto un motore ausiliario elettrico, per la navigazione silenziosa, dopo aver messo a cavallo delle ostruzioni di Pola due pesi da due tonnellate ciascuno collegati fra loro, entrò nel porto, lasciando nel valico che si era, formato un battellino col marinaio De Angelis, che gli avrebbe indicato la via del ritorno. I siluri che Goiran lanciò, come parecchi altri in quella guerra, non scoppiarono, ma il porto munitissimo era stato violato, dimostrando al nemico che nemmeno li poteva ritenersi al sicuro.

Nella notte sul 10 dicembre del 1917, Rizzo, dopo aver imbarcato, su di un Mas come quello di Goiran, delle speciali cesoie tagliacavi, approfittando di una densa nebbia si avvicinò alla testata nord della diga grande di Muggia, tagliò i cavi delle ostruzioni — cosa molto più semplice a dirsi che a farsi — mentre « si udiva parlare sulla testata sud della piccola diga, dove si vedeva un casotto illuminato » e entrò nel porto di Trieste affondando coi suoi siluri la corazzata Wien. « I pusillanimi si fermano, gli audaci attaccano e rovesciano l'ostacolo » disse Benito Mussolini nell'articolo « Osare » scritto in quella occasione su Il Popolo d'Italia.

Poi venne la volta di Pellegrini che, il 14 maggio 1918 col Grillo, chiamato anche « barchino saltatore », mentre era invece un tenace arrampicatore coi denti delle catene di cui era fornito sorpassò quasi tutte le ostruzioni del porto di Pola — ben rinforzate dopo l'entrata di Goiran — ma quando si trattò di oltrepassare l'ultima, siccome era già stato visto e fatto segno a nutrito fuoco nemico, dovette decidere l'affondamento del « barchino » perché non cadesse nelle mani del nemico.

Per tentare ancora un altro forzamento di Pola, fu ideato un nuovissimo congegno: la Mignatta di Rossetti e Paolucci. È un siluro accompagnato dai due uomini. Siccome non si può pretendere che essi si facciano trascinare alla velocità di 30 o 4O nodi, il motore è trasformato in modo che quello che perde in velocità, lo guadagna in durata a velocità ridotta, in modo che gli uomini si possono far rimorchiare, stando in acqua, con speciali, scafandri e, pesando sull'apparecchio, possono farlo immergere di tanto da permettergli di passare sotto alle ostruzioni.

slc2.jpg

Ostruzioni del Porto di Alessandria col tracciato del percorso dei violatori

 

Poi al posto della testa del siluro sono sistemate due torpedini speciali munite di un congegno elettrico che, azionando una elettrocalamita, mantiene la torpedine aderente : allo scafo della nave nemica, e un congegno di orologeria che fa agire il sistema di scoppio al momento voluto.

La sera del 1 novembre del 1918 i due audaci, accompagnati presso la diga di Pola dalle due torpediniere di Costanzo Ciano e del comandante Scapin furono messi in mare col loro ordigno e, dopo sei ore di lotta contro la corrente uscente, ed aver attraversato sette linee di ostruzioni, arrivarono in vicinanza della corazzata Viribus Unitis ed applicarono al suo scafo la prima torpedine. L'altra, ancora collegata alla Mignatta, siccome gli assalitori erano stati scoperti, fu abbandonata a se stessa e da sola trovò la sua preda. che affondò mentre la corazzata, squarciata dall'esplosione, si capovolgeva.

Anche in questa guerra è sorta la necessità di scovare il nemico nelle sue tane, per infliggergli perdite tali da potersi avvicinare al pareggio delle forze, o quanto meno per ottenerlo nelle acque del Mediterraneo che abbiamo precluso al traffico inglese, ma dove noi dobbiamo navigare per permettere ai fratelli che combattono sulle altre sponde, di sostenere e respingere l'urto delle forze terrestri che il nemico ha potuto accumulare contro di noi, facendo il periplo dell'Africa.

E'quindi sorta anche l'organizzazione per preparare i congegni adatti allo scopo e per educare gli uomini che a centinaia domandano l'onore di adoperarli. Bisogna pensare che queste missioni audacissime, che si concludono nel giro di poche ore della notte, sono il risultato di un lavoro assiduo, instancabile, paziente di mesi e mesi, condotto nel più assoluto segreto, senza mai scoraggiarsi per tentativi falliti, sempre riprendendo il filo spezzato con assidua tenacia.

slc3.jpg

Vittorio Moccagatta, capitano di fregata, non ancora quarantenne, era l'animatore di queste imprese ed era anche una delle più sicure speranze della nostra marina. Era preparatissimo - sapeva approfittare del minuto che gli lasciava libero la sua attività senza soste di uomo d'azione, per leggere, studiare, scrivere su argomenti di organica, di strategia, di storia navale - ed era dotato, oltre che di una intelligenza limpida e costruttiva, di un coraggio freddo, calcolato a tutta prova. Era un uomo completo, innamorato del suo mestiere e servitore devoto della Patria fino all'estremo sacrificio. La motivazione della medaglia d'oro che è stata concessa alla sua memoria dice tutto:

« Comandante di un gruppo di forze d'assalto della Regia Marina, consacrava con ardente passione e purissima fede la sua instancabile opera nell'approntamento di mezzi di offesa e nella preparazione dei suoi uomini a sempre più ardui cimenti. Rinnovando con più vasto disegno le gesta eroiche di una sua precedente impresa, organizzava ed eseguiva il forzamento di una munitissima base navale nemica, scagliando con impeto irresistibile i suoi mezzi di assalto contro le unità alla fonda nel porto espugnato ad onta della incombente violentissima reazione di fuoco. Sulla via del ritorno, attaccato da numerosi aerei nemici, cadeva falciato dalle raffiche di mitragliera, mentre sui mari della Patria vibrava ancora l'eco della vittoria e assurgeva ai fastigi dell'epopea la gloriosa impresa, alla quale aveva donato in olocausto la vita ».

E sul suo petto già brillava una medaglia d'argento conferitagli per le sue azioni, da comandante di sommergibile, durante la guerra di Spagna.

slc4b.jpg

Accanto a lui, suo fedele collaboratore, c'era un altro magnifico ufficiale, anch'egli chiaro apprezzato scrittore di materie navali, il capitano di corvetta Giorgio Giobbe, che poi accompagnò fino all'entrata del porto di Malta i mezzi che dovevano eseguire la missione e, dopo aver sentito gli otto scoppi possenti delle cariche di esplosivo portate contro gli obbiettivi designati, tornò a riferirne al suo capo che poco più al largo attendeva. I superstiti hanno raccontato la fiera gioia di questo ufficiale per la riuscita della impresa, solo velata dalla tristezza per avere atteso invano — oltre ogni limite di prudenza — il ritorno dei compagni rimasti, nella migliore delle ipotesi, prigionieri del nemico. Ma il sopravvenire degli aerei nemici, che con le loro mitragliere attaccarono la piccola navicella che dirigeva verso le coste della Patria, chiuse il corso terreno anche di questa luminosa carriera. Dice la motivazione della medaglia d'oro concessa alla memoria di Giorgio Giobbe:

« Volontario nelle forze d'assalto della Regia Marina, dedicava con vibrante entusiasmo e fede ardente tutte le sue energie al servizio ed al potenziamento di speciali mezzi di offesa, con i quali era impaziente di superare le gesta già compiute nelle operazioni di Spagna e di Albania, e nel presente conflitto. Al comando di una formazione destinata al forzamento di una munitissima base nemica, dopo aver atteso ad immediato contatto delle difese avversarie, il momento favorevole all'azione, lanciava, con cuore teso alla mèta, attraverso il varco aperto negli sbarramenti, sotto la violentissima reazione di fuoco del nemico, i suoi mezzi di assalto, la cui potenza distruggitrice si abbatteva inesorabile e precisa sulle unità nemiche. Falciato, sul ritorno, da raffiche di mitragliere di aerei nemici, suggellava con la morte il coronamento dell'epica impresa già consegnata con l'aureola della gloria ai fasti della Patria ».

slc6.jpg

Gibilterra: i bacini di carenaggio

 

Nella precedente impresa del forzamento della baia di Suda del 26 marzo 1941, ad un altro ufficiale è stata conferita la massima onorificenza al valor militare. Al tenente di vascello Luigi Faggioni che, dopo aver affondato l'incrociatore pesante britannico York, la cui distruzione fu completata dagli aerei germanici nei giorni seguenti, e due grandi piroscafi, è rimasto prigioniero del nemico insieme coi suoi audaci compagni.

« Comandante di un reparto di mezzi navali d'assalto, penetrava di notte, alla testa delle sue unità, nell'interno di una munita base nemica e, con sangue freddo esemplare, dopo aver superato tre ordini di ostruzioni e sbarra- ralenti, le guidava all'attacco, riuscendo ad affondare un incrociatore pesante e due grandi piroscafi. Mirabile esempio di audacia, congiunta con la più salda ed eroica determinazione di portare a termine la missione affidatagli per la gloria della Patria e della Marina ».

slc5.jpg

Malgrado tutto, gli uomini che si educano a questa scuola di rischio e di pazienza non vogliono sentirsi chiamare « Volontari della Morte », perché alla morte non pensano. Pensano a vivere e vincere. La morte è un incidente che ogni soldato che merita questo nome ha già scontato. Tanto più che nella accurata, minuziosa, intensa preparazione di animi e dì armi, è parte importantissima l'organizzazione per assicurare, nei limiti del possibile, una via di ritorno agli assalitori. Pensano che se per essi la vigilia è lunga e l'azione fulminea, per gli altri loro compagni, che sulle navi di superficie affrontano con la stessa serenità, disagi, fatiche e pericoli, sono lunghe e la vigilia e l'azione.

Saranno questi mezzi d'assalto come i Mas di Goran e di Rizzo? Saranno come il Grillo di Pellegrini, o almeno come la Mignatta? No. E nemmeno i mezzi che sono serviti a Suda sono come quelli di Malta, di Gibilterra e di Alessandria. O per lo meno non tutti e sempre. E nemmeno niente hanno a che fare coi sommergibili, anzi sottomarini, tascabili giapponesi che, coi ben noti risultati, hanno fatto la loro apparizione a Pearl Harbour.

slc7.jpg

Le ostruzioni del porto di Alessandria

slc8.jpg

Gibilterra

 

Non è il caso di pretendere delle precisazioni. Accontentiamoci di quelle che ne ha detto sir Edward Jackson, vice governatore di Malta, che di questi mezzi ne aveva, come volgarmente si dice, i panni laceri, e si è sfogato con un redattore del giornale turco Istanbul. Egli ha detto, rendendo onore al merito, che questi mezzi sono portati da uomini audacissimi che, nella migliore delle ipotesi, sono votati alla prigionia. Non sapeva ancora forse che quelli di Gibilterra sono tornati tutti. Nessuno escluso. Ha detto che si tratta di battelli che entrano in porto — come facciano ad oltrepassare le ostruzioni non lo poteva sapere - a lentissimo moto; poi, quando hanno individuato il loro bersaglio, aumentano di velocità e, quasi volando sull'acqua, dirigono contro di esso e, se non sono fermati da una robusta rete di acciaio o da un miracoloso colpo di cannone, vanno inesorabilmente a schiacciarsi contro, il bersaglio, esplodendo e distruggendo. Implicitamente il Jackson ci fa capire che i mezzi che sono entrati a Malta qualche cosa debbono pure aver fatto.

Quell'inesorabilmente, é significativo. Spiega poi anche che il pilota, all'ultimo momento, può azionare una leva che lo sbalza fuori dal suo seggiolino e cadendo in acqua, vestito com'è di uno speciale scafandro e munito dì uno specie di cuscino ad aria, resta a galla, mentre il suo battello corre contro la vittima designata. Inesorabilmente.

E' bene insistere sul fatto che in tutte queste azioni la fortuna non c'è entrata. Il tanto meno che il nemico sia stato preso alla sprovvista. Suda aveva dato la sveglia ed aveva detto al mondo ed al nemico che le vecchie tradizioni erano state riprese e rinverdite. Dopo di che si deve supporre che le basi navali siano state messe in istato d'allarme per parare a questo nuovo pericolo, rafforzando mezzi di avvistamento e ostruzioni. Ma queste precauzioni, che certo sono state prese dopo Suda, non impedirono le gesta di Malta,

 

slc9t.jpg

Porto di Alessandria

 

scl10.jpg

Cartina del Mediterraneo

 

né quelle di Gibilterra e, sempre più difficile, per la lontananza dalle nostre basi, per le condizioni idrografiche della località, e per la ripetizione della azione, nemmeno quella di Alessandria, la più redditizia: due navi da battaglia, Queen Elizabeth e Valiant, messe fuori di combattimento per chissà quanto tempo.

Speculando, conte i corvi sui campi di battaglia, su tutte le disgrazie dei sommergibili in tempo di pace, gli Inglesi tentarono di togliere dal loro cammino verso la, padronanza del mondo intero, quest'arma dei popoli poveri. Non pensando che i popoli che sanno osare, avrebbero trovato anche altri mezzi che, con pochi soldi e col coraggio di uomini dal fegato duro, avrebbero potuto distruggere una nave costata sette o otto milioni di sterline e quattro o cinque anni di lavoro, in una frazione di secondo.

 

Ho inserito una serie d'informazioni sulla veste editoriale sulla scorta della correzione di Totiano.

Modificato da dieblaureiter
Link al commento
Condividi su altri siti

Join the conversation

You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.

Visitatore
Rispondi a questa discussione...

×   Hai incollato il contenuto con la formattazione.   Rimuovi formattazione

  Sono ammessi al massimo solo 75 emoticon.

×   Il tuo link è stato automaticamente aggiunto.   Mostrare solo il link di collegamento?

×   Il tuo precedente contenuto è stato ripristinato.   Pulisci l'editor

×   Non è possibile incollare direttamente le immagini. Caricare o inserire immagini da URL.

Caricamento...
  • Statistiche forum

    • Discussioni Totali
      45k
    • Messaggi Totali
      521,7k
×
×
  • Crea Nuovo...