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1 Maggio 1945


Steven

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Forse nn tutti sanno esattamente l'importanza di questa data che e' il 1 maggio, in particolare l'annata 1945 che e' per la storia d'Italia

 

Una breve riassunto della storia di Trieste dal 1900 al 1 maggio 1945

 

Novembre 1918 L'Impero Austro-Ungarico crolla e dopo 528 anni di annessione all'Austria, Trieste fa parte per la prima volta dello stato italiano

1924 L'Italia si allarga e include anche territori Bosniaci

1930 Adolf Hitler afferma: Trieste dovrà essere annessa alla Germania, in modo pacifico o altrimenti

23 Dicembre 1939 Ciano scrive sul suo diario: Se domani chiedessero Trieste nello spazio vitale germanico, bisognerebbe piegare le testa

8 Settembre 1943 L'Italia si arrende firmando l'armistizio

Pomeriggio del 14 Settembre 1943 Dopo 25 anni, l'Italia perde Trieste

I tedeschi del XVI corpo d'armata guidati dal generale Wittholf iniziano l'operazione "Wolkenbruch" nella Venezia Giulia e occupano Trieste. Convertono la risiera di San Sabba in campo di transito per deportare i prigionieri in Polonia

4 Aprile 1943 I tedeschi installano un forno crematorio nell'ex risiera di San Sabba

15 Ottobre 1943 Dopo la dichiarazione di guerra del 13 ottobre dell'Italia alla Germania, i Tedeschi instaurano l'Adriatisches Küstenland (Supremo Commissariato per il Litorale Adriatico). Comprende le provincie di Trieste, Gorizia, Udine, Lubiana, Istria e del Carnaro, con a capo un Oberste Kommissar (l'austriaco Friedrich Rainer). Contemporameamente le provincie di Bolzano, Trento e Belluno formano il Voralpenland e sono annesse al Reich

22 Ottobre 1943 Diventa Prefetto di Trieste Bruno Coceani, e Podestà Cesare Pagnini

2 Aprile 1944 Primo bombardamento di Trieste. Gli alleati bombardano il nodo stradale di Opicina (36 morti)

22 Giugno 1944 Esce del fumo dai camini del forno crematorio dell'ex risiera di San Sabba

Settembre 1944 Edvard Kardelj, vice-premier del governo provvisorio di Josip Broz (detto Tito) afferma:

La nostra aspirazione è conquistare Trieste e Gorizia prima degli Alleati

14 Aprile 1945 Inizia "Operazione Trieste"

La IV Armata Jugoslava (50.000 uomini) con l'appoggio della I, II e III circonda Trieste invece di puntare su Lubiana. Partecipano anche i partigiani del VII e del IX Korpus dell'esercito di liberazione sloveno

A nord l'esercito passa dal Carso e Gorizia.

Dal centro passa per Fiume (invadendo Cherso, Lussino e la costa istriana)

Da sud dalla costa dalmata

27 Aprile 1945 Gli alleati sono a 222km da Trieste, gli slavi a 41km

30 Aprile 1945 Radio Londra annuncia che gli slavi hanno occupato Trieste

1 Maggio 1945 Alle ore 09.30, entra a Trieste il IX Korpus Sloveno, passando per Gorizia e Monfalcone

Palmiro Togliatti scrive sui giornali:

"Lavoratori triestini! Il vostro dovere è accogliere le truppe di Tito come liberatrici e di collaborare con esse nel modo più stretto"

 

 

Le fasi cruciali

 

 

30 aprile 1945

 

All'alba imbraccia le armi contro i Tedeschi: questi ormai sono retro-guardie, pur combattive e non disposte a cedere. Il grosso delle Truppe della Wermacht e della Kriegsmarine, è già sulla via del ritorno. L'insurrezione è capeggiata dal Col. Antonio Fonda Savio e da un religioso, D. Edoardo Marzari. Tra le migliaia d'insorti troviamo i rappresentanti dei risorgenti partiti politici italiani e molti Militari dei Carabinieri, della Guardie di Finanza, e della Guardia Civica. Fra loro non ci sono comunisti: costoro, in obbedienza ad una direttiva di Togliatti, da tempo staccatisi dal "Comitato di Liberazione Nazionale", agiscono inseriti nel CEAIS (Comitato Esecutivo Antifascista Italo Sloveno), operante a favore dell'OF "Osvobodilna Fronta", "Fronte di Liberazione Sloveno".

Dopo sanguinosi scontri a fuoco, nei quali lo sfortunato Colonnello perde lultimo figlio (gli altri due erano caduti sul fronte russo), i "Volontari della Libertà", a sera, hanno il controllo di buona parte della città, issano il Tricolore sul palazzo comunale e sulla Prefettura.

 

L’occupazione tedesca del Palazzo di Giustizia non è però destinata a durare molto. All’alba del 30 aprile del 1945, quando ormai tutto il nord dell’Italia è insorto contro gli occupanti nazisti, il Palazzo di Foro Ulpiano è cinto d’assedio dai partigiani italiani del Comitato di Liberazione Nazionale sostenuti dalle truppe alleate. I tedeschi al comando del Generale Kubler, tuttavia, opposero una forte resistenza.

 

I Tedeschi rifiutano di arrendersi per consegnarsi agli Alleati.

 

Nella notte le avanguardie dell'esercito titino entrano nella periferia della citta'.

Il CLN proclama l'insurezzione.

 

Il presidente Truman telegrafa a Churchill che il comandante Alexander ha l'ordien di occupare Trieste, i neozelandesi oltrepassano il Piave e corrono verso Trieste.

la corsa per Trieste ( The race for Trieste ) dei neozelandesi e' aiutata dai partigiani anticomunisti della divisione Osoppo al comando di Alvise Savoran De Brazza'.

 

Il capo del PCI Palmiro Togliatti proclama: "Lavoratori triestini! Il vostro dovere è accogliere le truppe di Tito come liberatrici e di collaborare con esse nel modo più stretto"

 

 

1 maggio 1945

 

Truppe Jugoslave, al grido di '' Napred! '' scendono dal carso e arrivano cerso le 9.30 nel centro citta', non contengono nessuna unità partigiana italiana inserita nell'Esercito jugoslavo (formazioni garibaldine "Natisone", "Trieste" "Fontanot"), sono mandate a operare altrove.

Ci sono i primi incidenti tra i partigiani Italiani e le truppe jugoslave.

 

I tedeschi resistono asseragliati nella villa Geiringer di Scorcola, nel castello di S Giusto, nel palazzo di giustizia, nella stazione e nel porto.

 

Questa marcia forzata ordinata dal maresciallo Tito serve allo scopo di anticipare le forze anglo-americane e porre, in tal modo, una seria ipoteca sul territorio, la IV Armata dell’esercito di liberazione jugoslavo entra a Trieste, concludendo l'occupazione della città, disarma i partigiani italiani, fa ammainare le bandiere italiane, senza peraltro riuscire, causa la mancanza di armi pesanti, ad eliminare la guarnigione tedesca.

 

Il comando jugoslavo disconosce i "Volontari della Libertà" e, costringono i partigiani del CLN a rientrare nella clandestinità. Invano i nostri Patrioti cercano punti d'incontro. Per la parola "Italia", per la Bandiera nazionale e per la Libertà "vera" ci sono soltanto porte chiuse. Per contro "stelle rosse", bandiere rosse con falce e martello e Tricolore con stella rossa al centro vengono imposti ovunque.

 

 

2 maggio 1945

 

Allalba di questo giorno, i neozelandesi oltrepassano l'Isonzo, accolti con ostilita' a Pieris si dividono in due colonne; una raggiunge Duino, l'altra Passa per Prosecco.

Gli esponenti del CLN si barricano nella Prefettura e nel Municipio, ma i comunisti usciti dal CLN corrono ad acclamare le truppe titine.

I neozelandesi della IIa Divisione a mezzogiorno occupano il castello di Miramare.

 

Nel frattempo i reparti del IX Corpus Yugoslavo erano dilagati in città aumentando la pressione sui tedeschi.

 

Nel pomeriggio, verso le 16.00 , gli Alleati raggiungono Trieste, accolti da una folla festante, con la IIa Divisione neozelandese comandata dal Gen. Bernard Freyberg, che si limita ad attestarsi nel porto e in alcune zone di interesse militare, è ad essa che si arrendono i militari tedeschi.

 

Ma di essi se ne impadroniscono gli jugoslavi, che li deportano e ne uccidono in gran parte. Si riesce a salvare il Gauleiter Reiner, che riesce a fuggire in Austria.

 

Il comando Neozelandese si installa all'Hotel de Ville di piazza Unita' d'Italia, ma il comandante jugoslavo colonello Vodopivez annuncia al generale Freyberg , che pone il suo quartier generale al castello di Miranare, di avere gia' assunto il comando generale della citta' diTrieste . Riesce a fuggire, non riconoscuto, il generale Esposito, gia' comandante regionale della Venezia Giulia della RSI.

 

Subito dopo la resa dei tedeschi il Tribunale fu imediatamente occupato dal Comando Yugoslavo che intendeva sostituire Tribunali e Preture con i “Tribunali del Popolo”. Tale forzatura dell’ordinamento ebbe però modo di concretarsi soltanto per gli ultimi due dei quarantadue giorni di occupazione yugoslava.

 

Alle 19 le truppe jugoslave, con l'appoggio di partigiani comunisti triestini, cacciano fuori dalla prefettura e dal municipio i membri del CLN , i reparti vengono disarmati e deportati. Si sapra poi che buona parte verranno uccisi e i corpi fatti sparire.

 

 

3 maggio 1945

 

I neozelandesi si installano nelle rive e nel porto.

 

Nel frattempo l’ Armata jugoslava instaura in città un proprio governo, attraverso il “Comando Città di Trieste” affidando il comando al Gen. Josip Cemi, sostituito, dopo pochi giorni, dal Gen. Dusan Kveder, e del commissario politico F. Stoka.

 

Dalla balconata del palazzo della Prefettura sventolano: la bandiera jugoslava, una bandiera rossa e la bandiera italiana con una stella rossa. Anche il municipio e' imbandierato, unita' britanniche sbarcano truppe al porto della citta'. in un secondo momento si espongono le bandiere britanniche e americane al palazzo della prefettura.

 

Franc Stoka, comunista filo slavo. Emanano ordinanze sconcertanti per la illiberalità. Impongono, a guerra finita!, un lungo coprifuoco (dalle 15 alle 10!). Limitano la circolazione dei veicoli. Dispongono il passaggio all'ora legale per uniformare la Città al "resto della Jugoslavia"! Fanno uno smaccato uso dello slogan "Smrt Fazismu - Svoboda Narodu", "Morte al Fascismo - Libertà ai popoli", per giustificare la licenza di uccidere chi si suppone possa opporsi alle mire annessionistiche di Tito.

 

Il stesso giorno, viene emesso e diffuso attraverso l’affissione sui muri cittadini l’ “Ordine di occupazione n. 1”, che proclama per la città lo stato di guerra, stabilisce un ferreo coprifuoco ( che consente la circolazione della popolazione solo dalle 10.00 alle 15.00 ), ordina la notifica degli autoveicoli ( in vista delle successive requisizioni ), sposta indietro di un’ora il tempo degli orologi ( per uniformarlo a quello jugoslavo ) e sancisce l’autorità del Tribunale militare dell’Armata per la repressione delle violazioni.

 

 

4 maggio 1945

 

Trieste entra nell'area di influenza sovietica. I militari e civili jugoslavi si abbandonano a violenze, sacceggi ed uccisioni di italiani, molti dei quali prelevati nelle loro case.

Il comando impone il coprifuoco dalle 19.00 alle 8.00 . A Roma un'imponente manifestazione studentesca rivendica l'italianita' di quelle terre.

Il popolo italiano apprende che le forze jugoslave hanno occupato Pola, Fiume e le isole del Quarnaro.

Nel pomeriggio, miliaia di contadini jugoslavi scendono in citta' intonando i loro slogan ( Trst je nas! ). Trieste li accoglie in modo spettrale con le strade deserte e le serrande chiuse.

 

 

5 maggio 1945

 

In questa giornata soleggiante, prende vita una grande manifestazione di triestini che rivendicano l'italianita' della citta' .

Si formano due cortei, che partiti da piazza Unita', convergono in piazza della Borsae risalgono lungo il Corso.

Giunti quasi allo sbocco del Corso su piazza Goldoni, all'angolo della via Imbriani, i manifestanti ormai una motitudine, vogliono raggiungere il Sacrario di Oberdan, ma proprio li in quella via angusa il corteo viene fermato a colpi d'arma da fuoco.

Cinque triestini muoiono ( Claudio Burla, Giovanna Drassich, Carlo Murra, Graziano Novelli, Mirano Sancin ), altri trenta vengono feriti, il corteo viene disperso.

Le violenze jugoslave vengono filmate dagli alleati, l'opinione pubblica comincia a diffidare della Jugoslavia.

 

 

6 maggio 1945

 

Si arrestano fascisti e presunti tali e li si deportano

 

 

7 maggio 1945

 

Alla casa del Fascio, rinominata Casa del Popolo, si riunisce il ''Plenum'' delle organizzazioni triestine che aderiscono alla jugoslavia.

Il generale neozelandese Freyberg pone i suoi uomini in stato da guerra.

Churchill ordina che la Venezia Giulia non deve restare in mano jugoslava.

 

 

8 maggio 1945

 

La Germania si arrende e qualche negozio comincia a riaprire. Per festeggiare la resa della Germania, gli slavi fanno affluire in citta', mentre i triestini si chiudono in casa, migliaia di contadini slavi del Carso e Slovenia, vengono sospinti in corteo verso piazza Unita dove il comandante Kveder annuncia i destini di Trieste, Gorizia, Pola, Fiume unite alla Jugoslavia. i contadini sono contenti ma non capiscono come mai Trieste li accoglie cosi' gelidamente.

Trieste diventa "città autonoma" nella "Settima Repubblica Federativa di Jugoslavia", con le altre sei: Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia, Montenegro, e Macedonia.

Sugli edifici pubblici fanno sventolare la bandiera Jugoslava affiancata dal Tricolore profanato dalla stella rossa. L'unico quotidiano è "Il nostro Avvenire", schierato in funzione anti italiana. La "Guardia del Popolo", detta pure "Difesa Popolare", è uno strumento per incidere nel tessuto cittadino e rimuovere i non marxisti.

 

E gli Alleati? Si limitano a osservare e riferire ai loro Comandi. In città vige il tenore, si scopre presto dove vanno a finire i prelevati.

 

Nelle foibe o nei campi di concentramento, come quello di Borovnica, nominato pure '' anticamera della morte '' . Arresti indiscriminati, confische, requisizioni, violenze d'ogni genere, ruberie, terrorizzano ed esasperano i Triestini che invano richiedono l'aiuto del Comando Alleato.

 

Le espressioni di Monsignore Antonio Santin, Vescovo di Trieste e Capodistria e dello scrittore Silvio Benco, descrivono l'atmosfera che si respirava in città.

 

Così Mons. Santin ("Al tramonto", 1978): "Vivissimo era l'allarme e lo spavento invadeva tutti.. .In città dominava la violenza contro tutto ciò che era italiano. Tutti i giorni dimostrazioni di Sloveni convogliati in città, bandiere jugoslave e rosse imposte alle finestre. Centinaia e centinaia d'inermi cittadini, Guardie di Finanza e Funzionari civili, prelevati solo perché Italiani, furono precipitati nelle foibe di Basovizza e Opicina. Legati con filo spinato, venivano collocati sull'orlo della foiba e poi uccisi con scariche di mitragliatrice e precipitati nel fondo. Vi fu qualcuno che, colpito, cadde sui corpi giacenti sul fondo e poi, ripresi i sensi per la frescura dell'ambiente, riuscì lentamente di notte ad arrampicarsi aggrappandosi alle sporgenze e ad uscirne. Uno di questi venne a Trieste da me e mi narrò questa sua tragica avventura".

 

 

Così lo scrittore Benco ("Contemplazione del disordine", 1946): "Su tutto il mondo rideva in quei giorni la Pace; a Trieste regnavano terrore e dolore. Ascoltavamo alla radio il giubilo di tanti popoli, il clamore esultante delle città liberate (...); su noi incombeva l'avvilimento dei beffati dal destino.

Tutto quello che la città aveva amato era atterrato, rinnegato, soppresso, coperto da miriadi di cartellini stranieri come da una coltre funebre; si foracchiava di proiettili il Tricolore della Nazione, si lordavano i monumenti, si bivaccava sullo zoccolo della statua di Giuseppe VERDI (...). Mai aveva Trieste sofferto così crudele deformazione del suo volto ed inversione dei suoi sentimenti.

Nè potevano gli Italiani credersi sicuri della vita: ogni notte, dalle case perquisite, ne erano portati via con gli autocarri alcuni che non tornavano più. Ogni giorno a migliaia fuggivano verso l'Isonzo, anche a piedi, i cittadini d'altre province d'Italia (delle altre città giuliane occupate dagli Slavi. Nota dell'autore) ; e quando un'immensa folla, quasi sprigionandosi da quella angoscia, s'accalcò sulle vie al grido "Italia! Italia!" si scaricarono su di essa le mitragliatrici (cinque Caduti in Via Imbriani. Nota dell'autore).

Pareva che la stessa parola Italia dovesse essere morta. Nel vasto mondo intanto s'inneggiava alla pace, anzi alla pace della giustizia, alla pace della Libertà".

 

 

9 maggio 1945

 

Il generale Dusan Kveder ( sostituto di Cerni ) annuncia che Trieste e' definitivamente jugoslava

 

 

10 maggio 1945

 

L'esercito jugoslavo occupa Lubiana, a Trieste si distribuisce pane bianco che ben presto finira' e continuano i massacri.

 

 

13 maggio 1945

 

Il comandante alleato Alexander incontra a Roma il Re Unberto e il capo del governo Bonomi, che gli rivolgono pressanti richieste affinche la Venezia Giulia venga interamente occupata dalle forze alleate

 

 

16 maggio 1945

 

Gli jugoslavi cambiano nome di Corso Italia, una principale via di Trieste, in Corso Tito tra lo sgomento dei triestini.

I comunisti locali si affrettano ad esultare, e il loro giornale ''IL LAVORATORE'' si inneggi alla '' fratellanza italo-slava ''

 

 

19 maggio 1945

 

Il maresciallo Alexander formula una garanzia per il mantenimento dei confini italiani in Istria per quanto riguarda Trieste e Gorizia

Gli alleati prendono il controllo della Carinzia austriaca da parte della Jugoslavia.

Gli alleati catturano Rainer vicino a Klagenfurt, viene consegnato agli jugoslavi, in Germania Himmler si suicida.

 

27 maggio 1945

 

A Lubiana, in un congresso Tito ribadisce che la Venezia Giulia e' e rimmarra' Jugoslava.

 

 

giunio 1945

 

Cominciano ad arrivare a Trieste gli aiuti alimentari Alleati e del Vaticano. E' fatto d'obbligo a tutti i triestini di munirsi di documenti jugoslavi, tutti gli italiani insediati in citta' dopo al 1918 verranno espulsi.

 

 

9 giunio 1945

 

A Belgrado, il Leader iugoslavo, verificato che Stalin non era disposto a sostenerlo, fa arretrare le sue truppe, sottoscrivendo, con il suo Capo di Stato Maggiore, Gen. Arso Jovanovich, l'accordo proposto dagli Angloamericani.

"Finalmente se ne vanno", è il gioioso commento urlato dalla cittadinanza! Ma quell'accordo costituirà anche lo sciagurato prodromo della definitiva perdita dell'Istria Italiana...

Prima d'andar via prendono tutto ciò che riescono a caricare sui loro mezzi. Ripuliscono la Banca d'Italia, prelevando 183.000.000 di vecchie lire.

 

 

11 giunio 1945

 

L’accordo viene definitivamente ratificato l’ 11 giugno a Duino dai Generali Morgan e Jovanovic ed il giorno successivo l’ esercito jugoslavo si ritira da Trieste e dalle altre zone di competenza Alleata. Contemporaneamente viene costituito un Governo Militare Alleato per la Venezia Giulia che eserciterà la sua autorità sulle province di Trieste e di Gorizia (43 Comuni) e sull’enclave istriano della città di Pola.

 

 

12 giugno 1945

 

L'evacuazione ha termine. In città restano gli irriducibili, i sostenitori, che proseguiranno i loro atti di guerriglia.

Si costituisce il GMA e in Viale Regina Elena entrano le truppe inglesi in citta' accolte da una folla festante.

Un'mponente manifestazione prende vita per la citta' e accanto alle bandiere Inglese e Americana si issa una Italiana

 

 

 

Piu' o meno cosi' si e' svolto il 1 maggio e i giorni seguenti gli avvenimenti di tanti anni fa... e piu' o meno cosi' si sono svolti i 42 giorni della '' liberazione '' della mia citta

spero di aver fatto cosa gradita :lol:

 

 

 

qui' nel dettaglio le fonti della mia ''ricerca''

 

http://www.steppa.net/html/trieste/cronologia.htm

http://www.cifr.it/trieste%20settembre%201...0parte%202.html

http://www.corteappello.trieste.it/palazzo.aspx?pnl=1

http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.i...st/2165995.html

http://fc.retecivica.milano.it/Rete%20Civi...2AD0F?WasRead=1

http://www.leganazionale.it/

http://cronologia.leonardo.it/mondo38j.htm

 

foto

 

http://www.italia-liberazione.it/it/60moli...GINE/FOTO40.HTM

http://www.italia-liberazione.it/it/60moli...GINE/FOTO41.HTM

http://www.italia-liberazione.it/it/60moli...GINE/FOTO42.HTM

http://www.italia-liberazione.it/it/60moli...GINE/FOTO43.HTM

http://www.italia-liberazione.it/it/60moli...GINE/FOTO44.HTM

http://www.italia-liberazione.it/it/60moli...GINE/FOTO45.HTM

http://www.italia-liberazione.it/it/60moli...GINE/FOTO46.HTM

http://www.italia-liberazione.it/it/60moli...GINE/FOTO49.HTM

http://www.italia-liberazione.it/it/60moli...GINE/FOTO56.HTM

http://www.italia-liberazione.it/it/60moli...GINE/FOTO57.HTM

http://www.italia-liberazione.it/it/60moli...GINE/FOTO59.HTM

 

 

Curiosita' ...

 

 

Dal punto di vista della Storia Postale, il periodo dell’occupazione militare jugoslava di Trieste, presenta caratteristiche del tutto particolari e degne di specifiche notazioni.

 

Il 1 maggio 1945 nel Palazzo delle Poste di Trieste si installano il “Comandante militare per le poste” ed alcuni funzionari sloveni delle Poste di Lubiana responsabili della sorveglianza sul servizio e della censura ed incaricati di redigere le comunicazioni postali anche in lingua slovena.

 

Il 9 maggio viene ripristinato il solo servizio corrispondenze, limitato peraltro alle corrispondenze circolanti nei territori occupati o dirette in Jugoslavia. Vengono mantenute le tariffe italiane già in vigore per l’interno (tariffe R.S.I. : 1 lira per la lettera e 50 cent. per le cartoline, con le relative riduzioni per il distretto, 1,50 lire per la sopratassa di raccomandazione, 1 lira per l’ avviso di ricevimento).

 

I francobolli italiani (francobolli della R.S.I. o del tipo “Imperiale” coi fasci) presenti presso gli uffici vengono posti fuori corso: la disposizione è ovvia da parte di una autorità occupante che chiude tutti i suoi “ordini” o comunicazioni col motto “Morte al fascismo – Libertà ai popoli”.

 

Stante la situazione di totale emergenza per la cittadinanza e di “stato di guerra” per gli occupanti, la corrispondenza nel periodo fu molto scarsa. In partenza da Trieste esistono corrispondenze non affrancate dei Comitati di occupazione: portano sul fronte i bolli di franchigia con la “stella rossa”. Sempre in franchigia sono note, e sono rare, lettere e cartoline di militari e partigiani jugoslavi caratterizzate dai bolli viola del reparto e della censura militare

 

http://www.cifr.it/immagine%2001%20pagina%2020.JPG

 

Per quanto riguarda la corrispondenza civile, esistono quasi esclusivamente lettere e manoscritti, anche raccomandati e con ricevuta di ritorno, spediti da enti amministrativi e ospedalieri. Per quanto riguarda il pagamento della tassa postale di francatura, oltre all’annullo dell’ufficio postale, questi oggetti privi di francobolli si presentano con diverse caratteristiche:

 

timbri ovali “P.Pagato” o “Pagato” e più raramente “R.P.Pagato” (erano stati ampiamente usati dalla R.S.I.

 

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scritta a mano “pagato” con indicazione o meno dell’importo

 

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timbrino lineare “Russo Elvi” (iniziativa personale di una responsabile dell’ufficio postale

 

http://www.cifr.it/immagine%2004%20pagina%2021.JPG

 

Eventuali oggetti affrancati con francobolli italiani, tollerati malgrado la messa fuori corso, sono da considerarsi rarissimi: mi è nota una sola cartolina con francobollo R.S.I. 25 cent. con annullo “Santa Croce di Trieste 23.5.45”, peraltro in difetto di francatura di 25 c.

 

Ben presto però la Delegazione Militare delle Poste di Trieste, sull’esempio di quella di Pola, si rende conto che i francobolli sono da sempre sono stati usati anche ai fini della propaganda politica. Sta di fatto che con un decreto del 25 maggio viene ordinato di soprastampare i francobolli della R.S.I. – serie “Monumenti distrutti” - giacenti in deposito, con un doppio obiettivo: commemorare l’occupazione della città da parte dell’Armata jugoslava e far pagare sulle corrispondenze un elevato sopraprezzo rispetto alle tariffe vigenti e a quelle probabilmente programmate in aumento. Il sovrapprezzo era destinato ad un ipotetico “Comitato di assistenza ai bisognosi” presieduto dal Commissario politico F. Stoka.

 

La soprastampa sui francobolli comprende: un tassello che cancella la denominazione dello Stato fascista, la data 1.V.1945, la dicitura bilingue Trieste – TRST, la stella socialista ed il sovrapprezzo, affiancato su taluni francobolli al nuovo valore facciale

 

http://www.cifr.it/immagine%2005%20pagina%2022.JPG

Modificato da Steven
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Visitatore ERICH TOPP U-552

....BRAVO STE' interessante Documento !!.... :s20:

 

....però....permettimi una piccola "nota"....

 

....potevi anche inserire qualche immagine, no....!? :s56:

 

 

:s67: Mau

Modificato da ERICH TOPP U-552
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Una storia che riempie d'amarezza, ma non per se stessa, non solo per la perdita dell'Istria e le sofferenze degli Italiani di quelle terre.

Una guerra iniziata in maniera folle, gestita da personaggi degni di un'operetta (dichiarammo guerra a tutto il mondo ...), terminata in due puntate (l'armistizio ed il 25 Aprile), lasciò una lunga striscia di lutti.

 

E poi ...

 

Cosa ne è stato dei vincitori di quel 1° maggio ?

 

La Jugoslavia non esiste più, stragi, genocidi, persecuzioni, Serbi contro Croati, Croati contro Bosniaci, Bosniaci contro Serbi, sangue, sangue, sangue ... versato per che cosa ? ed hanno messo in campo anche la religione, Ortodossi contro Cattolici, Ortodossi e Cattolici contro Mussulmani, ma poi Mussulmani contro Ortodossi in Kossovo, con la vittima che diventa carnefice, con la stessa ferocia

Tanti piccoli, litigiosi Stati, rappresentanti di scorie storiche ... basta.

 

Scusatemi, deve essere un effetto dell'ora tarda.

 

Odisseo

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Grazie Steven per aver ricordato così bene quei tragici avveninimenti; hai fatto una cosa meritoria. Purtroppo per il nostro Paese tra moltissimi veti e tabu stenta ad affermarsi una memoria nazionale serena, condivisa e pacificatrice. Tra una censura e l'altra ci sono voluti cinquant'anni per parlare apertamente di foibe. Si è visto con i libri di Pansa e si vede anche in questi giorni con il film Katyn del regista polacco Wajda.

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di foto c'e' ne sono alcune

si deve cliccare sul link

 

devo aggiungere una cosa '' nuova '' sul 5 maggio

 

consideratelo un add on

 

tratto da questo sito http://digilander.libero.it/lefoibe/altri_appr.htm

 

 

1) Il 5 maggio 1945 a Trieste.

 

Premessa.

 

 

E' il terzo giorno (della famosa "quarantena titina") in cui la città di Trieste è sotto il controllo dell' "esercito" di Tito. In città il clima è di festa a seguito della capitolazione delle forze armate tedesche. Il popolo di Trieste però ancora non si è reso conto di ciò che lo attende.

 

(…) Il 5 maggio Trieste aspettava ancora di dimostrare la sua gioia per l'avvenuta liberazione. Il prepotente bisogno di esternare i proprio sentimenti in qualche modo non poteva più essere trattenuto. Era una mattina di sole e la primavera si faceva sentire con un impellente impulso di esultanza (...).

Così nacque quella manifestazione dopo tanti anni di schiavitù, in una presunta atmosfera di libertà, che doveva venir invece soffocata nel sangue innocente di 15 vittime. (...).

Già durante la prima mattinata si notava un movimento insolito (...).

Allorché dai quattro punti cardinali della città il popolo triestino saturo di impazienza si mosse, convergendo al centro, si effettuò il miracolo di fede tanto contenuto. Tutta la città si ammantò di tricolore. Vecchi e giovani, uomini e donne, radicali ed estremisti, tutti affratellati in un unico sentimento gridarono il nome della loro fede: Italia! (...) Mentre la marea di popolo si avviava lungo il Corso in direzione di Piazza Goldoni, cantando gli inni della propria passione, ad un tratto si udì un miagolare di mitragliatrice. Lo stupore più che il terrore, inchiodò per un attimo la massa del popolo allibita. Ma allorché si vide il terreno cospargersi di caduti e il sangue zampillare dalle ferite, il raccapriccio si impossessò degli animi ed un insano spavento primordiale attanagliò i cuori, Tutto sarebbesi aspettato tranne tale ignobile ed ingloriosa carneficina. I "drusi" ( l' "esercito" titino N.d.R.) curvi sulle armi, con il ceffo contratto in un'orribile smorfia di sadico piacere, sparavano all'impazzata sulla folla inerme. (...) Dopo l'inevitabile fuggi fuggi seguito alla sparatoria, e il conseguente ritiro delle bandiere tricolori dalle finestre per ovviare inutili rappresaglie, la calma tornò. Era una calma funebre però. Le strade ridivennero deserte e il corpo straziato delle vittime rimase in balia degli assassini i quali lo gettarono nel deposito mortuario all'ospedale (...).

Ecco i nomi delle vittime ( che non troverete nei libri di storia, N.d.R.):

 

 

Per i morti:

1- Graziano Novelli, anni 20;

2- Carlo Murra, anni 19;

3- Mirano Sanzin, anni 26;

4- Claudio Burla, anni 21;

5- Giovanna Drassich, anni 69.

 

 

Per i feriti:

1- Albino Canaletti;

2- Manlio De Mattia;

3- Tancredi Kolarski, rimasto invalido;

4- Camillo Carmeli;

5- Angelo Cavezza;

6- Antonio Kreiser

7- Augusto Mascia;

8- Pina Solimossi;

9- Renato Artico

10- Marialuisa Fonda.

Il sangue di questi innocenti fece bella mostra di sé per parecchi giorni, sin tanto che la pioggia non lo lavò cancellando la traccia materiale, ma non riuscendo a togliere dall'animo dei triestini il ribrezzo e il disprezzo per i volgari assassini.

(...)

Tre mesi dopo, allorché il popolo triestino recavasi sul posto dell'eccidio per deporre delle corone in memoria dei suoi innocenti figli, una contro dimostrazione "progressista" tentò di turbare la sacra cerimonia, ma ebbe il fatto suo. Con coraggio, e meravigliati dell'inaspettata reazione, i manigoldi dell'unione antifascista italo-slava se la diedero a gambe. Più tardi quelle gentildonne del D.A.I.S. ( donne antifasciste italo-slave) approfittando dell'assenza di sorveglianza staccarono le corone e con i nastri si pulirono le scarpe (..).

Il 5 maggio tramontava in un'atmosfera cupa e tragica.

 

 

- Caduti di Via Imbriani (5 maggio 1945): è stata loro conferita la Medaglia d'oro al merito civile.

 

MEDAGLIA D’ORO AI CADUTI PER LA LIBERTA’ E L’ITALIANITA’ DI TRIESTE

 

L’avv. Paolo Sardos Albertini ha reso noto che il Capo dello Stato ha conferito la Medaglia d’Oro al Merito Civile alla memoria di quei cinque cittadini di Trieste che, a guerra ormai finita, il 5 maggio 1945 mentre manifestavano in nome della libertà e dell’italianità di Trieste, vennero falciati dal fuoco delle truppe jugoslave nonché alla memoria di altri due triestini che, in epoche immediatamente successive, subirono anch’essi analogo tragico sacrificio. Era stata la Lega Nazionale, in una lettera del 4 maggio 2005, a chiedere al Presidente Carlo Azeglio Ciampi, la concessione di tale riconoscimento alla memoria di : Claudio Burla, Giovanna Drassich, Carlo Murra, Graziano Novelli, Mirano Sancin, Emilio Beltramini, Alino Conestabo. Alla richiesta della Lega Nazionale si erano poi associati gli Enti Locali, sia la Provincia che il Comune di Trieste. Quest’ultimo, in particolare, con delibera giuntale del 5 settembre 2005, aveva fatto proprie le motivazioni e le richieste della Lega Nazionale. Il Capo dello Stato, nell’erogazione di tale riconoscimento, ha dato testimonianza, una volta di più, della sua attenzione e sensibilità per la storia, per le vicende, e per i drammi di queste terre. L’onore che con questo atto viene reso a tali Caduti va in qualche modo a completare l’analogo riconoscimento concesso ai Caduti del 1953 e la legge istitutiva della “Giornata del Ricordo” , approvata pressoché all’unanimità dal Parlamento Italiano: il tutto a recupero di una memoria storica che per troppo tempo era stata ignorata ed a compimento di un atto di Giustizia e di Pietà che costituisce la premessa migliore per guardare al futuro con animo rasserenato. La cerimonia del conferimento delle onorificenze – ha concluso l’avv. Sardos – avrà luogo il 5 maggio p.v. nel corso dell’annuale cerimonia promossa dalla Lega Nazionale, cerimonia che quest’anno si svolgerà nella Sala del Consiglio Comunale, ove il Prefetto di Trieste conferirà ai familiari delle vittime la Medaglia d’Oro al Merito Civile alla memoria accompagnata dalla seguente motivazione: “Animato da profonda passione e spirito patriottico, partecipava ad una manifestazione per il ricongiungimento di Trieste al Territorio nazionale, perdendo la vita in violenti scontri di piazza. Mirabile esempio di elette virtù civiche ed amor patrio, spinti sino all’estremo sacrificio”.

 

Trieste, 24 marzo 2006

 

 

 

Quattro articoli tratti dai giornali.

 

1) "Il Piccolo" del 04/05/2005 Storia - 5 maggio 1945: a Trieste si moriva per l’Italia

 

STORIA Dopo la fine della seconda guerra mondiale altro sangue venne sparso quel giorno per le vie della città.

 

Non fu un rigurgito di fascismo, ma un moto di rivolta di chi voleva tornare alla patria.

di Corrado Belci

 

 

Quelli del 5 maggio 1945 sono i primi morti nella battaglia per l'appartenenza di Trieste e dell'Istria all'Italia dopo la fine delle operazioni belliche. Come è noto, purtroppo, le vittime sono state tante, tanti gli scomparsi, prima e dopo quei 40 giorni di occupazione jugoslava.

Ma i morti di quel giorno, ricordati dalla lapide all'angolo tra il Corso e via Imbriani, sono stati uccisi dal piombo degli occupatori mentre manifestavano, inermi, invocando pubblicamente l'Italia. Nient'altro. È giusto onorarli, quei morti a sessant'anni dal loro sacrificio.

Naturalmente, la versione costruita per motivare la strage fu quella del rischio di un «ritorno fascista». Come documenta la ricostruzione di Roberto Spazzali, le vicende furono invece limpide e spontanee in tutto, tranne che nella sparatoria omicida.

Come era sorto quel corteo che invocava l'Italia? L'intuizione che ebbero gli improvvisati promotori non era affatto sbagliata, anche se muoveva da un impulso ingenuo. Quel giorno aveva raggiunto Trieste il generale americano Mark W. Clarke ed era andato ad alloggiare all'Hotel de la Ville, sulle rive. L'idea era semplice e candida: è importante che questo comandante americano capisca che Trieste è italiana. Ed era assai fondata l'intuizione che quel generale venuto da lontano potesse non sapere niente.

La città - e il resto della Venezia Giulia - era infatti ancora nell'incertezza dei poteri, sia militari che civili, anche se gli jugoslavi tentavano di accelerare i tempi di un insediamento stabile. E, dunque, il problema stava proprio nella diversità di progetti e di atteggiamenti delle due forze armate che convergevano da est e da ovest verso Trieste, quelle jugoslave e quelle alleate. Le prime avevano forzato la loro corsa verso occidente non solo per sconfiggere e cacciare i tedeschi, ma per realizzare una occupazione militare che preludesse alla annessione dei territori, Trieste e la Venezia Giulia. Le forze armate alleate avevano ragionato, invece, in termini prevalentemente militari, senza percepire il sottinteso espansionistico della avanzata jugoslava. Il loro problema principale era quello di non precludersi l'uso del porto di Trieste e il controllo delle vie di comunicazioni con l'Austria.

Mano a mano che il tempo rivelava la «fretta» jugoslava e faceva emergere i propositi annessionistici, Churchill percepì il risvolto politico-territoriale del problema che si sarebbe creato, anche se lo considerava sotto il più generale aspetto degli equilibri con l'Unione Sovietica ed i suoi alleati ed in una valutazione certamente secondaria rispetto al quadro del centro Europa (la Germania e Berlino).

Tuttavia, malgrado uno scambio di messaggi con Truman - restio a farsi coinvolgere in una complicazione «balcanica» - Churchill ottenne il via libera per recuperare il ritardo della marcia su Trieste, ma tutti sanno che al loro arrivo i neo-zelandesi si trovarono davanti al fatto compiuto. Cominciò subito, dunque, il braccio di ferro tra gli alleati e gli jugoslavi sull'assetto dell'occupazione militare nella Venezia Giulia, e proprio le violente reazioni di Tito rivelarono il proposito di una occupazione che pregiudicasse la soluzione territoriale.

Come è noto, il primo ministro inglese non aveva escluso nemmeno l'uso della forza per far sgomberare gli jugoslavi da Trieste, mentre assai più prudente si era rivelata la posizione americana.

L'idea di far percepire al generale Clark il vero volto di Trieste era, pertanto, quanto mai fondata in quei giorni. E la scintilla di un corteo scaturita dai gruppi che «curiosavano» davanti all'Hotel de la Ville si collocava proprio all'inizio della contesa che, pochi giorni dopo, avrebbe visto il generale Alexander usare toni durissimi nei confronti di Tito e spostare il conflitto sul piano della trattativa internazionale. Ne sarebbe uscito l'accordo del 9 giugno, che con la creazione della «linea Morgan» determinò formalmente le zone di occupazione jugoslava e alleata della Venezia Giulia, pregiudicando in gran parte la sorte dell'Istria. Anche quell'accordo risentì della prevalenza dei criteri militari su quelli politici da parte alleata, o quanto meno di una valutazione piuttosto grossolana («questioni di giardinaggio») di quelli che venivano considerati dettagli. Infatti, gli alleati ottennero la zona di Trieste e l'enclave di Pola (abbandonato poi alla Conferenza della pace), ritenendo poco rilevante tutto il resto, compresi i famosi «ancoraggi» delle cittadine costiere dell'Istria.

E, del resto, la incomprensione sul problema tra l'Italia e gli Alleati non fu mai sciolta. Per l'Italia si trattava (e si è trattato) della perdita di una parte del territorio nazionale, per gli Alleati era una disputa «minore».I morti del 5 maggio di 60 anni fa si immolarono, dunque, nel tentativo di invocare una giustizia politica internazionale in luogo degli ambigui esiti militari. Per il loro sacrificio io credo che la Repubblica debba onorarli come meritano i primi morti per l'Italia dopo la fine della guerra.

 

 

2) Il Piccolo 12/05/05 - Lettere

 

Quel 5 maggio del 1945

 

In relazione all’interessante articolo firmato da Roberto Spazzali, riguardante il grave fatto di sangue avvenuto nella mattina del 5 maggio 1945, essendo stato presente e partecipe a quel tragico fatto, desidero dare la mia testimonianza. Già il 4 maggio si sparse la voce che all’indomani, dopo il ritiro dal centro città delle masse titine venute da fuori, sarebbe stata organizzata la prima manifestazione italiana. Ricordo che al termine della sfilata delle forze titine, gruppi di triestini, sempre più numerosi, si concentrarono nelle vie adiacenti a Barriera Vecchia.All’improvviso da un caseggiato di via delle Zudecche uscì un gruppo di manifestanti con le bandiere tricolori. Passando parola i gruppi di Barriera si unirono a quelli di via delle Zudecche, formando così una folla sempre più numerosa che si dirigeva compatta verso via Silvio Pellico, sede del «Piccolo».Uno dei manifestanti, arrampicatosi su un balcone dell’edificio, incitò tutti a proseguire per il Corso e arrivare in piazza dell’Unità. Con i tricolori in testa i manifestanti iniziarono la sfilata. Il sottoscritto, essendo fra i primi della fila, si trovò a camminare sul marciapiede accanto all’ex cartoleria Glessich. Da lì intravidi l’appostarsi, sul marciapiede opposto, di un gruppo di militari dell’esercito di Tito, i quali a un ordine spararono all’improvviso direttamente sui dimostranti.Vi fu un fuggi fuggi generale. Trovai un portone aperto e m’introdussi. Salendo le scale di corsa sentii delle voci che mi spronavano sia a raggiungere l’ultimo piano sia, dopo aver scavalcato una finestra soprastante un giardinetto, a scavalcare il muro che confinava con il vecchio cimitero ebraico. Mi trovai così in via del Monte. Proseguii la corsa per via Capitolina, scesi la scala che porta in via Madonnina e raggiunsi piazza Goldoni, dove a quell’epoca abitavo.

Lodovico Cufersin

 

 

 

3) Il Piccolo del 04/05/05 - 5 maggio 1945: a Trieste si moriva per l’Italia

 

STORIA Dopo la fine della seconda guerra mondiale altro sangue venne sparso quel giorno per le vie della città

 

5 maggio 1945: a Trieste si moriva per l’Italia

 

Non fu un rigurgito di fascismo, ma un moto di rivolta di chi voleva tornare alla patria

 

di Corrado Belci

 

Quelli del 5 maggio 1945 sono i primi morti nella battaglia per l'appartenenza di Trieste e dell'Istria all'Italia dopo la fine delle operazioni belliche. Come è noto, purtroppo, le vittime sono state tante, tanti gli scomparsi, prima e dopo quei 40 giorni di occupazione jugoslava.

Ma i morti di quel giorno, ricordati dalla lapide all'angolo tra il Corso e via Imbriani, sono stati uccisi dal piombo degli occupatori mentre manifestavano, inermi, invocando pubblicamente l'Italia. Nient'altro. È giusto onorarli, quei morti a sessant'anni dal loro sacrificio.

Naturalmente, la versione costruita per motivare la strage fu quella del rischio di un «ritorno fascista». Come documenta la ricostruzione di Roberto Spazzali, le vicende furono invece limpide e spontanee in tutto, tranne che nella sparatoria omicida.

Come era sorto quel corteo che invocava l'Italia? L'intuizione che ebbero gli improvvisati promotori non era affatto sbagliata, anche se muoveva da un impulso ingenuo. Quel giorno aveva raggiunto Trieste il generale americano Mark W. Clarke ed era andato ad alloggiare all'Hotel de la Ville, sulle rive. L'idea era semplice e candida: è importante che questo comandante americano capisca che Trieste è italiana. Ed era assai fondata l'intuizione che quel generale venuto da lontano potesse non sapere niente.

La città - e il resto della Venezia Giulia - era infatti ancora nell'incertezza dei poteri, sia militari che civili, anche se gli jugoslavi tentavano di accelerare i tempi di un insediamento stabile. E, dunque, il problema stava proprio nella diversità di progetti e di atteggiamenti delle due forze armate che convergevano da est e da ovest verso Trieste, quelle jugoslave e quelle alleate. Le prime avevano forzato la loro corsa verso occidente non solo per sconfiggere e cacciare i tedeschi, ma per realizzare una occupazione militare che preludesse alla annessione dei territori, Trieste e la Venezia Giulia. Le forze armate alleate avevano ragionato, invece, in termini prevalentemente militari, senza percepire il sottinteso espansionistico della avanzata jugoslava. Il loro problema principale era quello di non precludersi l'uso del porto di Trieste e il controllo delle vie di comunicazioni con l'Austria.

Mano a mano che il tempo rivelava la «fretta» jugoslava e faceva emergere i propositi annessionistici, Churchill percepì il risvolto politico-territoriale del problema che si sarebbe creato, anche se lo considerava sotto il più generale aspetto degli equilibri con l'Unione Sovietica ed i suoi alleati ed in una valutazione certamente secondaria rispetto al quadro del centro Europa (la Germania e Berlino).

Tuttavia, malgrado uno scambio di messaggi con Truman - restio a farsi coinvolgere in una complicazione «balcanica» - Churchill ottenne il via libera per recuperare il ritardo della marcia su Trieste, ma tutti sanno che al loro arrivo i neo-zelandesi si trovarono davanti al fatto compiuto. Cominciò subito, dunque, il braccio di ferro tra gli alleati e gli jugoslavi sull'assetto dell'occupazione militare nella Venezia Giulia, e proprio le violente reazioni di Tito rivelarono il proposito di una occupazione che pregiudicasse la soluzione territoriale.

Come è noto, il primo ministro inglese non aveva escluso nemmeno l'uso della forza per far sgomberare gli jugoslavi da Trieste, mentre assai più prudente si era rivelata la posizione americana.

L'idea di far percepire al generale Clark il vero volto di Trieste era, pertanto, quanto mai fondata in quei giorni. E la scintilla di un corteo scaturita dai gruppi che «curiosavano» davanti all'Hotel de la Ville si collocava proprio all'inizio della contesa che, pochi giorni dopo, avrebbe visto il generale Alexander usare toni durissimi nei confronti di Tito e spostare il conflitto sul piano della trattativa internazionale.

Ne sarebbe uscito l'accordo del 9 giugno, che con la creazione della «linea Morgan» determinò formalmente le zone di occupazione jugoslava e alleata della Venezia Giulia, pregiudicando in gran parte la sorte dell'Istria. Anche quell'accordo risentì della prevalenza dei criteri militari su quelli politici da parte alleata, o quanto meno di una valutazione piuttosto grossolana («questioni di giardinaggio») di quelli che venivano considerati dettagli. Infatti, gli alleati ottennero la zona di Trieste e l'enclave di Pola (abbandonato poi alla Conferenza della pace), ritenendo poco rilevante tutto il resto, compresi i famosi «ancoraggi» delle cittadine costiere dell'Istria.

E, del resto, la incomprensione sul problema tra l'Italia e gli Alleati non fu mai sciolta. Per l'Italia si trattava (e si è trattato) della perdita di una parte del territorio nazionale, per gli Alleati era una disputa «minore».

I morti del 5 maggio di 60 anni fa si immolarono, dunque, nel tentativo di invocare una giustizia politica internazionale in luogo degli ambigui esiti militari. Per il loro sacrificio io credo che la Repubblica debba onorarli come meritano i primi morti per l'Italia dopo la fine della guerra.

 

 

4) Il Piccolo del 04/05/2005 - Trieste 5 maggio 1945: pallottole sulla folla, e il selciato di via Imbriani si tinse di rosso.

 

Quattro persone che facevano parte del corteo rimasero uccise dal fuoco dei soldati jugoslavi, oltre quaranta furono portate in ospedale ferite

 

Pallottole sulla folla, e il selciato di via Imbriani si tinse di rosso

 

di Roberto Spazzali

 

Il 5 maggio 1945 la guerra non si era ancora allontanata dalla Venezia Giulia. A pochi chilometri dal capoluogo giuliano si combatteva: a San Pietro del Carso stava trincerato il 97° Corpo d'Armata del generale Kuebler, ora subordinato al Gruppo d'Armate E del generale Loehr, di stanza a Zagabria.

Nella periferia di Trieste i combattimenti erano cessati due giorni prima, ai quali aveva fatto immediato seguito l'assunzione dei poteri da parte del generale Dušan Kveder, affiancato da Giorgio Jaksetich e Franc Štoka, leader indiscusso dell'Osvobodilna Fronta. A Trieste e a Gorizia subito erano state organizzate le manifestazioni, uniche ammesse, inneggianti Tito e l'annessione alla Jugoslavia.

 

UNA CITTA’ DIVISA. Tito aveva avanzata una formale richiesta al generale Alexander con la quale chiedeva il ritiro angloamericano dal territorio della Venezia Giulia: dal 3 maggio Trieste è divisa al suo interno da una sorta di linea di demarcazione: il porto e il lungomare urbano, separati dal resto della città col filo spinato, sono controllati dai Britannici, il rimanente agli Jugoslavi.

In questo clima maturano i «fatti del 5 maggio», in una combinazione di episodi, casualità e coincidenze.

Il 3 maggio la città aveva visto una prima manifestazione, pomeridiana, filojugoslava, animata tanto dalla popolazione delle contrade periferiche, quanto da quella dei rioni operai. Nella stessa giornata alcuni gregari del Cln e della brigata azionista «Pisoni», guidati dal dott. Callipari, che tre giorni prima aveva occupato e difeso il Palazzo del Governo, si radunano in piazza Garibaldi per dare vita a una manifestazione, bandiera italiana in testa, Il corteo s'ingrossa lungo la via ma viene intercettato da militari jugoslavi alla cui reazione si sbanda disperdendosi.

 

5 MAGGIO: IL GENERALE CLARK A TRIESTE. Nel corso della mattina del 5 maggio si sparge la voce di una manifestazione italiana in Piazza dell'Unità: effettivamente in piazza si stava svolgendo una manifestazione di donne e lavoratori italiani ma appartenenti alle organizzazioni filojugoslave.

Proprio là una folla consistente si è formata in piazza dell'Unità e fa da argine, più che da ala, ai manifestanti filojugoslavi. Qualcuno inizia a scandire il nome di «Italia». Secondo una versione una donna allora annodò un fazzoletto tricolore italiano al collo di un soldato neozelandese e questi venne issato sulle spalle di alcuni giovani che si diressero, seguiti da altra gente, verso l'Hotel de la Ville, dov'era installato il comando della 9th Brigade neozelandese.

Su quanto accadde davanti all'albergo ci sono alcuni documenti fotografici e cinematografici assai interessanti: in una serie di fotografie scattate da operatori britannici si vede una piccola folla davanti l'ingresso e in mezzo a essa una bandiera italiana. Nelle sequenze successive si può notare l'uscita dall'edificio del generale Mark Wayne Clark, comandante della V Army US, accompagnato da ufficiali britannici, che allarga le braccia come se volesse aprire la folla. Clark era a Trieste dal giorno prima. Non è un generale qualsiasi, ma colui che aveva liberato Roma.

In un breve spezzone cinematografico si vedono distintamente le seguenti sequenze: alcune persone tracciano indisturbate delle scritte filojugoslave sulla facciata dell'albergo; una sentinella neozelandese li osserva. Poi le immagini si fanno più mosse e frettolose. L'operatore non riesce a tenere l'obiettivo su una sola inquadratura, per cui decide di riprendere tutto quanto vede. Così entrano in sequenza: alcuni soldati jugoslavi che imbracciano fucili e mitragliatrici e in lontananza delle persone in abiti civili che si allontanano a passo svelto in direzione di corso Cavour. Cambia bruscamente la scena e l'operatore inquadra, distante e alle spalle, due individui che si allontanano con passo deciso verso piazza d'Unità: uno dei due stringe in mano qualcosa che sembra una bandiera italiana. Come se l'assembramento fosse stato sciolto in seguito ad un intervento di forza.

 

I BERSAGLIERI IN PIAZZA GOLDONI. Secondo alcune ricostruzioni, la folla risale il tratto iniziale di via Mazzini e parallelamente quello del Corso. In prossimità delle vie Cassa di Risparmio, Roma e San Spiridione, la gente confluisce nella principale arteria raggiungendo rapidamente piazza Goldoni sostando nei pressi via Pellico, già sede del «Piccolo». A un balcone si affacciano tre giovani e uno di questi, Bruno Gallico, ex ufficiale dell'esercito italiano, tiene un breve discorso inneggiante i vincoli italiani di Trieste alla madrepatria. Il tutto avvenire sotto lo sguardo di diversi militari jugoslavi appostati alle finestre. La situazione è tesa ma nulla lascia presagire una drammatica svolta.

In piazza Goldoni accade un altro episodio, mai citato nella letteratura e recentemente emerso da un documento del Cln: improvvisamente sopraggiunge un automezzo con a bordo una ventina di bersaglieri italiani di scorta alla salma del tenente Galliano Marchioli, goriziano di origine ma triestino di adozione, del Gruppo di combattimento «Legnano», battaglione «Goito» del Corpo italiano di liberazione, caduto a Bergamo per fatto di guerra il 3 maggio 1945. La folla riconosce il guidoncino sul parafango, circonda l'automezzo invocando l'Italia e su molte finestre compaiono bandiere italiane. I militari italiani, però, proseguono per il cimitero e la folla, orami imponente quanto eterogenea, si muove nuovamente verso l'inizio del Corso; alcune voci volevano che il corteo marciasse verso piazza dell'Unità, ma è più probabile che intendesse raggiungere, attraverso via Imbriani, il sacello di Guglielmo Oberdan.

 

VIA IMBRIANI: QUANTE VITTIME? Proprio dalla via Imbriani esce una pattuglia jugoslava accantonata nell'atrio di palazzo Diana, mentre un'altra risale il Corso disponendosi a terra in posizione di tiro. Vengono esplosi diversi colpi in direzione del corteo e con l'intenzione di colpire ed uccidere. La folla si sbanda: sul selciato rimangono Graziano Novelli, di anni 30; Carlo Murra, classe del 1927, studente del «Da Vinci» ; Mirano Sanzin di anni 26. Claudio Burla di anni 21, studente dell'Istituto Magistrale morirà quattro giorni più tardi. Claudio Burla quattro giorni prima era stato tra gli insorti del Corpo volontari della libertà, nella brigata «Timavo» agli ordini del capitano Rodolfo Orel. Anche il giovane Murra aveva contribuito all'insurrezione. Si diffuse la voce che le salme raccolte erano state sepolte in una fossa comune. Dagli atti notori si apprende che la sparatoria avvenne alle ore 11.30 del 5 maggio; dodici giorni più tardi il Cln giuliano inviò alle famiglie delle vittime le partecipazioni al cordoglio.

Sulla lapide posta in via Imbriani nel 1947 compare pure il nominativo di Giovanna Drassich, ma è frutto di un'errata trascrizione, in quanto la signora spirò alle 5 di mattina del 5 maggio, all'Ospedale Maggiore dov'era stata ricoverata in precedenza per una ferita d'arma da fuoco.

Oltre una quarantina i feriti accertati. Molti altri ricorsero alle cure del medico di famiglia per evitare la segnalazione del ricovero. In documento del Cln viene indicato tra i morti il nominativo di Vittoriano Stefani, originario di Cherso, ma non sembra trovare conferma.

 

CHI SPARO’ E PERCHE’?

Per quanto si può dedurre dalla letteratura, vengono esplose non meno di tre scariche, sentite distintamente da Quarantotti Gambini che si trovava in quel momento in piazza della Borsa e che vide, dopo la seconda, la folla ondeggiare e cercare riparo nei portoni degli stabili.

Probabilmente vennero sparati dei colpi di fucile dalle finestre del «Piccolo» a scopo intimidatorio e in direzione dello stabile che ospita il caffè Italia. Sulla facciata di un piccolo stabile del Corso, quasi sull'angolo di piazza Goldoni, fino a pochi anni fa si notavano ancora dei fori di proiettile ma di difficile attribuzione, poiché nella medesima direzione aveva sparato quattro giorni prima una mitragliera tedesca.

Poco o nulla si sa sulla composizione e sull'identità degli sparatori e su chi decise ed ordinò di aprire il fuoco.

 

GLI ANGLOAMERICANI NON CAMBIANO OPINIONE SU TITO. Le ricostruzioni hanno offerto versioni anche contrastanti sull'esatta direzione del corteo ma non sull'opinione che esso segnò un netto punto a sfavore di Tito: l'eccidio di via Imbriani scuote più la popolazione locale che gli alleati angloamericani: l'indomani gli Americani alzeranno la propria bandiera sul pennone del castello di San Giusto, e la banda scozzese si esibirà pubblicamente sul tratto di Rive dirimpetto l'albergo Savoia Excelsior, occupato dai Britannici. Il fatto di sangue non cambiava affatto opinione ed atteggiamento negli angloamericani, salvo che per le osservazioni sull'invadenza di Tito nelle zone attribuite al controllo occidentale.

Certo è che in seguito alla manifestazione, si dovettero registrare una ondata di nuovi arresti per opera dell'Ozna e della Guardia del popolo, e la generica proibizione di ogni manifestazione pubblica.

 

PER I FILOJUGOSLAVI ERA STATA UNA PROVOCAZIONE «NAZISTA». Già l'indomani «Il Nostro Avvenire» imbastì tutto un teorema non sulla premeditazione «fascista» nella manifestazione ma di una provocazione della Gestapo hitleriana, esibendo sulla stampa alcuni documenti rinvenuti addosso ai feriti e nei pressi nel luogo dell'eccidio, giustificando così la reazione col pretesto che la città si trovava ancora in zona di guerra, per cui la repressione era assolutamente legittima.

 

IL CLN DAVANTI ALL'IPOTESI DI SOMMOSSA.

È stata attribuita al Cln la paternità della manifestazione e nel 1951 Antonio Fonda Savio confermò pubblicamente l'opinione confutando Federico Pagnacco che aveva inteso sminuire l'apporto.

Nel 1951 Fonda Savio rivelò sulla stampa che tre mesi più tardi, il 5 agosto (quindi conclusa la conferenza di Postdam e note le risoluzioni) si tenne a Trieste la prima grande manifestazione di commemorazione dei caduti di via Imbriani: il corteo era guidato dagli stessi uomini che stavano in prima fila il 5 maggio ma non poté deporre le corone sul luogo dell'eccidio, anzi dovette aprire con fatica la strada verso il Corso, presidiato in forze da elementi comunisti e filojugoslavi. Scoppiò un violento tafferuglio e le corone furono infine deposte nel luogo dove oggi c'è la lapide: fu collocata una targa provvisoria dirimpetto. Quello scontro, però, diede convinzione ai partiti del Cln che era giunto il tempo di contendere la piazza agli avversari, potendo contare su un largo seguito finalmente uscito allo scoperto e deciso a dare voce ai propri sentimenti nazionali.

 

 

2) La "Guardia del Popolo".

 

Premessa.

 

 

(…) Oggi dopo un anno di vita civile (era il 1946 N.d.R.) pare incredibile che tali istituzioni siano esistite e soprattutto che ci sia stato qualcuno che le abbia considerate seriamente. Ma purtroppo durante i quaranta giorni ebbero oltre che l'appoggio incondizionato, anche una tangibile prova di simpatia da parte delle Autorità allora inquirenti, simpatia dovuta forse ad un sentimento d'affinità morale.

 

I compiti della Guardia del Popolo.

 

 

Ufficialmente le funzioni di polizia avrebbero dovuto essere sostenute dagli organi della polizia militare - logicamente inesistenti nell'esercito titino - e questa mansione venne devoluta alla G.d.P.. Si può immaginare in che razza di mani era caduta la tutela dei cittadini.

 

I componenti.

 

 

Della famigerata "Guardia del Popolo" fece parte il fior fiore della delinquenza regionale. Ecco una lista dei più rappresentativi esponenti di questa eroica milizia:

 

- Fabietti Mario: autore del furto di 13 milioni al Banco di Sicilia a Catania, autore di numerosi altri furti con iscasso e di evasioni;

- Zholl Ottorino: autore di omicidi, lesioni e furti.

- Antoni (Antunovich) Marcello: autore di numerosi furti con iscasso;

- Rossi Ferruccio Giusto: autore di furti con iscasso, rapine e evasioni;

- Furlan Ettore: autore di omicidio, furti e rapine.

- Zerial Luigi: autore di furti e rapine.

- Destradi Luciano: autore di furti, truffe, contrabbando e resistenza.

- Musina Carlo: autore di numerosi furti.

- Steffe' Giovanni: autore di furti;

- Stoppar Mario: autore di furti e evasioni;

- Cermeli Mario (detto Mario Griso): autore di numerosi furti e otto evasioni;

- Groppazzi Giuseppe: autore di numerosi furti.

- Groppazzi Silvio: idem;

- Belle Giuseppe (complice di Fabietti): autore di furti;

- Cresciani Carlo: scassinatore di casseforti;

- Michelich Agostino: idem;

- Bertolini Eugenio: già condannato all'ergastolo per omicidio a scopo di rapina;

- Pierazzi Bruno: autore di rapine (appartenente alla banda Wellenik);

- Romagnoli Riccardo: autore di rapine idem;

- Wolninski Giorgio: condannato a 28 anni di reclusione per rapina;

- Peternelli Eugenio: autore di furti;

- Comel Aldo: autore di tre rapine;

- Paoli Lodovico: autore di furti;

- Suber Ettore: scassinatore di casseforti;

- Bella Antonio: autore di furti;

- Coloni Attilio: condannato a 39 anni per rapina:

- De Marco Mario: autore di rapine:

- Rish Giorgio: autore di rapine;

- Lenardon Luciano: autore di rapine;

- Gironda Vittorio: autore di furti;

- Butti Leonardo: scassinatore di casseforti.

E non proseguiamo, unicamente per non tediare il lettore. (…)

 

Le malefatte.

 

(…) Vogliamo illustrare le malefatte che questa milizia di delinquenti consumò ai danni della popolazione civile. La prima operazione effettuata da questi galantuomini fu la distruzione di una parte dell'archivio della Questura e precisamente quella che conteneva la storia del loro passato tutt'altro che cristallino. Dopo aver distrutto queste prove, loro seconda operazione fu quella d'iniziare una caccia spietata a tutti gli ex agenti della squadra criminale, - abbiamo detto criminale e non politica, - con i quali così spesso avevano a che fare in un passato non ancora molto lontano. Era giusto che si prendessero la rivincita. Sgombrato così il campo da tutti gli inciampi, iniziarono la loro normale attività, cioè il furto e la rapina. Le Autorità jugoslave, per ragioni di simpatia e di interesse, lasciavano fare, anzi sancivano tale operato con la loro augusta firma. Per i colpi grossi, a questi messeri spettavano le decime soltanto perché il grosso della refurtiva andava ai "liberatori". Siccome la voracità dei nuovi padroni non conosceva limiti, le decime erano piuttosto misere e perciò si venne ad un compromesso: Si permetteva ai componenti la sedicente Guardia Popolare di rubare per conto proprio, limitandosi però a furti moderati altrimenti oltrepassando un dato valore, bisognava consegnare la refurtiva ed accontentarsi delle decime (…) .

 

 

3) Il "Tribunale del Popolo".

 

Premessa.

 

Nasceva questo pseudo Tribunale il giorno 21 Maggio e la sua prima apparizione venne resa nota dalla stampa cittadina con la pubblicazione del decreto di costituzione. In sintesi tale decreto precisava che il neo Tribunale era sorto per giudicare fascisti e collaborazionisti.

 

I componenti.

 

Presidente: dott. Sajovitz Umberto, italiano, laureato in scienze economiche e commerciali, assistente universitario.

Membri:

 

1.) Stradi Walter, italiano, impiegato;

2.) Giorgi Mario, italiano, gerente cooperative;

3.) Maule Bruno, italiana, operaio;

4.) Bignami Alberto, italiano, commerciante;

5.) Sorta Giordano, italiano, operaio;

6.) Ressauer Giovanni, italiano, operaio;

7.) Vigna Libero, italiano, proprietario d'officina;

8.) Nardin Milan, sloveno, operaio;

9.) Suban Mirco, sloveno, proprietario osteria;

10.) Sauli Nino, italiano, ragioniere e perito commerciale, laureando in scienze economiche.

 

 

 

I compiti del Tribunale del Popolo.

 

(...) Il Tribunale del Popolo non aveva alcun metodo di procedura. La difesa non sapeva su quale corpo giuridico appoggiarsi. Tutto proseguiva a seconda dell'umore dei giudici i quali si intendevano di legge come noi ci occupiamo di papato. Di quanti delitti si sia macchiato questo Tribunale, non sappiamo ancora e forse non lo sapremo mai. Vero è però che i tiranni, preoccupati dalla accuse che tutto il mondo civile scagliava loro per gli atroci crimini commessi, vollero con la creazione di questo pseudo Tribunale, dare una certa parvenza di legalità ai loro crimini. Ma non ci riuscirono affatto. I loro ceffi, anche coperti dalla toga, rimanevano sempre l'espressione del delitto.

 

(...)

Questo Tribunale, che doveva giudicare i collaborazionisti, aveva per Presidente un collaborazionista. Il sig. dott. Sajovitz aveva collaborato con il Comando marina tedesco sino al 1° Maggio '45, facendo i propri sporchi interessi fino all'ultimo istante della dominazione tedesca. Perché la scelta a presidente del tribunale fantoccio era caduta proprio su di un ex collaborazionista? Per la semplice ragione che solamente colui che aveva la coscienza sporca poteva divenire un docile strumento nelle mani dei panslavisti. Quale altro uomo d'onore si sarebbe prestato al turpe mercato diventando il carnefice dei propri fratelli?

Terminata la seduta ed eletti i membri, il comitato ritenne opportuno inviare telegrammi al Maresciallo Tito ed al Maresciallo Alexander. Mentre il resto del telegramma a Tito era tutto un inno di ringraziamento per la "liberazione" effettuata dalle gloriose unita jugoslave, quello diretto al Maresciallo Alexander esprimeva tutto lo stupore per le aspre parole che quest'ultimo aveva proferito all'indirizzo del Maresciallo di tutte le Jugoslavie.

Il giorno 29 Maggio veniva eletto ad Accusatore Pubblico il dott. Adelmo Nedoch. Questo signore dalle ambizioni smodate, ex combattente in Croazia e in Russia contro la "libertà dei popoli", accolse con entusiasmo l'incarico e per non deludere i propri padroni si mise con accanimento a perseguitare tutti coloro che dimostravano sentimenti italiani. Per fortuna di molti questo mancato statista ebbe corta vita come Pubbico Accusatore. (…). Sugli altri componenti questo Tribunale, il pudore ci vieta ogni apprezzamento.

 

Dal libro "Fasti e nefasti della quarantena titina a Trieste" di G. Holzer (Trieste, 1946)

 

 

Aggiornamenti: il Governo sloveno è pronto ad aprire gli archivi per far luce sulle deportazioni di goriziani nel maggio ’45.

 

 

Tratto da "Il Piccolo" del 24/06/2005 - Deportati goriziani: Lubiana apre gli archivi

 

La ricerca della verità sul quel tragico maggio ’45 sarà al centro di un incontro congiunto fissato per il 5 luglio

 

L’appello dei sindaci Brulc e Brancati è stato raccolto dal ministro Rupel

 

di Luigi Turel

 

Il Governo sloveno è pronto ad aprire gli archivi per far luce sulle deportazioni di goriziani nel maggio ’45. L’appello del sindaco Brulc è stato raccolto dal ministro degli Esteri Dimitrij Rupel. Che lo ha invitato a Lubiana. E sarà un incontro congiunto quello in programma il 5 luglio.Perché l’invito è stato esteso anche a Brancati.Rimarca il sindaco: «Dò atto a Brulc che ha avuto il coraggio di affrontare temi scabrosi per queste nostre terre e al ministro Rupel per l’impegno assunto. È un fatto di estrema importanza che si affronti la dolorosa questione dei deportati. Del resto io ho sempre detto che continuerò a battermi perché vengano aperti gli archivi sloveni. Noi sindaci, Brulc ed io, facciamo la nostra parte, chiediamo che anche gli altri facciano la loro».Gli fa eco il sindaco di Nova Gorica: «La premessa a quest’incontro con Rupel sta nelle difficoltà che incontriamo per farci sentire a Lubiana: poco o nulla si sa di quanto si sta facendo per consolidare la collaborazione transfrontaliera, né dei progetti che stiamo realizzando con il Comune di Gorizia». Del resto Brulc aveva avuto una riprova, ma non era necessaria, di quanto fosse «lontana» Lubiana lo scorso sabato accompagnando, lungo la cresta del Sabotino, il presidente del parlamento sloveno France Cukjati.Ed entra nel merito della questione: dare una risposta ai familiari dei deportati nel maggio ’45 che chiedono di sapere dove siano sepolti i loro congiunti, dove poter portare un fiore, dove recitare una preghiera. RimarcaBrulc: «Gli anni sono passati, gli archivi devono essere aperti: è una questione etica, non politica. Potrebbe essere che le informazioni che cerchiamo siano invece custodite negli archivi di Belgrado ma questo non ci fermerà».L’incontro con il ministro Rupel deve servire per trovare la «chiave» che apra tutti gli archivi, compresi quelli italiani, dove di tanto in tanto spuntano i cosiddetti «armadi della vegogna». Perché anche nell’ex Jugoslavia non sono poche le famiglie che vivono il dramma dei congiunti dei deportati goriziani come testimonia il diario di don Pietro Brignoli «Santa messa per i miei fucilati».

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Visitatore UPS2

Sentiti complimenti, Steven. Un ottimo ed attento lavoro di ricerca ed approfondimento che, una volta ancora direi, fa merito al nostro motto "PER NON DIMENTICARE"!

(Ometto faccine perchè l'argomento non ne richiede)

 

Quoto il post del C.te Odisseo.

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