Vai al contenuto

Un cronista di guerra....... - III?-


De Grasse

Messaggi raccomandati

Continua dalla II° Parte

...........................

 

 

I falsi dell'ammiragliato inglese Gli inglesi "more solito" non accusarono il colpo grave ricevuto, così come non accusarono quello inferto loro dai Mezzi d'Assalto della

Marina nel porto di Alessandria in cui furono affondate le due corazzate Valiant e Queen Elizabeth. Fu giocoforza aspettare la fine della guerra per leggere sulla documentazione ufficiale una versione risibile. E cioè

che era vero l'attacco della notte del 10 novembre 1940 a quella aliquota della "Mediterranean Fleet" da parte degli italiani ma che le esplosioni dei siluri erano perfine corsa e non per percussione contro i fianchi delle navi. Ecco la traduzione testuale: "Le esplosioni udite

verso la mezzanotte si riferivano alle esplosioni di fine corsa dei siluri".

Balle. I nostri siluri, notoriamente, non esplodevano a fine corsa ma affondavano semplicemente per esaurimento della forza propulsiva dell'aria compressa che li azionava. È un dato tecnico questo conosciuto in

tutto il mondo giacché i nostri silurifìci sono stati fornitori di tali armi a molte marine.

Cade acconcio a questo punto riportare il rapporto del comandante Romei relativo a quella azione che nel suo scarno linguaggio ci offre la misura e la statura del valoroso sommergibilista italiano:

"9-11-40 - Mare grosso forza 6 da NW, vento forza 5 da NW, cielo nuvoloso, orizzonte nitido, luna già abbastanza alta. Inizio il pendolamento e la carica ritornando sul punto di agguato ordinatomi dall'o.d.o.,

punto sul quale mi trovo ali'incirca alle ore 23.54, ora di avvistamento di una formazione nemica.

La formazione è costituita da forte numero di CC.TT. ed incrociatori leggeri in scorta avanzata a cuneo, da una portaerei e da due grosse navi la cui sagoma è quella del Royal Sovereign e Ramillies. Queste tré grosse unità procedono in linea di fila, secondo l'ordine sopradetto.

L'ultima unità della scorta laterale avanzata si profila sulla portaerei.

L'avvistamento è avvenuto a distanza di circa diecimila metri. Per portarmi al lancio ho assunto rotta nonnaie alla direttrice di marcia avversaria (325°) cioè Pv. 235°.

Mentre dirigo all'attacco la mia unità è fortemente sbandata sulla sinistra per avaria agli sfoghi d'aria cerco due volte di raddrizzarla.

10-11-40 - Benché l'avvicinamento sia effettuato con motori termici fino a pochi minuti dal lancio, quando mi trovo in posizione opportuna rispetto al primo bersaglio importante (portaerei), disto ancora più di

cinquemila metri. Contemporaneamente la formazione accosta in fuori allargando il beta.

Decido quindi di attaccare l'ultima unità della formazione.

Alle ore 00.08 circa, la squadra navale riaccosta stringendo il beta.

Alle 00.09 la distanza è di 4.000 metri circa, beta 90°, Vn apprezzata 15 miglia. Angolo di mira risultante 21°. Tale angolo di mira viene trasmesso ai 3 siluri da 533 approntati a prora (il siluro da 450, sebbene

approntato, non è stato lanciato perché la regolazione della sua corsa era 2.000 metri). Poiché, giuste le vigenti norme, i 3 siluri pronti sono inizialmente sfasati di 5°, le angolazioni risultano per il tubo 1 16°, per

il tubo 3 21° e per il tubo 4 26°. Tale sfalsamento dovendo servire a realizzare un'apertura della salva di 85 metri per parte (apertura che a

4.000 metri sarebbe di 340 m. per parte) lancio il primo siluro (tubo 1 16° quasi uno scafo e mezzo a proravia della plancia, in modo cioè che l'apertura dovuta all'angolazione venga ridotta ad una 70° di metri (340

(340 - 270 70) ed il secondo siluro (tubo 3 21°) con regolare punteria sulla plancia mentre il terzo, (tubo 4 26°) che volevo lanciare con punteria uno scafo e mezzo a poppavia della plancia, sempre per ridurre

l'apertura della salva nei limiti voluti - per effetto di una forte alambardata - viene lanciato con punteria a proravia della prora del bersaglio.

Ritengo che il siluro sia passato 500 m. circa a proravia del bersaglio, e poiché le esplosioni udite sono state 3, che esso abbia colpito l'unità precedente.

Tutte le armi sono state regolate a m5.

Le prime due esplosioni sono state udite dopo 3 minuti e 15 secondi circa, e la prima di esse è stata preceduta da un'alta colonna nera levatasi contro lo scafo del bersaglio mirato (ultima unità della formazione).

L'intervallo tra queste due esplosioni è stato brevissimo, dell'ordine di 3 o 4 secondi circa. La terza esplosione è seguita dopo 6 secondi circa ed è stato udito il contraccolpo sullo scafo del sommergibile, men-

tre già si iniziavano le operazioni per la rapida; pertanto non è stata possibile l'osservazione visiva dell'effetto prodotto".

Poco tempo dopo l'azione, il "Pier Capponi" fu costretto a sospendere la missione, per inconvenienti ai motori elettrici e rientrare alla base.

Il "vecchio chiodo" accusava la sua stanchezza per cui ne verrà, come vedremo, decisa la radiazione che gli sarà fatale in fase di trasferimento.

Per questo audacissimo attacco alla formazione inglese, al Comandante Romeo Romei venne poi conferita la medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione che segnò una importante svolta

nella tecnica dagli attacchi in superficie adottata dal Comando Squadra per i sommergibili. "Comandante di Sommergibile si distingueva

fin dall'inizio del conflitto per perizia e valore. All'importante base avversaria, attaccata di giorno da Unità leggere di superficie, riusciva con insigne bravura a sfuggire alla caccia nonostante le notevoli avarie che avevano sensibilmente menomato le possibilità di ma-

novra della sua Unità. Con coraggiosa determinazione e sicuro intuito manteneva ancora l'agguato nella zona e poteva così avvistare in ore notturne, grossa formazione navale avversaria di una portaerei, di

due navi da battaglia e di vari incrociatori e Ct. Precorrendo le teorie d'impiego, successivamente adottate dai sommergibili, conduceva risolutamente in superficie l'attacco alla formazione, e, pur di raggiun-

gere il suo audace intento, non esitava ad impiegare un motore termico in parziale avaria che, con il rilevante fumo di scarico, avrebbe potuto rivelare la sua presenza al nemico. Portato a fondo l'attacco, colpiva con due siluri una corazzata avversaria e con un terzo proba-

bilmente un'altra unità, prendendo l'immersione soltanto dopo aver constatato l'avvenuto scoppio delle armi. Nel corso di successiva missione scompariva in mare con la propria unità. Esempio di sereno ar-

dimento, di eccezionale tempra di combattente e di elevate virtù militari". La morte in agguato

Quella testé narrata è la penultima avventura del glorioso sommergibile Pier Capponi e del suo eroico equipaggio. L'ultima reca la data

del 31 marzo 1941.

Il "vecchio chiodo" non ne poteva più e, dopo alcuni tentativi di rabberciamento ai Cantieri della Navalmeccanica di Napoli, il Superiore

Comando ne decise il disarmo destinando l'intero equipaggio, me compreso, ad armare il Sommergibile di grande crociera (2000 tonnellate,

14 tubi di lancio, 36 siluri e 120 giorni di autonomia) "Ammiraglio Cagni" in allestimento a Monfalcone per la guerra di corsa sulle coste

americane. Questa era la promessa formale che il Comandante in Capo della Squadra Sommergibili Ammiraglio Falangola aveva fatta a Romei

e che l'intero equipaggio aveva salutato con grande entusiasmo. Ma il destino aveva disposto altrimenti.

Il 15 marzo 1941 con Romei eravamo andati in licenza insieme: io a Roma e lui a Caprarola presso la famiglia. Il battello era rimasto in consegna al secondo Stea.

La mattina del 30 marzo Romei viene a Roma per rientrare a Messina e portare il battello a La Spezia. Da casa mia telefona a Stea di tenersi pronto perché il mattino successivo sarebbe stato lì. Stea insiste

che non è il caso che venga giù perché il "vecchio chiodo" lo avrebbe portato lui a La Spezia e poi sarebbe venuto direttamente a Roma ove la mamma, affidata alle cure di mia moglie, perché meno penose le riu-

scissero le ansie della guerra, già l'aspettava. Presente alla telefonata, la signora Stea prega Romei di inviarglielo subito in licenza questo suo unico bene al mondo anziché dopo il trasferimento a La Spezia, quasi

che al suo cuore di madre una voce misteriosa avesse già parlato del tragico destino che stava per compiersi.

Ho ancora nelle orecchie le assicurazioni di Romei:

- Signora, è una passeggiata. Mercoledì Sandro sarà qui. Viene con noi anche Caporilli.

La mattina la passammo tutta al Ministero. Poi Romei fece colazione con me e il pomeriggio lo passammo a rivedere sul mio taccuino la stesura di tutta la narrazione delle imprese del "Capponi" che oggi

figurano in questo libro.

Il treno per la Sicilia partiva verso le ventitré. Alle 22 chiamiamo al telefono un tassi. Il mio telefono risulta isolato. Non c'è verso di riattivarlo. Chiamiamo allora dall'apparecchio dell'appartamento attiguo.

Romei è sempre dell'idea di trascinare via anche me in quello ch'egli scherzosamente chiama "il funerale" del glorioso sommergibile ma si convince che non vale la pena di andare fino a Messina per risalire

poi la penisola costeggiandola entro la rotta di sicurezza. Tanto più che essendo "il funerale" un fatto incruento, io come giornalista non avrei avuto nulla da raccontare.

Restiamo d'intesa che lo avrei raggiunto con Stea a Monfalcone, per le prove del "Cagni". Una stretta di mano, un'altra risata (Romei rideva sempre) e poi il tassi se lo portò via.

Verso le ventitré sento mia moglie chiamarmi concitatamente e mi porge sbiancata in volto il microfono del telefono che aveva sollevato

per sentire se era cessata l'interruzione. Odo un agghiacciante lamento come dall'altra parte del filo una persona morente chiedesse aiuto. Invano grido, batto sulla forcella. Poi il lamento cessa. Esattamente a

mezzanotte un lungo trillo del telefono mi fa balzare dal letto. Corro, ma non odo che il solito caratteristico segnale dell'apparecchio che aveva ripreso a funzionare. Che cosa era accaduto? Mistero!

Venne il mercoledì promesso da Romei, ma Stea non giunse a Roma. Ne passò un altro di mercoledì e sotto l'assillo di quella povera madre che aspettava il figlio mi recai dall'Ammiraglio Falangola, che mi onorava della sua amicizia e sapeva del mio fraterno affetto per Ro-

mei. Appena mi vide capì lo scopo della mia visita e un velo di tristezza offuscò il suo volto. Lui era come un papa per i suoi sommergibilisti e ogni perdita era motivo di acuta sofferenza. Mi disse tutta la verità; cioè quel poco che risultava.

Link al commento
Condividi su altri siti

Join the conversation

You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.

Visitatore
Rispondi a questa discussione...

×   Hai incollato il contenuto con la formattazione.   Rimuovi formattazione

  Sono ammessi al massimo solo 75 emoticon.

×   Il tuo link è stato automaticamente aggiunto.   Mostrare solo il link di collegamento?

×   Il tuo precedente contenuto è stato ripristinato.   Pulisci l'editor

×   Non è possibile incollare direttamente le immagini. Caricare o inserire immagini da URL.

Caricamento...
  • Statistiche forum

    • Discussioni Totali
      45k
    • Messaggi Totali
      521,5k
×
×
  • Crea Nuovo...