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Corazzata Roma


STV(CP)

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Sulla Nuova Sardegna di oggi, è apparso questo articolo relativo al probabile ritrovamento del relitto della Roma (l'ennesimo).

Riporto così come pubblicato, l'intero articolo.

 

 

 

Da La Nuova Sardegna del 19.08.2009 di Antonello Palmas

 

ASINARA

 

“Individuato il relitto della corazzata Roma”

L’ultimo mistero sulle grandi tragedie di mare della seconda guerra mondiale, stà forse per essere svelato. Dal 1° settembre, un equipe di esperti cercherà di chiarire se l’ombra vicino all’Asinara è il relitto della corazzata Roma”

 

Affondò sotto le bombe tedesche, al largo dell’isola a nordovest della Sardegna, con un carico umano di 1393 persone e di essa si è persa ogni traccia. In molti sognano di ritrovarla: sembra che ci sia riuscito un documentarista di Catanzaro, il 30enne Francesco Scavelli, che seppure in mancanza di precisi indizi, insieme all’equipe della Bluimage, specializzata in ricerche sottomarine, avrebbe notato un grande oggetto sommerso. Ha chiesto però l’aiuto a Henri Germani Desauze, ex collaboratore di Jaques Costeau, la cui società Comex, avrebbe la tecnologia per fare finalmente luce su questo enigma. Non è facile, il fondo intorno all’Asinara è partiolarmente ostico, attraversato da canyon.

La Roma, era un vero mostro, specie per quei tempi: lunga 240 metri, larga 32,9, alta come un palazzo di 15 piani, aveva un tonnellaggio standard di 44.050 e di 46.215 a pieno carico. Costruita a partire dal 1938, entrò in servizio nel 1942, ma non ebbe la possibilità di partecipare ad azioni belliche contro la flotta inglese.

Il 9 settembre 1943, il giorno dopo la proclamazione dell’armistizio, la Roma si stava dirigendo dalla Spezia alla Maddalena insieme a altre due corazzate (la Vittorio Veneto e l’Italia) e un gruppo di 8 incrociatori per consegnarsi agli alleati. Quando si diffuse la notizia che l’isola dell’arcipelago era stata occupata dai tedeschi, i comandanti decisero di puntare verso l’Asinara, ma non fecere in tempo: la Roma venne centrata da due bombe razzo teleguidate Ruhrstahl Sd 1400, chiamate dagli angloamericani col nomignolo di Fritz X, lanciate da uno stormo di bimotori tedeschi Dornier Do 217 KII, quindi affondò con l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo delle forze navali da battaglia, il comandante Adone Del Cima, gran parte della stato maggiore della Regia Marina e l’equipaggio: si salvarono solo 620 uomini, gli altri 1393 non li vide più nessuno, come la loro nave che da 66 anni è la loro tomba.

Modificato da STV(CP)
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Personalmente, direi non facciamola toccare e basta.

A parte il fatto che - visti i danni subiti durante l'attacco aereo e nel corso dell'affondamento - l'attuale stato del relitto non deve certo essere dei migliori, lo scafo della Roma è comunque il sacrario e la tomba degli oltre 1.000 Caduti dell'equipaggio.

A mio avviso, la Marina e/o lo Stato Italiano dovrebbero prendere una posizione in senso negativo non tanto sull'individuazione e l'esplorazione del relitto (che, a determinate condizioni e con specifiche modalità non invasive possono avere un senso) quanto sul rischio che ne siano asportate parti o che vengano in qualche modo profanati i resti dei Caduti.

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Personalmente, direi non facciamola toccare e basta.

A parte il fatto che - visti i danni subiti durante l'attacco aereo e nel corso dell'affondamento - l'attuale stato del relitto non deve certo essere dei migliori, lo scafo della Roma è comunque il sacrario e la tomba degli oltre 1.000 Caduti dell'equipaggio.

A mio avviso, la Marina e/o lo Stato Italiano dovrebbero prendere una posizione in senso negativo non tanto sull'individuazione e l'esplorazione del relitto (che, a determinate condizioni e con specifiche modalità non invasive possono avere un senso) quanto sul rischio che ne siano asportate parti o che vengano in qualche modo profanati i resti dei Caduti.

Concordo con il mio Frà! A parte il fatto che a mio parere la MARINA MILITARE già da molto tempo è a conoscenza della esatta posizione del Relitto del ROMA, penso che sia opportuno ricordare ai Cugini d'Oltralpe che di recente una ditta Italiana ha modificato il tracciato di un gasdotto per non profanare il relitto della Corazzata Francese DANTON con i Suoi Morti.

 

In ogni caso i Caduti del ROMA debbono rimanere là. Al massimo si potrebbe recuperare qualche cimelio per i Musei Navali di La SPezia e VEnezia.

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Personalmente, direi non facciamola toccare e basta.

A parte il fatto che - visti i danni subiti durante l'attacco aereo e nel corso dell'affondamento - l'attuale stato del relitto non deve certo essere dei migliori, lo scafo della Roma è comunque il sacrario e la tomba degli oltre 1.000 Caduti dell'equipaggio.

A mio avviso, la Marina e/o lo Stato Italiano dovrebbero prendere una posizione in senso negativo non tanto sull'individuazione e l'esplorazione del relitto (che, a determinate condizioni e con specifiche modalità non invasive possono avere un senso) quanto sul rischio che ne siano asportate parti o che vengano in qualche modo profanati i resti dei Caduti.

Quoto pienamente.

 

RIPOSINO IN PACE.

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Personalmente, direi non facciamola toccare e basta.

A parte il fatto che - visti i danni subiti durante l'attacco aereo e nel corso dell'affondamento - l'attuale stato del relitto non deve certo essere dei migliori, lo scafo della Roma è comunque il sacrario e la tomba degli oltre 1.000 Caduti dell'equipaggio.

A mio avviso, la Marina e/o lo Stato Italiano dovrebbero prendere una posizione in senso negativo non tanto sull'individuazione e l'esplorazione del relitto (che, a determinate condizioni e con specifiche modalità non invasive possono avere un senso) quanto sul rischio che ne siano asportate parti o che vengano in qualche modo profanati i resti dei Caduti.

 

 

 

Quoto tutto. L'articolo l'ho voluto inserire giusto per dovere di cronaca. L'ennesimo tentativo di scoprire il mistero (ma quale mistero?).

Se ogni affondamento celasse un mistero, allora chissà quanti misteri.

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..... non facciamola toccare dai francesi :s06:

 

 

la mia affermazione era soltanto un'esortazione relativa ad una ipotetica ispezione del relitto..... se qualcuno uomo o mezzo che sia, dovesse scendere fin negli abissi a verificare la presenza del relitto deve essere italiano... su tutto il resto non se ne parla nemmeno, e mi pare averlo ribadito più volte, ogni nave/battello è una tomba e tale deve restare... inviolata

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Se la MMI porta avanti una sua italica politica del "segreto di Pulcinella" (invece di dire qualcosa di chiaro e definitivo, in un senso o nell'altro), non può pensare che il resto del mondo stia lì a baloccarsi e ad aspettare.

 

O si parla chiaramente, o si subisce e zitti.

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Buongiorno a tutti i Comandanti,

Chissà se questa è la volta buona.....

 

Io personalmente non credo, parlo con cognizione di causa e mi spiego, nel 1998 durante il mio imbarco su Nave Idrografica Mirto (A5306),

ho partecipato alla campagna di ricerca del relitto del Roma, le ricerche si sono svolte nell'area del Canyon di Castelsardo, il canyon si trova a 10nm Nord dell'Asinara e si estende per circa 45nm di lunghezza e 3nm di larghezza, con batimetriche che passano dai -400/500mt della piana dell'Asinara fino ai -2600mt del canyon di Castelsardo.

Ovviamente l'esito della ricerca è stato negativo nonostante le attrezzature impiegate e la volonta di tutti di ritrovare il relitto del Roma.

 

In fine mi associo ai Comandanti che pensano sia giusto non violare il relitto sacrario di tanti eroi che fanno grande la Nostra Nazione.

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Riguardo alla questione del rispetto del sito, penso che ci siano le condizioni per essere abbastanza ottimisti: il Roma non nasconde tesori come il carico d'oro dell'Edimburgh che portò alla relativa invadente operazione di recupero; né è stato vittima di polpettoni cinematografici come il povero Titanic, che a forza di avere batiscafi carichi di turisti che si schiantano sui suoi ponti è stato sensibilmente danneggiato, per non parlare del saccheggio del campo di relitti circostante.

L'oblio e la profondità a cui riposa lo proteggono. Personalmente la questione della nazionalità di chi andrà a vederlo non mi disturba, purché si comportino col rispetto dovuto ovviamente. Dubito che il Governo si interesserà alla sua tutela, e spero che la Marina prenderà da sé misure in tal senso, come già detto da voi, basterebbe mandare un ufficiale sulla nave a verificare che l'esplorazione venga fatta come si deve.

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Cari comandanti,

di tanto in tanto qualcuno sui giornali rispolvera la questione della nave Roma, specie in estate quando c'è carenza di notizie. Se la Marina Militare italiana patrocina una ricerca per trovare il relitto , bene, siamo tutti contenti e andremo a gettare un fiore ai nostri cari che li sono sepolti. Questa sarebbe l'unica cosa accettabile da tutti, gli unici cimeli da recuperare, sarebbero eventuali fotografie che documentino il ritrovamento. Segreti sulla Roma non ce ne sono più, basta leggere la grande quantità di letteratura che è stata prodotta sull'argomento, anzi sarebbe bello che di qualche libro di cui si è perso traccia , qualcuno facesse una riedizione per non perdere la memoria di questi nostri padri che sono morti per adempiere al loro senso del dovere e dell'onore. Grazie e continuate a seguire questo appassionante argomento. Saluti a tutti

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Beh, concordando colle preoccupazioni di tutti su Nave Roma (notoriamente le Navi dotate di buona corazzatura ante 1945 sono alquanto ricercate per motivi che mi pare di aver gia' esposto) maggiori preoccupazioni ne ho per i relitti di Navi Zara. Fiume e Pola, in quanto notoriamente la stima che si puo' dare alle attivita' imprenditoriali marittime greche e' meno di nulla......

 

Saluti,

Dott. Piergiorgio.

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Riporto un articolo pubblicato da poche ore su Marescoop.

 

Non so cosa pensare, sarei felice di leggere commenti da chi è più competente di me, tecnicamente e/o storicamente.

 

Buona lettura

 

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GLI AMMUTINATI DELLA ROMA

 

Il titolo dice già tutto e rivela ciò che la MMI nasconde da sempre, giustamente a mio parere. Quanto la Roma venne fatta saltare da un gruppo di sabota italiani al soldo dei servizi segreti tedeschi, era in pieno ammutinamento.

Le bombe a razzo sperimentali della luftwaffe (la bomba che colpì la Roma era stata progettata sin dal 1939 dal dott. Kramer, ed era contraddistinta dalla sigla FX-1.400 e chiamata familiarmente Fritz-X.

Secondo altre fonti essa avrebbe avuto la sigla PC-1.400X, o anche SD-1.400. Essa era lunga m 3,30, aveva un diametro di mm 500 circa, pesava kg 1.400 e portava kg 300 di esplosivo) alla Roma non gli hanno fanno grandi danni, un buco sulla destra che è stato controbilanciato dall’allagamento delle casse di compenso sulla sinistra. Fra le altre cose, la ROMA era la più moderna delle “35.000 tonnellate” messe a progetto nel 1925, e sicuramente era attrezzata per far fronte a dei semplici buchi.

Una corazzata o meglio una nave da battaglia è progettta per funzionare proprio quando è oggetto del fuoco nemico. Non stiamo parlando di un traghetto. Fra le altre cose un’altra Fritz-X colpì la nave Italia ex Littorio, ma anche in quel caso passò attraverso la nave ed esplose in acqua. Evidentemente i tedeschi dovevano accorciare i tempi di ritardo delle spolette, ma non ci fu tempo per farlo, inoltre non abbiamo altri dati in merito all’utilizzo di queste bombe nel continuo dell guerra. Furono usate solo in quel frangente?

Veniamo ai fatti:

Cronologicamente, verso la fine degli anni settanta (tengo vaghezza nelle date al fine di proteggere le mie fonti) stavo lavorando con copertura e assicurazioni varie, con i nuclei SDAI (sminamento e difesa antimezzi insidiosi), da quell’anno di fuochi d’artificio, vennero fuori un articolo e una serie di fotografie, ma fu proprio in seguito all’operazione di bonifica della Cala dell’Oro di Portofino che venni in contatto con l’ufficiale comandante dello Sdai.

 

Ora per chi non conosce la MMI, spiego come funziona:

esistono personaggi che hanno in mano tutte le leve per il funzionamento della “macchina”, in quel caso era il sottotenente di Vascello Emilio Prati; ed ufficiali di rango superiore, provenienti dall’Accademia di Livorno, che si succedono al comando dei vari gruppi.

Questa tecnica, che reputo ottima, fa si che non si creino elementi gangrenosi all'interno dell’arma, ma consente anche ai vari ufficiali, futuri ammiragli, di mettere insieme una conoscenza a volo d’uccello delle varie specialità della MMI. In pratica, al comando, chiunque può sostituire chiunque senza che l’insieme ne risenta.

Ebbene innanzi ad un piatto di spaghetti, eravamo reduci dal brillamento di una P.200 con relative operazioni subacquee, quell’ufficiale mi disse con tutto il candore possibile, che nella sua precedente esperienza era al comando di una nave idrogrfica della MMI e che mappando i fondali gli capitò di passare sul relitto della ROMA.

“La vidi chiaramente, sugli scandagli, era lì a -75 metri, con tutto il suo torrione di comando ed avvistamento” (va detto che l’affondare in assetto di navigazione per le corazzate è un fatto normale.

Nella prima fase si capovolgono, scaricano le pesanti torri dell’artiglieria principale e poi si rigirano sott’acqua assumendo un assetto di navigazione. E’ solo un problema di baricentro.

Pochi sanno che le torri girevoli dell’artiglieria principale sono solo appoggiate nelle loro sedi).

Da quel pranzo non ho mai smesso d’interessarmi alla ROMA.

Leggendo il libro con gli estratti del processo di Supermarina, una notte alle 4,00 mi si è accesa una luce nella mente: ma se un marinaio ha visto la seconda bomba razzo cadere in acqua ed è stato bagnato dagli schizzi, allora chi e che cosa a fatto esplodere la nave? La risposta arrivò quasi subito, la ROMA non è esplosa è DEFLAGRATA. Ora che significa esplodere o deflagrare?

1) si dice esplosione quando un esplosivo scoppia a seguito di un innesco. L’effetto è devastante perché tutta l’energia dell’esplosivo si sviluppa in modo istantaneo e più l’esplosione è soffocata maggiore è l’effetto.

2) La deflagrazione è invece l’effetto di una esplosione GRADUALE.

Se i proiettili di un cannone fossero sparati con l’esplosivo esploderebbe il cannone.

Per lanciare un proiettile di cannone, occorre invece che la carica di lancio sia costituita da balistite o cordite, una sorta di esplosivo che brucia in modo progressivo. Quindi non sviluppa tutta la sua potenza all’istante ma in un “X” di tempo, che consente al proiettile di accelerare ed uscire dalla canna.

Le due tipologie vengon dette:

1) esplosione

2) deflagrazione

Detto questo dobbiamo soffermarci ai fatti: gli aerei tedeschi arrivano alle 16,00 (attenzione al dettaglio dell’ora) sganciano due bombe a razzo sperimentali, guidate dall’operatore (le prime bombe intelligenti della storia), la n.1 viene a segno ed attraversa la ROMA come se fosse di burro, esplodendo sotto lo scafo.

Perché attraversa l’acciaio come se fosse burro? Perché essendo una bomba a razzo è fornita di un motore a combustibile solido che aumenta spaventosamente la sua velocità di caduta, al punto tale che attraversa l’acciao come burro e poi, grazie al detonatore ritardato, esplode sotto lo scafo.

Anche i tedeschi vengono sorpresi dalla potenza di penetrazione di queste bombe, anche se venivano già definite ad alta penetrazione.

La seconda invece sbaglia lo scafo e cade in mare (va detto che ogni aereo portava un sola bomba), ma proprio in quel momento una enorme DEFLAGRAZIONE solleva il ponte della ROMA di oltre un metro, e spara la torre trinata principale n.2 in mare con dentro oltre 50 operatori. Da lontano si vede una grande fumata nera, poi la ROMA si spezza in due e affonda.

Quanti di quegli ufficiali, che dalla squadra navale osservarono la tragedia sapevano usare il sestante? Tanti immaginiamo, allora quanti hanno segnalato il punto di affondamento, approssimato in primi e non ovviamente in secondi?

Poi c’è la deriva e le correnti. La nave affonda ma si sposta, vola come un aliante subacqueo, urta il fondo scivola portata giù dal suo peso e si ferma grazie ad una serie di fattori fortuiti.

< Nel nostro caso i due pezzi della ROMA sono chiaramente affondati a differenti profondità.

Uno, dei tronconi, quello con il torrione, è a settantacinque metri. La MMI conosce la sua ubicazione precisa al secondo di grado, dalla fine degli anni settanta. L’altro troncone non è mai stato trovato, ma è logico pensare che non sia molto lontano, magari 100 o duecento metri più giù.

Qual’è la parte più importante? Quella del torrione, o quella che probabilmente ha in se le prove della seconda bomba che non ha colpito?

L’ubicazione della deflagrazione proprio vicino alla torre n.2 dell’artiglieria principale dimostra che la nave si è spezzata proprio lì. Vicino al punto di massima temperatura, dove l’acciaio è fuso.

L’omicidio di oltre 1300 persone per punire non l’Italia ma ROMA è cominciato a favore dei suoi assassini.

Le prove più importanti sono fuse e affondate.

Però abbiamo un'altra prova importante.

Anche gli asini sanno che se una bomba da una tonnellata (300 chili di esplosivo) esplode in Santa Barbara la nave, tutta, salta in aria, spargendo pezzetti in ogni dove. Alcuni marinai dell’incrociatore inglese esploso a Scapa Flow, sono stati trovati a settecento metri di distanza. La Hood, colpita in S. Barbara dalla salva della Bismark, è esplosa come un arancio attraversato da una 9 mm High Power, la ROMA, unica nella “storia degli esplosivi” è deflagrata strano no?

Quando a Piazza della Marina n.1 in Roma chiedevo lumi all’ufficio stampa, guardavano fuori dalla finestra. Nessuno può affermare che sia normale che colpita al “cuore” una nave deflagri e non esploda.

Anche perché la cordite o balistite non s’innesca senza uno specifico lavoro da professionisti, mentre l’esplosivo salta per simpatia e la simpatia è determinata dalla esplosione di un ordigno in S:Barbara.

Su questo, credetemi, non ci piove.

La deflagrazione la dice lunga. Ottocento persone (il numero è vago) si sono salvate a poppavia della nave e fra quegli ottocento più o meno bruciacchiati, c’era Incisa della Rocchetta, ma anche i sabota che hanno affondato la ROMA.

La ROMA e non l’ITALIA ex LITTORIO, un obiettivo apparentemente più pagante.

Alle 16,00, non alle 16,15, non alle 16,45 o quante altre combinazioni avrebbero potuto esserci?

I tedeschi non vanno in bagno senza un programma ed ecco che gli aerei arrivano alle 16,00.

A quell’ora (pianificata a tavolino)che cosa succede sulla ROMA?

Perché le artiglierie contraeree non aprono il fuoco quando i bombardieri tedeschi sono a distanza utile ed in posizione pericolosa?

Gli addetti al lavoro sapevano che un bombardiere non sgancia una bomba sulla verticale del bersaglio, ma ad un angolo in chiusura di circa 60 gradi, altrimenti la bomba che ha anche la velocità del velivolo, supera il bersaglio e cade in mare.

Ciò nonostante quando gli aerei arrivano, la contraerea della Roma tace, perché?

Eppure il “posto di combattimento” era stato lanciato su tutta la nave. Si sapeva che i tedeschi ci avrebbero attaccati.

Dalle memorie di Incisa della Rocchetta sappiamo che giunto al suo posto di combattimento, i medi calibri, se ricordo bene intorno ai 152 millimetri, non ricevettero dal basso le cariche di lancio perché in basso non c’era nessuno, e che la contaerea da 90 millimetri iniziò a sparare 10 minuti in ritardo con personale non specializzato. Sarebbe a dire: con i primi che passavano di lì.

Orbene, fermiamoci un attimo, a cercare di comprendere che cosa è una nave da guerra.

Prima del fatidico “posto di combattimento” è un paese, un piccolo paese con tutti i suoi problemi e tutte le sue contraddizioni, ma dopo l’ordine “posto di combattimento” diventa una unica creatura, un’arma carica e pronta a sparare. Nulla è lasciato al caso.

Immaginiamo che siate a bordo di una nave militare e stiate facendo la cacca, e proprio in quel momento arrivi l’ordine “posto di combattimento”, scordatevi di usare la carta igienica per pulirvi, scordatevi d’infilarvi le mutande, dovete tagliare in due lo str###o, come si usa dire, e con le mutande in mano correre verso quello che da sempre sapete essere il vostro posto di combattimento.

Le mutande ve le infilerete strada facendo e l’eventuale cacca che vi sporca il cu#o è un dato insignificante di cui nessuno vi chiederà conto.

Ma se mancate al vostro posto... è grave, è alto tradimento, è abbandono del posto di combattimento è fuga innanzi al nemico, in guerra equivale ad una condanna a morte.

Questo perché la nave da guerra emanato quell’ordine, diventa una creatura unica nelle mani del suo comandante e degli ufficiali ed il tempo che impiega a divenire tale è fondamentale per la sopravvivenza di tutti.

Ora, come è possibile che sulla ROMA dopo il “posto di combattimento” mancassero gli addetti alla contraererea ed i serventi alle cariche di lancio della media artiglieria?

Non è un dato insignificante, è la dimostrazione che sulla nave era in atto un ammutinamento, non ci sono altre risposte valide.

Questa è l’UNICA RISPOSTA, così come la deflagrazione in luogo dell’esplosione è l’UNICA RISPOSTA.

E siamo già a due due dati incontestabili pesanti come macigni che dicono che nel momento in cui la ROMA è stata attaccata, non era una nave da guerra ma un... problema poco gestibile

Le due anime della Marina si erano spaccate e a bordo c’era chi voleva consegnarsi al nemico seguendo gli ordini dell’ignobile Re e c’era chi voleva continuare la guerra a fianco dei tedeschi, o comunque non consegnare le navi nelle mani del nemico.

Ricordiamoci che all’epoca dei lagher nazisti e di quelli comunisti non ne sapeva un cavolo nessuno.

In un film di Fellini ispirato all’otto settembre si vede a Roma un marinaio in groppa ad un cavallo bianco senza sella, un simbolo di che cosa era l’Italia in quei momenti.

Mancarono gli ordini per la truppa, ma quelli importanti per i settori paganti c’erano. La flotta, intonsa, doveva consegnarsi nelle mani dei nemici, poi divenuti “alleati”; la parte giusta; ma tutto... dopo.

In quei giorni erano IL NEMICO.

Fu il più colossale successo di Winston Churcill, ottenere una flotta intonsa dal nemico senza sparare un colpo.

Dall’inizio della guerra, perfettamente consci che non potevamo sostituire le nostre corazzate in caso di perdita, seguivamo la strategia “Beeing Force” che significa restare in forze, non mettere a rischio le risorse principali se non in presenza di un indiscutibile vantaggio.

< Quando Luigi Durand de la Penne con i suoi cinque eroi affondò la Valiant e la Queen Elizabeth, avevamo la vittoria in Mediterraneo nelle mani, sfumata grazie alla cattiva ricognizione e a quella maledetta ULTRA nelle mani degli inglesi.

Questo dice che la nostra strategia era fondalmentalmente giusta. Potevamo vincere, è andata male, ma potevamo vincere.

Le guerre non sono solo eroi che entrano fra le reti e sabotano, ma un intelligence ed una ricognizione e tante altre cose, dove potremmo cercare i responsabili della sconfitta.

Non serve a nulla vincere le battaglie, bisogna vincere la guerra e per farlo occorre essere come su una nave da guerra, tutti uniti al posto di combattimento.

Quando il Re scappa insieme all’ignobile Badoglio, tutte le regole finiscono e a quel punto stare dalla parte della Patria, non significa stare dalla parte della Nazione (ammiraglio Birindelli).

Ma torniamo a bordo della ROMA il 9 settembre del 1943.

Dalla testimonianza del cuoco di bordo della Roma: “mentre servivo il caffè al comandante, arrivò il nostromo che disse concitato “abbiamo un aereo sulla verticale, suggerirei una accostata” – rispose il comandante – “nostromo lei faccia il suo lavoro che io faccio il mio” segno che c’era nervosismo a bordo, ma anche che giustamente il comandante sapeva che un aereo sulla verticale della nave non poteva essere un problema. Non sapeva nulla delle bombe guidate e a razzo.

Il destino della nave però era già segnato, l’ammutinamento era già in corso, i sabota stavano innescando la balistite per poi spostarsi a poppavia e salvarsi la vita.

Un secondo dopo le parole del comandante della Roma al cuoco avvenne la deflagrazione, lo stesso raggiunse la poppa con serie difficoltà, ma allora, ditemi voi, è possibile che una nave sia già stata attaccata da una bomba a razzo che l’attraversa allagando a destra e che il comandante stia bevendo il caffè e che non si preoccupi del secondo aereo in arrivo?

Io dico che i fatti sono avvenuti con un'altra tempistica, perché credo alla testimonianza del cuoco di bordo, che non aveva nessun interesse recondito a mentirmi. Altre testimonianze parlano addirittura di 4 bombe.

Gli aerei sono arrivati alle 16,00, il primo ha attaccato la nave, mentre il comandante beveva il caffè, colpendola da una posizione impossibile, per una bomba convenzionale, poi ha attaccato il secondo aereo ma nel frattempo la deflagrazione era già avvenuta o fu contemporanea.

La seconda bomba cadde in mare ma tutto lo stato maggiore era già stato “cotto”.

Fu veramente l’ultimo caffè del comandante della ROMA capitano di vascello Adone del Cima.

Eccoci nuovamente hai tempi nostri (si fa per dire), da oltre trent’anni la ROMA giace sul fondo nel silenzio rumoroso di oltre 1300 morti.

Le famiglie dei caduti da anni oppongono un silenzio assoluto ed aggressivo a qualunque domanda (perché?).

La MMI tace, ma come darle torto?

A chi giova rinvangare quei momenti drammatici dove nulla era più chiaro o comprensibile, dove più nessuno aveva ragione e più nessuno aveva torto?

Il “nostro” ufficiale sulla nave idrografica trova la nave, o una parte di essa ed ecco che tutto viene secretato.

Quel punto nave scompare, la MMI sa che non servirebbe a nulla scoprire il relitto, che su certe storie orrende è meglio far scendere il velo del silenzio.

Meglio non far sapere che alcuni ufficiali della nostra marina erano chiaramente agenti dell’intelligence tedesco, meglio non far saper che sulla nave c’era un ammutinamento, meglio non far sapere e basta. Tanto che differenza fa sapere la verità? Nessuna.

Ma veniamo ad una sera di alcuni anni fa a La Spezia. Ero a tavola con due alti ufficiali della Polizia, l’argomento era l’aereo di Ustica, ma poi la conversazione scivola sulla ROMA.

Eravamo tutti e tre ammorbiditi dal buon vino, ma quando il più anziano afferma: “sul relitto della ROMA sta lavorando il CNR ed è a settantacinque metri... attenzione non a sessantotto o a settantasei ma settantacinque, l’esatta profondità che mi disse il mio ufficiale della SDAI sul finire degli anni stettanta, le mie antenne si drizzarono... accidenti. Dopo 25 anni una conferma eclatante.

Può essere un caso? Può un funzionario di polizia ad una cena dire una frase del genere ribadendo la stessa identica profondità detta dall’ufficiale che 25 anni prima a beccato la ROMA sull’eco di un nave idrografica della MMI?

Beh, se è un caso è veramente uno strano caso.

Orbene, è evidente che dal momento in cui la posizione del relitto o di parte del relitto è conosciuta in ambienti esterni alla MMI, per tutti diventa solo una questione di tempo.

E’ molto probabile che Delauze trovi la ROMA, anche perché a mio parere l’ha già trovata all’epoca di Cousteau ma la MMI gli ha chiesto il silenzio.

Oggi sono passati oltre sessant’anni, è tempo che il sipario si alzi.

Noi che sappiamo la verità da decenni ed abbiamo sempre taciuto, ci auguriamo che comunque vadano le cose il relitto di quella povera nave: farfalla che non fece mai nemmeno un volo - diventi un grande cimitero di guerra, ci auguriamo che venga anche trovata la parte anteriore con i suoi 1393 morti (dati mai precisati).

Inutile dire che avremmo preferito che tutto si perdesse nella notte dei tempi. L’8 settembre del 1943 fu un avvenimento incredibile, che non ha precedenti nella storia dell’umanità.

Non basteranno mille anni per cancellarlo, per farvi capire in piccolo. È come se vostra moglie, la donna a cui avete dato la massima fiducia è fedeltà, la madre dei vostri figli, la trovaste a letto con un altro in una posizione estremamente hard.

In un istante cadrebbero tutte le vostre certezze e se in quel momento doveste prendere delle decisioni epocali, che cosa fareste? La cosa giusta e ponderata? Dubito molto.

Questo era lo stato d’animo degli italiani, e quel marò della decima che la mattina del 9 settembre tagliò con le forbici lo stemma Sabaudo dalla bandiera italiana, non doveva avere uno stato d’animo molto diverso.

Ho voluto dirvi tutto quello che ho messo insieme in 35 anni di ricerche sulla ROMA.

Altre cose le dissi già in altri articoli sempre sullo stesso argomento.

Un lavoro svolto come sempre senza fretta, aspettando che la storia venisse da me, ed è venuta.

Lascio agli altri di scrivere il resto, ma sono certo che almeno i lettori di Marescoop guarderanno ogni accadimento con gli occhi di... persone informate dei fatti.

TUTTO QUANTO SOPRA, NON E' LA VERITA' ASSOLUTA, MA LA PIU' PROBABILE RICOSTRUZIONE STORICA POSSIBILE SULLA BASE DI INDIZI CREDIBILI E TESTIMONIANZE SCRITTE O VERBALI DEI PROTAGONISTI.

CON QUESTA VERSIONE OGNI TASSELLO SEMBRA TROVARE IL SUO POSTO NEL COMPLESSO PUZZLE.

ORA LA PALLA PASSA A DELAUZE, I MEZZI PER TROVARE TUTTI E DUE I TRONCONI LI HA, STIAMO A VEDERE. Marcello Toja

 

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:s12:

Modificato da deflektor
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Caro Deflektor,

più che un petardo quest'articolo mi sembra uno di quei rumori che di solito si fanno in determinati luoghi. La semplicità con cui si racconta una storia tanto complessa e tragica con il comandante che prende il caffè e il nostromo che gli consiglia qualcosa ecc, come se fossimo su una barca da diporto durante le vacanze e non su una corazzata durante una missione tanto drammatica. Il cuoco, quale? visto che sulla corazzata ce n'erano alcune decine ed erano tutti civili, che racconta i fatti con tanta semplicità , mi danno l'idea che la fantasia superi di granlunga la realtà. Se l'autore ha perso tanti anni per studiare questa storia, credo che avrebbe potuto impiegarli con più profitto su altri argomenti.

Tutti quelli che, come me, hanno avuto la possibilità di parlare con i sopravvissuti si siano fatti un'idea diversa dei fatti, specie se a loro volta sono stati imbarcati su navi militari italiane di quel periodo come è successo al sottoscritto nel lontano 1952.

Speriamo che queste eventuali ultime ricerche, che deve fare la Marina Militare, possano portare un ulteriore spiraglio di luce sui fatti veri, per quello che è possibile, dando a quei nostri morti l'eterno riposo e il rispetto di tutti per il loro sacrificio.

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E' del tutto inverosimile che il nostromo sia andato dal Comandante ad avvisarlo della presenza di un aereo sulla verticale e soprattutto a suggerirgli cosa fare.

Ma scherziamo?

Piuttosto, il nostromo sarà andato in plancia ammiraglio per dire cosa fare direttamente a Bergamini.

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L'articolo non mi è piaciuto già a partire dal tono da discussione d'osteria, che sarebbe buona norma lasciare al calciomercato anziché alla Storia. E la teoria del complotto mi pare in questo caso proprio insostenibile. Concordo coi giudizi espressi da chi mi ha preceduto.

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Non so.

 

Questa storia della frase di Del Cima a proposito "dell'aereo sulla verticale" l'avevo già sentita: purtroppo non sono sul mio PC, altrimenti potrei risalire alla fonte in maniera precisa.

 

 

In data 23.02.08, presso l'UNUCI di Monterosi, il reduce di RN Roma Altivello Paparelli, così si esprimeva:

 

"Per cuffia udimmo la voce del I° Direttore di tiro che, con molta calma disse “è sulla vostra verticale, ha sganciato”.

 

“Artiglieri pronti al tiro” il Comandante Medanich ordinò per interfono di aprire il fuoco e alla plancia di accostare, poi un forte scossone, una bomba ci aveva colpito……mi accorsi del rallentamento della nave.

 

A quel punto, tutti scossi per l’impatto, aprii il portellone della virola…..mi accorsi che la bomba era caduta a circa un paio di metri dalla stessa, la corrente elettrica andò via e fummo costretti a regolare le armi a punteria diretta. Però non fu sparato nemmeno un colpo.

 

Mi rimisi la cuffia ed udii l’ordine di cessare il fuoco (forse dal Comando), a questo punto il Comandante Medanich gridò, rivolto verso il torrione di comando “Vigliacchi….Traditori” e sparò alcuni colpi con la sua rivoltella di ordinanza.

 

[...]

 

Verso il calar del sole, tra gli ultimi, fui raccolto dall’Incrociatore “Attilio Regolo” (comandato dal C.V. Notarbartolo Garofalo di Sciarra).

 

[...]

 

Ripartimmo alla volta di Palma di Maiorca dove il Comandante Garofalo fu sequestrato dal proprio equipaggio per impedirgli di ripartire.

"

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Devo fare alcune considerazioni che farebbero crollare l'articolo precedente. Premetto che ho prodotto e diretto il documentario "Inferno di Fuoco, dall'armistizio alla tragedia della corazzata Roma" per il quale mi sono basato su documenti ufficiali della Marina Militare e sulle ricerche effettuate da mio padre in oltre 40 anni.

La prima grave inesattezza è che, in base alle disposizioni armistiziali, e in particolare in riferimento all'articolo 4 dell'armistizio corto, le navi non si dovevano consegnare ma si dovevano trasferire in porti sotto il controllo degli alleati. Questo vuol dire che le navi italiane sarebbero state sempre comandate da ufficiali italiani e armate da marinai italiani e che la bandiera italiana non sarebbe mai stata ammainata.

La seconda inesattezza è che sempre in base alle disposizioni armistiziali le navi italiane non potevano sparare se non contro aerei nemici nel momento in cui questi avessere iniziato ad attaccare. E così fu. Dopo lo sgancio della prima bomba le navi italiane iniziarono a sparare.

La terza inesattezza riguarda la seconda bomba. Questa non esplose direttamente nel deposito delle cariche di lancio ma arrivò nelle vicinanze ed esplodendo innescò per simpatia (per il calore generato) la deflagrazione delle cariche. Questo è quanto si riporta nei documenti ufficiali.

 

Carlo Cestra

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Quoto tutte le osservazioni e le critiche, trovandomi in particolare modo d'accordo con quanto detto da Carlo Cestra.

Aggiungo anche che l'articolo di questo "Marescoop" (fonte documentata e autorevolissima :s03: ) contiene inoltre tali e tanti errori di grammatica e di sintassi da renderlo paragonabile, al più, ad una nota "gag" di Totò e Peppino (con tanto rispetto per questi illustri e giustamente famosi attori). Punto, punto e virgola e due punti!

 

totop.jpg

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Cari comandanti,

nell'articolo originale su Marescoop dal titolo "Gli ammutinati della Roma" appare l'immagine digitale della corazzata Roma da me realizzata.

Sappiate che è stata utilizzata senza il mio permesso e che ho già invitato il direttore del sito a toglierla. Se ciò non avverrà agirò per vie legali.

Questo perchè non voglio assolutamente che una immagine di mia proprietà sia associata ad un tale articolo.

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Scusate la mia intromissione questo non e propio il mio campo, ma spesso e facile scrivere o diciamo dare un po di colore ad articoli quando i diretti interessati non possono dare la loro versione dei fatti :s05: .

ma un editore qualunque esso sia vedi sito internet, non dovrebbe controllare la veridicità e la genuinità delle info che vengono publicate,

Modificato da antonio74
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Beh, avevo gia' letto l' aricolaccio riportato qui sopra, ma ho preferito starmene zitto, ma vorrei sapere dal C.te Cestra se avesse fatto in precedenza la CG del documentario edito dall' Istituto Luce sullo stesso argomento ? Ho il DVD di quel documentario e devo ancora fargli i complimenti per l' eccellente lavoro :) spiace pero' che hai dovuto fare la CG anche per la scemenza detta verso la fine del documentario Luce, quando si fantasticava che avrebbero potuto usare i 152/55 in funzione di sbarramento AA..... Comunque, l' indirizzo di contatto e-mail del Tuo sito e' valido ?

 

Un altra cosa: Altivello Paparelli. Nel noto libro dell' Incisa della Rocchetta, narrava di essere un servente delle 37 sul cielo della torre 2 g.c. (più miracolato di cosi'....) mentre nella conferenza citata dal C.te Pesce Persico e Costruttivo, quello che dice implica che era uno dei serventi dei 90 di dritta, anzi, dovrei rileggere il libro dell' Incisa della Rocchetta (che era DT dei 90 di sinistra), ma ho l' impressione quanto avrebbe detto il Paparelli, sembra proprio ricavato dalla testimonianza di un altro Superstite dell' affondamento.

 

Ovviamente potrei parlare per ore su cariche di sparo, deflagrazioni vs. esplosioni e forensica Navale, ma come detto nell' incipit, peferirei tacere.

 

Statemi tutti bene,

Dott. Piergiorgio.

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ma vorrei sapere dal C.te Cestra se avesse fatto in precedenza la CG del documentario edito dall' Istituto Luce sullo stesso argomento ? Ho il DVD di quel documentario e devo ancora fargli i complimenti per l' eccellente lavoro :) spiace pero' che hai dovuto fare la CG anche per la scemenza detta verso la fine del documentario Luce, quando si fantasticava che avrebbero potuto usare i 152/55 in funzione di sbarramento AA..... Comunque, l' indirizzo di contatto e-mail del Tuo sito e' valido ?

 

Confermo che ho realizzato la CG del documentario dell'Istituto Luce. Oltre all'inesattezza dei 152/55 ce ne sono alcune altre tra cui il ribaltamento destra/sinistra della sequenza dell'arrivo della seconda bomba... per cui al contrario di quanto avevo realizzato io, la bomba sembra cadere sulla destra tra il torrione corazzato e la torre N.2 (quando invece dovrebbe cadere a sinistra)

 

E confermo anche la validità del mio indirizzo e-mail.

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Confermo che ho realizzato la CG del documentario dell'Istituto Luce. Oltre all'inesattezza dei 152/55 ce ne sono alcune altre tra cui il ribaltamento destra/sinistra della sequenza dell'arrivo della seconda bomba... per cui al contrario di quanto avevo realizzato io, la bomba sembra cadere sulla destra tra il torrione corazzato e la torre N.2 (quando invece dovrebbe cadere a sinistra)

 

E confermo anche la validità del mio indirizzo e-mail.

 

Grazie mille. Quindi ti faccio pubblicamente i miei complimenti per l' eccellente CG (considerando anche l' anno di pubblicazione del documentario) :s20: :s20: :s20:

 

L' altro errore che mi citi, beh, ci ho fatto spallucce, in quanto l' inversione dello spezzone e' un classico errore di montaggio (a parte che sarebbe curioso in un contesto di montaggio digitale)

 

Per il resto, in e-mail nei prox giorni, anche se non so dire quando....

 

Saluti,

Dott. Piergiorgio.

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«La mia scommessa? Ho individuato il relitto della Corazzata Roma»

di Giovanni Maria Bellu

 

Questa è la storia di una passione e di una ricerca. È anche la storia di un uomo, Fernando Cugliari, che negli ultimi quattro anni ha speso molti giorni per una di quelle imprese che, quando riescono, ti danno la gloria, ma quando falliscono ti fanno apparire un illuso. Ed è anche il racconto di una scommessa. L'oggetto della ricerca è un tesoro sottomarino. Non un forziere pieno di dobloni, ma una gigantesca massa di ferro che, da 66 anni, giace in fondo al mare tra la Corsica e l'Asinara. La «Corazzata Roma» - questo il nome dello strano tesoro - affondò il 9 settembre del 1943, il giorno dopo l'armistizio. Morirono in 1393, i superstiti furono 620. Cugliari s'imbatté nella «Roma» mentre curiosava tra i forum dei ricercatori di relitti. «Lo chiamavano “mistero” - ricorda - ma, a dire la verità, l'aspetto che mi parve più misterioso fu il mancato ritrovamento del relitto: pochi naufragi hanno avuto una tale quantità di testimoni». Il naufragio in effetti avvenne sotto gli occhi degli equipaggi di altre due corazzate, tre incrociatori, otto cacciatorpediniere, il meglio della Marina militare dell’epoca. Dopo aver fatto rotta verso La Maddalena senza più sapere chi era il nemico, il comandante della flotta ebbe l’ordine di tornare indietro. I tedeschi, che occupavano l’isola, se la presero a male e lanciarono i loro caccia. La confusione era tale che i nostri marinai, quando videro gli aerei, pensarono che fossero angloamericani. Fatto sta che i caccia della Luftwaffe colpirono a morte la corazzata Roma alle 15,52 del 9 settembre 1943 mentre si trovava nel punto mare individuato dalle coordinate 41°08' Nord e 08°09' Est. La sua agonia fu anche documentata con una serie di foto scattate dall'incrociatore «Attilio Regolo».

 

«Cominciai a mettere assieme i dati disponibili. Ne trovai molti sul web e altri attraverso l'aiuto di un ammiraglio in pensione. Esaminai le mappe dei campi marini minati e ricostruii la velocità della nave. Alla fine individuai sei o sette target». Cinque anni prima, nel giugno del 2001, Cuglieri con un Rov (Remote operating vehicle) della società «Nautilus» di Vibo Valentia aveva individuato e filmato, a largo di Portopalo di Capo Passero, il relitto della cosiddetta «nave fantasma». Ma, questa volta, un normale Rov non era sufficiente. «Il fondale era profondo non meno di500 metri. Pensai di fare una verifica preliminare con un ecoscandaglio». Era l'ottobre del 2006. I risultati di quella spedizione artigianale, realizzata con una piccola barca presa in affitto, furono incoraggianti. In uno dei target apparve la sagoma di un grosso oggetto, ben distinto dalle rocce del fondale, che presentava la caratteristica colorazione rossastra dalle masse ferrose. «All'epoca – ricorda Cugliari - non conoscevo ancora le coordinate registrate al momento dell'affondamento. Le conobbi in seguito. C'erano i gradi e i primi, ma mancavano i secondi. In sostanza individuavano un cerchio con una circonferenza di un miglio marino, poco meno di due chilometri. Il mio target era al suo interno».

 

Nelle imprese dei sognatori è necessaria la fortuna. E nel caso della ricerca della «Roma» non c’è stata. Era l'ottobre del 2007 quando arrivarono a Porto Torres - base operativa della nuova spedizione - due tecnici svedesi con un super-Rov in grado di raggiungere 500 metri di profondità. Fu calato in maree sul monitor di bordo cominciarono a scorrere le immagini degli abissi. Ma, quando il Rov giunse a metà del suo percorso, lo schermo divenne nero. «Lo tirammo su e scoprimmo che le lampade erano implose. Dovemmo rinunciare». Tuttavia anche da quella sfortunata spedizione arrivò una conferma. «durante la discesa - spiega Cugliari - il sonar segnalò la presenza di una grossa massa. Sempre nel punto-mare dove l'ecoscandaglio l'aveva già individuata».

 

Siamo ai giorni nostri. E alla ragione per cui Fernando Cugliari ha deciso di rendere pubblico proprio oggi il suo racconto. Ma prima, è necessario annotare che, nel dicembre del 2007, ci fu un nuovo tentativo, sempre col Rov svedese. «Il mare al solito non era buono e la barca scarrocciava. Abbiamo potuto lavorare poche ore. Ma ugualmente una conferma è arrivata. Appena raggiunto il fondale, il Rov ha inquadrato un giubbotto di salvataggio compatibile con quelli dell’epoca del naufragio». Non è necessario essere esperti di Rov ed ecoscandagli - è sufficiente aver letto da ragazzi «L'isola del tesoro» - per immaginare le rivalità che possono scatenarsi tra i detective degli abissi. Ed ecco la scommessa. «Alcuni giorni fa - racconta Cugliari - ho letto che proprio oggi, primo settembre, la società francese «Comex» effettuerà una spedizione per individuare il relitto. Ho avuto rapporti con loro tempo fa, ho comunicato le 'mie' coordinate. Hanno risposto che, in quel punto- mare,non avevano trovato niente. Chissà, forse davvero non c'è niente.O forse, in quella prima spedizione, anche loro non hanno avuto fortuna. Chissà. Ma ho deciso di rendere pubbliche le coordinate: latitudine nord 41°,09’, 870”; longitudine est 08°, 39’, 090”. Individuano il luogo dove si potrebbe trovare il relitto con un'approssimazione di due-trecento metri. La “Comex” si dice molto sicura di trovarlo. Ecco, se lo trovasse proprio là, avrei vinto una scommessa».

 

01 settembre 2009

http://www.unita.it/news/italia/87851/la_m..._corazzata_roma

 

 

 

Quelle coordinate, scritte correttamente su google Earth, portano ad un punto che ha una profondità di 439 metri.

Modificato da iy7597
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vista l'estrema uguaglianza di argomenti porpongo di unire la discussione con questa:

https://www.betasom.it/forum/index.php?show...mp;#entry287946

 

 

... sto seguendo le vicende di questi giorni sulle due discussioni e leggendo l'articolo di Repubblica http://ricerca.repubblica.it/repubblica/ar...al-titanic.html

"...Ma c' è ancora tempo per un colpo di scena: qualche settimana fa Scavelli viene contattato da un altro grande appassionato di recupero di relitti, Paul Allen, socio fondatore della Microsoft con Bill Gates, proprietario dell' Octopus, il più grande yacht del mondo, sul quale ha convocato il giovane italiano per confermargli il suo interesse al progetto..."

mi viene subito in mente il libro "Alta Profondità" di Folco Quilici (che peraltro non mi sembra recensito):

 

cover_ap.jpg

 

Lazer_ :s02: ne

Modificato da lazer_one
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Uhm... quella di FB è palesemente una vecchia nave spia del servizio navale del KGB, comprata in cambio di una forma di parmigiano ad una bancarella di Sebastopoli, indi le è stata tolta la ruggine a piccone, pala e carriola, è stata depurata dall'amianto e truccata da yacht di lusso (il peso di ruggine ed amianto è stato reintegrato da un'eguale quantità di stucco).

L'Octopus invece ha l'aggravante di essere stata progettata ex novo come yacht, ma sembra più un casermone da crociera con la poppa spappolata da una sassata di Polifemo :s14:

 

:s03:

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Non so ... :s02:

qnvkhx.jpg

 

 

Quello e un " MD 600 N "...come potete vedere in coda non ha il comune rotore anti-coppia , ma un sistema di deviatore di flusso denominato "Notar",

 

Ci ho volato alcune volte...e comodo e sicuro per il trasporto passeggeri , puo atterrare in spazi ristretti senza aver problemi di contatto con rami o cime di alberi dal momento che non ha tilt rotor , ma e un po instabile ad alte quote. :s10:

 

L'elicottero situato sulla piazzola di prora invece, e un " Sikorsky S 76 ".

Modificato da overtorque
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Circa l'affondamento della "Roma" propongo questi materiali che, spero, possano essere di qualche interesse ed utilità.

 

Un evento storico può essere esaminato sotto molteplici aspetti. La perdita della corazzata Roma, ammiraglia della Regia Marina può essere inquadrata nel novero delle vicende dell'otto settembre (giornata da considerarsi una delle più oscure – in ogni senso – della vita nazionale, le cui conseguenze morali politiche e sociali ritengo non siano mai state completamente considerate in tutta la loro portata e gravità). Nel presente topic voglio porre quel tragico evento, vera disgrazia nella tragedia, sotto una luce particolare: quella del tramonto della corazzata.

Questo peculiare tipo di naviglio ha un corso breve ma intenso: se prendiamo a riferimento la giornata di Hampton Roads (9 marzo 1862), che vide il confronto tra l' unionista Monitor ed il confederato Merrimac, ed il 1960 con la radiazione delle unità superstiti della II guerra mondiale (la francese Richelieu, la sovietica Novosibirsk,l'inglese Vanguard), un secolo scarso. Che di poco verrebbe superato se volessimo far risalire la data di nascita alla costruzione delle tre batterie galleggianti (Devastation, Tonnante e Lave) che ebbero ragione delle fortezze russe di Sebastopoli. Correva l'anno 1855 ed era in corso la guerra di Crimea.

Un secolo dunque, anno più o meno, una breve frazione nel lungo arco temporale in cui l'uomo è andato per mare, per pace o per guerra.

Eppure la corazzata è stata la regina dei mari, tangibile segno di potenza delle maggiori marine del mondo.

A porre in crisi questa preminenza è stato essenzialmente la rapida crescita del potere aereo che con inediti, micidiali mezzi offensivi ha vanificato la protezione offerta da corazze di sempre maggior spessore. Il palmares del potere navale spetta oggi alla portaerei, unione del potere navale e di quello aereo.

Pongo a disposizione una messe di documenti e materiali che spero potranno fornire validi elementi di giudizio, almeno sul piano tecnico-militare. Per quello più strettamente politico quella giornata rappresentò, a dirla senza mezzi termini, una circostanza appropriata per mandare, senza revoche e ripensamenti, una classe dirigente nella pattumiera della storia.

 

 

TRENT'ANNI FA AL LARGO DELL'ASINARA L'AGONIA DELLA ROMA

L'8 settembre 1943 durante un drammatico colloquio telefonico rimasto finora inedito, « Supermarina » ordina alla Squadra navale di La Spezia di raggiungere i porti alleati. Un gruppo di aerei tedeschi attacca le navi italiane alle 15,30 del 9 settembre. Colpisce il deposito munizioni della più grande delle nostre corazzate. Muoiono 1.352 uomini.

 

 

Alle ore 16 e 12 del 9 settembre 1943, al largo dell'Asinara, colpita da due bombe-razzo lanciate da aerei tedeschi, affondava la corazzata italiana Roma. In 39 mesi di guerra, fu l'unica nave da battaglia perduta dall'Italia in mare aperto. L'altra corazzata messa fuori combattimento, la Cavour, era stata colpita nella notte dell'11 novembre 1940 da aerosiluranti inglesi, mentre si trovava all'ormeggio di Taranto.

Con la scomparsa della Roma non solo si chiudeva in modo drammatico il capitolo dell'alleanza dell'Asse Roma-Berlino ma tramontava definitivamente anche la speranza che almeno una volta le corazzate italiane affrontassero quelle nemiche.

Questo atteggiamento di prudenza era per la nostra Marina l'applicazione pratica del principio secondo il quale strategicamente conta di più una flotta in potenza, al sicuro in un porto, che non una flotta in crisi sia pur reduce da scontri vittoriosi.

L'annuncio della resa italiana - dato dagli angloamericani l'8 settembre 1943 con appena trecentosessanta minuti di preavviso - colse di sorpresa il nostro Alto Comando Navale (Supermarina) anche perché il rovesciamento dell'alleanza così come era stato ipotizzato dal governo Badoglio e dal gen. Eisenhower, fu veramente un campionario di imprevidenze.

Secondo le istruzioni dell'ultima ora le navi italiane, adornate di pennelli e cerchi neri in segno di sottomissione, si sarebbero dovute trasferire a Malta in attesa di conoscere il proprio destino, le cui chiavi erano in mano al gen. Eisenhower. Un ordine che era in effetti un contr'ordine, poiché la Marina italiana era stata preparata - fino al pomeriggio dell'8 settembre - a sostenere la suprema prova contro il nemico pronto ad invadere la Penisola, dopo avere occupato la Sicilia. E siccome l'inizio delle operazioni di sbarco anglo-americano a Salerno (secondo il piano Avalanche) era previsto per la notte del 9, la Squadra navale della Spezia - la sera dell'8 settembre - si disponeva ad uscire dal porto per raggiungere La Maddalena, probabile suo trampolino di lancio verso la costa campana.

Nemmeno il comandante, ammiraglio Carlo Bergamini, che il giorno precedente aveva partecipato a Roma ad un « vertice » di emergenza, era stato messo al corrente degli sviluppi della situazione politica. Eppure un breve colloquio preliminare egli l'aveva avuto anche con il ministro e capo di Stato Maggiore della Marina, Raffaele De Courten. L'intesa fra i due ammiragli era stata chiarissima: « La Flotta entro il 9 settembre si sarebbe trasferita a La Maddalena per motivi prudenziali e per essere più vicina al teatro della battaglia ». Nella riunione, poi, gli ammiragli, che avevano tutti compiti di comando, trattarono un solo argomento: una eventuale reazione tedesca contro l'Italia, ma senza un preciso riferimento all'armistizio già firmato a Cassibile quattro giorni prima.

Il segreto più ermetico, per volere del capo di Stato Maggiore generale Vittorio Ambrosio, continuava ad essere mantenuto sul documento della tregua militare che, a proposito delle navi italiane, all'art. 4 disponeva: « Il trasferimento immediato in quei luoghi che potranno essere designati dal comandante in capo alleato Dwight D. Eisenhower, insieme coi particolari sul loro disarmo che saranno da lui fissati. » La discussione fra i capi della Marina andò avanti stancamente fra ipotesi e speranze. Qualche ammiraglio prese appunti. Da Zara, che comandava la Flotta di Taranto, addirittura sonnecchiava sentendo ripetere le solite cose sulla disciplina, la fedeltà e il sacrificio.

Concluso l'incredibile rapporto, Bergamini fece un salto a casa sua. Sarebbe stata l'ultima notte che avrebbe trascorso in famiglia. La mattina all'alba ripartì in automobile per La Spezia, dove giunse sul mezzogiorno. Trovò. la Squadra in allarme con le navi fuori dei recinti. Solo la Roma era al suo posto, ormeggiata alla Porta Marola dell'Arsenale. Salito a bordo della sua nave Bergamini venne raggiunto dalla prima telefonata. Era De Courten che premurosamente si informava sul suo viaggio da Roma alla Spezia e lo avvertiva di tenersi pronto a partire: erano state avvistate le 450 navi del convoglio anglo-americano diretto a Salerno.

Subito dopo il colloquio telefonico, Bergamini riferì ai suoi più diretti collaboratori sulla riunione romana. Messo al corrente sullo stato di preparazione della Squadra, l'ammiraglio convocò sulla Roma per le 15 tutti gli ammiragli e i comandanti delle navi, ai quali impartì le direttive per l'imminente partenza. Improvvisamente, poco dopo le 16, le radio straniere cominciarono a ripetere la notizia, già diffusa da Algeri, che l'Italia aveva deposto le armi. Alle 18, Eisenhower dà l'annuncio ufficiale dell'armistizio. De Courten l'apprende mentre si trova al Quirinale per decidere con gli altri capi di Stato Maggiore la partenza per il Sud del re e della sua famiglia. Dal Quirinale, De Courten avverte l'ammiraglio Luigi Sansonetti, vice capo di Stato Maggiore della Marina, che occorre chiamare subito Bergamini per dirgli che secondo il nuovo ordine egli deve trasferirsi con la Flotta a Malta anziché alla Maddalena, ma che Ambrosio gli aveva confermato che le navi, malgrado le clausole dell'armistizio, non sarebbero state disarmate. Sansonetti è folgorato dalla notizia. Conosce lo stato d'animo degli equipaggi e degli ammiragli. Di Bergamini in particolare sa che più volte aveva dichiarato di non essere disposto a una resa senza combattere almeno una battaglia, un vero scontro con le corazzate italiane da una parte e quelle inglesi dall'altra, circostanza che non si era mai registrata nel corso del lungo conflitto per quanto disponessimo, ancora all'8 settembre, di ben sei corazzate: Roma, Vittorio Veneto e Italia alla Spezia; Doria e Duilio a Taranto; Giulio Cesare a Pola.

Negli uffici di Supermarina, - racconta un valido testimone, il comandante M. A. Bragadin, - assolutamente nulla era trapelato di quanto stava succedendo. Alle 18,20 mi trovavo per caso nell'ufficio dell'amm. Girosi, capo del reparto operazioni, quando il telefono squillò: vidi l'ammiraglio sbiancarsi in volto e poi con voce rotta dalla commozione, mi disse: « Il centro radio comunica che Algeri sta diffondendo la notizia di un armistizio. Ma non ci credo. Possibile che noi non ne sappiamo nulla, mentre le corazzate stanno preparandosi a partire per Salerno? » In quel momento, però, il telefono squillò ancora e l'amm. Sansonetti confermò la notizia. Soltanto dopo la proclamazione dell'armistizio l'amm. De Courten fu messo a conoscenza nella loro integrità delle clausole riguardanti la Marina. Perciò i capi di questa dovettero prendere decisioni della più grande portata storica, si può dire in pochi minuti.

Sansonetti, per prima cosa, dirama ai ventidue sommergibili che erano stati inviati in agguato nel Mediterraneo l'ordine di limitarsi da quel momento a compiti esplorativi; ordine seguito alle 21 e 10, da quello di soprassedere definitivamente ad azioni offensive contro gli Alleati. Infine trasmette un solenne ma generico proclama di De Courten ai marinai.

Il problema più difficile era però quello di far partire le navi per Malta. Sansonetti si rese conto che a quel punto un discorso infarcito di "se" e di "ma" avrebbe raggiunto l'effetto contrario. In altre parole, se a Bergamini fosse stato detto: « Parti pure per Malta, tanto abbiamo la promessa generica che la Flotta non sarà disarmata » era come dirgli di non eseguire l'ordine. Mosso da queste preoccupazioni, Sansonetti impartì l'ordine alla Flotta di raggiungere i prescritti porti alleati, essendo « esclusa la consegna delle navi e l'abbassamento della bandiera ». E per convincere amici e nemici trasmise l'ordine in chiaro.

Bergamini, ricevuto l'ordine da Roma, riesamina gli avvenimenti delle ultime ventiquattr'ore. Mentre è tormentato da questi pensieri, squilla il telefono. E Sansonetti che chiama per illustrare il suo ordine operativo.

Sansonetti: « È stato firmato l'armistizio. Da Supermarina abbiamo diramato le nuove disposizioni secondo le clausole dell'armistizio. Per evitare equivoci l'ordine viene trasmesso e ripetuto in chiaro. E esclusa la consegna delle navi e l'abbassamento della bandiera. La Flotta deve - però - trasferirsi a Malta. Per il riconoscimento occorre alzare il pennello nero sugli alberi maestri e dipingere cerchioni neri sulle prue. Anche Biancheri a Genova è stato avvertito ».

Bergamini: « Anzitutto desidero sapere perché sono stato tenuto all'oscuro di quanto si stava tramando alle nostre spalle. Ancora ieri ci sono stati fatti altri discorsi. Lì a Roma vi siete dimenticati quali responsabilità tecniche e morali ha il comandante della Flotta. Qui la situazione è confusa. L'orientamento generale è per l'auto-affondamento ».

Sansonetti: « E una soluzione gravissima contro gli interessi della patria la cui responsabilità ricadrà sul comandante della Flotta... »

Bergamini: « Per questo motivo chiedo di parlare con il ministro e capo di Stato Maggiore che, ancora a mezzogiorno, mi ha confermato l'ordine di tenermi pronto a partire per l'ultima battaglia ».

Sansonetti: « Riferirò ».

Passano pochi minuti. Roma richiama. Questa volta è De Courten il quale ha ormai capito che Bergamini è riluttante ad accettare l'ordine di consegnarsi agli inglesi.

De Courten: « Sansonetti mi riferisce che alla Spezia vi sono difficoltà. Posso comprenderle ed anche giustificarle. Del resto anch'io, che sono il ministro e il capo di S.M. della Marina, solo due ore fa ho appreso per la prima volta che l'armistizio era stato firmato. Non siamo stati mai consultati. Ma ormai, visto come si sono messe le cose, non resta altro da fare che eseguire gli ordini. Sansonetti ha già predisposto tutto. La Flotta deve trasferirsi a Malta. Non è previsto né il disarmo né l'abbassamento della bandiera. Quindi mi pare... ».

Bergamini: «Ripeto quanto ho già detto a Sansonetti. Lo stato d'animo degli ammiragli e dei comandanti che ho sentito nel pomeriggio è orientato verso l'autoaffondamento delle navi. E anch'io... ».

De Courten: « Ma se il comandante della Flotta non se la sente di eseguire gli ordini, è autorizzato a lasciare il comando, è un modo per risolvere i suoi problemi di coscienza ».

Bergamini: « Non ci sono precedenti di un comandante che abbandoni i propri marinai nel momento del pericolo. Questo è un invito che devo respingere ».

De Courten: « Il dovere più grave è quello di adempiere a qualunque costo le condizioni di armistizio perché questo sacrificio potrà portare in avvenire grande giovamento al Paese. La Flotta deve assolutamente lasciare La Spezia. Occorre sottrarre le navi al pericolo di un attacco da parte dei tedeschi e gli equipaggi dall'influenza dell'ambiente terrestre, occorre anche evitare le ripercussioni di eventuali discussioni fra marinai, ufficiali e comandanti. Ripeto che la decisione di accettare l'armistizio è stata presa dal re - con il quale ho parlato un'ora fa - che è stato confortato dal parere del grande ammiraglio Thaon di Revel. Secondo le clausole dell'armistizio, ripeto, le navi non devono ammainare la bandiera né saranno cedute. Devono solo trasferirsi a Malta, poi si vedrà. Tuttavia Ambrosio, il capo di Stato Maggiore generale, mi ha assicurato d'aver chiesto agli anglo-americani che la Flotta per motivi tecnici possa trasferirsi alla Maddalena. Quindi intanto esci dalla Spezia, come avevamo del resto concordato ieri. E fino a questo punto mi pare che non ci siano novità e difficoltà. Poi, una volta in mare, la Flotta riceverà altri ordini con la speranza che nel frattempo gli alleati accolgano la variante della Maddalena al posto di Malta. Alla Maddalena tutto è pronto per l'ormeggio delle navi. Capisco, è un brutto momento, ma tutti dobbiamo fare il nostro dovere. Tutti dobbiamo far qualcosa ».

Bergamini: « D'accordo. Esco stanotte con tutte le navi e mi dirigo alla Maddalena in attesa di nuovi ordini ».

Chiuso il concitato colloquio, Bergamini si rende conto che ormai gli avvenimenti sono determinati da altri. Al comandante Bedeschi che gli è vicino, dice: « E un dramma. Non consegnerò mai le navi al nemico. Le navi le porterò in un ancoraggio italiano o in un porto neutrale. Sento però che non ci vedremo più. Ci autoaffonderemo ».

A bordo delle unità l'animazione ha raggiunto punte pericolose. Bergamini è costretto a dare disposizioni perentorie che nessuno si presenti sulla Roma senza preventiva autorizzazione. Nessuno solleciti ordini. Al momento opportuno verranno. Alla fine decide di riconvocare ammiragli e comandanti. Sono le 22.

La partenza della Squadra, data per imminente nel corso della giornata, era stata rinviata più volte. La tensione fra gli equipaggi era, al massimo. Bergamini riprende in mano la situazione. Agli ammiragli e comandanti delle navi conferma la notizia dell'armistizio e brevemente accenna ai suoi colloqui telefonici con Roma. Esalta il supremo dovere dell'obbedienza, necessario più che mai in quel drammatico frangente. « La Marina » dice « finirà la guerra contro le maggiori potenze marittime essendo ancora materialmente abbastanza forte. Questa forza della Marina sarà per l'Italia il presidio della rinascita; il nostro dovere è di rimanere fedeli al giuramento prestato ». Concluse presagendo che la Marina sarebbe stata « la pietra angolare della ricostruzione nazionale ».

Diretta alla Maddalena la Squadra partì, quindi, alle ore 3 del 9 settembre anziché - secondo gli accordi del giorno 7 - al tramonto del giorno 8. Non inalbera i segni neri della resa. Alla stessa ora ha inizio nel golfo di Salerno l'Operazione Avalanche.

Escono dalla Spezia tre corazzate: la Roma, con a bordo lo stesso ammiraglio Bergamini, Vittorio Veneto e Italia (ex Littorio) con l'ammiraglio Garofolo, seguite da tre incrociatori (Eugenio di Savoia, con l'ammiraglio Oliva; Montecuccoli e Regolo) e da otto cacciatorpediniere (Legionario, Grecale, Oriani, Velite, Mitragliere, Fuciliere, Artigliere, e Carabiniere).

È una notte calma, di luna. La Flotta si mantiene a una ventina di chilometri dalle coste occidentali della Corsica, velocità22 nodi. Alle 6.15 la squadra di Bergamini è raggiunta dai tre incrociatori provenienti da Genova al comando dell'amm. Luigi Biancheri (Abruzzi, Garibaldi e Aosta). Precedono cinque torpediniere (Libra, Orsa, Pegaso, Impetuoso e Orione).

All'alba la Flotta è avvistata da un ricognitore alleato. Alle 8 della mattina l'amm. Meendsen Bohiken, comandante tedesco alla Spezia, dà l'allarme a Berlino: « La flotta italiana è partita nella notte per consegnarsi al nemico ». In realtà le navi italiane della Spezia e di Genova erano dirette alla Maddalena. Fra l'altro esse avevano fatto il pieno di nafta e di viveri sufficienti per una lunga crociera o per una prolungata sosta in qualche porto.

A mezzogiorno del 9 la Flotta è in vista delle Bocche di Bonifacio. Le navi avanzano in linea di fila. Bergamini accosta di 90 gradi a sinistra e punta verso La Maddalena. Ma alle 13.40 giunge l'allarme che La Maddalena è stata occupata dai tedeschi. Senza indugi, Bergamini inverte la rotta di 180 gradi.

Alle 14 Bergamini è in vista dell'Asinara. In cielo vengono avvistati ricognitori. All'improvviso da alta quota, da cinquemila metri, aerei lanciano poche bombe sulle navi, ma nessuna di esse viene colpita. Bergamini telegrafa di essere stato attaccato da apparecchi anglo-americani, secondo i dati di provenienza forniti dal radar DETE. Sansonetti informa Malta, la quale respinge la « insinuazione ». Gli aerei non sono alleati. Il mistero resterà tale.

Intanto a Berlino si prepara la rappresaglia. Goering in persona si assume il compito di dare una lezione ai traditori italiani. La missione viene affidata alla Terza Flotta aerea di base in Francia, il cui comandante gen. Hugo Sperrle trasmette il Befehl al gen. Fink, della Seconda Divisione aerea. Alle 10 l'ordine esecutivo raggiunge il Terzo Gruppo del 100° stormo di stanza a Istres (Marsiglia).

Alle 13.23 un ricognitore tedesco dà il segnale di scoperta della flotta italiana. Alle 14 il gruppo (15 bimotori DO 217 K) al comando del ventinovenne magg. Bernhard Jope si leva per la « spedizione punitiva 1943 » (vera Strafexpedition aerea). Gli apparecchi trasportano ciascuno una bomba del tipo FX-1400 che ha già dato buona prova contro la Warspite, uno dei gioielli della Marina di S.M. britannica.

L'ordigno era stato progettato, nel 1939, dal dott. Kramer e il suo primo nome era stato FritzX. L'FX-1400, che veniva anche indicata come SD1400, consisteva in una bomba da 1400 chili con alta capacità di penetrazione, alla quale erano state aggiunte quattro alette, un motore a razzo e piani di coda cinti da un anello di irrobustimento. In prossimità di questi ultimi erano sistemati il ricevitore radio e i relais. La guida era assicurata dall'aereo, che l'aveva lanciata, a mezzo radio. La bomba, con un carico esplosivo di 300 kg, era lunga m 3,30.

La Roma sarà la sua vittima più illustre. Jope - oggi comandante della Lufthansa - dopo un'ora di volo - giunge sul cielo della Flotta italiana. Compie ampi giri per studiare il piano di attacco. Alle 15.25 ordina ai suoi bombardieri di puntare sui rispettivi obiettivi. Alle 15.30 la prima bomba è diretta contro l'Italia e piomba nelle vicinanze della corazzata immobilizzandone temporaneamente il timone; la nave viene governata con gli « ausiliari ». Il punto è pressappoco a 14 miglia a Sud-Ovest di capo Testa.

Alle 15.45 la Roma viene, a sua volta, colpita in pieno. La bomba scoppia dopo aver perforato lo. scafo. La velocità viene ridotta a 10 nodi. Ma cinque minuti dopo, una seconda bomba colpisce la corazzata-ammiraglia. Esplode per malasorte nei depositi prodieri delle munizioni. Il torrione di comando scompare proiettato in alto a pezzi. È la fine per Bergamini e tutto il suo stato maggiore, con in testa l'ammiraglio Stanislao Caracciotti.

Una colonna di fumo si eleva per un migliaio di metri. Alle 16.12 la Roma si gira su un fianco, capovolgendosi. Si spezza in due tronconi e affonda. Si trascina per sempre in fondo al mare due ammiragli, 86 ufficiali e 1264 uomini di equipaggio. Una seconda bomba colpisce l'Italia. Esplode in mare e provoca una falla di 24x9. Ma la nave continua a navigare alla velocità di 24 nodi.

Con la scomparsa di Bergamini viene rimosso l'ostacolo più difficile da superare per convincere la Flotta a dirigersi verso Malta. Il comando viene assunto dall'ammiraglio più anziano, Romeo Oliva, il quale lascia indietro il Regolo, tre caccia (Mitragliere, Carabiniere e Fuciliere) e la torpediniera Pegaso per raccogliere i sopravvissuti della Roma (596 su 1948 a bordo) che poi verranno trasportati a Port Mahon, nelle Baleari. Resteranno internati per un anno.

Per l'ennesima volta gli Alleati, nel frattempo, respingono la richiesta di dislocare la Flotta italiana alla Maddalena. Le navi intanto proseguono nella rotta verso Minorca, il porto neutrale meta di Bergamini.

Alle 17.14 in lat. 7° Nord e long. 41° 10' Est, cioè ad un terzo della distanza tra l'Asinara e l'isola spagnola, sul diario dell'amm. Biancheri è segnato un altro bombardamento aereo senza danni per le navi. Supermarina tempesta Oliva di messaggi.

Finalmente alle 21 l'ordine di trasferirsi a Malta viene eseguito. Sono passate oltre 24 ore da quando era stato impartito. Le navi inalberano i pennelli neri.

Alle 8.38 del giorno 10 la Flotta italiana incontra quella britannica. Sfilarono controbordo la Valiant e la Warspite che innalzava le insegne dell'ammiraglio Cunningham. Le due corazzate erano vecchie conoscenze dei marinai italiani. Il « gregge » delle navi italiane aveva cambiato pastore. Sotto la sua nuova guida venne accompagnato all'ovile: a Malta. Tramontava una grande Marina.

 

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Il maggiore Jope racconta

AFFONDARE LA ROMA? NIENTE DI SPECIALE

Abbiamo rintracciato in Germania il protagonista dell'episodio. Ha 59 anni, vive a Maibach, di professione è pilota civile. Quando bombardò la Flotta italiana comandava il Terzo Gruppo del 100° stormo della Luftwaffe.

 

Bernhard Jope, l'affondatore della Roma, ha quasi sessant'anni: dieci li ha passati nella Luftwaffe, prima come pilota e poi alla guida di un Gruppo di aerei da bombardamento, da altri diciotto vola con il grado di comandante della Lufthansa, sulle rotte transcontinentali. Ha percorso in aereo centinaia di migliaia di chilometri, eppure confessa sinceramente che gli dispiacerà molto abbandonare i Boeing 707 con cui vola regolarmente a Karaci, Bombay, in Australia o in Canada.

E nato nel 1914 a Lipsia, vive a Maibach, un paesino di poco più di duecento abitanti a circa sessanta chilometri da Francoforte. Da pochi anni si è sposato per la seconda volta. Nella città dove è nato e ha trascorso la prima giovinezza, a Lipsia, non è più tornato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, perché la città è rimasta compresa nel territorio della Germania Est.

Sul terrazzo della sua villa circondata da un piccolo prato all'inglese, Jope racconta di essere entrato nell'aviazione della Germania nazista nel 1935, e di avere combattuto per tutta la durata della guerra prima in Polonia, poi in Francia, in Norvegia, di nuovo in Francia dove nel 1945 fu catturato dai francesi. Era soltanto un soldato, uno dei tanti che avevano combattuto in difesa del Terzo Reich. Fu liberato dopo poche settimane di detenzione e, in luglio poté rientrare in patria.

La guerra era finita, la Germania sconfitta non aveva più aviazione, né militare né civile. Jope non conosceva che un mestiere, pilotare aerei: dovette ritornare a scuola, prendere la laurea in ingegneria, e come ingegnere lavorare alcuni anni nell'edilizia. Nel 1955, rispondendo a un invito della ricostruita Lufthansa ritornò a volare, pilotando gli aerei destinati alle rotte transoceaniche. Per cinque anni è vissuto in Sud America, volando dal Cile a New York, e di qui in Brasile. Nel 1971 è rientrato in Germania, l'anno prossimo andrà in pensione per raggiunti limiti di età, e sarà costretto a lasciare l'aviazione.

Dal giorno lontano in cui guidò un gruppo di bombardieri sulla Flotta italiana che da La Maddalena dirigeva a Minorca sono passati trent'anni. Alto, stempiato, il corpo un po' appesantito dall'età, Bernhard Jope dice di ricordare bene l'azione. Affabile, sicuro di sé, risponde cortesemente alle nostre domande.

 

D.: Come e da chi fu comunicato l'ordine di bombardare le navi italiane?

Jope: il 6 o 7 settembre 1943 fui chiamato al Comando di Gruppo, e il comandante, che credo fosse il generale Richtofen, mi ordinò di preparare l'azione contro la Flotta italiana, dandomi tutte le istruzioni del caso. Fu però soltanto due ore prima dell'attacco che, come comandante di Gruppo, ricevetti l'ordine di levarmi in volo, e con me gli aerei del Gruppo che comandavo.

 

D.: Che cosa sapeva della"bomba FX 1400? L'aveva già usata nel corso di altri bombardamenti?

Jope: Della bomba, che dalle iniziali del suo nome in codice avevamo soprannominata Fritz, conoscevamo soltanto gli effetti teorici, e il metodo di puntamento radio-guidato mediante un piccolo congegno sistemato nella coda dell'ordigno, che serviva a dirigere la bomba stessa fino al bersaglio, con una certa approssimazione. L'FX 1400 era un'arma segreta, che prima era stata sperimentata in Germania, e che veniva usata per la prima volta contro un nemico proprio in occasione del bombardamento della Flotta italiana. Il Gruppo di aerei che comandavo era il solo a esserne armato. A Istres-Marsiglia c'era un altro Gruppo di bombardieri che aveva in dotazione un'altra arma segreta, una bomba razzo radioguidata chiamata Henschel 293, ma l'FX 1400 era in dotazione solo agli aerei del mio Gruppo,

 

D.: Perché proprio lei con il suo Gruppo foste prescelti per quella missione? C'era qualche motivo particolare?

Jope: Date le caratteristiche del bersaglio, navi da guerra pesantemente corazzate, il Comando della Luftwaffe ritenne che solo con l'FX 1400 sì avesse buone possibilità di fare centro. Fu scelto il mio Gruppo perché era il solo armato con quel tipo di bomba, che doveva essere sganciato da grande altezza. Avrebbe potuto toccare a qualsiasi altro comandante di Gruppo, se si fosse trattato di una azione normale, ma in quel caso specifico l'ordine fu invece dato a noi.

 

D.: Che tipo di aerei c'erano, nel suo Gruppo, e quanti?

Jope: Erano bimotori Dornier del tipo 217 K. A Istres-Marsiglia ogni Gruppo era composto da 80 o 100 aerei, ma all'azione contro la Flotta italiana, ai miei ordini, non parteciparono che 10 o 12 aerei in tutto.

 

D.: Riteneva possibile incontrare aerei italiani a difesa delle navi da guerra?

Jope: Era forse possibile che ci fossero aerei italiani, ma nessuno mi aveva detto nulla in proposito, e personalmente non lo ritenevo probabile.

 

D.: Ricorda come si svolse l'azione, quando furono avvistate le navi, e che cosa fecero gli aerei del Gruppo durante l'attacco?

Jope: Ricordo benissimo l'insieme delle navi, quattro o cinque da battaglia, e intorno le altre più piccole, un convoglio di venti o venticinque navi in tutto. Venivamo da Est, volavamo da circa un'ora e mezza. Erano le prime ore del pomeriggio quando avvistammo la squadra, e quando fummo sicuri che si trattava proprio della Flotta italiana ciascuno di noi si preparò a fare quello che gli era stato ordinato. Con tutti gli aerei a poca distanza gli uni dagli altri, sorvolammo l'obiettivo, e cercammo una buona posizione di attacco. Ciascun pilota scelse il proprio bersaglio, ma come avevamo fatto per tutto il volo senza usare troppo le comunicazioni radio, perché altrimenti il nemico, gli italiani - dico - avrebbero potuto intercettarle, e sarebbe mancata la sorpresa. Poi il primo che avrebbe iniziato il bombardamento comunicò agli altri che iniziava il bombardamento, e ciascun aereo incominciò a sganciare le bombe, cercando poi di dirigerle con la radioguida sul bersaglio prescelto.

 

D.: Temeva che qualcuno degli aerei del Gruppo potesse essere colpito dalle artiglierie delle navi italiane?

Jope: No. Non conoscevo i calibri della contraerea italiana, ma sapevo che potevano sparare a una distanza di circa 4.000 metri. E il mio aereo, e quelli del mio Gruppo, volavano a circa 5.000 metri perché quella era l'altitudine ottimale per poter dirigere via radio la bomba. Quindi avevamo un buon margine di sicurezza. Ricordo di aver visto molti proiettili esplodere al di sotto di noi, ma sempre a una notevole distanza, e naturalmente senza procurarci alcun danno.

 

D.: Riteneva legittimo il bombardamento?

Jope: Era una normale azione di guerra, non credo di essermi mai posto il problema se fosse giusto o meno. D'altra parte gli italiani erano diventati nostri nemici, e avevo ricevuto l'ordine di bombardarli. Non c'era nient'altro da fare.

 

D.: Fu la bomba sganciata dal suo aereo a colpire la Roma o l'Italia?

Jope: No, non sono stato io. Furono altri due piloti del mio Gruppo, dei quali adesso non ricordo neppure il nome.

 

D.: Sapeva che molti uomini sarebbero morti per causa sua, o a causa delle bombe lanciate dagli aerei del suo Gruppo. Che cosa ne pensava?

Jope: Non mi sono mai posto il problema, e credo neanche gli altri piloti. Era un'azione di bombardamento, con un bersaglio speciale, per il quale eravamo stati prescelti proprio perché i nostri aerei erano armati di bombe speciali, adatte allo scopo. Tutto qui.

 

D.: Che cosa vide, dopo aver sganciato la bomba?

Jope: Non ci accorgemmo subito di avere colpito le due navi italiane. Non potevamo rimanere sul posto molto tempo, né potevamo vedere con esattezza quanto succedeva, data l'altezza a cui volavamo. Dovevamo ritornare immediatamente a Istres-Marsiglia, e poi ciascuno di noi aveva l'impressione d'avere colpito il proprio bersaglio.

 

D.: Era molto difficile, con i mezzi di puntamento in dotazione alla Luftwaffe, essere sicuri di avere centrato l'obiettivo?

Jope: Dipendeva dall'altezza da cui era effettuato il bombardamento. È vero che avevamo in dotazione delle bombe speciali, un'arma segreta che avrebbe dovuto essere radioguidata fino al bersaglio, ma era la prima volta che veniva impiegata in azione, e i risultati non furono quelli che ci eravamo aspettati.

 

D.: Che cosa fece al suo ritorno a Istres-Marsiglia, e quando seppe che aveva affondato la Roma?

Jope: Prima impiegammo un'altra ora e mezza di volo per raggiungere la base, e immediatamente una parte degli aerei del Gruppo ripartì per un'altra azione di bombardamento sulla Flotta italiana. Non c'ero più io, con questo secondo Gruppo, io partecipai soltanto al primo bombardamento. Non mi pare di ricordare che ci fosse uno speciale nome in codice per l'azione, e non ricordo nemmeno il nome di chi guidava questo secondo Gruppo di aerei. Quando anche i piloti di questo Gruppo furono ritornati a Istres-Marsiglia dissero che dallo schieramento mancavano due navi, e così sapemmo che le avevamo colpite, ma senza sapere che navi fossero, e neppure senza essere sicuri di averle affondate.

 

D.: Quanti erano gli aerei del secondo Gruppo, e che cosa ottennero con il loro bombardamento?

Jope: Mi pare che vi abbiano partecipato soltanto cinque aerei. I piloti sganciarono le loro bombe, una per ciascun aereo come tutti quelli del Gruppo, ma non colpirono nessuna nave.

 

D.: Ha mai avuto contatti con i sopravvissuti della Roma, e dell'Italia?

Jope: No, mai. Né durante la guerra, né al termine della guerra.

 

D.: Aveva già compiuto bombardamenti del genere?

Jope: Nel febbraio 1940 avevo affondato una nave da trasporto inglese, di circa 42.000 tonnellate, senza naturalmente impiegare bombe come I'FX 1400. Quello fu il mio miglior successo personale, per il quale fui decorato con la Croce di Ferro di Prima Classe.

 

D.: E per l'affondamento della Roma ricevette un'altra decorazione?

Jope: No. Ottenni la Croce di Ferro di Seconda Classe con le Fronde di Quercia verso la fine della guerra, nel 1944, per i successi che avevo ottenuto personalmente, e per tutti quelli conseguiti dal Gruppo che comandavo. Per tutta la durata della guerra ho partecipato, con il grado di maggiore, a circa 300 azioni di bombardamento contro il nemico.

 

D.: Ha ricevuto lettere di congratulazioni dai comandanti della Luftwaffe che si riferiscano al bombardamento della Roma, o documenti ufficiali che ne parlino?

Jope: No, non ho nulla, e non ricordo di averne mai ricevuto. Si era trattato di un'azione del tutto normale, e come tale fu sempre considerata da tutti.

 

Storia Illustrata, settembre 1973

 

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ROMA (1942) - Nave da battaglia classe "Vittorio Veneto"

Cantiere: Cantieri Riuniti dell'Adriatico - Trieste

Impostazione: 18 settembre 1938

Varo: 9 giugno 1940

Completamento: 14 giugno 1942

Perdita: 9 settembre 1943

Dislocamento

Standard: t. 41.650

Carico normale: t 44.050

Pieno carico: t 46.215

Dimensioni

Lunghezza: 240,7 m f. t.

Larghezza: 32,9 m

Immersione: 10,5 m

Apparato motore

8 caldaie a tubi d'acqua Yarrov con surriscaldatore, 4 gruppi turbo riduttori tipo Belluzzo

Potenza: 140.000 hp

Velocità: 30 nodi

Combustibile: 4.000 t di nafta

Autonomia: 3.930 miglia a 20 nodi, 4.580 miglia a 16 nodi

Protezione

Verticale massima: 350 mm

Orizzontale massima: 207 mm

Artiglierie massimo torri grandi calibri: 350mm

Artiglierie massimo torri medi calibri: 150 mm

Torrione massimo: 260 mm

Armamento

9 da 381/50, 12 da 152/55, 12 da 90/50 a.a., 20 da 37/54 a.a., 24>30 da 20/65 a.a., 4 da 120/40 ill.; una catapulta e 3 aerei.

Equipaggio

120 ufficiali + 1800 sottufficiali, graduati, comuni

 

Giorgerini, Martino, Nassigh

Storia della Marina profili vol. 9

Fabbri Editori, Milano, 1978

 

 

RUHRSTAHL/KRAMER X-1 FRITZ-X

La Fritz-X era una bomba guidata piuttosto che un missile aria-superficie, il cui sviluppo ebbe inizio nel 1938 da parte del Dr. Max Kramer che nel 1940 proseguì i suoi studi presso la Ruhrstahl di Brackwede mentre la successiva produzione in serie fu affidata alla Rheinmetall.

Contrariamente a quanto riportato da molte fonti, la Fritz-X era priva di ogni forma di propulsione e quelli che sono stati spesso scambiati per cinque razzi a propellente solido nella parte posteriore in realtà erano artifizi pirotecnici per segnalare la posizione dell'ordigno all'operatore che doveva controllarne la traiettoria. I cinque fuochi, combinando diversi colori, costituivano un vero e proprio codice con il quale il tiratore poteva riconoscere la «sua» Fritz-X durante gli attacchi in massa da parte di diversi aeroplani. La produzione, che totalizzò 2.500 esemplari, era frazionata tra Rheinmetall (corpo e montaggio finale), Rheinmetall e GEA Fallbach (impennaggi), Strassfurter Rundfunk (radio) e Sonnenschein (batterie) e contrariamente a quanto si legge sovente, non vi era alcuna partecipazione della Ruhrstahl.

L'idea risale al 1938, quando il Dr. Kramer lavorava presso il DVL (Deutsche Versuchsanstalt fùr Luftfahrt, Istituto tedesco per le ricerche aeronautiche) e nel 1940 fu deciso di basare l'arma sulla bomba esplosivo-perforante PC-1400 da 1.400 kg nominali, tanto che il progetto fu indicato anche come PC-1400X. Il sistema di guida era costituito dal radiocomando usato anche da altre armi simili, con un trasmettitore Kehl ed un ricevitore Strassburg. Quest'arma fu impiegata principalmente dai Do. 217E-5 e dai Do.217K-2 ed entrò in azione per la prima volta il 25 agosto 1943: il suo risultato più clamoroso fu l'affondamento, il 9 settembre, della corazzata italiana Roma ed il danneggiamento dell'Italia.

 

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Foto tratta da un manuale tecnico di una bomba guidata Fritz-X nella posizione in cui veniva agganciata ai bombardieri della Luftwaffe.Tra quelli che ne fecero maggiormente uso vi erano gli He.111H6, i Do.217E-5, i Do.217K2, i Do.217M-11 e gli He.177A-51R2; parte di questi tipi furono impiegati solo per addestramento.

 

Nico Sgarlato

Le armi segrete

West-Ward Edizioni, Parma, 2000

 

 

 

L'undici agosto [1943] mi presentai al feldmaresciallo Kesselring a Roma e gli riferii sulla situazione. Fu molto affabile con me, e la vecchia tensione che si era manifestata durante la lotta in Sicilia tra noi due pareva completamente scomparsa. Il feldmaresciallo mi diede un suo ritratto con una dedica lusinghiera. Può darsi che lo abbia fatto perché la situazione in Sicilia si era sviluppata esattamente secondo le mie previsioni. L'invio di nuove forze non aveva ristabilito la situazione bensì solo procrastinato lo sgombero.

Fui presente al colloquio del feldmaresciallo con il nuovo ministro italiano della Marina, che a suo tempo era stato addetto navale a Berlino. Non mi fu possibile stabilire quale fosse il suo atteggiamento personale. Il feldmaresciallo e il ministro erano obiettivamente d'accordo sul fatto che la flotta italiana nei porti dì La Spezia e di Taranto praticamente non poteva entrare in azione. Spesso si è trascurato il fatto che l'impiego di forze navali esige una protezione aerea ancora più forte di quella necessaria alle forze terrestri. Lo sviluppo dell'aviazione ha provocato nella tattica navale mutamenti più rivoluzionari di quelli imposti alla tattica terrestre. Così un impiego delle navi da guerra italiane non sarebbe stato altro che una nuova manovra dettata dalla disperazione. Qualsiasi ufficiale competente poteva rendersi conto che una nave da battaglia, appena uscita dal porto, sarebbe stata immediatamente individuata dall'avversario in possesso della supremazia aerea, per essere affondata da superiori forze aeree e navali.

 

Frido von Senger und Etterlin

Combattere senza paura e senza speranza

Longanesi & C., Milano, 1968

 

 

Un'altra deficienza tecnica, che, nel campo delle artiglierie e del tiro, esisteva nella nostra Marina all'atto dell'entrata in guerra, e di cui ci accorgemmo soltanto dopo le prime azioni aeronavali, era costituito dallo scarso armamento c.a. di tutte le nostre unità. Non solo il numero dei cannoni e delle mitragliere c.a. era insufficiente a respingere un violento e deciso attacco di velivoli moderni, ma lo stesso calibro di quelle armi, che non superava i 100 mm, era troppo piccolo per poter colpire gli aerei nemici a grande distanza, come sarebbe invece stato necessario per tenerli lontani dal cielo di navi, che non disponevano mai di una sicura ed efficace protezione di aerei da caccia.

La Marina americana costruì e impiegò sulle sue unità, durante la guerra, impianti c.a. singoli e binati da 127 mm, con risultati soddisfacenti; tuttavia nel 1945, aveva già pronti cannoni c.a. da 203 mm di portata molto maggiore. I giapponesi erano, sotto questo aspetto, anche meglio attrezzati, poiché i cannoni di grosso calibro delle loro corazzate e dei loro incrociatori avevano grandi angoli di elevazione e quindi intervenivano normalmente negli sbarramenti di fuoco c.a. a grande distanza.

Le spolette dei nostri proiettili c.a., di ingegnosa costruzione nazionale, erano piuttosto delicate, e spesso ne provocavano lo scoppio prima che avessero raggiunto la distanza prestabilita. Infine nei cannoni da 90 mm, che formavano il principale armamento c.a. delle nostre più recenti corazzate, il proiettile si frantumava in schegge troppo minute per poter danneggiare seriamente un grande velivolo moderno.

In conclusione, sia per questi inconvenienti, sia per la complessità delle ultime centrali di tiro c.a. che ne rendeva l'impiego difficile e troppo lento, la reazione di fuoco delle nostre unità agli attacchi aerei nemici non fu mai molto efficace, e riuscì ad abbattere apparecchi nemici soltanto quando questi si avvicinarono molto al bersaglio. Di conseguenza, le nostre formazioni navali quando erano attaccate da aerei, fidavano soprattutto sulla manovra evasiva delle singole unità di giorno, e sulle cortine di nebbia artificiale di notte.

 

Angelo Iachino

Tramonto di una grande marina

Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1966 (1959)

 

 

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Cavallotti

Il romanzo della corazzata

Rusconi, Milano, 1978

Modificato da dieblaureiter
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Gli spunti sono veramente tanti, grazie per averli proposti. Le discussioni sulla fine della corazzata Roma sono ricorrenti a Betasom. Mi colpisce il racconto asettico, distaccato del pilota tedesco. Incredibilmente distaccato al cospetto di tutti quei morti. In definitiva però ad affondare il Roma non furono le Fritz X ma l'orribile, spaventosa situazione in cui furono precipitate le nostre povere FFAA in quel momento. Purtroppo la retorica plumbea con cui sono state ricoperte quelle scelte ha impedito fino ad oggi un dibattito esaustivo ma anche sereno, pacificatore ed unificante. Temo che la parola fine non sia ancora stata scritta.

Tornando al relitto l'affacciarsi di queste continue rivelazioni di "posizioni" e "scoperte" mi fa temere il peggio in ogni senso.

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Oggi a Sanremo la commemorazione del tragico affondamento della Corazzata 'Roma'

 

http://www.riviera24.it/articoli/2009/09/0...-corazzata-roma

 

 

mentre da Adnkronos :

SARDEGNA: IDENTIFICATO RELITTO CACCIATORPEDINIERE DA NOLI, PIU' VICINO RITROVAMENTO CORAZZATA ROMA

 

http://www.libero-news.it/adnkronos/view/180348

 

Piace ricordarla così con il suo equipaggio

Agosto1943B.jpg

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Piace ricordarla così con il suo equipaggio

Agosto1943B.jpg

:s10: :s15: Una bellissima nave.....Mi unisco anch'io nel ricordo...

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roma.jpg

Non è il fungo nucleare ma gli rassomiglia. La Roma colpita a morte è esplosa

 

Nonostante le dimensioni dell'esplosione non é la Roma, ma il Gioberti.

Affondato per siluramento esattamente un mese prima della Roma, davanti a Punta Mesco. Sulla sinistra la metà prodiera dela nave n via di affondamento.

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Nonostante le dimensioni dell'esplosione non é la Roma, ma il Gioberti.

Affondato per siluramento esattamente un mese prima della Roma, davanti a Punta Mesco. Sulla sinistra la metà prodiera dela nave n via di affondamento.

Confermo

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Preso atto dell'errore, di gioventù, commesso me ne scuso e procedo alla cancellazione della foto.

Modificato da dieblaureiter
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Scusandomi dell'errore, di gioventù, commesso me ne scuso e procedo alla cancellazione della foto.

 

Non mi pare un errore di cui tu debba scusarti: dopotutto é quasi esclusivamente fumo quello che si vede.

Questo é uno dei tanti casi in cui bisogna fidarsi delle fonti. E se le fonti sbagliano, tutto quello che si può fare é prenderne atto dopo accurata verifica (cioé sistematicamente dopo esserci cascati).

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