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Portò Solino E Piume Al Vento:enrico Toti-m.o.v.m.


Red

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Cara Malaparte,piacere di conoscerLa e di salutarLa. Non ho ben compreso il riferimento alla legge sulla privacy ( spero sia solo un problema di stanchezza e non di capacità intellettive), legge che non impedisce a chicchessia di far riferimenti pubblici circa i propri dati anagrafici. Semmai lo impedisce a terzi,e non mi sembra questo il caso. Quindi,con buona pace dell'Authority, Lei può stare tranquilla e scrivere di sè ciò che preferisce senza paura di incorrere in sanzioni. Se poi si riferiva ad Enrico Toti,essendo Egli una figura storica e quindi pubblica,citarne nome o riferimenti non configura alcun reato. Tranquila! :s01:

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Era solo una battuta sulla mia età.. Non sono molto ferrata in materia, ma credo siano diversi decenni che i Libri di Lettura delle Elementari non riportano l'immagine di Enrico Toti con la stampella; quindi rivelare di averlo conosciuto per questo tramite è anagraficamente molto compromettente...

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  • 4 months later...

Dopo tanto tempo ritorno tra voi e ne sono felice. So di aver mancato verso Red per non essere riuscita a chiamarlo ma sono stati mesi difficili e molto turbolenti questi per me. Sento il bisogno di salutarvi tutti e di dirvi che,nonostante la mancanza della presenza fisica,siete stati sempre nel mio cuore in tutto questo tempo. Tornerò presto per donarvi altri scritti di Enrico.

Un caro saluto a tutti.

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Gentile Goccia,

ecco che riceviamo,con grande piacere,un Suo scritto.

Non credo debba essere Lei a chiedere scusa,ma bensì io

che avrei dovuto scriverLe,ma confido sempre nel poterLa

ancora incontrare e chiederglieLe personalmente.

Ciò spero possa avvenire presto.

 

Mi piace farLe sapere che,giusto pochi giorni fa,ho trovato

ed acquistato il libro " LETTERE di ENRICO TOTI" di Tomaso Sillani-1924.

Ho ancora da leggerlo,ma intuisco già che sarà interessante per una mag-

giore conoscenza dell'animo del nostro amato Eroe.

Esso è illustrato con alcune belle e toccanti fotografie e desidero quì postarne

una che credo sarà gradita anche ai nostri Com.ti :

 

Il nostro Eroe giovinetto con già il Solino !!!

enricol.jpg

 

tricolore.gif

 

Le invio un caro saluto

A presto

 

RED

Modificato da Red
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Caro Red,

tenga strette quelle lettere e le legga attentamente. Lina,la sorella di Enrico,volle darle alle stampe e credo siano la testimonianza migliore e più veritiera dell'uomo e non dell'Eroe. Vede,di Enrico Toti,tutti conoscono il gesto finale ma cosa portò a quel gesto,chi fosse l'uomo e la sua storia personale,pochissimi sanno. Se leggerà attentamente,e sono certa che lo farà,attraverso quelle parole Lei potrà comprendere che un Eroe non nasce dal frutto di un momento di esaltazione ma egli esiste fin dai primi istanti della sua vita terrena in un Ideale e sceglie,consapevolmente il suo destino. Quelle parole sono la testimonianza più evidente di quanto facile sarebbe stato confutare certe tesi revisionistiche della nostra Storia Patria. Quelle lettere non sono tanto importanti per sancire un atto eroico che è già passato alla Storia ma esse sono importanti perchè sono la testimonianza dell'Amore,dell'Onore,del Coraggio,del Sacrificio,dalla Fede,della Libertà di tutto un popolo. Esse rappresentano la nostra memoria collettiva che unisce e non separa se si ha il coraggio di difenderla e di renderle onore. Senza la memoria delle nostre radici non saremo mai un popolo libero. Se le radici di un albero,per quanto grande e maestoso,per qualunque motivo dovessero atrofizzarsi,basterà che si alzi un po' di vento e l'albero crollerà. Così è della nostra attuale società: essa vacilla sotto i colpi dell'iniquità perchè non ha più memoria e la sua Fede,la sua Speranza non poggiano più su solide radici. Nel nostro piccolo,continuiamo a dare acqua al nostro albero nella speranza che altri si uniscano e l'albero possa tornare forte,grande e vigoroso.

 

Un caro abbraccio

Paola Toti

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  • 2 weeks later...
Grazie per il bell'articolo. :s20: :s20:

 

enricototier1.jpg

 

 

- Maledizione !, m'avete ferito nuovamente : eccomi , ora , il segno della miserabilita' della vostra guerra , a noi bastera' l'entusiasmo , per vincere e vinceremo ! -

Modificato da saligio
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  • 2 months later...

Cari Amici,

entrando qui stasera mi sono resa conto di quanto tempo sia passato dall'ultima volta che ci siamo "incontrati". Il tempo passa in fretta a volte e non ce ne rendiamo conto,presi come siamo dal vortice della vita.Mi sento come chi è tornato a casa dopo un lunghissimo viaggio. Viaggio difficile e la stanchezza è tanta. Così mi sono messa a rileggere un po' i vecchi post che avevamo scritto,come fa chi rientrando a casa,accarezza le cose familiari,dopo una lunga battaglia.Sono rassicuranti le cose che ci appartengono.Forse non potrete comprendere fino in fondo quanto sto scrivendo ma rientrare qui,"ascoltare" le vostre parole che sanno d'Italia,di memoria,di grandi valori,è come riassaporare i profumi di tutte le cose che ci sono care e che credevamo perdute. Non ve l'ho mai detto ma nella vita mi occupo di antimafia. Caro Red,è vero ciò che Lei afferma: tanta gente oggi oltraggia la nostra bandiera,i nostri martiri ma,mi creda,ci sono tanti eroi sconosciuti che in questo esatto momento stanno combattendo una guerra impari,rischiando tanto,rischiando tutto,per quei valori e quella bandiera. Uomini senza nome,uomini che nessuno conosce,che ogni giorno sanno che il domani per loro potrebbe non arrivare più eppure lottano e non si arrendono pur di difendere la libertà,la giustizia e riaffermarne i principi.In questo lungo periodo,tra le altre cose,sono stata a Palermo. Vado spesso a Palermo ultimamente. Sa cosa è successo? E' successo che un uomo che per il suo alto senso dello Stato ha denunciato dei mafiosi facendoli condannare e diventando a sua volta un condannato a morte dalla mafia,si è ritrovato solo,senza scorta,a Palermo. Lo Stato si era "dimenticato" di farlo prelevare all'aeroporto. L'ho portato con me,in macchina.Abbiamo girato,soli,per Palermo come un bersaglio mobile mentre altri,in quel momento,piazzavano una bomba ad alto potenziale in una delle sua aziende. Quest'uomo è un eroe ma nessuno lo sa. Quest'uomo sta lottando per l'Italia,per tutti,ma lo Stato lo abbandona a se stesso. Io ero a Palermo quel giorno. Mi ha chiamata al telefono dicendomi che era solo all'aeroporto e che non c'era la scorta ad aspettarlo come invece doveva essere. Insieme,alle 3 del pomeriggio,abbiamo girato per Palermo senza alcuna copertura. Immagina cosa voglia dire portare un testimone di giustizia senza copertura per le vie di Palermo? E' come portare Cappoccetto Rosso a spasso nella tana del lupo. Come lui ce ne sono tanti in questo momento che stanno rischiando la sopravvivenza. La vita ci mette alla prova. Devi provare a te stesso e a nessun altro che tutto ciò in cui credi,tutto ciò che hai tentato di insegnare ad altri,è più forte della paura. Solo allora sai chi sei veramente. Solo dopo aver scelto se salire oppure no su quella macchina puoi dire a te stesso che tutto ciò in cui credi è vero,è reale ed è più forte di qualunque cosa. Perchè vi ho raccontato questo? Perchè se è vero che coloro che disprezzano i nostri valori,la nostra bandiera,sono coloro che hanno visibilità sui media,c'è,ed è forte,tutto un mondo fatto di uomini sconosciuti che di quei valori,di quella bandiera,sono i degni depositari anche se nessuno lo sa. Sono loro la nostra speranza nel domani ed è giusto che chi non sa sappia che questi uomini esistono nonostante un mondo che apparentemente sembra aver perso ogni valore. Sono questi uomini che ci regalano la speranza,la forza,la determinazione e il coraggio di andare avanti in questa lotta,costi quel che costi. A loro bisogna guardare per non perdere la fede in un domani migliore. E' con questi uomini che cammino ogni giorno ed è un cammino duro,difficile,molto pericoloso ma anche fatto di momenti in cui si torna a respirare il senso vero della vita in attimi che non sono fatti di parole ma basta uno sguardo,una stretta di mano,una scelta per ritrovarsi compagni nella stessa trincea. Il loro esempio,la loro dignità,il loro coraggio,dovranno essere il faro che guiderà le nuove generazioni. Questo è l'obiettivo finale: divulgare le loro storie affinchè non solo il passato ma anche il presente ci aiuti,attraverso il loro esempio, a ritrovare noi stessi e il valore vero d'essere Italiani.

 

Un caro abbraccio a tutti e a presto...spero.

 

Paola

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In Milano vi sono due vie che quando le percorro,pur sapendo

dove mi trovo,non posso fare a meno di guardare le loro targhe:

" Via dei Fiori Oscuri " e "Via dei Fiori Chiari";esse si trovano vicine

e nel centro storico della Città:zona Brera.

Sinceramente,pur avendomelo promesso più volte,non mi sono

mai interessato del perchè di quelle dediche, ma esse mi portano

a credere che vogliano onorare,riassumendoli, tutti Coloro che in

un modo o nell'altro dedicarono la loro esistenza al bene comune sia

in modo visibile che invisibile.

Se così è,dunque che noi potremmo chiamare le persone delle quali

Lei parla :" Fiori Oscuri"giacchè Essi operano anonimi,nel silenzio e

nell'ombra,con rischio della vita, per il bene comune, e "Fiori Chiari"

Coloro che costretti oppure no sono esposti alla luce del giorno per

per esplicare il loro dovere oppure per denunciare le angherie di

certa "marmaglia".

L'insieme di queste persone merita,incondizionato, tutto il nostro rispetto

e la nostra ammirazione !!!

Purtroppo,molti "Fiori Oscuri",e lo dico con commozione,recisi, diventarono

"Fiori Chiari" risplendenti alla luce del sole e della Gloria !!!

A Loro vada sempre il nostra graditudine ed il nostro affettuoso ricordo !!!

Ed a Lei,cara Signora Paola,un sincero grazie per il suo impegno ed il suo

coraggio attraverso i quali onora ancor di più il Suo cognome :TOTI-

 

AugurandoLe un felice Anno 2010

porgo cari saluti

 

Red

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Caro Red,

molto tempo è passato dall'ultima volta che ho avuto il piacere di leggerLa e altro ne passerà prima che io possa tornare a scrivere qui. Allora voglio raccontarLe una storia. La storia di un "fiore oscuro".

 

monumentoenricototifina.jpg

 

La mattina del 22 dicembre di quest'anno mi trovavo a Palermo in via D'Amelio,la strada nella quale avvenne la strage del giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta. Eravamo,io e Salvatore Borsellino,fratello del giudice,sotto l'albero di ulivo che commemora quella strage e dal quale non pendono foglie ma sogni,pensieri,speranze di tanta gente,tanti ragazzi,che su quell'albero lasciano i loro bigliettini danzare al vento.Eravamo lì per scambiarci gli auguri di Natale. Mentre io e Salvatore stavamo parlando,si avvicinò un uomo mai visto prima.Mi chiede cortesemente di dedicargli qualche minuto. Lasciai Salvatore e mi allontanai di qualche metro con lo sconosciuto. Al mio sguardo interrogativo l'uomo esordì:" Mi scusi se l'ho disturbata ma qualcosa,non so dire cosa,mi ha spinto ad avvicinarmi a Lei e mentre lo facevo ho sentito che Lei stava parlando di xxx ( per ovvi motivi ometterò il nome). Io sono un carabiniere e faccio servizio di scorta. Conosco la situazione nella quale si trova xxx e vorrei chiederle se è possibile per me scortare xxx tutte le volte che ne ha bisogno,quando sono fuori servizio.Crede che la mia richiesta possa essere accettata?" In quel preciso momento mi tornarono alla mente i cento carabinieri che dopo la strage di Capaci si presentarono,in fila,davanti alla porta di Paolo Borsellino offrendosi di entrare a far parte della sua scorta. Carabinieri che si erano messi in fila per andare a morire. In quel momento avrei voluto abbracciare quel carabiniere ma gli chiesi solo di prendere la macchina e andare insieme a Capaci. Sotto la stele che commemora la strage,nel punto esatto in cui

l'autostrada saltò in aria,guardavo senza parlare l'asfalto che ancora è intriso del sangue di Giovanni Falcone, sentendo in me il peso di una responsabilità enorme: la responsabilità di una risposta che può fare la differenza tra la vita e la morte di un uomo. Chiesi al carabiniere perchè si stesse offrendo volontariamente ben sapendo che non avrebbe ricevuto nessuna retribuzione,nessun appoggio,rinunciando ai giorni di ferie,al tempo libero da dedicare a se stesso per correre un simile rischio.Conoscevo perfettamente la risposta ma avevo bisogno che fosse lui a pronunciare quelle parole e la risposta fu: " Io non faccio il carabiniere per i mille e trecento euro al mese ma perchè credo nella giustizia e negli uomini che lottano per essa e xxx è uno di questi. Voglio difenderlo perchè è un uomo giusto e per onorare la divisa che indosso. Sa,io vengo spesso qui,da solo,quando non c'è nessuno ed è strano che Lei mi abbia voluto portare proprio qui per parlare ma non è strano che tra tanta gente,in via D'Amelio,qualcosa mi abbia spinto verso di Lei stamattina.In posti speciali avvengono cose speciali." Aveva ragione! Qualcosa o "qualcuno" ci aveva fatti incontrare. In quel momento capii quale doveva essere la mia risposta alla sua richiesta.Alla mia risposta affermativa lui rispose:"Sappia che da questo momento in poi ci sarà un uomo che,se necessario,per lei darà la vita." Non mi lasciò più fino alla mia partenza da Palermo.

 

Questa è la storia di un "fiore oscuro".La storia di un piccolo,grande,anonimo carabiniere. Da questo "fiore oscuro" emanava quel fresco profumo di libertà che si contrappone al puzzo del compromesso morale del quale parlava Paolo Borsellino ed è un profumo che impregna di sè l'anima e il cuore di quanti possono guardare negli occhi questi uomini e il loro coraggio.Quel coraggio che non ha speranza di premio alcuno,nè di gloria, nè di plauso, ma cammina nel silenzio della coscienza. Questi sono i "fiori oscuri" che,attraverso il loro sacrificio, stanno sostenendo l'equilibrio nell'eterna lotta tra il bene e il male.

La gente non ha dimenticato. La gente ha solo paura. Mentre eravamo a Capaci,tutte le auto che passavano sull'autostrada rallentavano e ci salutavano bussando. Quei clacson,che per me erano musica in quel momento,erano il segnale anonimo di tutto un popolo che non ha dimenticato. Quei clacson urlavano: Non siete soli! E allora,in quel momento,puoi ritrovarti a pensare: " Vedi Giovanni? Il vostro sacrificio non è stato inutile. La gente non ti ha dimenticato,gli italiani non ti hanno dimenticato" e in quel momento ti accorgi che stai sorridendo. Non c'è gloria e non c'è onore nel fare semplicemente il proprio dovere.Fare il proprio dovere dovrebbe essere la norma e se non lo è vuol dire che c'è qualcosa di profondamente sbagliato che ha sovvertito le regole del gioco. Quello che sicuramente sta animando questi uomini è l'amore per la propria terra,la propria gente. Quella gente che dovrà trovare il coraggio di rialzarsi,ricordando che è figlia ed erede di tutti coloro che per questo paese hanno pagato il prezzo più alto per tutti noi.

 

Spero che il tempo che ci separerà non sarà troppo lungo ma se così dovesse essere,ho la certezza che ci ritroveremo,in un modo o nell'altro.Poco importa.Quello che conta davvero è lasciare qualcosa di sè e se sarà stato anche solo un piccolo seme,prima o poi quel seme germoglierà dando vita ad altri frutti. Infondo non dovrebbe essere questo il vero scopo del nostro vivere? E non dovrebbe essere la consapevolezza di aver seminato anche un solo piccolo seme a dare un senso al nostro lasciare questo "palcoscenico" con animo sereno?

 

 

Arrivederci Red. Arrivederci a tutti voi.

Paola

 

PS

Spero mi perdonerete se sono stata un po' lunga ma ritenetelo come un saluto da parte di chi non sa quando potrà tornare a "parlare" con voi.

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  • 2 weeks later...

Il nome di Ninnì Cassarà è inciso a caratteri di fuoco sulla croce che,insieme a tante altre,troppe altre,una mano invisibile ha piantato con forza nel nostro cuore,trafiggendolo per sempre.

La prego,non mi ringrazi. Qualunque cosa noi oggi possiamo fare e faremo,non potrà mai compensare l'incapacità di noi tutti nel difendere la vita di questi uomini. Solo a loro,a tutti loro,deve andare la nostra riconoscenza. Noi che siamo ancora vivi abbiamo un dovere: far sì che il loro sacrificio non sia stato vano e che la giustizia faccia il suo corso restituendo verità e dignità a tutti coloro che per quelle perdite incolmabili continuano ogni giorno a pagare un prezzo inumano.Il nostro dovere è far sì che la coltre di silenzio e di impunità non ricopra per sempre le loro lapidi rendendo vano il loro sacrificio. Lotteremo per questo non dimenticando mai. Saremo il grande incubo di coloro che hanno sulla coscienza questi uomini. Essi non dovranno avere mai la tranquillità di pensare che ormai tutto è dimenticato. Noi non dimentichiamo e non dimenticheremo mai! Nessuna tregua,nessuna resa,nessun oblio,fino alla fine. La forza sta nel sapere che se anche saremo vinti,altri prenderanno il nostro posto e continueranno la strada intrapresa fino alla vittoria finale. Di questo sono certa:la Giustizia prevarrà...prima o poi.

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  • 2 weeks later...

Un saluto a tutti gli amici del forum.

 

Spero vi farà piacere se vi posterò stralci di un articolo di Giulio Bedeschi che non tutti forse conosceranno. Un articolo pubblicato su La Storia Illustrata del 1971.L'articolo è lungo sei pagine e non avendo così tanto tempo estrarrò qualche passo anche se qualcosa credo di averlo già postato in passato qui.

 

Chissà se Giulio Bedeschi quando scrisse questo articolo si ricordò che tra le sue famose "Centomila gavette di ghiaccio" c'era anche il nipote di Enrico Toti.Se poi vi farà piacere vi posterò qualcosa che pochissimi conoscono.Pagine di storia che riguardano il nipote di Enrico Toti,anch'egli eroe di guerra...un "fiore oscuro".

 

 

"Una prima considerazione che accade spontaneamente di fare nell'accostarsi al personaggio di Enrico Toti è la seguente: mentre della maggior parte degli eroi della storia italiana nella prima guerra mondiale-da Francesco Baracca a Cesare Battisti,a Nazario Sauro-l'iconografia ha reso popolare e ben conosciuta l'immagine,di Enrico Toti si può affermare che nel ricordo diffuso e comune sopravvive non il volto,ma il gesto. Il gesto ultimo e definitivo,quasi che in quell'uomo ogni altra realtà concreta si sia annullata concentrandosi nell'atto estremo; oltre il quale,tutto,di quell'uomo,rimase poi indistinto e disperso nell'alone della sua stessa leggenda.

Invece,a ricercarlo nei documenti,nei ricordi di chi lo avvicinò e ne scrisse,ad ascoltare chi lo conobbe,affiora e a grado a grado si compone una sanguigna figura d'uomo a tutto sbalzo,una immagine che cresce sotto gli occhi e si impone alla nostra coscienza,tanto che alla fine balza evidente che eccezionale in Enrico Toti,ben prima che il morire,fu il costante suo modo d'essere uomo.Più si avvicina alla fine,meno la biografia di Enrico Toti è confrontabile con quella di qualunque altro uomo. Nella buona e nell'avversa fortuna Toti fu sempre e totalmente se stesso. La prima caratteristica che affiora fin dai primi anni della vita di Enrico Toti è quella d'essere un popolano,un ragazzo che condivide gli stenti della povera gente nella Roma che si avvia verso la fine del secolo scorso.Nato nel 1882,suo padre e suo fratello sono ferrovieri. Il ragazzo cresce fra notizie e storie di viaggi,sferragliare di ruote che scorrono sulle rotaie,e avventure fluviali in riva al Tevere.

E'svelto,pronto,attento alla vita. Non ha quindici anni e già comincia a guadagnarsi il pane,si imbarca volontario in qualità di mozzo sulla nave-scuola "Ettore Fieramosca",dove rimane tre anni;poi consegue il brevetto di <<torpediniere elettricista scelto>> e passa sull'Emanuele Filiberto e più tardi sul Coatit,partecipando nel 1904 ai combattimenti contro i pirati nel Mar Rosso,dove il governo italiano ha appunto inviato alcune navi in servizio di polizia.

Nello stesso anno muore l'unico fratello di Enrico Toti,il quale per non lasciare soli i genitori e una sorella non rinnova la leva:congedato,prende parte a un concorso delle Ferrovie dello Stato e nel 1905 viene assunto quale fuochista. Per tre anni la sua vita passa tranquilla e operosa fra lavoro e studio,un irregolare studio da autodidatta.

Ma il 2 marzo 1908 gli piomba addosso all'improvviso la sorte avversa: mentre Toti sta ritto in piedi sulle bielle a lubrificare la propria locomotiva,il macchinista di una seconda locomotiva che è agganciata alla prima mette improvvisamente in moto facendo sussultare entrambe:la gamba sinistra di Enrico Toti rimane stritolata nell'ingranaggio,all'ospedale viene amputata su in alto,subito sotto il bacino.

Da allora,a ventisei anni di età,il mutilato Enrico Toti deve aggrapparsi a una stampella per reggersi in piedi,il suo avvenire pare condannato a una misera vita sedentaria di menomato fisico. Toti non chiede compassione,non impreca contro la sorte o il compagno di lavoro che gli ha causato la disgrazia irrimediabile:ha la struttura robusta,si impone un ostinato addestramento,studia movimento per movimento il migliore sfruttamento dei mezzi fisici che gli sono rimasti,potenzia i suoi muscoli e sviluppa il senso dell'equilibrio,moltiplica l'agilità delle membra di pari passo con l'ingegno della volontà.

In breve si emancipa dalle limitazione della mitilazione e ottiene dal suo corpo tutte le risposte e i risultati che si prefigge e si impone. Partecipa perfino ad una gara internazionale di nuoto sul Tevere e si classifica secondo,lasciandosi alla spalle i corpi guizzanti di tanti perfetti giovani fiumaroli.

Perduto il posto di lavoro alle Ferrovie e la possibilità di essere assunto altrove,si dedica a perfezionare alcuni strumenti di comune e largo impiego,e consegue diversi brevetti e piccole invenzioni ( tuttora raccolte nel Museo Storico dei Bersaglieri in Roma). Studia,scrive;spinto da un fervore idealistico che non lo abbandonerà mai,nel 1911 dà perfino alle stampe un opuscolo scritto per i giovani,nell'intento dichiarato di aiutarli a vincere lo sconforto durante le lotte per il raggiungimento dei propri ideali.

E' attivo,solerte,instancabile,entusiasta in ogni contatto umano,che moltiplica facilitato da una naturale comunicatività che gli attira le simpatie di quanti lo avvicinano. Soltanto-e quanto è indicativo questo silenzio, questo suo estremo riserbo e pudore-non parla mai di matrimonio e infatti non si sposa,certamente considerandosi manomato per la sua mutilazione alla quale non vuole tenere vincolato niente e nessuno..."

 

"In chi sta ad ascoltarlo,l'incredulità e lo stupore immancabili all'inizio cedono poi il passo alla commozione. Ma c'è il regolamento da rispettare...la legge sul reclutamento parla chiaro. Tuttavia un maggiore che lo interroga non sa resistere al su fervore,si sente spinto a trascurare il regolamento. << E va bene,resta con noi,Toti. Ma oltre che il nome,si può sapere almeno il tuo cognome? In qualche parte dobbiamo pur segnarlo.>> <<Ma l'ho detto,è Toti il mio cognome. Il nome è Enrico. Enrico Toti.>>

Ecco,l'ha detto per intero;nessuno ancora sa cosa diventeranno quel nome e cognome messi insieme...

 

...Soltanto nelle lettere a casa apre uno spiraglio sulla sua vita di quei mesi,attraverso le sue dirette parole ci resta testimonianza sui suoi pensieri,sul suo modo di fare la guerra: << Mai nessun soldato fu certo nelle mie condizioni. Lavoro per quattro,riposo pochissimo quando sono nei posti avanzati...il 19 ero a Sei Busi,occupavo il posto di un soldato che ha quattro figli...Sapessi quanto si gode a trascurare se stessi per venire in aiuto agli altri! Come si sta meglio! Come si sente la gioia di vivere!>>

 

Fa servizio in trincea,spara col fucile,è sempre pronto a combattere,si sente volontario di guerra,ma non è l'eroe bellicoso ad oltranza che si potrebbe immaginare,la sua sensibilità indugia su aspetti che il combattente potrebbe ignorare: << Quante volte di notte i nostri proiettori sono serviti unicamente a fare luce ai nemici usciti per soccorrere i feriti e seppellire i morti;potevamo annientarli,eppure un senso di pietà ci spingeva ad aiutarli.>>

 

Mentre sta passando in bicicletta dinanzi all'ufficio postale di Palmanova,viene fermato da un postino che gli tende una lettera sulla cui busta sta scritto: << Al primo soldato che il portalettere incontrerà-Palmanova.>>

Era una donna colei che scriveva per un romantico senso di solidarietà verso un ignoto soldato. Toti ne restò toccato,rispose,e fra i due si intrecciò una fitta corrispondenza. Si scambiarono fotografie. Toti fece qualche confidenza ai compagni di questo rapporto di cui nulla di più si sa,se non che allietò e commosse gli ultimi mesi di vita di questo giovane uomo.

Scrive anche,attingendo inconsapevolmente a vertici di umile ma autentica grandezza d'animo: << Aiuto i soldati,aiuto le loro mamme girando alla ricerca dei dispersi>> Non lo dice,ma i dispersi di cui scrive sono là,dove nessuno arriva,inavvicinabili se non a rischio di morte,appesi ai reticolati,o a marcire negli anfratti sotto il sole di quella primavera.

 

Il lunedì di Pasqua lo vedono arrivare in bicicletta al Comando Tappa con la testa e parte del viso fasciati alla meglio. Gli amici gli si fanno intorno,vogliono sapere. Toti spiega: << E' scoppiata una bomba tra i sacchetti che ci riparavano:un caporale è rimasto ucciso,alcuni soldati sono feriti,io me la sono cavata con un gran ceffone di sassi e di terriccio in faccia,e basta.>>

Vogliono vedere,gli scostano la fasciatura,guance e fronte sono costellate da sforacchiature;gli occhi sono socchiusi,le palpebre rigonfie,tumefatte e livide. Occorre tutta l'autorità del colonnello comandante per indorlo a farsi ricoverare in ospedale. Risulta crivellato di piccole schegge che gli sono penetrate anche nei bulbi oculari e che gli vengono estratte d'urgenza,quante più è possibile. Corre il rischio di perdere un occhio ma poi la situazione migliora,può lasciare l'ospedale,ritornare in trincea.

 

6 agosto 1916...

...Resta quel suo gesto,a combattare vittorioso col tempo che passa,con gli umori degli uomini che mutano. A combattere con la storia per rimanere appunto nella storia,e non trasfigurarsi in leggenda. Restare autentico e popolano,lui col suo gesto,un Toti Enrico qualsiasi;veri entrambi,e non mito,inseriti come schegge nel vivo della storia d'Italia."

 

Giulio Bedeschi

 

1 Marzo 1916

"Cara mamma,non puoi immaginare quanto mi abbia fatto bene leggere i tuoi scritti. Mi raccomandi di non espormi tanto al pericolo,ebbene,sarò più prudente,come tempo fa ebbi a dire ai miei superiori. Un giorno volli espormi troppo,volevo scoprire delle batterie nemiche. Non bastò che il nemico dalle colline opposte tirasse su di me (io delle granate austriache me ne infischio perchè non vanno mai a segno) a sera corsi pericolo d'essere fucilato da una nostra sentinella,poichè al "chi va là" non potei rispondere alla parola d'ordine. La mia presenza di spirito mi salvò,cambiai tono alla voce e dandole un tono imperioso domandai del capo posto. Solo dopo aver percorso un'infinità di trincee fui presentato al Comando;di lì telegrafarono a Cervignano,fu chiarito così l'equivoco,ed io fui rilasciato. Il giorno dopo persuasi i miei superiori che se mi venisse ordinato,andrei anche a Vienna ma a far scaricare qualche pallottola contro di me,dai nostri...avrei sentito un certo rimorso. Qui in guerra si scherza con la morte e la si considera un avversario di nessuna importanza. I cari lontani dovrebbero solo pensare che per l'onore della Patria,si muore con la serenità dei santi,lieti e soddisfatti di immolarsi per un ideale sacro alla storia dei popoli. Sappi,cara mamma,che gli eroi muoiono tutti,e per una causa provvidenziale questi eroi non soffrono;ed è esempio di fulgido splendore che gli uni danno agli altri più timidi,meno coraggiosi..."

 

A Lina

11 Febbraio 1916

 

"La tua lettera mi ha commosso davvero! e ti ringrazio della tua cooperazione per la grandezza della nostra Patria. Fai bene ad opporti,e se scorgi qualche anima abbietta,lanciagli il tuo disprezzo. Noi italiani abbiamo una civiltà che un dì dettammo al mondo intero,inoltre abbiamo una volontà propria e non ammettiamo che altri vengano a dettarci leggi.

Siamo in tempi in cui l'atavismo,la crudeltà,ha lasciato il posto ai più bei sentimenti. L'altruismo,la pietà,la concordia,il senso comune,la logica,oggi s'impongono a tuttociò che ancora è bestiale,inumano. Noi italiani emergiamo per squisitezza di sentimenti. Ma non per questo è assopito in noi il senso della ribellione,perchè ci ribelliamo a tuttociò che è cupidigia,egoismo,barbarismo...Viva l'Italia e tutto il nostro sangue per essa."

 

Enrico

 

In occasione della traslazione della salma di Enrico da Monfalcone a Roma, così salutò la salma il generale Paolini,Medaglia d'Oro al Valor Militare, ricordando il giorno in cui andò a trovare Enrico ferito in ospedale:

 

"Ricordi,bersagliere Toti,io ti baciai ed abbracciai e tu, contento di tale premio, non volesti nemmeno più medicarti e ritornasti nella trincea piena di cadaveri nemici, ove io ti ritrovai all'alba, che cantavi la sveglia ai compagni assonnati e stanchi per le grandi fatiche dell'assalto e della difesa, e, poco dopo, cadevi scagliando sul nemico la stampella e morivi baciando le piume del tuo cappello, gridando: Viva l'Italia! Io ti saluto, bersagliere Toti, come ti salutai nella Pasqua di sangue del 1916 e ti bacio anche a nome di tutti gli eroi che qui riposano dolenti della tua partenza, ma fieri di riposare in un cimitero che porta il tuo nome."

 

Quando ero piccola,quante sera passai seduta intorno al vecchio braciere mentre mia nonna mi parlava di Enrico. Per lei Enrico era semplicemente Enrico. Non le sentii mai pronunciare la parola "eroe". Non credo avesse minimamente idea dell'eroe Enrico. Per lei era semplicemente quello che andava sempre di corsa,che non stava mai fermo,che faceva cose fuori dalla sua normale visione della vita.Quello che mi ripeteva immancabilmente alla fine di ogni racconto era: << Enrico e tuo padre sono identici. Tutti e due sono nati di corsa. Che altro potevano essere se non bersaglieri? Hanno lo stesso carattere e la stessa neve in tasca>>..e sorrideva! Poi mi prendeva il sonno e lei mettendomi sulle sue ginocchia mi cantava la canzone del Piave. Mi piaceva tanto quella canzone.

 

Esistono Uomini che la vita ci dà la fortuna di vivere e nel viverli possiamo a nostra volta imparare tutto ciò che di più vero ed elevato hanno da insegnarci se il nostro cuore si predispone ad accogliere e fare propri i loro insegnamenti.

Sono i fari luminosi che indicano alla barca della nostra vita la giusta rotta da seguire. A noi sta il merito o il demerito di ascoltarne il richiamo. Ma che noi lo seguiamo o meno, la loro luce resta,imperitura,impressa nella memoria dell’Eternità.

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  • 1 month later...

Gentile Sig.ra Toti,

mi perdoni,ma sento il bisogno d'aggiungere anch'io tre lettere di Enrico Toti.

Credo esse siano le ultime due indirizzate alla sorella Lina, e l'ultima indirizzata

alla mamma-Credo scritte su quella Quota 85,ormai sacra,che porta

il suo nome-

In esse vi è ancora la speranza,se non la convinzione, di entrare vittorioso a Trieste,

dove potrà far sventolare il Tricolore in alto,sopra San Giusto.

Ben conosciamo la sua bontà d'animo,l' aiuto morale e materiale che dava ai suoi compagni

bersaglieri che l'amavano e che cercavano di ringraziarlo in ogni modo.

Della sua soddisfazione dei compiti che gli vengono affidati e della riconoscenza dei suoi compagni

ne fa cenno nella lettera indirizzata alla sorella.

 

20 luglio 1916.

 

Cara Lina,

Dopo Lord Kitchner,Battisti !

Sono addirittura furibondo con quei cani di tedeschi.Italiano fra gli Italiani non mi sgomento di esternare la mie idee patriottiche.Morte ai barbari:ecco il mio grido ovunque,e tutti mi vogliono bene e rispettano i miei ideali.

 

26 luglio 1916.

 

.......Sono di guardia ai posti avanzati.Siamo in tre bersaglieri,ognuno alla sua feritoia,col proprio fucile e colle bombe a mano.C'è ora però una relativa calma,ed in questi ultimi giorni non abbiamo avuto che pochissimi feriti.Ci accorgiamo che le loro forze vanno illanguidendo.Io sono ormai da parecchio tempo al 3° Bersaglieri Ciclisti fo il mio servizio come gli altri;in più sono il provveditore e l'amministratore dei miei compagni che sono la bellezza di quattrocentocinquanta.Per tutti i servizi che loro reco non sanno come mostrare la loro riconoscenza,io rispondo che accetto un bicchiere di birra quando entreremo in Trieste,perchè a Trieste ci entreranno i bersaglieri e la cavalleria.Io alla testa dei bersaglieri porterò quel tanto sospirato tricolore mentre la musica intonerà la marcia dell'Aida.Di tale prospettiva posso essere contento-ti pare ? E poi mi hanno promesso che il primo prigioniero che si fa me lo regalano.Vedono che ho tanta smania di farne uno ! Non c'è più dubbio,l'Austria avrà la punizione che si merita,la vergogna della loro disfatta-e Oberdan,Battisti,e i martiri di Belfiore e dell'Indipendenza saranno vendicati.E la disfatta sarà anche per la Germania,così avrà termine il militarismo tedesco,e la pace duratura verrà a coronare i nostri sacrifici,le nostre ansie,il nostro dolore.Ora al posto di vedetta dove sono, domino la pianura dell'Isonzo,vedo Doberdò,Duino e Trieste e il mare circondato da un silenzio quasi sepolcrale,rotto ad intervalli da scoppi di granate,shrapnells o bombe-ma ho fatto l'orecchio a tutto questo e non ci fo più caso.

 

Alla mamma.

 

4 agosto 1916.

 

Cara mamma,

........Fra poco ci sarà una grande offensiva e sono più che sicuro di scriverti da Gorizia.La pace è sicura e al ritorno passeremo per Trieste.Allora sarà finita la guerra,l'Austriaco sconvolto,e la calma tornerà a regnare.

 

FINE

 

Ancora un giorno di vita poi Q.85 lo vedrà eroicamente cadere.Il Tricolore è sul suo petto.

 

 

RED

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  • 1 month later...

Cara Sig.ra Paola,

in questi giorni mi chiedo se sogno o son desto

oppure se sono ancora in possesso delle mi facoltà mentali !!!

Perchè ?

Perchè inizio a credere che la lunga schiera dei nostri Eroi aleggia

sopra me !

Fortunatamente non mi sento ancora di essere Napoleone Bonaparte ma,

se continua così, potrei diventarlo !

E' già più d'una volta che gli Eroi sembrano darmi prova di una Loro tangibile

presenza rivelandosi con oggetti od altro a Loro appartenuti !!!

In altra altra discussione rivelerò,(ora non posso e capirà poi i motivi),la "presenza"

di un altro nostro grande Eroe che molto probabilmente il suo eroico parente

combattente in Russia durante la 2^ Guerra Mondiale avrà conosciuto!

Carissima Sig.ra Paola,io devo rivelarLe quella che io credo la PRESENZA

tangibile del nostro amato ENRICO TOTI !!!

Io non sò se Lei ne è informata,ma durante una mia visita fatta in

questi giorni al Museo Navale di La Spezia ho scoperto non un cimelio ma per me

una reliquia di ENRICO TOTI a me rivelatasi inaspettatamente e lasciandomi stupefatto

e commosso per almeno dieci minuti !!!

Questa si trova in una vetrina posta subito sulla sinistra salendo le scale per andare

al primo piano del Museo.

Spero che Lei ed il nostro Direttore Totiano possiate esserne contenti !!!

 

Ecco la "RIVELAZIONE" :

 

Un dente di ENRICO TOTI !!!

smgtodaro1042010006.jpg

 

Così vi è scritto nel bigliettino all'interno della teca :

Noi quì sottoscritti Padre e Sorella di Enrico Toti,Bersagliere Volontario Ciclista

morto sul Carso per la Grandezza d'Italia,attestiamo che il dente quì rinchiuso

fu da noi tolto dagli avanzi mortali del nostro Congiunto e di farne dono al R.Museo Navale.

Nicola Toti - Emma Toti -

 

Quest'ultima parte purtroppo non riesco a leggerla bene :

 

Ricevuto ? alla mia presenza e sigillato con nastri ? del R.Arsenale di La Spezia-

V- Il Capitano di Corvetta

Raimondi ?

 

Cosa dovrò aspettarmi di trovare ancora ?

 

Dopo le mie visite alla Q.85,il mio sostare sul luogo in cui è

caduto,la casuale e fortunata conoscenza di Lei Sig.ra Paola,

l'aver visitato il Sommergibile che di Lui porta il nome ed aver

ritrovato un libro degli anni '20 a Lui dedicato,credo che

ENRICO TOTI abbia voluto così ricompensarmi per averGli sempre

rivolto un affettuoso e riverente pensiero ed io continuerò a ricordarlo

per perpetuarne la Sua memoria affinchè rimanga sempre in Noi la

grandezza e l'esempio di un così grande Eroe !!!

 

Grazie.

 

Le porgo un caro saluto

Sig.ra Paola.

 

Gianni/Red

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Caro Red,

 

prima di tutto La ringrazio per aver postato la fotografia di quella che Lei chiama reliquia.Sono felicissima del dono che ha voluto farci. No,non ne ero a conoscenza e La ringrazio davvero tanto per averci fatto partecipi di questa "scoperta".

 

Non faccio nessuna fatica a credere che Enrico Le sia vicino perchè Lei lo porta nei Suoi pensieri e nel Suo cuore. Senza esaltazione,così...semplicemente. Le racconterò cosa mi accadde la prima volta che salii a Quota 85. Di questo episodio furono testimoni anche altre persone. Per motivi diversi dal semplice viaggio turistico,mi trovai nella zona di Monfalcone anni fa. Essendo lì,ovviamente,nel mio percorso,inclusi la visita al sacrario. Era una mattina di fine estate ma faceva molto caldo. Il cielo era limpido e solo a tratti,in lontananza,si vedeva qualche nuvola solitaria. Ero reduce da un intervento dovuto ad una brutta ferita per la quale avevo perso molto sangue. Ero molto debole ma decisi ugualmente di salire. A metà del percorso,il caldo cominciò a far sentire il suo effetto. Ebbi un improvviso calo di pressione. Fui costretta a sedermi a terra. Chi era con me voleva a tutti i costi tornare indietro ma io ero lì,seduta a terra e pensavo...pensavo: "Enrico,diamine,sono arrivata fin qui,indietro non torno. Ora mi riposo un po'e poi vengo su" Se Le dico cosa accadde Lei non mi crederà ma è la pura verità. Mentre ero seduta,una nuvola coprì il sole. Quell'ombra improvvisa mi fece riprendere lentamente le forze. Mi rialzai e ricomincia lentamente a salire. Poteva essere stato un caso ma non fu di certo un caso che quella nuvola non andò via per tutto il tempo che restammo a Quota 85. La vita,a volte,è misteriosa.

 

Lei accomuna il ricordo di Enrico con quello di un Eroe che probabilmente mio padre conobbe. Se questa persona della quale Lei non dice ancora nulla, fu un ufficiale prigioniero in Russia,allora sicuramente mio padre lo conobbe perchè in Russia vi fu un solo lager per gli ufficiali e fu quello di Suzdal,in siberia. Mia nonna,quando mi parlava di Enrico,del suo carattere,della sua vita,finiva sempre col dire che Enrico e mio padre erano uguali. Finiva sempre col dire: " Sono nati tutti e due di corsa,come chi ha qualcosa di urgente da fare. Che altro potevano essere se non bersaglieri?" e sorrideva. Non ha mai pronunciato la parola "eroe". Per lei,come per mio nonno,che io ricordo perfettamente,lui era semplicemente Enrico. Così l'ho conosciuto io. Semplicemente Enrico,con la sua natura buona,generosa,forte. Esattamente come mio padre,persona alla quale devo tutto quello che ho imparato nella vita di veramente importante. Senza parole,senza "lezioni"...semplicemente con l'esempio.

 

 

Attenderò di conoscere il nome della persona alla quale Lei,caro Red,accenna. I reduci li ho conosciuti quasi tutti e il legame che c'era tra loro è qualcosa difficile da descrivere.Ricordo che quando si riunivano a casa mia,intorno alla tavola c'erano almeno 3-4 medaglie d'oro. Questi uomini sono stati i miei "zii" per tutta la vita e so di essere stata una privilegiata perchè ho attinto alla loro fonte tutto ciò che il mio spirito era in grado di accogliere e comprendere. Forse,un giorno,scriverò un libro sulla storia di questi uomini. Ma non sarà una storia di guerra,sarà una storia d'Amore. Quando anche l'ultimo sopravvissuto ci lascerà,perderemo la possibilità di conoscere intere pagine di storia. Spero che questo non avvenga. Spero di riuscire a portare a conoscenza di tutti alcuni memoriali che non sono mai stati pubblicati e che solo l'amore che questi uomini hanno per la figlia del loro compagno che non c'è più,ha consentito loro di lasciarmi, pur imponendomi un giuramento: mai divulgare le loro memorie. Io mi atterrò a quel giuramento ma,prima che sia troppo tardi,spero di far cambiare loro idea affinchè le loro testimonianze possano essere monito per le generazioni presenti e future. Vedremo...

 

Intanto lascio a Lei,caro Red,e a tutti,un abbraccio.

 

Paola Toti

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18 maggio 1916

 

"Lina carissima,

dopo tanto freddo finalmente la primavera! Ne ricordo tante altre,ma questa ha per me un fascino indescrivibile. Sono a pochi metri di distanza dal nemico e preposto il primo nelle azioni pericolose,mi sento interamente votato al sacrificio,ma sono sereno e sento che questo nasce dal culto di un santo ideale che credo sia il più bel documento dell'animo. Felice d'essere amato da voi tutti,voglio nobilmente ricompensarvi non tralasciando mai di fare il mio dovere..."

Enrico

 

A quasi un secolo di distanza queste parole rivivono nella mente,nel cuore e nello spirito di qualcun'altro. Ieri come oggi,scorrono nello stesso sangue. Se è vero che ogni molecola che noi respiriamo oggi fu il frutto del respiro di altri uomini,in altri tempi,perchè nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma,quanto più il sangue che scorre nelle nostre vene conserva la memoria dei nostri congiunti? Quelle parole erano vere allora e sono vere oggi.

 

Paola

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Bellissime come sempre le lettere di Enrico TOTI,

come trovo bellissimo il Suo pensiero Sig.Paola !

In quelle poche righe,in modo sintetico, il nostro Enrico

ci fa comprendere quali erano le sue codizioni materiali

ed il suo stato d'animo espresso sempre dimostrando l'alto

morale di un vero grande combattente.

"............un santo ideale che credo sia il più bel documento

dell'animo.Felice d'essere amato da voi tutti voglio nobilmente

ricompensarvi non tralasciando mai di fare il mio dovere..."

Quanto contenuto in queste ultime righe !!!

Quanto insegnamento ci danno !!!

Quanto ci danno da riflettere a noi,gente d'un secolo dopo !!!

Eppure io,con mio modestissimo pensiero oggi così mi rivolgo

al caro Enrico :

Quanto abbiamo meritato e meritiamo del Tuo sacrificio e di

quello di tutti gli altri nostri Eroi ?

Un secolo è trascorso dal Tuo donare la vita per la Patria, ed in

questa nostra Italia quanti ideali,quante speranze,quanti sacrifici !

Molti non hanno saputo ed altri non vogliono attenersi allo spirito de

" il più bel documento dell'animo" ,il tuo,scolpito nel Tuo cuore.

Ad esso non hanno saputo e non sanno dare il titolo "PATRIA" !!!

Ma Tu, caro Enrico,con i tuoi scritti,con le tue parole non hai fatto

retorica come spesso oggi si usa.

Con i tuoi atti,fino a quell'ultimo estremo,hai dimostrato,e lo insegni

ancor oggi, quel che vuol dire coerenza,altruismo e vero amore di Patria !!!

E' vero !!!

Hai ricompensati e nobilitati con tutta la tua forza,con tutto il tuo amore,con il Tuo

sacrificio l'Italia, il Corpo dei Bersaglieri e persino i bei Marinai

d'Italia di ieri e di oggi che vanno orgogliosi d'aver avuto

fra Loro un così speciale Solino.

Hai nobilitata e ricompensata la Tua Gente.

Hai nobilitato il tuo nome che rimarrà sempre nella gloria dei Grandi d'Italia !

 

Gentile Sig.Paola,senza timore d'essere accusato di smancerie nei Suoi riguardi

Le dico questo : il Sangue di ENRICO TOTI non ha subito nessuna trasformazione !!!

Esso è vivo e scorre ancora oggi nelle vene dei suoi degni Discendenti che hanno

dimostrato e dimostrano il Loro valore con il sacrificio e l'impegno nei riguardi

della nostra ITALIA !!!

 

Grazie per il suo scritto.

 

Red

 

P.S.: Riguardo la M.O. della quale scriverò,questa credo ebbe residenza a Roma (credo insegnasse) e successivamente in Milano-

Non credo sia difficile che Lei l'abbia conosciuta-

Se così sarà,se vorrà,potrà darci eventualmente qualche notizia.

 

Grazie

Modificato da Red
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La primavera arriva sempre se la portiamo in noi,caro Marco. Ovunque saremo,ovunque il nostro spirito respirerà il profumo della vita,lì ci sarà la primavera. Come chi lascia dietro di sè un lavoro incompiuto per tornare poi a completarlo,non risponderò oggi a Red. Come chi lascia dietro di sè qualcosa di incompleto voglio lasciarvi oggi una delle mie cose più care. Una cosa che fu per me,tanti anni fa il primo,silenzioso,insegnamento di mio padre. Qualcosa che formò il mio spirito ribelle piegandolo alla necessità del dovere. Lo lascerò così...senza commento,come fosse incompleto...come una porta lasciata aperta sull'infinito...

 

Questo encomio solenne fu attribuito al ten.dei bersaglieri Antonio Toti,nipote di Enrico,mio padre.

 

"Prigioniero di guerra, al fine di alleviare le sofferenze degli altri prigionieri, si offriva volontariamente per il traino giornaliero di slitte cariche di legna da ardere, effettuando nella steppa, per tutto l'inverno 1945/1946, un percorso complessivo di circa chilometri 2.700. Tale immane fatica, ostacolata da proibitive condizioni atmosferiche, sopportata con stoica perseveranza, diede i suoi frutti determinando la possibilità di resistenza dei prigionieri durante l'inverno".

 

Campo 160 (Russia)

 

Vi abbraccio tutti con infinito affetto

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  • 2 weeks later...

Caro Red,

Lei scrive: "Quanto abbiamo meritato e meritiamo del Tuo sacrificio e di quello di tutti gli altri nostri Eroi ?"

Le risponderò con le parole di un Uomo. Di un Uomo che percorse 2.700 km,in siberia,a 40° sotto zero,trainando a mano slitte cariche di legna. Pesava 45 kg quell'Uomo,al tempo della sua prigionia. Salvò tanti suoi compagni eppure nessuno lo sa tranne chi visse quella esperienza. Un giorno mi disse: " Ricorda sempre,non dimenticarlo mai,che la tua coscienza è l'unica cosa che ti seguirà quando ti prensenterai davanti al Signore. Fai,sempre,nella vita,solo ciò che l'amore verso la vita,verso gli esseri imperfetti che ti circonderanno,ti comanderà. Non inchinarti mai,nè davanti ai potenti nè davanti alle lusinghe o alle minacce. Non voltarti mai indietro per vedere se altri seguiranno la tua strada perchè essa è una strada solitaria. Sii pronta al sacrificio e non voltarti mai indietro."

Credo sia la stessa strada seguita da Enrico. Egli non si chiese mai se altri avrebbero compreso l'amore profondo che nutriva per tutti,per la vita,per l'Italia. Era così...

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Potrà sembrare forse off-topic quanto oggi posterò ma a leggere oltre le parole,si comprenderà facilmente che quanto scriverò attiene al sangue di Enrico Toti e a pagine di storia dimenticate o affatto conosciute. Quello che segue è quanto scrissi tempo fa a futura memoria di quanti,lasciando questa vita,hanno scritto pagine di eroismo assoluto nel più assordante silenzio. Anche questa è una faccia di quell'assordante silenzio che intendo squarciare urlando qui e altrove la storia dei figli più belli d'Italia.

 

Il Giuramento dei Disperati:

 

"Potrebbe sembrare la trama di un film di guerra. Di quelli che ti tengono incollato allo schermo, col fiato sospeso,in attesa che il bene trionfi sul male e che la Vittoria arrida ai giusti ma non lo è. E' la storia, terribile, amara, epica, eroica di 50 Uomini. Cinquanta uomini che la storia ha volutamente dimenticato ma si sa: la storia, quella con la "s" minuscola, è sempre scritta dai vincitori.

Non tentiate di dar loro un colore politico poichè l'unica divisa che vestirono fu quella da ufficiale del Regio Esercito Italiano e solo ad essa furono, fino alla fine, fedeli.

Nè rossi, nè neri, nè grigi... solo Uomini!

 

Le lunghe, terribili marce del Davai di funesta memoria, riportano alla mente di chi conosce la storia del corpo di spedizione italiano in Russia durante la seconda guerra mondiale, le atrocità che durante quelle marce furuno perpetrate ai danni dei prigionieri. Dove non riuscì il freddo delle temperature siberiane a decimare quel che restava del corpo di spedizione, pensarono gli aguzzini che, con un unico colpo alla nuca, abbattevano chiunque, stremato, cadesse al suolo.

Coloro che ebbero la ventura di giungere, dopo queste marce, nei vari lager sovietici, non erano più uomini ma l'ombra di se stessi.

 

Scrive Bruno Cecchini, prigioniero anch'egli nel famigerato campo 160 di Suzdal, nel suo " Memorie di un celoviek bersagliere":

 

"Un dì, non di festa ma qualunque, anche il c.b. (Celoviek Bersagliere) venne convocato alla Kommandantura. Ad attenderlo tre illustri personaggi: un russo noto non per le sue mongole sembianze ma per le sue mostrine azzurre (agenti dell'NKVD, l'attuale KGB); un Tizio che parlava in un italiano dialettale... un Caio impassibile, compunto, un non-parlatore nato..."

 

Ebbe inizio così il primo di una lunga serie di interrogatori!

In realtà cosa volevano quei tre? Volevano che il celoviek bersagliere firmasse un appello perchè i russi potessero cedere Trieste alla Jugoslavia di Tito, volevano che firmasse l'abiura al giuramento di fedeltà alla Patria e al Re per essere assimilato alla scuola sovietica in cambio della vita e della libertà".

 

"Tu non firmare, da? E tu non tornare in Italia."

"Fascist caput, niet firmare, niet Italia,capito?"

"Io non firmo proprio niente; niet, niet firmare, non firmo,capite?"

"Che pretese! Disse a sè stesso, ma a voce alta il celoviek bersagliere uscendo dalla Kommandantura. Pazienza diventare in un solo giorno bandito, invasore, fascista, capitalista, ma anche agente immobiliare di una intera città, questo è troppo anche in Russia! E quante firme sotto quell'assurdo e ridicolo appello!"

 

Fu così che i tre si convinsero che il celoviek bersagliere era un reazionario fascista!

Proprio non ci stava il prigioniero celoviek bersagliere a cedere pezzi d'Italia ai russi; a farsi dire cosa e come pensare; a farsi prendere anche l'anima.

Chissà se lo avranno capito mai cos'è veramente un ufficiale dei bersaglieri i cosacchi del Don.

E fu così che il celoviek bersagliere, che non volle firmare, firmò la sua condanna a morte.

 

"Nel vialetto, che familiarmente i celoviek chiamano "dei passi perduti", incontra, e non a caso, il colonnello comandante del Terzo: "Tenente, com'è andato il colloquio? E' stato duro?"

"Signor colonnello sa cosa volevano che firmassi? Pretendevano di farmi sottoscrivere un appello per dare Trieste a Tito, alla Jugoslavia, nient'altro. Soltanto Trieste ai compagni slavi; quisquilie, coserelle da poco; non Forlimpopoli, no, no, proprio Trieste. E quando, seccato, ho risposto loro che non firmavo un bel niente, sa,signor colonnello, cosa mi hanno risposto? Niente firmare, niente Italia; proprio così. Che vadano all'inferno tutti e tre:russi, mezzi russi e delatori".

"Tenente, resti per tutta la prigionia, e sempre, solo un ufficiale del Terzo... Comunque mi dia la mano, tenente; gliela stringo con affetto e orgoglio. E non si meravigli se prima o poi le chiederanno di vendere oltre Trieste, la nostra Italia, il corpo e l'anima, noi stessi."

 

 

"La vita nel lager si fa sempre più dura e ossessionante; la speranza ci lascia, la gente ha paura, la fede vacilla e gli ideali, i valori, la dignità, la legge sviliti e dimenticati. La resistenza a certi soprusi, a imposizioni folli, a lusinghe meschine sempre più debole e rara. Non parliamo poi del morale, che è a pezzi; della fame, che è tanta; della paura, che è grande.

Che si fa? Cosa possiamo fare? Chiese il celoviek bersagliere al suo compagno." Io ho già preso la mia decisione; decisione irremovibile, estremamente pericolosa, terribile anche, ma che mi sprona e mi dà pace alla mente e al cuore. Ascoltami bene, amico mio, e se riterrai di condividerla, dopo averci pensato e ripensato, me lo farai sapere; altrimenti dimentica tutto finchè saremo prigionieri. Si tratta di restare sempre e comunque, anche di fronte alla morte, soltanto fedeli alla nostra Patria e al giuramento fatto al Re, nient'altro; anche a costo di non uscire mai più da questo inferno. Per me solo il legittimo governo italiano può sciogliermi da quel giuramento fatto al termine della scuola ufficiali, nessun altro. Mai! Perciò niente nuovi giuramenti in terre straniere, tanto meno appelli per questo o per quello; niente altro di niente. Solo prigionieri e basta fino al nostro ritorno in Patria e con la nostra dignità immacolata, col nostro onore di soldati, fedeli fino alla morte alla nostra sacra promessa e al 3° Bersaglieri".

Quella notte il celoviek bersagliere non dormì affatto. Pensò e ripensò. La sera dopo incontrò, nel solito angolo buio del campo, l'amico e guardandolo in viso disse: "Solo prigioniero e basta, fino al nostro rientro in Patria o alla morte; lo giuro come ufficiale del Terzo davanti a te e al nostro Iddio, lo giuro".

Ancora uno sguardo negli occhi, un saluto militare, una lunga, forte stretta di mano e via con una incrollabile fede nel cuore, con un coraggio più grande, con la mente e l'anima in pace."

 

A quell'incontro altri ne seguirono, altri giuramenti, altre strette di mano.

Passarono i mesi, gli anni e si giunse alla fine della guerra. La tradotta che doveva riportare i prigionieri in Patria era lì davanti a loro che aspettavano tutti in fila l'appello per potervi salire. Ma... uno.. due... tre... cinquanta furono i nomi che vennero saltati nell'elenco, destinati a non fare mai più ritorno in Italia, condannati a morte in quell'inferno di ghiaccio.

 

Continua Cecchini: "Purtroppo tra coloro che così meschinamente sono stati puniti si notano i volti di nostri cari amici, considerati i duri del lager; quelli che mai sono scesi a compromessi con i russi e assimilati, che non hanno mai firmato niente di niente, che in tutto il periodo di detenzione mai hanno detto un si a nessuno. Altro che reazionari, altro che fascisti, o gentaglia misera e trista, migliori e peggiori compresi! Sono uomini, uomini veri quelli, fulgidi esempi di cittadini e di soldati che emergono dalla grigia uniformità e si elevano sulla massa indistinta e anonima; personaggi rari, inflessibili, integerrimi e incorruttibili, la cui regola di vita, immutabile da qualsiasi evento o contrarietà o sacrificio, è la dignità e l'onore, l'inviolabilità del prestigio della Patria,dell'Italia.

 

Eccoli i trattenuti; annota Storia vera, ricorda Madre Patria:

 

Clerici Ernesto, Baradel Giorgio, Guarnieri Pietro, Radaelli Mario, Camino Ugo, Chini Luigi, Moangone Orazio, Pontieri Salvatore, Bracci felice, Verrastro Vito, Girometta Carlo, Moccellin Mario, Fiaschi Sergio, Veliconia Sigfrido, D'Auria Michele, Boero Mario, Mangini Giovanni, Marabotto Giuseppe, Camerino Alberto, Corcione Domenico, TOTI ANTONIO, Sandali Rodolfo, Cecchini Bruno, Torriani Carlo, Bonadeo Agostino, Caneva Carlo, Giannone Mario, Naso Antonio, Barberino Romeo, Malgarini Disma, Bosello Mario, Capodaglio Vero, Caffi Francesco, Bertoli Corrado, Petillo Salvatore, La Martina Rosolino, Ebene Desiderio, Paolozzi Vittorio, Quarti Marino, Pignone Roberto, Ottavianelli Mario, Cupidi Walter, Fusco Massimo, Gherardini Gabriele, Lanza Dario, Malaguti Augusto, Fulgente Astro, Lionetti Carlo, Perra Aldo, De Felici Angelo.

 

Negli occhi di chi si accingeva a lasciare quell'inferno gioia immensa, felicità grande e un poco di tristezza per gli infelici compagni puniti che non sarebbero tornati in Italia con loro. Negli occhi di chi restava solo impassibilità glaciale, durezza e fierezza insieme. Nient'altro in verità, per la verità, nel rispetto dei vivi e nel sacro ricordo dei morti, nel linguaggio dei santi e in quello dei peccatori.

Un ufficiale del Terzo che partiva, prima di sparire dietro l'angolo del cortile gridò: "Arrivederci amici; se la fortuna ci consentirà di arrivare in Italia urleremo a tutti, grideremo ai quattro venti chi sono i rimasti, perchè vi hanno trattenuti, chi è stato a farvi restare; ve lo giuro, a nome di tutti noi e sul mio onore, ricordatelo".

Mantenne la promessa!

 

Tra i 50 irriducibili che non si piegarono mai e mai tradirono il giuramento di fedeltà alla Patria c'era ANTONIO TOTI, mio padre, nipote di Enrico Toti. La memoria di chi fu testimone oculare di quella immane tragedia ci ha tramandato che egli fu degno fino alla fine del nome che portava e che, emulo del suo antenato, lanciò il cuore e l'anima oltre la coltre di ghiaccio in nome dell'Italia.

 

"Io non firmo, io sono un ufficiale del Terzo Bersaglieri!"

 

La fortuna aiuta gli audaci,si dice. Antonio Toti riuscì a tornare in Italia nel luglio del 1946 dopo un'odissea senza fine. Come diceva sempre Lui: " Avevo ancora troppe cose da fare per restare a segnare,come un tumolo nero,il bianco infinito della steppa."...e sorrideva mentre in quei suoi occhi verdi si sovrapponevano l'abisso infinito della sofferenza e la tenerezza di un amore altrettanto infinito.

 

 

antoniototi2final1.jpg

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Anche questa è una piccola goccia del sangue di Enrico.

 

Don Enelio Franzoni,cappellano di guerra,Medaglia d'Oro al Valor Militare,mio carissimo,indimenticabile "zio" del tempo che fu. In ogni parola di chi sofferse la prigionia,la guerra e le sue atrocità,non mancò mai il ricordo di tutti coloro che furono fratelli nella sofferenza anche se su fronti contrapposti. Per essi non ci fu mai,nè mai ci sarà,la necessità di doverlo ribadire: le loro atroci sofferenze avevano costruito un ponte ideale che univa e non separava un uomo da un altro.

 

antoniototipolascuoladi.jpg

 

"Cosa non pagherei per incontrare oggi i soldati russi che via via si sono susseguiti a farci la guardia nella nostra prigionia! Magari qualcuno ha scritto le sue memorie; che idea si saranno fatta di noi?!Chissà dove sono quelli che ci scortarono nel novembre ‘43 da Oranki, campo 74, a Sussdal,campo 160. Il viaggio in carrozzone bestiame non era stato particolarmente disastroso; pane e acqua e pesce salato credo non ci sia mancato, tanto é vero che non ho memoria di morti; mi pare arrivammo tutti (due-trecento?) alla stazione di Vladimir. Vivi sì ma non in grado di affrontare una marcia di 30 chilometri circa per arrivare a Sussdal. Protestare non serve; appellarci al commissario politico Fiammenghi che aveva fatto il viaggio con noi, tanto meno; mettiamoci in marcia e Dio provvederà, non sarà la fine del mondo; ci hanno detto che si tratta di un’ora o poco più. La notte nera; facile sbandare sul fondo ghiacciato. Ricordo la protesta vostra, Colonnello Zingales, alta, stentorea, provocatoria; io ammirai il vostro coraggio.

Ammirai anche chi volle infonderci coraggio intonando a piena voce una canzone; noi di canti ne sapevamo tanti; se riusciamo a formare un bel coro, il tempo passa in fretta. “Mamma son tanto felice - perché ritorno da te - la mia canzone ti dice - che é il più bel giorno per me...”

Su, forza! ma cosa succede?! Ho ancora dentro una delle mie sofferenze più atroci: dopo due battute il canto si é spento in una stonata disgustosa,come quando negli organi a mantice all’improvviso s’interrompe l’aria. No, non possiamo mentire; non siamo felici e nostra madre é tanto lontana e chissà se torneremo a vederla. Ne seguì un silenzio, amaro, totale; chi protestava non protestò più, chi cadde non gridò; ognuno si strinse dentro l’improvvisa ferita che quel canto involontariamente aveva aperto. Ricordo benissimo uno disteso sulla strada: chissà in quanti lo avevano pestato; quando gli arrivai vicino d’istinto mi chinai per baciarlo... “questo bacio te lo dà tua madre”. Ma ricordo un’altra cosa: che taceste anche voi, soldati della nostra scorta. “Davai davai bistrà” era il vostro grido: ma in quel momento smetteste di gridare. Rivivendo adesso quell’ora, ho l’esatta sensazione che voi avevate capito il tema del canto e il motivo del nostro silenzio. Mamma per voi é “mama”! E voi sentiste che cantavamo alla mamma e ne foste feriti profondamente con noi; anche vostra madre era tanto lontana. E vi prese certamente una grande ira perché eravamo venuti a tirarvi fuori di casa. Ma non gridaste; più dell’ira fu lo sgomento di fronte al mistero che ci appaiava a camminare, vincitori e vinti, in quella notte nera, l’uno accanto all’altro, uniti dalla stessa pena. L’asprezza della marcia, che si protrasse fino al mattino, ci impedì di piangere. Quando nel maggio di quest’anno ci siamo trovati, superstiti del campo 160, abbiamo pregato Toti perché ci cantasse il canto popolare russo “Mama”. Toti ha ancora oggi una pastosa voce baritonale. La musica é splendida ed anche le parole: “...Mamma: non ci sono occhi più luminosi, mamma: non c’é parola più dolce - carasciò mne szit stòboi mama rodnaia - é bello per me viverti accanto, mamma che mi hai dato la vita. - skolko nociéi sogn moi bereglà - quante notti hai vegliato il mio sonno - ora ti vedo vecchia - ora sarò io a vegliare te – mamma...” Nella sala d’incanto si sono cancellati gli anni trascorsi e ci siamo ritrovati nella notte di Vladimir-Sussdal. Si é fatto il silenzio di allora e questa volta abbiamo pianto. Se mi vedete passare per la strada e non vi saluto dite pure che sono distratto: può darsi che in quel momento mi stia ricantando “mama”. Me lo ripasso tante volte anche se mi fa soffrire; potrei far sentire anche a voi quelle dolcissime note; non avete che da chiedermelo! Può darsi che non riesca ad arrivare alla fine; per colpa del groppo alla gola. Adesso mi accorgo di aver fatto una grossa dimenticanza; non ho ancora cantato per le mamme dei soldati della nostra scorta di quella notte nera. Intono subito adesso: “Mama niet glaz iarciei miliei...”

 

Mia madre mi raccontò di questo primo raduno dei reduci dalla Russia e mi descrisse esattamente la scena che si presentò ai suoi occhi e che don Franzoni menziona in questi suoi ricordi.

La natura bacia a volte alcuni esseri. Ad Antonio Toti aveva fatto regali a piene mani. Oltre la sua intelligenza profonda,il suo carattere forte e gioioso insieme,lo aveva dotato di una incredibile bellezza dei tratti che rispecchiava la bellezza interiore. A tutto questo si univa una voce calda e profonda. Classe 1921,era tra i più giovani ufficiali del campo 160 e tutti lo amavano poichè con la sua voce aveva regalato loro brevi attimi di spensieratezza. Pochi sapevano che dalla Russia era riuscito a tornare; lo credettero morto fino al raduno di Bologna. Nel grande salone ricevimenti un gran vociare. Abbracci e lacrime per chì si ritrovava per la prima volta dopo il rientro in patria. Don Franzoni vide arrivare mio padre e gli disse: " Antonio,loro non sanno che sei vivo,che sei qui. Facciamo una presentazione speciale? Nasconditi dietro la porta d'ingresso. Io farò tacere tutti e tu,quando sarà fatto silenzio,intona,ti prego,la nostra canzone." Così fecero. Quando nel salone,all'invito di don Franzoni,calò il silenzio...senza musica,nel silenzio assoluto,una voce cominciò a cantare la canzone "mama". Per qualche attimo il silenzio si fece ancora più profondo,poi la sala esplose in un boato: TOTIIIIIIIIIIIIII...urlarono tutti insieme. Per il resto della vita mia madre ricordò quei momenti e ogni volta gli occhi le si riempivano di lacrime.

 

 

La notte nera sarà dentro di noi fin quando sentiremo la necessità di ricordare a noi stessi e ad altri che tanti caddero per la loro Patria e tutti sono degni in egual modo di rispetto. Questa necessità denuncia la nostra incapacità di gettare il cuore e l'anima oltre l'ostacolo,oltre la trincea,per abbracciare il mondo intero.L'incapacità di abbattere il muro delle divisioni e dei confini. Non la storia ma la nostra umanità deve insegnarci il rispetto per le sofferenze di qualunque essere umano,su qualunque fronte,in qualunque epoca,in qualunque contesto. Ieri come oggi,sempre.

Modificato da Totiano
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La notte nera sarà dentro di noi fin quando sentiremo la necessità di ricordare a noi stessi e ad altri che tanti caddero per la loro Patria e tutti sono degni in egual modo di rispetto. Questa necessità denuncia la nostra incapacità di gettare il cuore e l'anima oltre l'ostacolo,oltre la trincea,per abbracciare il mondo intero.L'incapacità di abbattere il muro delle divisioni e dei confini. Non la storia ma la nostra umanità deve insegnarci il rispetto per le sofferenze di qualunque essere umano,su qualunque fronte,in qualunque epoca,in qualunque contesto. Ieri come oggi,sempre.

 

non c'è altro da aggiungere...

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Gentile Goccia,

ho letto questi suoi ultimi scritti che ci raccontano

dell'umanità delle sofferenze e della fermezza del suo babbo.

A leggere queste storie è per me difficile non avere un momento

di commozione e di graditudine nei confronti del Suo Genitore

e di tutti gli altri che come Lui soffrirono in quella brutta avventura "regalata"

agli Italiani !!!

Come ben sa,molti di coloro che ritornarono da quell'inferno bianco,si portarono

e si portano nell'animo e nel corpo i segni incacellabili delle sofferenze subite

e sopportate.

Ho conosciuto un bersagliere,quì nella mia zona,che fu in Russia e che prese parte

a cruenti combattimenti;parlare di guerra alla sua presenza diventava cupo e taciturno.

Diceva poche parole persino quando alcuni suoi amici, combattenti insieme a lui,

rievocavano i tragici fatti trascorsi insieme.

Eravamo amici,ed un giorno,giacchè si era offerto volontario a servire al banco del bar

di un oratorio,gli chiesi una grappa;si rifiutò di servirmela ed io rimasi interdetto !

Gli chiesi del perchè del suo comportamento.

Egli gentilmente mi rispose di non chiedergliela più ed eventualmente farmela servire

da un'altra persona.Qualche tempo dopo mi spiegò il motivo del suo rifiuto.

Mi disse :" Vedi Gianni,sono stato prigioniero in Russia,e mi hanno lavato dentro e fuori

con il Vodca,da allora non sopporto più neanche l'odore della grappa!"

Altra storia mi fu raccontata da un proprietario d'albergo ad Asiago,alla cui entrata

vi era in bella mostra un proiettile di cannone della 1^G.M.-

Questi era militare in Albania e mi disse che al suo Reparto,non si sa come,venne a mancare

la Bandiera;per punizione tutto il Reparto fu inviato in Russia.

Poi diventò taciturno !

Altri reduci della Russia ho incontrati;molti erano mutilati ai piedi per congelamento ed i più

erano Alpini !

Chissà quante storie ancora sono rimaste sconosciute per il non volerle raccontare,o forse

meglio, per il non riuscirci a causa d'essere stati testimoni di fatti cruenti e vittime di sofferenze

atroci!

Molte storie restano sconosciute a noi,come era quella di Suo padre che a leggerla lascia senza parole !!

Da quella storia si ricavano molti insegnamenti ed esempi che tutti dovremmo seguire senza

appunto chiedersi se l'amore dato sarà apprezzato,riconosciuto od almeno ricordato !!!

Oggi,tramite Lei in questo Forum, abbiamo avuta la possibilità di conoscere un altro Uomo

che per il suo amore verso la Patria ed il suo prossimo ha dato tutto se stesso.

 

Onori a Lui !!!

 

Sempre grazie Sig.ra Paola

 

Un caro saluto.

 

Red

Modificato da Red
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Un antico detto degli indiani d'america,popolo dal quale credo ci sarebbe molto da imparare,recita così: "Non è come vivi ma come muori che dice a quale popolo appartieni." Qualcun altro affermava che "qualunque imbecille può,in un attimo,compiere un atto eroico ma se vuoi valutare la vera grandezza di un uomo,guarda alle sue azioni quotidiane." Questi due aforismi calzano a pennello sia ad Enrico che ad Antonio Toti. Per questo trovo limitante ricordare Enrico solo per il suo gesto finale ed è per questo che oggi ho deciso di rendere pubblica una parte della vita di Antonio Toti. Forse un giorno scriverò la sua storia. Sa,caro Red,nelle pagine ormai ingiallite della nostra storia passata mancano passi importanti. Qualcuno li ha volutamente strappati via. Allora,pazientemente,bisogna riscriverle quelle pagine per onorare chi fu dimenticato perchè "scomodo". Sa, Red,non basta dire "ho fatto la guerra","sono stato prigioniero in Russia". Mio padre mi diceva sempre che la guerra è una cosa terribile e che essa porta a galla il meglio e il peggio degli esseri umani.Ci furono atti di grande eroismo e atti di infima viltà. Ricordo Loris Nannini,ufficiale pilota,prigioniero anch'egli nel campo 160. Nannini fu ricordato da don Franzoni nelle sue memorie per aver,in un interrogatorio,scaraventato la scrivania addosso a Krusciov che all'epoca era commissario politico e che voleva a tutti i costi sapere dove fossero le linee italiane. Krusciov,divenuto capo dell'Unione Sovietica,in più occasioni ufficiali chiese di poter ritrovare quell'ufficiale italiano che " molto onore ha fatto all'Italia". Voleva stringergli la mano ed invitarlo come suo ospite in Russia poichè egli aveva ammirato il coraggio di questo italiano e non lo aveva mai dimenticato. Nannini non rispose mai a quell'invito. Non si fece mai trovare e mai sarebbe tornato in Russia. Lo incontrai ad un raduno. Un uomo alto e fiero. Avvicinandosi a mio padre,lo abbracciò forte e poi mi disse: " Se sono qui oggi,ricordalo sempre,lo devo a tuo padre che,per ben due volte,mi salvò la vita." Nannini, per il suo coraggio non ebbe mai alcun riconoscimento dallo Stato italiano eppure passò molto del suo tempo alla Lubianka subendo torture indicibili ma non rivelando mai dov'erano le linee italiane. Quando giunse al campo 160 fu sottoposto agli interrogatori notturni. Mio padre che al liceo traduceva dal greco al latino senza passare per l'italiano,aveva imparato perfettamente il russo in pochissimo tempo e veniva chiamato come interprete in questi interrogatori sfiancanti. La prima volta che salvò la vita a Nannini fu proprio durante uno di questi interrogatori. I russi facevano domande e Nannini rispondeva con invettive pesantissime. Mio padre era costretto ad inventarsi le risposte per non farlo fucilare e ci riuscì. La seconda volta,Ninnini,preso da un momento di disperazione,una notte uscì dal ricovero nel quale si trovavano e si arrampicò su un palo,deciso a rimanere lì i minuti necessari perchè giungesse la morte a liberarlo.Pochi minuti a 40° sotto zero sarebbero bastati. Mio padre lo seguì fuori e arrampicatosi su una scala tentava di convincerlo a scendere e rientrare ma Nannini era deciso a non mollare. "Se non scendi resto anch'io qui. Vuoi che muoia anch'io? Non pensi a tua madre che in Italia aspetta il tuo ritorno?" A quelle parole Nannini lentamente cominciò a scendere e,insieme,tornarono al riparo. Qualcun'altro,per una patata,vendette ai russi questi uomini eppure,mi creda,in tutta la mia vita non ho mai sentito da nessuno di loro una sola parola contro chi,italiano anch'egli,tradì il proprio sangue per sopravvivere. Non immagina,caro Red,quanto io conosca bene le sofferenze di questi uomini ma quanto,altrettanto bene,io ricordi gli occhi di mio padre che,seppur velati di una tristezza intima,profonda,taciuta,avevano lampi di gaiezza quasi infantile nel guardare il mondo e le sue meraviglie. Credo che da quella notte nera fosse nata e maturata in loro la vera gioia di vivere. Fatta di nulla,fatta di poco. Un bacio,un sorriso,un gesto che facesse loro capire di non essere soli a portare quel bagaglio pesante ma che ci fosse qualcun altro disposto a cercare di capire e di bucare quella solitudine profonda che annichilisce chi sa di portare in sè qualcosa di incomunicabile per la comprensione altrui. Qualcosa che solo un amore profondo può permettere di condividere. Ormai sono rimasti in pochi e quando uno di essi si spegne,si spegne una delle fiaccole che hanno illuminato la storia d'Italia lasciandoci tutti un po' più al buio,un po' più soli.

 

Ho sempre evitato di pubblicare le fotografie di Antonio Toti su internet perchè so che si possono copiare e la cosa non mi piace.Se mi dite come si può fare mi farà piacere donarvele.

Paola

 

PS

Se ci sono errori,perdonatemi ma non ho il tempo di correggerli. So che sarete clementi.

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Grazie Paola...

 

Ho sempre evitato di pubblicare le fotografie di Antonio Toti su internet perchè so che si possono copiare e la cosa non mi piace.Se mi dite come si può fare mi farà piacere donarvele.

Paola

 

L'unico modo per proteggerle, ancorche parzialmente, è di usare dei watermark (sono delle scritte semitrasparenti) in modo che la foto, cosi "storpiata" sia immediatamente riconoscibile.

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Caro Odisseo,

non deve ringraziarmi. Sono io che ringrazio Lei che ha dedicato un po' del suo tempo a questi Uomini leggendo la loro storia. Come dice un caro amico. " Ogni persona che verrà a conoscenza della mia storia mi allungherà la vita di un giorno." Lei,leggendo, ha reso il ricordo di questi Uomini un po' meno "oscuro". Io non sono niente. Sono solo un mezzo. E' a tutti coloro che hanno illuminato il nostro cammino che dobbiamo la nostra riconoscenza. A loro e nessun altro. Me compresa.

L'abbraccio...

 

Caro Marco,ho compreso a quali immagini trasparenti ti riferisci. Ne feci apporre una su una foto del cippo commemorativo di Enrico a Monfalcone ma...non sarei in grado di farlo. Se mi lasci un indirizzo email te le invierò chiedendoti la cortesia di modificarle tu stesso. Qui non riesco ad inviartele.

 

Un caro abbraccio a tutti.

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Caro Marco,ho compreso a quali immagini trasparenti ti riferisci. Ne feci apporre una su una foto del cippo commemorativo di Enrico a Monfalcone ma...non sarei in grado di farlo. Se mi lasci un indirizzo email te le invierò chiedendoti la cortesia di modificarle tu stesso. Qui non riesco ad inviartele.

 

pubblico una prima foto inviatami da Paola (che ringrazio per la fiducia) con preghiera di confermarmi se apposizione e testo sono corretti

 

antoniototipolascuoladi.jpg

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Marco,so di chiedere molto alla tua pazienza e al tuo tempo. Se fossi capace lo farei io ma...vorrei che quella col cappello piumato fosse aggiunta al post de " Il giuramento dei disperati", l'altra...vi posto due cose che scrissi tempo fa. Una riguarda un articolo che fu scritto nel 1946 ed è un'intervista a mio padre appena tornato dalla Russia nella quale si parla di un alpino impazzito. Il secondo post che scriverò è dedicato a mio padre e ad un "bandiera bianca". E' nel secondo post che vorrei tu mettessi la foto senza cappello. Aveva solo 18 anni in quella foto ma ogni volta che la guardo è come se vedessi in quegli occhi già il marchio della tragedia che lo aspettava.

 

Grazie Marco e...scusami per il disturbo che ti sto arrecando.

 

Paola

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MILANO 1946:

 

"Deve tornare un alpino impazzito dal campo di Krinowaia.

 

Questo ce lo ha detto, nella caserma dell'ex Savoia cavalleria,il sottotenente Antonio Toti,di Formia,un piccolo sottotenente dagli occhi chiari,rientrato in questi giorni dalla Russia col gruppo di 46 ufficiali. E' stata l'ultima cosa che ci ha detto,perchè prima ci ha parlato di Formia,dove non sa se la sua casa è in piedi,se sua madre è ancora viva. Dall'11 settembre 1942,da quando è partito per la Russia,lui non sa se la sua casa è in piedi,se sua madre è viva: sono esattamente millequattrocentodiciannove giorni ( li ha contati lui) che non lo sa.

 

L'alpino impazzito dovrebbe tornare tra poco. Dopo di lui,dicono questi ufficiali,non tornerà più nessuno. Gli altri rimangono tutti in Russia,perchè sono morti. Se c'è qualcuno che non ha il coraggio di far dire una messa, la faccia dire tranquillamente: non è per un vivo ma per un morto. Non li ha falciati la guerra,li ha falciati la prigionia russa. Quelli che sono tornati lo sanno,quelli che sono qui ad aspettare e a discutere non capiscono nulla. Non capiscono o non vogliono capire.

 

L'alpino è impazzito nel campo di Krinowaia. La cucina del campo era trincerata da russi armati di bastoni. L'ordine era di menar bastonate al primo tentativo di assalto. Perchè un tentativo c'era stato e qualcuno ci aveva rimesso la pelle: i russi miravano alla testa. Senza dubbio i russi miravano bene. Ma la fame non può rendersi conto di certe cose,la fame è soprattutto piena d'illogicità. Ci fu un soldato, nel campo di Krinowaia, che mangiò due saponette. Quel soldato morì di saponette invece che morir di fame; ma la fame s'era divorata la sua logica. Non c'è niente da fare, ha detto il piccolo ufficiale dagli occhi chiari: è giusto. Allora gli uomini affamati del campo di Krinowaia,gli uomini diventati illogici,cominciarono a mangiarsi tra loro.Questo è stato già detto,questo si sa già: c'è chi non ci crede,perchè dopotutto non credere a una cosa mostruosa fa sempre comodo. E' come se quella cosa non fosse avvenuta. Fra poco,del resto,tornerà l'alpino impazzito.

 

Questo alpino aveva un fratello con sè,nel campo di Krinowaia. Erano in due,parlavano sempre,non si capiva di che cosa dovessero sempre parlare. Stavano appiccicati dalla mattina alla sera,possibilmente anche durante i lavori d'obbligo,che era come dire lavori forzati:se uno aveva più fame dell'altro, quell'altro gli cedeva una parte della sua zuppa di <<cascia>>. Si erano isolati loro due nell'inferno. I compagni li guardavano un pò di traverso, come se ne avessero una certa diffidenza, e continuavano a mangiarsi tra loro. Aspettavano che uno morisse, era una cosa che succedeva tutti i giorni.

 

Un giorno il fratello dell'alpino si ammalò. Dopo 24 ore morì e l'alpino si caricò il cadavere sulle spalle e rimase in piedi tutta la notte contro un muro guardando i compagni che facevano finta di dormire. E i compagni facevano finta di dormire, ha detto il sottotenente, per paura di quell'uomo solo che reggeva un cadavere sulle spalle. L'alpino era deciso a difendere il cuore di suo fratello, qualunque cosa gli costasse. Poi, verso l'alba,vennero in due e riuscirono a persuaderlo. Gli dissero che non era il caso di rimanere in quel modo,che bisognava togliere il morto di mezzo,che si sarebbero incaricati loro di seppellirlo. Forse glielo dissero dolcemente,con una bontà inconsueta. O forse l'alpino era stanco:stanco di quella notte, stanco di quel dolore, stanco di quella mostruosa paura. Fatto sta che cedette,consegnò il cadavere di suo fratello e si lasciò andare disteso per terra,in mezzo ai compagni che adesso lo guardavano. Lui non li guardava più.

 

Tre giorni dopo qualcuno gli disse che nella zuppa di <<cascia>> aveva mangiato un pezzo del cuore di suo fratello. Per questo l'alpino è impazzito. E i capelli gli sono diventati tutti bianchi. Non fa impressione,ci ha assicurato il sottotenente,è un pazzo tranquillo,mansueto,docile,silenzioso: se mai fanno impressione quei capelli tutti bianchi sul viso di un ragazzo. Fra poco deve tornare. Tornerà con un ufficiale.

 

Il piccolo sottotenente dagli occhi chiari,Antonio Toti di Formia ci ha raccontata questa cosa per ultima. Dopo è partito per Formia. Aveva molta fretta: dall'11 settembre 1942,erano esattamente millequattrocentodiciannove giorni che non sapeva se sua madre era viva. Fai o Signore, che i suoi occhi chiari la vedano sulla soglia della vecchia casa".

 

" Quando finì lo schianto dei cannoni

 

nello spesso silenzio

 

ascoltavo il mio cuore rifiutato

 

reiterare le offerte

 

alla luce dei razzi

 

l'amico morto incredulo ammiccava

 

-conosceva l'inganno-

 

Ci sono luoghi

 

dai quali i vivi e i morti

 

non possono tornare.

 

Ci sono silenzi terribili."

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Ritrovai la pagina del giornale con l'intervista che ho appena pubblicato tra i documenti di mio padre,dopo la sua morte. Lo lessi e rilessi mille volte. Non accadeva tutti i giorni ciò che è descritto in quell'articolo ma di certo ci furono diversi episodi. Ritrovare quella storia mi riportò alla mente ciò che descrissi nel post che segue. E' interamente dedicato a Lui ed è,profondamente,dolorosamente,mio.

 

A mio Padre

 

"Ricordo, e lo ricordo perfettamente il giorno in cui, per la prima volta, mi parlasti di un ragazzo dai capelli tutti bianchi, papà.

Ricordo che eravamo seduti sul terrazzo di casa in un afoso pomeriggio d'estate e, come spesso accadeva,io e te, mentre gli altri riposavano, ce ne stavamo a parlare di mille cose. Noi, così taciturni con gli altri, diventavamo ciarlieri insieme. Mi piaceva ascoltarti, non era facile ascoltarti a volte ma io e te riuscivamo sempre a trovare un momento per comunicarci i nostri pensieri. Ero per te come quel figlio maschio che non avesti mai e mai ti sentii dire: "Figlia, questo non lo puoi fare perchè sei donna". Mai ponesti limiti al mio essere anche se io sentivo la tua presenza vigile che guidava i miei primi passi di donna. Era una presenta forte ma discreta che non faceva male. Il nostro essere padre-figlia fu sugellato da un patto di libertà e rispetto che non avemmo bisogno di pronunciare mai. Quel giorno,ricordo,mi parlavi dei miti greci,degli Eroi omerici e quando giungesti a raccontarmi di Enea sceso nell'Ade, per la prima volta mi raccontasti di come un uomo può incanutire improvvisamente. Non so perchè ma quell'immagine mi faceva sorridere,mi sembrava il frutto di un'immaginazione troppo fertile ma poi, guardandoti, mi accorsi che tu non sorridevi più. Come quando, e spesso capitava, un pensiero metteva le ali al tuo cuore e, improvvisamente non eri più lì ma in chissà quale luogo della tua memoria. Un luogo in cui nessuno poteva seguirti ma che solo a tratti mi permettevi di scrutare da lontano. Oggi so perchè non mi portasti mai veramente a visitare quel luogo. Il tuo amore di padre volle difendermi da immagini troppo difficili da sopportare per una figlia che schiudeva l'anima alla vita. Anche all'ora, in quei momenti, mi difendevi dal tuo mondo oscuro e lo facevi col silenzio. Si, perchè tra me e te non ci fu mai il buio della menzogna ma, a volte, solo il silenzio faceva da barriera tra me e la cruda realtà dei tuoi ricordi. Ma io incalzai quel giorno e ti chiesi come fosse possibile che i capelli di un uomo potessero diventare tutti bianchi improvvisamente. La mia voce ti riportò indietro dal tuo mondo e dicesti: "E' possibile quando si prova un dolore troppo grande da sopportare, è possibile quando si prova una paura incontenibile. Allora il corpo reagisce. Quei capelli così bianchi li vidi un giorno sulla testa di un alpino, era solo ragazzo. Erano come una bandiera bianca che si muoveva mossa dal vento del Nord. Sai quella che una volta si sventolava per comunicare al nemico che vuoi arrenderti, che non ce la fai più, che non hai più speranza di vittoria? I capelli di quel ragazzo erano la sua bandiera bianca sventolata al nemico. Si era arreso alla vita. "Perchè- ti chiesi- ma tu non mi dicesti mai la verità, dicesti solo: "E' la guerra,la guerra genera queste cose. La guerra è come una malattia dell'anima del mondo, ancora non abbiamo trovato la cura ma prima o poi gli uomini che non l'hanno vissuta capiranno e impareranno quanto sia bello condividere una sigaretta al freddo polare di un paese straniero con chi parla una lingua diversa dalla tua; in quel momento si diventa fratelli e si comprende l'inutilità della guerra."

Il piccolo sottotenente di un tempo,quello con gli occhi chiari che correva verso la sua vecchia casa con il cuore pieno di speranza era lì, davanti a me. Improvvisamente mi accorgo oggi che i suoi occhi chiari rimasero quelli di un ragazzo per tutta la vita. E con l'anima di un ragazzo fatto uomo dagli orrori della guerra, guardavi il mondo dalla sommità di un monte misterioso e, serenamemte, ne sorridevi. Forse, come tutti coloro che, nè vivi, nè morti, possono tornare da certi luoghi,

egli si rendeva conto più degli altri di quanto fossero inutili tutte quelle cose che per la moltitudine sono invece importanti per raggiungere quella felicità che, come un miraggio, continua invece ad essere solo un'utopia. A lui bastava il pane!

Non importava cosa ci fosse sulla tavola, l'importante era che non mancasse mai il pane. Il semplice, umile, pane simbolo di quella speranza di vita che, per chi provò il lancinante dolore della fame, il solo pane rappresentava. Imparasti credo a vivere dell'essenziale perchè solo quello può dare la vera, profonda felicità. Un pezzo di pane e hai il mondo intero.

Qualcuno penserà: Ecco una figlia innamorata del padre! Come potrei mai spiegare che io ho amato la tua anima grande, la profondità del tuo essere umile, generoso, eppure un Titano tra gli uomini? Non ti ho amato perchè eri mio padre. Ti ho amato perchè eri tu. Complesso,difficile,misterioso solo per chi non tendeva il cuore per comprenderti. Allegro,brillante,bellissimo per il resto del mondo. Quando ci predisponiamo alla comprensione nessun cuore è straniero. Bisogna tendere l'orecchio ed ascoltare. Quello tra noi è stato un atto di "ascolto" l'uno del cuore dell'altro. Non c'entrano i legami di sangue,c'entra quella magica alchimia, inspiegabile alchimia, che genera il miracolo dell'Amore vero. Un Amore che, come vedi papà,continua la sua corsa anche ora che non sei più qui con il tuo sorriso triste ma l'anima pura da piccolo sottotenente con gli occhi chiari. Una volta mia madre mi raccontò che certe notti si svegliava e restava ore a guardarti mentre dormivi e restava incantata dalla bellezza perfetta dei tuoi lineamenti ma poi, improvvisamente ti vedeva agitarti,erano gli incubi che tornavano a preseguitarti come ogni notte per tutto il resto della tua vita. Sicuramente nei tuoi viaggi notturni nel luogo del non ritorno, rivedevi i tanti tuoi compagni lasciati lì, soli. Sarà per questo che per il resto della tua vita i tuoi occhi si illuminavano di una luce tutta diversa solo quando potevi aiutare qualcuno? Solo in quei momenti ti ho visto veramente, profondamente, felice. Era il tuo riscatto per l'impotenza che ti aveva costretto a lasciare alle tue spalle i compagni morti? Non ne avevi alcuna colpa ma ti sei portato dietro come un bagaglio pesante il ricordo di quell'abbandono nella neve bianca.

Qualunque debito è stato pagato,papà.

Lo hai pagato donando amore senza porre condizioni.

Lo hai pagato regalando felicità a chiunque ti abbia conosciuto.

Lo hai pagato facendo di me quella che sono oggi,una persona libera

che si nutre ogni giorno di quel pane che tu hai saputo lasciarmi.

Questa è la tua vera, unica, incommensurabile eredità.

Cercherò di portarla con onore e di essere degna un giorno di poter dire

che ho imparato ciò che solo con l'esempio mi insegnasti: l'arte del coraggio di vivere,papà.

Averti come padre è stato un grande dono che la vita mi ha fatto.

Non ho bisogno di sperare che un giorno ci incontreremo ancora.

Tu sei qui con me, in me, per sempre!"

 

antoniototifinal1.jpg

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Marco,so di chiedere molto alla tua pazienza e al tuo tempo. Se fossi capace lo farei io ma...vorrei che quella col cappello piumato fosse aggiunta al post de " Il giuramento dei disperati", l'altra...vi posto due cose che scrissi tempo fa. Una riguarda un articolo che fu scritto nel 1946 ed è un'intervista a mio padre appena tornato dalla Russia nella quale si parla di un alpino impazzito. Il secondo post che scriverò è dedicato a mio padre e ad un "bandiera bianca". E' nel secondo post che vorrei tu mettessi la foto senza cappello. Aveva solo 18 anni in quella foto ma ogni volta che la guardo è come se vedessi in quegli occhi già il marchio della tragedia che lo aspettava.

 

Grazie Marco e...scusami per il disturbo che ti sto arrecando.

 

Paola

 

fatto, confermami che ho esegito correttamente e fammi sapere per le altre foto. una volta eseguito il tutto cancellerei i topic di coordinamento per render piu fluida la discussione...

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Marco...perdonami ma...cominci a sentirmi una sfruttatrice :-) Facciamo una cosa? Per le altre due foto lascio a te la scelta di pubblicarle nei post che ritieni più adatti e puoi tranquillamente cancellare i topic di coordinamento.

 

Un abbraccio

 

 

non pensarci neanche, lo faccio volentieri!

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Caro Marco, mi scuso per il ritardo della mia risposta ma...diciamo che...sono particolarmente contenta di poterti rispondere dopo questi tre giorni. Avrei pensato che,la foto di gruppo mi piacerebbe che fosse aggiunta al post in cui si parla di don Franzoni e quella del monumento ad Enrico in quello in cui si parla di Ninni Cassarà. Ti chiederai cosa c'entra il monumento di Enrico con Ninni Cassarà eppure c'entra. Stanotte, come accade dopo aver vissuto un momento particolarmente difficile o rischioso, c'è chi se ne sta in silenzio, perso nei suoi pensieri; qualcun'altro parla e discute dell'accaduto e della gestione,a volte veramente complicata,di eventi e persone e chi,per distrarsi prende a caso un libro in mano e cerca di distrarre la mente. Una delle persone che era con me ha preso in mano un libro dedicato alla vita di Enrico e dopo averne letto qualche pagina mi ha detto: " Bisognerebbe che tutti conoscessero la storia di quest'uomo ma non la storia scolastica ma la storia umana,il percorso interiore che lo portò fino all'atto estremo perchè c'è in ogni grande uomo un segno distintivo che lo accomuna a chi ne condivise e ne condivide oggi gli stessi valori. Un esempio umano che potrebbe rafforzare il "credo" di tanti nei momenti di sconforto o di paura; nei quei momenti in cui ti assale la voglia di mollare tutto e dici a te stesso "Chi me lo fa fare?" " Allora ho riflettuto su quelle parole e ho compreso una cosa. Ho compreso che nell'attimo stesso in cui questi pensieri aggrediscono la mente perchè figli della nostra umanità debole,imperfetta,smarrita a volte, una luce si accende e ti impedisce di dar loro seguito e quella luce porta il nome di tutti,TUTTI,coloro che ci hanno indicato la strada. Ecco che si sovrappone al viso di Enrico quello di tutti gli altri eroi del nostro tempo. Diventano in pratica una cosa sola. Una sola entità,un solo essere,un solo cielo scintillante di stelle.

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Bisognerebbe far leggere questo topic nelle scuole superiori, atti e parole tanto nobili sono certo che potrebbero tirar fuori dai nostri alunni quanto di meglio si cela dietro la spensieratezza dell'adolescenza.

 

Grazie a tutta la dinastia Toti, mi permetto di esprimere alla signora "Goccia" :s01: il pensiero che il loro sangue non si e' di certo perduto. Grazie anche per il magone che i suoi scritti riescono a suscitare, non solo in me.

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Gentile NightRider, La ringrazio per le Sue belle parole ma ( stemperiamo un po' l'atmosfera) preferirei che mi chiamasse semplicemente Paola. Sono molto meno vecchia di quanto alcuni possano immaginare e quel "signora" mi sta stretto :s01: Mi è capitato spesso di sentirmi dire da chi mi incontrava per la prima volta: " La immaginavo molto più anziana". Sarà che essere parente di un eroe della grande guerra fa sbagliare i calcoli? :s01:

 

Lei non immagina quanto io condivida il suo pensiero sui giovani di oggi ma per esperienza Le dico che non è di parole scritte che essi hanno bisogno ma di testimonianze concrete e personali. Hanno bisogno che,fisicamente,qualcuno porti loro testimonianze di vita vissuta. Testimonianza del proprio personale impegno nell'avvicinarli a realtà che possano risvegliare in loro quei valori che sono latenti nei loro cuori. L'esempio concreto vale più di mille pagine e mille discorsi ma ci vuole impegno. Impegno e dedizione. Impegno e coraggio. Questo è il percorso che sto seguendo. Vado in mezzo a loro,nelle loro realtà a volte difficilissime e mi accorgo che hanno sete e fame di riferimenti positivi, di azioni e non di chiacchiere.

Le posto un articolo che ho scritto stanotte dal quale potrà desumere che,al di là di quanto la gente immagina, esistono ragazzi meravigliosi che hanno il coraggio di sperare e di agire per rendere reali i loro sogni. Una delle più grandi gioie della vita me l'ha regalata un ragazzo "difficile". Uno di quelli che era al bivio tra il bene e il male. Lo portai con me a Palermo. Visse a stretto contatto per 2 giorni con tutti coloro che lottano ogni giorno e al ritorno mi disse: " Ora so qual è la mia strada. Voglio riprendere l'università e diventare magistrato. Voglio dare anch'io il mio contributo." In 2 giorni aveva imparato quanto una vita intera di libri e letture non avrebbe potuto insegnargli.

 

Le Vele della Speranza:

 

Forse non dovrei scrivere questo post stasera. Forse dovrei rimandare e aspettare ma...penso a chi ha dato il nome "Le Vele" ad uno dei luoghi più abbandonati dallo Stato che io abbia mai visto. Doveva avere una fertile immaginazione chi diede quel nome a palazzi che sembrano usciti dalle immagini di un reporter in una Beirut bombardata. "Le Vele"...che fantasia! Evocano immagini di orizzonti sconfinati dove il mare è l'unica strada percorribile. Invece siamo a Scampia (Napoli). Chiamarlo quartiere sarebbe riduttivo. In realtà è una vera città nella città con la sola differenza che in quella parte di città non entrano nemmeno le forze dell'ordine se non quando si fanno grosse operazioni di polizia e quindi si entra con grande spiegamento di forze. Per il resto dei giorni è come una enclave nella quale qualunque entità estranea non si azzarda a mettere piede. Noi non solo ci siamo entrati in pieno giorno ma con un testimone di giustizia in macchina,soli,senza copertura. Come si sia potuta verificare una simile circostanza non starò qui a spiegarlo ma sta di fatto che se per 3 giorni abbiamo vissuto circondati dai carabinieri e scortati a sirene spiegate ogni volta che ci muovevamo,proprio nel momento di maggior bisogno,proprio nel momento in cui dovevamo entrare nella "terra di nessuno" ci siamo ritrovati soli. Nessuna colpa da parte delle forze dell'ordine. Solo una triste circostanza che ha voluto così. Un disguido,un ritardo e in pochi minuti ci siamo ritrovati catapultati nell'amara consapevolezza di essere altamente a rischio. Non è la prima volta che ci siamo trovati in simili circostanze ma...Scampia è un mondo a sè. Un mondo nel quale,in pochi istanti puoi renderti conto della precarietà della vita. Strade larghe ma che contrastano col chiassoso brulicare di vita che solo qualche metro prima hai lasciato alle tue spalle. Giri l'angolo e sei dentro. Tra strade grandi e sparute persone. Una ogni tanto...le sentinelle! La cosa che colpisce di più è rendersi conto che ci sono occhi che ti guardano,seguono i tuoi movimenti. Chiedi informazione e ti accorgi che ti stanno indicando la strada sbagliata,quella che ti fa addentrare sempre più nella bocca del drago. Devi conoscerla quella realtà per renderti conto che dietro un'apparente,gentile, indicazione in realtà già il ragno ti sta tessendo addosso la tela per imprigionarti e non permetterti di uscirne più. Se non lo conosci quel mondo,fai la fine della mosca. Ed è la fine della mosca che avrebbero fatto le persone che erano in quella macchina. Tre "nordici" e la sottoscritta che nordica non è e che conosce bene i rischi dell'apparente tranquillità che precede la battaglia. Come in tutte le situazione drammatiche c'è sempre,improvviso,l'aspetto comico che,dopo,ti fa anche sorridere. " Però a me non sembrava così terribile la situazione. Ho visto anche un negozio con le pareti tutte colorate di azzurro fuori. Sembrava quasi di essere a Santorini,in Grecia." Solo un milanese avrebbe potuto con tanta ingenuità paragonare Scampia a Santorini. E allora abbiamo ribattezzato Scampia. Adesso la chiamiamo "la nostra Santorini" e ridiamo. Ora si! Ora che dalla tela del ragno ci siamo liberati appena in tempo ci si può anche scherzare ma io penso a chi resta a "Santorini". Penso ai ragazzi che stanno lottando per la legalità in un luogo che già solo menzionarlo evoca il Far West. Penso a quei ragazzi coraggiosi che amo e che ho lasciato alle mie spalle andando via. Penso ai loro sorrisi e alla felicità di vederci lì,partecipi,anche se per poche ore,del loro mondo immenso e solitario. Penso al loro coraggio e alle loro speranze. Alla loro voglia di vita,di riscatto,di giustizia e allora immagino che "Santorini" esista veramente tra i quartieri di Napoli e che i loro sogni sappiano trasformare il mare di cemento e omertà in un oceano di Bene e di Speranza. Torneremo per aggiungere qualche goccia in più in quell'oceano. Torneremo perchè pensare che una goccia sia solo una goccia che si perde nel grande mare dell'indifferenza è sbagliato. L'ho capito dai sorrisi delle persone che a "Santorini" vivono e lottano. L'ho capito dalla loro felicità nel comprendere che non saranno più soli. Tante gocce e anche Scampia potrà rinascere. Torneremo per colorare di azzurro il futuro di quei bambini che hanno diritto di poter dire un giorno " Io sono italiano e vivo in Italia" e non in una "terra di nessuno" abbandonata a se stessa dove il "ragno" può tessere impunemente la sua ragnatela e carpirti l'anima.

 

Scampia è la vera trincea. Quella nella quale, chi non avrà il coraggio di entrare per portare una parola di speranza,dimostrerà nei fatti che l'antimafia di molti è fatta solo di parole. Chi non sentirà di spendere un pensiero,un gesto,una parola,per questi ragazzi che dire coraggiosi è dire poco,dimostrerà nei fatti che le vittime di mafia sono solo il cavallo da cavalcare per conquistare il proprio,piccolo,posto al sole. Chi non onorerà questi ragazzi che non fanno sfilate ma vivono,soli,in trincea dalla mattina alla sera e combattono per tutti,non sarà mai più degno della mia stima o considerazione. Avrà dimostrato nei fatti che è preferibile chi si fa pagare viaggi per recitare la sua parte sotto i riflettori,piuttosto chi combatte in solitudine e silenzio la sua battaglia quotidiana correndo grandissimi rischi. E' a questi ragazzi che,sono certa,sarebbe andata l'attenzione, l'affetto e la vicinanza di persone come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Uomini abituati a comprendere l'essenza delle persone,il loro silenzioso lavoro e ad onorarlo.

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  • 1 month later...

Cara Paola,

mi permetto di darti del tu dopo aver letto che " il lei mi sta stretto " ed io non voglio sembrarti antiquato malgrado la mia età !

Quel che è certo che mai ti avrei chiesto di poterci dare del tu e ciò per il rispetto che ti porto !!!

Ti ringrazio per i tuoi scritti con i quali ci fai conoscere la commovente storia del tuo papà e per le

fotografie che gentilmente ci hai concesse !!!

A quegli scritti,come affermò Totiano,non vi è nulla da aggiungere e nulla da togliere ;essi portano

"semplicemente" a riflettere sui patimenti subiti dai giovani che fecero quella guerra che fu motivo

di misurarsi non solo con il nemico ma anche con sè stessi !

Ai tuoi scritti non è facile per me rispondere,li leggo con attenzione e raccoglimento come essi meritano !!!

Molti li leggono ed i silenzi che li seguono credo siano forse dovuti a commozione,riflessioni,

ed ammirazione per la Famiglia TOTI !!!

Scrivi cara Paola,le tue sono bellissime pagine di storia sconosciuta,scritti da far conoscere ai giovani e non solo !

Credo che oggi più che mai ne abbiamo bisogno !!!

Grazie infinite !!!

Quest'anno,come altri,ieri mi sono recato a Q.85,dove ho voluto rendere onori ad Enrico TOTI

recitando una preghiera per Lui e per gli altri Eroi della sua Famiglia !

Immeritatamente ho anche voluto rappresentare il nostro Forum !

Ho pensato anche a te Paola,sentendoti idealmente vicina nel rendere omaggio al nostro Eroe !!!

 

Ecco qualche fotografia:

 

1-redipuglia2010172.jpg

 

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2-redipuglia2010174.jpg

 

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3-redipuglia2010169.jpg

 

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Ho voluto mettere vicino un Tricolore che Lui tanto amava !!!

 

(Purtroppo credo che fiori e Bandiera non si possano lasciare;spero

un giorno poterli lasciare dove si può )

 

Un abbraccio cara Paola.

 

Gianni (Red)

Modificato da Red
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Caro Gianni, sono passata qualche volta nel forum e ho avuto il tempo solo di leggere qualche post ma non il tempo necessario per rispondere e di questo mi scuso. Tempo fa lessi la bellissima storia di Alberto Riva Villasanta e mi ero ripromessa di scrivere in proposito qualche pensiero ma agli eroi non si possono dedicare scampoli di tempo. Un tempo frettoloso e che corre troppo rapido a volte, e così...ho desistito per non far torto a chi merita molto più che un piccolo ritaglio di tempo. Cosa dire...ultimamente cerco il silenzio,parlo poco e scrivo ancor meno. Credo sia la strada migliore da seguire quando in noi stessi sentiamo quello "spirito guerrier ch'entro mi rugge" che ci può spingere ad urlare più che parlare contro tutto ciò che è ingiustizia,iniquità,menzogna. Meglio tacere e continuare,nel nostro piccolo,a credere,lottare e sperare. E' faticoso per me dover pesare le parole. Sono,come dice qualcuno,una persona "sanguigna".

Guardo le foto di quota 85...potrà sembrare paradossale ma più le guardo più lo spirito si agita. Più guardo la nostra bandiera più lo spirito si agita. Più ricordo,più mi diventa difficile domare il leone che sta ruggendo in me. Nonostante ciò...caro Gianni,sei riuscito a farmi inumidire gli occhi e questo solo grazie al fatto che sapere che c'è chi vive ancora così profondamente certi valori,regala,a chi quotidianamente è immerso nel mare dell'iniquità,la speranza che non tutto sia perduto e soprattutto che non è soli in questa lotta titanica e della quale molti non sono consapevoli. Forse non è un caso che io oggi sia passata dal forum e abbia potuto guardare le tue fotografie. Forse,lassù, "Qualcuno" ha voluto dirmi: "Ricorda chi sei. Ricorda il tuo sogno." Grazie,Gianni! Il tuo regalo ha riacceso una luce sul mio sogno e mi ha dato ossigeno per poter continuare a credere che forse l'impossibile è possibile. Che strana la vita a volte...

 

Un abbraccio a tutti...

Paola

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Rispondo subito cara Paola,anche se oggi il mio

cuore è in tumulto per gli stessi motivi che dici

e,guarda caso,proprio oggi, poter leggere questo

tuo scritto mi porta non poca consolazione !

Non per fare l'eroe, ma giusto questa mattina ho

rischiato di prendermi dei pugni in faccia !!!

Ho mandato a quel paese,a chiare lettere,una di quelle

persone che chiamo "falsi italiani".

Anch'io qualche volta divento sanguigno,specie quando

si tratta di difendere l'integrità della nostra Nazione,il

suo Tricolore e la sua Dignità ed i nostri Caduti !!!

Forse mi sbaglierò,speriamolo,ma sento nell'aria come

dovesse avvenire qualcosa di poco piacevole per un Italiano!!!

Dio non voglia,ma se dovesse occorrere farò la mia parte !!!

MAI mi piegherò a sopprusi e nefandezze di "certi italiani" !!!

E' vero,credo basti guardare il nostro Tricolore,basti pensare

ai nostri Caduti e rendersi sempre più conto,rendersi sempre

più coscienti, del Loro sacrificio per trovare in noi quella forza

per salvaguardare quel testimone che ci hanno lasciato :

l'UNITA' e LIBERTA' !!!

Dove andiamo ? La Libertà è un diritto ma prima di tutto un DOVERE :

quello del rispetto delle persone e del pensiero altrui e questo però

non ci dà il diritto di ledere la DIGNITA' e l'UNITA' della Nazione !!!

I "buoni Italiani risolvono insieme le difficoltà,si uniscono,come

alla fine è tradizione del Popolo Italiano;non si disgregano per risolvere

i problemi in maniera egoistica ed irragionevole.

 

Molto piacere avrei,cara Paola,di un tuo scritto nella discussione

che riguarda Alberto Riva Villa Santa, altro giovane Eroe che fa parte

di un'altra grande Famiglia che molto diede alla nostra Italia !!!

Avrò,la prossima volta, anche per Lui fiori;li metterò nel luogo

dove cadde e nel Sacrario dove riposa insieme al suo Eroico Padre !!!

 

Sono felice che la vista della Bandiera posta dove cadde Enrico

t'abbia ridonato "ossigeno" e soprattutto la forza di continuare

quel sacrosanto dovere al quale spero siano in tanti ad esserne

partecipi !!!

 

Mi congratulo per il riconoscimento con il quale il nostro Direttivo

ha voluto premiarti !!!

 

Un abbraccio

 

Gianni

Modificato da Red
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Solo alle 2 di questa mattina mi sono accorta che avevo lasciato aperto il collegamento con il forum e ho letto ciò che hai scritto,Gianni. Ma ero troppo stanca per rispondere subito E poi...sto diventando forzatamente saggia ultimamente...conto fino a cento prima di parlare mettendo la museruola al "leone" che si agita in me. Questo è necessario adesso. Nonostante io sia solo una piccola persona con pochi meriti e poche qualità,le mie parole pesano in certe circostanze e in certi ambiti. Il momento è delicato. Gli equilibri molto precari, e bisogna lavorare affinchè non si ripetano certe pagine terribili della nostra storia passata. Credo che la tua sensazione non sia sbagliata. Bisogna mantenere calma e freddezza in questo momento per non lasciarsi travolgere dall'emotività e non lasciarsi provocare. E' questo quello che alcuni vogliono. Si sta usando l'arma della provocazione per arrivare ad un scontro frontale che potrebbe portare l'Italia sull'orlo di un baratro. Ci siamo molto molto vicini. Ora più che mai bisogna conservare equilibrio e non lasciarsi travolgere da questo "gioco" pericoloso. Ciò che mi conforta è che vedo,vivo, il riavvicinarsi tra loro di tante fette della sociatà civile che prima erano distanti. Ora avvertono la necessità di unirsi,di unire le forze,a favore della democrazia,della pace,della giustizia sociale. Certo,è un'Idra a molte teste e questo può renderla ingestibile ed è per questo che bisogna lavorare attraverso il dialogo paziente e continuo affichè queste forze non tracimino dal loro reale obiettivo che è quello di riportare questo paese su binari civili,democratici. Questo è il primo passo necessario. Poi...poi rispondo con le parole di un grande spartano:

 

"Ricorda chi eravamo". L'ordine più semplice che un re possa dare. "Ricorda perché siamo morti". Lui non desiderava tributi, o canzoni, o monumenti, o poemi di guerra e coraggio. Il suo desiderio era semplice: "ricorda chi eravamo", così mi ha detto. Era la sua speranza. Se un'anima libera dovesse arrivare in questo luogo, negli innumerevoli secoli di là da venire, possano tutte le nostre voci sussurrarti dalle pietre senza età, "va a dire agli spartani, viandante, che qui, secondo la legge di Sparta, noi giacciamo". Il tempo gli ha dato ragione, perché da greco libero a greco libero si è tramandata la notizia che il prode Leonida e i suoi 300 soldati, così lontani da casa, hanno dato la vita, non solo per Sparta, ma per tutta la Grecia e per la speranza difesa da questa nazione.

Il mondo saprà che degli uomini liberi si sono opposti a un tiranno, che pochi si sono opposti a molti, e prima che questa battaglia sia finita, che persino un dio-re può sanguinare".

 

"L'Italia è nostra e non di altri. Tutto il nostro sangue per essa." E io aggiungo...fino all'ultima goccia.

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Caro Gianni,mi inviti a scrivere su questo forum pagine di storia poco o addirittura sconosciute ma io oggi,attraverso una di esse,voglio ringraziare il direttivo di questo forum che ha voluto concedermi quel nastrino che adesso compare sotto le mie parole. Voglio spiegare perchè non l'ho fatto prima.Ripensando in questi giorni alla mia vita,devo ammettere che essa ha avuto,per molti aspetti,il carattere della straordinarietà. Quello che ha reso la mia vita un percorso fuori dai canoni non è solo il portare un nome storico o aver fatto scelte controcorrente. Il vero valore della straordinarietà della mia vita è dato dall'essere nata e cresciuta tra Eroi in carne ed ossa. Ricordo certe cene a casa mia. Ricordo che,intorno a quella tavola,si ritrovavano persone straordinarie che furono i miei veri "zii". Ascoltavo le loro parole,i loro racconti,come chi beve ad una fonte inesauribile di valori talmente elevati,pagati ad un prezzo talmente estremo,da aver segnato,con le loro parole,il cammino della mia esistenza. A volte,intorno a quella tavola,sedevano quattro o cinque medaglie d'oro al valor militare. Ma più ancora,sedevano uomini capaci di inculcare,in chi li ascoltava e ne conosceva i gesti,la quotidianità,le azioni,la dignità e la fierezza,il senso vero,profondo della vita. Non mi sono mai piaciute le persone falsamente umili. Amo le persone fieramente umili. Quando scrivo che sono una persona con pochi meriti e poche qualità non lo faccio per celiare o per finta umiltà ma perchè,qualunque cosa io faccia nella vita,ho avuto un metro di paragone talmente elevato,talmente grande,da ricordarmi sempre che sono altri quelli che meritano riconoscimenti. Enrico Reginato è stato uno dei miei "zii". Una delle persone con le quali ho dischiuso l'anima alla vita. Dopo aver letto quanto posterò adesso,comprenderete che per me è difficile ritenermi degna di qualunque riconoscimento ma,se nel mio piccolissimo percorso,ho fatto qualcosa per meritare questo onore,è a questi uomini,grazie ai quali ho imparato a vivere,che dedico quel nastrino.

 

"Tenente medico Enrico Reginato, medaglia d'oro al V.M. Battaglione Sciatori Monte Cervino, Corpo d'Armata Alpino: 'Io non ero presente alla giornata e alla battaglia di Nikolajewka; ero già, da tempo, in prigionia in mano dei russi. Ma appunto per ciò fui testimone delle estreme conseguenze della ritirata degli alpini (e di tutta l'armata italiana) in quell'inverno 1942-43, quando a conclusione della ritirata stessa per molte decine di migliaia di italiani si apri l'appendice e il periodo della prigionia russa. Sono stato testimone delle sofferenze che prolungarono a innumerevoli alpini le sofferenze della ritirata: gli innumerevoli e quasi sempre mortali patimenti di quanti fra gli alpini non riuscirono a varcare il cancello di libertà di Nikolajewka. Da allora penso che ritirata e prigionia costituirono un tutt'uno, la completezza di un calvario cosi irto di dolori e cosi prolungato nel tempo e nell'infinita varietà di patimenti da non consentire alla mente umana di concepirlo. Io ho visto soffrire e morire, in modo inenarrabile, e ne do qui inadeguata testimonianza, affinchè il ricordo appassionato almeno permanga e sia di insegnamento al giorno d'oggi, e tutto sia fatto nel campo della dignità e della tutela dell'uomo al fine di tenere lontana la gioventù attuale dal ripetersi dei patimenti allora sofferti dagli alpini, e da quanti ebbero la suprema sventura di cadere in una prigionia quale fu quella che subimmo in mano dei russi. Abbiamo visto colonne di prigionieri sospinti per giorni e settimane da urli, spari e percosse andar sempre più assottigliandosi perché chi non si reggeva per la stanchezza veniva finito con le armi. Abbiamo sentito levarsi invocazioni disperate 'dottore aiutami, non ne posso più', ma anche i dottori non ne potevano più; si coprivano le orecchie con le mani per non udire quelle voci e in quell'istante avrebbero voluto morire per non sentire scaricare le armi sul caduto. Abbiamo visto le strade segnate da cadaveri che genti e corvi profanavano: le prime per recuperare le vesti, i secondi per sfamarsi. Abbiamo assistito a spogliazioni di scarpe, di vesti, di oggetti di ogni genere, appartenenti a uomini sfiniti che non potevano reagire di fronte alla violenza. Abbiamo visto uomini disperati per fame tentare di eluderela sorveglianza per cercare del cibo, e venir abbattuti come cani. Abbiamo visto esseri umani abbrutirsi per l'infinita stanchezza, un'umanità degradata nella quale pochi si sentivano ancora fratelli al vicino o sentivano ancora pietà per il debole o il morente. Lo spirito di cameratismo che aveva legato, un tempo, i combattenti tra loro, sembrava finito con l'abbandono delle armi. Abbiamo visto entrare in campi di raccolta migliaia di uomini di molteplici nazionalità e uscirne vive poche centinaia nel breve arco di tempo di 30 giorni e, in quei trenta giorni, il dolore toccare il vertice dell'inumano. I ricoveri, esposti ai rigori del clima, erano gremiti fino all'inverosimile di uomini doloranti: l'odore acre della cancrena ristagnava ovunque; la fame distruggeva i corpi, la dissenteria completava l'opera di disfacimento di esseri umani martoriati da fame e sete e da parassiti che brulicavano nelle barbe incolte e sotto le vestì sudice e lacere. Un buio tragico e ossessionante scendeva su questi orrori fin dalle prime ore della sera, interrotto ogni tanto da torce agitate da figure umane urlanti che prelevavano uomini per il lavoro; poi tornava un cupo silenzio dì morte interrotto da grida di dolore, da gemiti, da invocazioni pronunciate nelle più diverse lingue, da preghiere elevate al cielo ad alta voce da qualche cappellano. Abbiamo visto uomini diventare, per fame, feroci come lupi. Alle prime distribuzioni di cibo, come colti da improvvisa follia, spettri umani si levavano e si precipitavano urlando e schiacciandosi, rovesciando a terra ogni cosa, buttandosi al suolo per succhiare il fango impastato con il cibo sparso. Guardiani armati di spranghe di ferro dovevano far scorta al pane per difenderlo dai branchi di uomini in agguato che si avventavano per impossessarsene. Finalmente vennero convogli ferroviari a caricare e portare altrove questo resto di umanità carica di dolore e di parassiti: i convogli scaricavano i superstiti in altri campi che li accoglievano per rigettarli in fosse comuni; in essi li attendeva non la salvezza, ma il tifo, la tubercolosi, la difterite, la pellagra e ogni altro male. I lazzaretti (cosi venivano chiamati i luoghi dove si moriva], erano uno spettacolo drammatico e straziante; corpi discesi su pancacci di legno o sulla nuda terra si sfasciavano per morbi sconosciuti. La morte passava come un'ombra senza requie: ogni giorno volti nuovi, nuove sofferenze; cervelli sconvolti dalla pazzia, deliri, dissenterie, arti deformati dagli edemi, ferite corrose dalla cancrena. I medici e i sanitari si trascinavano fra quegli infelici fintanto che il male portasse via anche loro. Ricorderò per sempre che un giorno, in un campo di concentramento, durante l'infuriare di una epidemia che giorno e notte mieteva innumerevoli vite umane, mi si avvicinò un giovane ufficiale medico austriaco, che parlava correntemente l'italiano. Egli mi espresse il desiderio di uscire dalla zona non infetta del campo per assistere gli ammalati, quasi tutti italiani. Lo sconsigliai per il grande pericolo al quale si esponeva; ma insistette con queste parole: 'Collega, la prego, io non voglio perdere questa grande occasione di essere medico e cristiano'. Profuse generosamente la sua arte e le sue energie per i contagiati; contagiato lui stesso, non trovò più in sé la forza di vincere il male che con parole semplici e grandi si era prefisso di combattere. Si spense con la serena dolcezza di chi è consapevole di non aver perduto né di fronte a Dio né di fronte agli uomini la grande occasione. Era difficile fare il medico, in quelle circostanze. I medicinali scarseggiavano, le poche fiale di analettici, per lo più canfora, dovevano essere utilizzate solo nei casi estremi. Bisognava dosare tutti i farmaci con assoluta parsimonia, valutare lo stato di gravita di ciascun malato, decidere chi doveva avere la precedenza, stabilire una inutile graduatoria e talvolta si trattava di scegliere tra un paziente che invocava il medico nella sua stessa lingua e un altro sconosciuto figlio di Dio. I superstiti di tutti questi mali, uscirono dai lazzaretti con passi incerti e vacillanti. Quelli che alcuni mesi prima erano soldati pieni di vitalità e comandanti autorevoli, apparivano scheletri tenuti assieme da pelle ruvida e squamosa. Le fisionomie erano irriconoscibili; i capelli aridi, incanutiti; gli occhi immersi nelle occhiaie profonde; la cute del viso raggrinzita in minime rughe, il sorriso una smorfia che lentamente si ricomponeva; i denti vacillanti su gengive brune e sanguinanti, le unghie delle mani e dei piedi segnate da un solco trasversale che pareva segnasse l'inizio della sofferenza. Molti avevano perduto fino al 40-50% del loro peso; attoniti, assenti, dovevano pensare a lungo prima di ricordare il loro nome; sembravano esseri spettrali usciti da un mondo irreale, insofferenti ed indifferenti a tutto che non fosse la distribuzione del cibo. I mesi, gli anni di detenzione, non furono che tappe di un lungo calvario di rovina e di morte. Morte per esaurimento fisico, per interminabili marce, per i colpi spietati degli uomini di scorta, per epidemie incontrollabili, per inanizione. I superstiti, smarriti dal crollo repentino di ogni illusione, tormentati dalla fame, dalla miseria, dalla paura, rimasero, costretti ai più duri lavori, per anni in balia del nemico, il quale, con abilità e perseveranza, cercò di catturarne anche l'anima ed imporre la propria ideologia. I detentori che avevano i corpi di quei vinti volevano il trofeo delle loro anime per vincerli due volte usando l'arma della propaganda e del ricatto: 'tu devi cambiare opinione altrimenti non rivedrai né la patria né la madre, né la sposa e i figli'. Questo fu l'infame ricatto: cedere dignità, coscienza e fede in cambio di ciò cui i prigionieri avevano diritto senza concessioni e senza compromessi. Finalmente, un giorno arrivò un ordine nei campi: i prigionieri non dovevano più morire; i medici dovevano attenersi ad esso sotto minaccia di gravi punizioni. Che cosa significava questa nuova disposizione? Invero la morte non si lascia impartire comandi. L'ordine voleva dire semplicemente che le restrizioni che determinavano la morte dei prigionieri dovevano cessare. Venne, allora, concesso un miglioramento di vitto, modesto ma pure essenziale; vennero presi provvedimenti che crearono condizioni possibili di vita, la lotta contro i parassiti si fece efficace, i medici trovarono meno arduo il loro lavoro disponendo di una quantità maggiore di mezzi, in ambienti più igienici ed adeguati. Ciò bastò per notare nei prigionieri una lenta ripresa delle forze, un miglioramento progressivo dei rapporti sociali, un ritrovamento di dignità e coscienza, un albeggiare di nuove speranze. Si riallacciarono vecchie amicizie, si riprese man mano a pensare, a parlare, a pregare, a confidarsi, a sperare, a credere nella salvezza. Ma ciò fu raggiunto quando già da tempo le fiamme della guerra si erano spente e nel resto del mondo iniziava, con la pace, una lenta resurrezione'. (da 'Nikolajewka : C'ero anch'io)."

 

 

Ho ritrovato tra le tante fotografie di famiglia, una fotografia che un giorno forse pubblicherò per il suo valore storico, morale, umano.

 

Ad un tavolo sono seduti mio padre e mia madre sorridenti, alle loro spalle, chinati verso di loro quasi per circondarli in un comune abbraccio tre compagni di prigionia: Don Giovanni Brevi, MOVM 12 anni di prigionia in siberia; Gen.Enrico Reginato MOVM 12 anni di prigionia in siberia; Don Enelio Franzoni MOVM rientrato nel 1946 con mio padre. Tre medaglie d'oro al valor militare che stringono in un unico abbraccio il loro compagno più giovane. Mi guardano da quella foto e mi sorridono tutti. Sono i sopravvissuti dei Lager russi. Sono gli "zii" della mia fanciullezza. Sono la Storia che, attraverso i loro visi sorridenti, ci insegna che non c'è orrore, non c'è sofferenza, non c'è supplizio che non possa essere vinto con le armi della Fede, della Speranza e dell'Amore.

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  • 4 weeks later...

I Figli del Vento e della Vittoria

 

Dedico questo post ad un gruppo di uomini. Solo alla fine parlerò di loro.

 

Dal libro di Fausto Mandelli "I figli del Vento e della Vittoria"

 

6 Agosto 1916

 

Le spesse tenebre del passato si sono squarciate e sono apparse vivede le immagini favolose dei tre battaglioni ciclisti d'assalto di quota 85 e la morte omerica dell'Eroe,bel bersagliere Enrico Toti mentre compiva il gesto leggendario della gruccia scagliata al nemico.

Avevamo dimenticato...anche Toti,la figura più smagliante del mito cremisi <<l'EROE nell'antico senso greco,l'UOMO privilegiato dalla divinità,che potè accogliere nella sua anima possente il soffio inconscio di tutta una stirpe>>. L'avevamo seppellito nelle oscure tenebre dell'oblio,sopraffatti dal clima di quest'epoca sconvolta da un abbietto oscurantismo in cui meditatamente si va distruggendo tutto ciò che di nobile,di virtuoso,di onorato,di dignitoso,di generoso e di supremo amor di Patria accompagna la nostra esistenza di italiani e di bersaglieri. Ora noi che gli fummo vicini lo rivediamo idealmente sospinto come da una forza sovrumana,ergersi superbo e gagliardo sull'unica gamba,nel furore della battaglia e sfidare il nemico dicendo: << O Patria,sarò di ammonimento!>>... Noi,fedeli ai nostri principi di educazione morale,alla nostra inestinguibile passione per la Patria,siamo saldi come rocce... e cediamo alla suggestione abbandonandoci alla bella esaltazione euforica del nostro passato: ecco! come in stato ipnotico ci sembra di essere sospinti in alto fuori dalla vita terrena,là dove si libra il sublime cielo degli EROI,là dove si è puri e mondi,dove si ama e non si tradisce...E là,nella cristallina purezza della divina loro dimora,non inquinata dalle laide scorie terrene degli egoismi,degli odi,dei soprusi,delle viltà,degli immondi ed amorali adattamenti,delle vendette e dei tradimenti,si svolge come in una fantastica cavalcata,il grandioso e fulgido diorama della loro leggendaria epopea.

In alto,nell'immenso cielo d'Italia passano gli Eroi!...Tutti corrono,volano,si superano presi dalla bella ansia di avvicinarsi a noi per invocare il nostro ricordo,per sprezzare il nostro tradimento,per ammonirci...Ecco" ora sono passati e la visione si allontana in una nuvola d'oro perdendosi nell'immensità del cielo azzurro d'Italia.

E' passata la storia della Patria,quella di una volta,quella del passato,quella che adorammo. Essa si invola portando con sè la FEDE,l'ONORE,il VALORE,la DIGNITA' e la GLORIA che furono le nostre lapidarie leggi incise a caratteri di fuoco sulle tavole della vita e che oggi sono distrutte da un furore suicida...Oggi si disprezza tutto ciò che è stato creato di nobile e di virtuoso basato sull'esaltazione dei valori spirituali,si nega la fede,non si ama la famiglia,si disdegna l'onore,si dileggia il pudore e la dignità umana e non si riconosce la Patria. Il materialismo più deleterio e animalesco sta uccidendo lo spirito e l'uomo ritorna alle origini."

 

Fausto Mandelli

 

 

Soffusi dalla triste luce crepuscolare che oggi ammanta la nostra società in declino,mi appaiono i volti,gli amari ma non rassegnati sorrisi,di un gruppo di uomini. Essi sono gli eredi silenziosi dei nostri antichi Eroi. Nessuno conoscerà mai i loro volti. Nessuno saprà mai del loro sacrificio. Nessuno saprà mai fino a che punto amarono l'Italia. Il mio ammonimento è questo: Che Palermo,che l'Italia,non si macchi oggi del loro sangue. Da ogni goccia del loro sangue caduta nella nuda terra,intere legioni sorgeranno,così come dal sangue dei giudici caduti nella lotta alla mafia,nacque,nel cuore di alcuni,la determinazione invincibile,la fede incrollabile, nella vittoria finale. Al materialismo più deleterio,all'abiura di tutti i valori più elevati dell'uomo,si contrappone la fede,il coraggio,l'onore,la luce,di questi guerrieri silenziosi,testimoni viventi di tutto ciò che eleva l'uomo,gradino dopo gradino,faticosamente,dalla condizione di bestia a quella di eroe. Essi sono,e rimarranno,i fedeli testimoni di quello spirito indomito che perse tante battaglie ma che non perse mai una guerra. A loro,oggi,sento di dedicare queste parole. A loro,artefici delle maggiori vittorie contro la mafia e bersagli principali,oggi,della feroce vendetta mafiosa. Essere il nemico numero uno della mafia,essere l'incubo dei grandi boss,è un onore poichè sancisce l'aver svolto il proprio dovere,da servitore dello Stato,fino alla fine. Aver creduto,aver sperato,aver combattuto,aver riso e pianto al vostro fianco è stato un onore e un privilegio. Comunque vada...la corsa continuerà sulle gambe di altri uomini,di altri combattenti,di altri italiani.

 

" A costoro nè termine di cose

io pongo nè di tempo:

a loro ho dato imperio senza fine."

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  • 4 weeks later...

A proposito di quanto da me scritto nel post precedente e perchè sia più chiaro a cosa mi riferivo:

 

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2010/...93/?ref=HREC1-4

 

Ora è di dominio pubblico.

 

"Qualcuno ha pedinato e fotografato l'ispettore della Catturandi mentre usciva dalla squadra mobile, mentre faceva la spesa con i suoi familiari. Lui adesso è lontano da Palermo: "Non mi lascerò intimidire - ha detto a un amico prima di partire - nessun poliziotto di Palermo farà mai un passo indietro".

 

"Noi,fedeli ai nostri principi di educazione morale,alla nostra inestinguibile passione per la Patria,siamo saldi come rocce" Nel post dedicato ad Enrico quanto da me reso pubblico in questo momento non è off-topic. Enrico dovrà guidare i nostri passi e illuminarci più che mai adesso!

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