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L'insabbiamento Del Vittorio Veneto


Visitatore Marcuzzo

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Visitatore Marcuzzo

Cercando notizie un pò più dettagliate sull'insabbiamento del Vittorio Veneto ho trovato i seguenti articoli tratti da Repubblica e Corriere della Sera:

 

Da Repupplica:

 

L' AMMIRAGLIA ITALIANA SI E' INCAGLIATA A VALONA

 

Repubblica — 23 aprile 1997 pagina 4

VALONA - L' incrociatore 'Vittorio Veneto' è arenato come una balena sui fondali sabbiosi della baia di Valona. Alle 6 della sera, dopo dodici ore di penosa immobilità, quattro rimorchiatori stanno cercando di trascinare fuori dalla secca l' ammiraglia della flotta italiana. Un quinto rimorchiatore spinge e sbuffa sotto la murata di sinistra mentre i tre elicotteri in dotazione all' incrociatore volteggiano nel cielo per alleggerirne il peso ed evitare, nel caso di scuotimento, di scivolare in mare. La scena è alquanto imbarazzante.

La nostra ammiraglia - vista da terra - sembra un imponente Gulliver disteso nell' acqua bassa della baia di Valona mentre i lillipuziani con cime e funi cercano di rimetterlo in piedi. L' incidente è ancora più avvilente se si pensa che, a bordo del 'Vittorio Veneto' , c' è lo Stato maggiore che ha coordinato fin qui l' 'operazione Alba' agli ordini dell' ammiraglio Nicola Azzolini, comandante della terza divisione navale. Nel porto, un fuciliere di Marina del battaglione San Marco parla di cattiva sorte. Dice: "Noi marinai crediamo nella sorte e questa spedizione in Albania è nata sotto una cattiva stella.

Venerdì Santo la fregata 'Sibilla' entrò in collisione con quella motovedetta albanese uccidendo ottantanove profughi. Già allora ci fu chi parlò di 'maledizione del Venerdì Santo' . Oggi questo disastro.

Senza morti, è vero, ma catastrofico per l' immagine della Marina come la collisione nel canale d' Otranto". A proposito di 'maledizione' , Repubblica ha appreso ieri che un incidente è capitato anche al 'San Giusto' . Nei giorni dell' evacuazione dei profughi da Durazzo, la nave aveva urtato un relitto procurandosi uno squarcio alla fiancata. Ma l' episodio era stato tenuto nascosto.

Nella notte tra lunedì e ieri un caldo vento di sud-est ha investito la baia. Un vento furioso con raffiche di cinquanta nodi spazzava il mare. Con il vento in quella direzione, dicono i marinai di Valona, l' incrociatore doveva essere ancorato in fondo alla baia di Radima nell' angolo sinistro del golfo, dove accortamente ha gettato l' ancora la nave anfibia 'San Giusto' . Invece, il 'Vittorio Veneto' ha preso la fonda nel bel mezzo della baia, di fronte alla Vecchia Spiaggia nel punto più sbagliato, a quanto pare. "E' il punto peggiore - sostiene Gregorio Segeri, pilota del porto albanese - là i fondali sono sabbiosi e con quel vento l' ancora non ha tenuto. Non poteva tenere. Per risparmiare i mille dollari dell' ormeggio, ora gli italiani ne spenderanno dieci, ventimila per venirne fuori. Bella storia. Quando dalla capitaneria si sono messi in contatto per sapere se c' era bisogno di aiuto, dal 'Vittorio Veneto' hanno risposto senza simpatia: 'Facciamo da soli, grazie' . Abbiamo visto come se la sono cavata...". E' inutile nascondere che sulle banchine e nei bar del porto c' è un bel po' di urticante sarcasmo che si rovescia sugli italiani. Sarcasmo, fastidio, spirito di rivalsa. Perché, dicono gli albanesi, il comandante del 'Vittorio Veneto' non ha tenuto in alcun conto i consigli della capitaneria di tenere, con quel vento, i motori sempre accesi? C' è chi più malignamente accusa "la protervia" degli italiani. "Non hanno ritenuto di alzare nemmeno la 'bandiera di cortesia' , la bandiera del paese che ospita il legno". Il tenente di vascello Kristac Gerveni è più clemente. "E' vero che gli italiani - dice - avevano scandagliato il fondo con il cacciamine 'Pantelleria' , ma non potevano sapere che quei maledetti fondali cambiano dalla notte al giorno con il vento e con i detriti che scarica a mare il fiume Seman. L' ancora, ormai libera, nella notte ha arato il fondo dell' intera baia. Il 'Vittorio Veneto' si è messo di traverso, ha scarrocciato lentamente nella notte e si è arenato sulla secca che non ha più di dieci metri di profondità". Le luci del giorno hanno colto il 'Vittorio Veneto' seduto di poppa nella sabbia e con l' ancora che, dopo essere stata trascinata per oltre un miglio, è finalmente purtroppo affondata sotto un paio di metri di sabbia incastrando l' ammiraglia da prua e da poppa, irrimediabilmente come una balena sul bagnasciuga. Dalla plancia di comando hanno tentato di venir fuori azionando a tutta forza i motori. Con il risultato di precipitare ancora di più nella sabbia. Hanno cominciato allora ad alleggerirsi del carburante azionando a folle i motori. Ma, sostengono a Valona, fino a quando il vento che ora spira da sud-ovest non girerà a nord-ovest in modo da spingere con l' aiuto dell' alta marea l' incrociatore da poppa, difficilmente il 'Vittorio Veneto' riconquisterà profondità più adatte alla sua stazza. Sulla Vecchia Spiaggia accanto alla fabbrica della soda caustica, c' è una catapecchia di legno nella pineta. Il 'Vittorio Veneto' è giusto là di fronte nell' acqua colore dell' acciaio. In quella catapecchia dove i pescatori di Valona bevono birra, raki, mangiano merluzzo (barbun) e giocano a carte si raccolgono le sole parole di comprensione per i marinai italiani. Ibrahim Alushi, 47 anni, da trentacinque è pescatore a Valona, come il padre, come il nonno, come il padre del nonno. "Questa baia - dice con gli occhi fissi sul gigante in agonia - è infida e pericolosa. Se la conosci, la eviti.

Se non la puoi evitare, ti può fare un brutto scherzo. Anche i pescatori di Ulqini che sono i migliori sulla costa tra Saranda e la Jugoslavia stanno alla larga da questo golfo. Il vento cambia rapidamente, e soffia verso terra con raffiche micidiali. Il fondale ogni giorno ti riserva una sorpresa. Il comandante della vostra nave è stato sfortunato. Ieri notte nel golfo c' era la situazione peggiore che potesse trovare. Non sarà il primo né l' ultimo che si arena. Trenta anni fa capitò a un cargo sovietico, vent' anni fa a un dragamine russo che andava alla base militare di Pascialinan, laggiù in fondo al promontorio. Dieci anni fa, capitò ancora. Finì in secca una nave italiana". Ibrahim guarda gli altri pescatori seduti ai tavoli, alza la voce cercando la loro solidarietà. Ricorda: "C' era un solo marinaio che di questo golfo fece il suo fortino inattaccabile. Era un pirata, il terrore del Canale d' Otranto. Si chiamava Haxli Ali. Era un pirata. Aveva il suo porto in una grotta del promontorio del Karaburun. Nessuno lo ha mai preso. Questo fondale e il vento sono stati la sua protezione. Ma il vostro capitano non poteva saperlo. Se gli parlate, ditegli che lo saluto.

Chi va per mare sa che cosa sta passando". Non è facile mettersi in contatto con il capitano di vascello Vincenzo De Fanis, pescarese, comandante del 'Vittorio Veneto' , con una storia di marinaio di prim' ordine alle spalle. Alla radio, fa dire che ha "ben altro da fare". Come dargli torto? Soltanto alle sei della sera, il capitano di vascello Sarto risponde in sua vece. Dice: "Tutti hanno visto che vento c' era ieri notte. Ci sono situazioni in cui l' ancora non riesce a lavorare come dovrebbe e allora perde la sua tenuta e ci si ritrova di traverso sul mare. Sono cose che possono accadere. E' accaduto a noi. Ora stiamo tentando di venirne fuori. Con i rimorchiatori, contiamo di riprendere la nostra tranquilla navigazione tra una o due ore". Mentre fa buio a Valona, l' incrociatore 'Vittorio Veneto' è ancora lì, davanti alla Vecchia Spiaggia, penosamente inclinato a diritta. - Giuseppe D'Avanzo

 

'VITTORIO VENETO' , VIA IL COMANDANTE

 

Repubblica — 03 maggio 1997 pagina 9

ROMA - Il 'Vittorio Veneto' cambia comandante. Mentre è ancora in corso l' inchiesta sull' incagliamento della nave italiana - lo scorso 22 aprile davanti al porto di Valona - ieri mattina il capitano di vascello Vincenzo De Fanis ha detto addio al suo equipaggio passando le consegne a Giuseppe De Giorgi. Nei comunicati ufficiali non c' è neanche l' ombra di un accenno all' incidente che ha macchiato l' esordio della missione 'Alba' , ma nessuno alla Marina nasconde che sia stata proprio la 'figuraccia' albanese a spingere De Fanis a "chiedere di essere avvicendato" con due mesi di anticipo rispetto alla scadenza del mandato. "Evidentemente ha ritenuto di non avere la serenità sufficiente per fare il suo lavoro al meglio", spiegano allo Stato Maggiore. Getta acqua sul fuoco il nuovo numero uno dell' incrociatore. "Ho fatto un lungo giro a bordo, ho parlato con i marinai, ho constatato che sono tutti molto tranquilli", dice il comandante di vascello Giuseppe De Giorgi. Quarantaquattro anni, figlio d' arte (anche il padre era ufficiale di Marina), pilota, missioni nel Golfo Persico e in Libano nel curriculum, assicura che nessuno pensa più di tanto all' inchiesta in corso. "Ha ragioni di preoccuparsi chi non ha fatto il proprio dovere. E questo non è il caso dell' equipaggio del 'Vittorio Veneto' . Chi va per mare sa quali problemi può provocare il cattivo tempo. Loro sono stati capaci di venire fuori da una situazione difficile. Non sono preoccupati, sono piuttosto fieri di quello che sono riusciti a fare". Ora per l' equipaggio è tempo di licenze, pare già previste prima dell' incidente. La nave - ormeggiata a Taranto - dovrebbe tornare in piena attività a luglio, anche se - è il nuovo comandante a giurarlo - "sarebbe in condizioni di farlo anche domani". - Stefania De Lellis

 

'ACCUSE INGIUSTE COLPA DEL VENTO'

 

Repubblica — 03 maggio 1997 pagina 9

FINALMENTE, il capitano di vascello Vincenzo De Fanis ha parlato. Ha vissuto la sua orribile notte davanti a Valona, quando il Vittorio Veneto da lui comandato si è arenato sulla sabbia. Ha diretto con sagacia le operazioni di recupero, e così sono passate altre orribili giornate. Ha rimesso l' incrociatore a galla, coadiuvato da un equipaggio che ha dato prova di abnegazione. Infine è rientrato in porto, in Italia. Ora, nello stesso giorno in cui si apprende che ha chiesto di cedere il comando della nave, mi racconta quel che è successo. Gli era stato dato l' ordine di andare a Valona, e di ancorare in rada, per offrire assistenza alle operazioni di sbarco in collaborazione con un' altra unità più leggera, il San Giusto.

Assistenza medica, se si fosse rivelata necessaria, di elicottero e di altra nave. Il Vittorio Veneto è arrivato a destinazione di primo mattino, quando cominciava ad albeggiare. Ha dato fondo. Il tempo era buono. Era previsto un peggioramento nel pomeriggio, e il peggioramento è regolarmente venuto. Il vento si è rafforzato, ha soffiato a trenta e trentacinque nodi, che corrisponde a forza sette.

Ma le condizioni meteorologiche, dice De Fanis, non erano motivo di preoccupazione. Il Vittorio Veneto si era già trovato alla fonda in condizioni simili: per esempio lo scorso marzo, davanti a Istanbul, precisamente davanti al palazzo reale. Anche allora il vento soffiava a una trentina di nodi, per di più c' era la corrente del Bosforo, che valuta a quattro o cinque nodi. Ma il nostro incrociatore non si era trovato in difficoltà. Sul Vittorio Veneto, comunque, c' era il massimo di sorveglianza, dichiara De Fanis: l' equipaggio era in assetto di navigazione, non per le condizioni meteorologiche, ma per il sostegno alle operazioni in corso sulla terraferma. Di solito, alla fonda, ci si limita a lasciare in plancia un ufficiale di guardia; quel giorno invece, egli precisa, tutti erano ai loro posti.

E le caldaie erano accese. Verso sera il vento si è calmato. La vita a bordo proseguiva normale. Intorno alle 22, il comandante era in plancia, e controllava che tutte le disposizioni per la notte fossero prese, eseguiva quelli che chiama i normali "controlli prenotturni".

Quand' ecco, all' improvviso, vede la prora "venire, cioè abbattersi", spostarsi su un lato. Segno che l' ancora non teneva.

Che cos' era successo? Il vento era tornato a soffiare con forza, e può darsi che qualche raffica più violenta, si parla di sessanta o settanta nodi (oltre cento chilometri l' ora) abbia fatto presa sui grandi volumi della nave. Che cosa ha provato, in quel momento il comandante? "Non ho avuto il tempo di provare nulla", mi risponde.

Nei momenti difficili non c' è tempo per i sentimenti o per le emozioni, si agisce. Ha subito dato ordini. Gli ordini ovvi: mettere le macchine a tutta forza, nella speranza di contrastare con la potenza dei motori l' effetto del vento. "L' equipaggio - prosegue De Fanis - ha reagito con meravigliosa prontezza: le macchine erano in grado di operare (pronte all' asse) in sette minuti, che è un tempo brevissimo su una nave così grande". Ma il vento ha prevalso.

Inesorabilmente, il Vittorio Veneto ha proseguito lo scarrocciamento verso la costa, che era, dice De Fanis, alla distanza di un miglio.

Il resto è noto. Il comandante non ha avuto il tempo di riflettere su quel che è accaduto fino a quando le operazioni di disincaglio non sono terminate. Solo quando è tornato in porto ha letto i giornali. E allora si è arrabbiato, per le accuse che non esita a definire "dure e immeritate" contro l' equipaggio, il cui comportamento è stato più che esemplare: in pratica, nessuno ha dormito, nessuno ha avuto un momento di respiro fino a quando il Vittorio Veneto non era di nuovo a galla. Di fronte a quelle accuse, egli dice, ha sentito "il peso della responsabilità morale" per il suo equipaggio, e pure essendo convinto di non avere alcuna colpa ha scritto al comandante di squadra, chiedendo di cedere il comando con anticipo sulla scadenza prevista. Fin qui il suo racconto. Un commento? Il comandante è sicuro di avere fatto, in ogni momento, ciò che doveva fare. Resta il fatto che il Vittorio Veneto è finito sulla sabbia, e non doveva finirci. Il capitano, quando è al comando della sua nave, deve prendere un gran numero di microdecisioni: il luogo in cui darà fondo, la distanza dalla costa, il numero delle ancore, la valutazione delle condizioni meteorologiche, la tenuta del fondo, e così via. Di ogni decisione non può sapere, a priori, se sia giusta o sbagliata. Lo saprà soltanto dopo, a cose fatte. Fra quelle prese da De Fanis nella giornata fatale, evidentemente, c' è stata qualche valutazione sbagliata: altrimenti il Vittorio Veneto non si sarebbe arenato. Un errore commesso nel giro di pochi minuti, quanti sono necessari per prendere ciascuna di quelle decisioni, non deve certamente distruggere la reputazione di un uomo. Bisogna però trarne le conseguenze. De Fanis cede il comando. - Piero Ottone

 

 

Dal Corriere della Sera:

 

L' incrociatore italiano insabbiato a Valona e' riuscito a disincagliarsi ieri mattina

Nave in secca, inchiesta militare

E il peschereccio albanese va all' arrembaggio del Vittorio Veneto

 

----------------------------------------------------------------- L'incrociatore italiano insabbiato a Valona e' riuscito a disincagliarsi ieri mattina Nave in secca, inchiesta militare E il peschereccio albanese va all'arrembaggio del Vittorio Veneto DAL NOSTRO INVIATO VALONA - Cinquecento metri, trecento metri, duecento metri, tra gli spruzzi e la schiuma di un mare che solo lentamente va calmandosi. "Nave di guerra, nave di guerra, mi senti? Nave di guerra, nave di guerra, come ti senti?". Il grande incrociatore e' li', in mezzo alle onde, finalmente libero, se allunghi la mano puoi quasi accarezzargli le ferite, e allora Adest guarda per un attimo con orgoglio il vessillo sull'albero del suo peschereccio - un teschio di capra infiocchettato -, si attacca alla radio di bordo e, senza sapere neppure quale sia la frequenza giusta, ci prova, cerca il contatto, in un italiano sbilenco ripete e ripete "nave di guerra, nave di guerra, come ti senti?". Per lui, strampalato capitano della barca albanese che ha appena caricato una dozzina di giornalisti e cameramen per agganciare al largo il Vittorio Veneto, e' come sfiorare un sogno. Ride, saltella, si sbraccia Adest, l'incrociatore e' sempre piu' vicino, tra la penisola di Karaburun e l'isola di Sazan, e lui dice "adesso lo raggiungiamo, faccio dodici miglia l'ora, faccio" e schizza a tutta birra. Per loro, quelli della nostra ammiraglia che solo alle sette di mattina sono riusciti, con l'aiuto di cinque rimorchiatori, a liberarsi dalle sabbie del golfo di Valona dopo essere stati sospinti in secca da una notte di vento a sessanta nodi, il grottesco inseguimento e' soltanto l'epilogo di una penosa disavventura. Adest e i giornalisti agitano la mano, gli ufficiali sulla tolda sono immobili come statue di sale mentre i loro marinai, non visti, fanno ciao ciao alle telecamere. Forse e' inevitabile che finisca cosi', in una risata, ma il comandante Vincenzo De Fanis, che ha a bordo anche l'ammiraglio Nicola Azzolini, fino a ieri comandante Cincnav dell'operazione Alba, non ha - logicamente - nessuna voglia di farsi abbordare da un pescatore schipetaro e non ha - altrettanto logicamente - alcun desiderio di accogliere i cronisti. Il comando della Marina gli ha dato la consegna del "no comment", un vecchio ufficiale suo amico che chiede l'anonimato lo descrive "sereno ma preoccupato per il suo equipaggio" e si lascia sfuggire che "l'amarezza, la vergogna, l'avvilimento per se stesso e per i suoi collaboratori ci sono, eccome, in questi casi". Cosi' il Vittorio Veneto riprende di colpo velocita', s'allontana come una balena inafferrabile sulle onde, Adest non si da' pace, "mannaggia, perche' scappano, mannaggia?". La grande caccia di Adest il pescatore finisce cosi', al limite estremo del golfo di Valona, ma non finisce il tormento del Vittorio Veneto che, per adesso, resta nel mare albanese anche se la sua parte di missione e' in sostanza conclusa: proprio in queste ore c'e' stato il previsto cambio di consegne al comando dell'operazione Alba e ad Azzolini e' subentrato il generale Luciano Forlani, comandante di terra. Sull'insabbiamento del nostro incrociatore la Marina ha aperto un'inchiesta tecnica e amministrativa, un atto dovuto e previsto in questi casi da un decreto del '62 - certo - ma anche un atto da cui comunque dipendera' la sorte del capitano di vascello De Fanis. Obbligatoria e' anche la segnalazione alla magistratura militare. Da Roma, negli ambienti del comando, l'imbarazzo e' grosso. La nave, si dice, non ha subito danni, ma l'immagine e' ferita, strappata: "Una buccia di banana nel momento peggiore, anche se logicamente non ci sono strade o binari in mare e certe cose possono sempre succedere". Anche su un incrociatore attrezzato con l'ecoscandaglio? Anche, perche' "lo scandaglio ti da' la profondita' in un punto, ma una nave cosi' e' lunga centottanta metri, come dire due palazzi interi". Nessuno prova a nascondere l'errore e pare cadere anche una prima ipotesi circolata martedi' sera: che il Vittorio Veneto si fosse fermato in un punto rischioso del golfo per piazzarsi proprio di fronte al nostro quartier generale a Valona, accettando il rischio di disancorarsi pur di dare protezione dal mare alle nostre truppe. L'avvicendamento nel comando di Alba apre qui anche un primo caso politico. Il generale Forlani ha subito chiarito che "nessun contatto ci sara' tra la forza multinazionale e i comitati locali: i nostri interlocutori saranno le autorita' governative, sia centrali che periferiche". In se', questa e' un'ovvieta'. Ma nel sud dell'Albania, terra dei comitati di salvezza antiberishiani, non c'e' mai niente di ovvio. E certamente la sortita di Forlani diventera' materia di discussione domani, qui a Valona, quando i capi di tutti i comitati si riuniranno per rilanciare il movimento. L'iniziativa parte da Argirocastro, dove ieri i nostri soldati hanno cominciato a fare giri di ricognizione in attesa di muovere anche in quella zona una parte del contingente. Gli insorti dovrebbero eleggere domani una specie di capo dei capi, leader riconosciuto di tutti i comitati, che nei loro progetti potrebbe diventare il vero anti - Berisha, una sorta di presidente ombra. Cosa poi controllino davvero i comitati e' tutt'altra questione. Il potere delle bande paramilitari resta ancora oggi fortissimo e non soltanto a Valona dove, stamane, fara' una capatina pure l'ineffabile aspirante re Leka primo, reduce dal bagno di folla a Tirana della settimana scorsa. Ieri il generale della brigata Friuli, Girolamo Giglio, ha ammesso che e' "prematuro iniziare operazioni di scorta ai convogli umanitari nel sud dell'Albania". Solo l'arrivo dei soldati italiani ha messo la sordina ai briganti valonesi, ma rischi, paure e dubbi stanno ancora tutti li', in quel fazzoletto di chilometri quadrati che va dalla baia di Radima al molo di Triport. Quella e' la terra dei clan. E proprio li' in mezzo, sulla spiaggia, nella vecchia caserma delle forze speciali, e' attestato il nostro quartier generale. Ogni notte, dalla pineta tutt'attorno, i briganti sparano alla luna, per far sentire ai nostri che i loro kalashnikov funzionano ancora benissimo.

 

Buccini Goffredo

 

Ho trovato inoltre un episodio in cui in una rissa con marinai italiani muore un russo. Da Repubblica:

 

Rissa con i marinai italiani muore un russo a Novorossisk

 

Repubblica — 12 settembre 2001 pagina 26 sezione: CRONACA

MOSCA - Una rissa tra due giovani russi e quattro marinai italiani dell' incrociatore Vittorio Veneto, per cinque giorni in visita nel porto di Novorossisk, sul Mar Nero, è degenerata in uno scontro violento culminato con l' uccisione a coltellate di un ragazzo di 17 anni, Alekseij Rosembach, russo e col ferimento del suo amico Igor Vuysotskij. La nave, data in un primo momento per partita, resta invece, secondo quanto afferma la Tass, nella baia di Novorossisk, nell' attesa che il comandante completi le indagini sull' accaduto. Pochi e frammentari i particolari sul drammatico episodio. Le autorità russe hanno finora mantenuto un ostinato riserbo. Si sa soltanto che la rissa, secondo il quotidiano Izvestia, è scoppiata intorno alle 23 mentre i quattro marinai stavano rientrando sulla loro nave dopo alcune ore di franchigia. A questo punto, Rosembach e Vuysotskij avrebbero attaccato briga. I due, non si sa come, si trovavano a non più di venti o trenta metri dalla banchina dove la Vittorio Veneto era ormeggiata. Che cosa sia successo dopo, anche secondo le Izvestia, non è chiaro. Il giornale sostiene però che a dar man forte ai loro compagni una decina di marinai siano scesi dalla nave. Sta di fatto che tra pugni e calci salta fuori anche un coltello. Nella confusione, Aleksij Rosembach resta per terra esanime, Vuysotskij è gravemente ferito. In una dichiarazione resa sull' ammiraglia della flotta italiana, l' incrociatore Garibaldi, il ministro della Difesa, Martino, ha citato a riprova dell' innocenza dei marinai italiani il fatto che la Vittorio Veneto era stata lasciata ripartire per proseguire la sua crociera alla volta di Istanbul. Notizie della partenza sono state date anche dalle agenzie di stampa. Secondo queste fonti la Vittorio Veneto avrebbe salpato le ancore con un semplice ritardo di poche ore sul previsto, giusto il tempo di concludere le indagini necessarie. A sera, invece, la Tass, rileva cripticamente che le autorità russe non potevano impedire alla Vittorio Veneto di allontanarsi, che il compito di far luce sulla tragica rissa, almeno per la parte che riguarda i marinai, spetta del comandante italiano e che in ogni caso, la nave rimaneva nella baia di Novorossisk. Quella della Vittorio Veneto avrebbe dovuto essere una visita di amicizia e di cortesia, a riprova degli ottimi rapporti stabiliti tra le marinerie dei due paesi, di cui lo scambio di visite tra i gioielli delle rispettive squadre navali è un segnale evidente. La Vittorio Veneto aveva, infatti, gettato le ancore a Novorossisk, mentre l' ammiraglia della Flotta del Mar Nero, l' incrociatore lanciamissili "Moscva", Mosca, attraccava nel porto di Brindisi. - ALBERTO STABILE

 

Qualcuno ha notizie più approfondite in merito all'insabbiamento ed alla rissa?

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:s55: Buonasera a Tutti! Dell' incaglio/insabbiamento del VENETO avevo un pò accennato nella mia recensione del libro " Incrociatore V. VENETO, una storia per immagini". A mio parere è stato un episodio un pò "montato" dalla stampa: in fin dei conti la Nave se ne è andata con tutta la potenza dei propri motori segno che i danni non eran così gravi!

 

Della rissa, invece, non avevo mai sentito parlare prima d'ora, il perchè sta nella data: 12/9/2001, mi sa proprio che il Mondo quel giorno guardasse più a New York che a Novorossik...

 

Beninteso, tutto può accadere e non metto la mano sul fuoco per nessuno. Però ricordo, e l'ho scritto sul Forum nella mia "Una simpatica (dis)avventura con la Marina Greca", che quando venni "catturato" a Suda e portato in Arsenale per accertamenti, Quel Bravo Uff.le Greco che mi aveva in custodia ebbe parole di elogio circa la disciplina dei nostri Marinai in franchigia.

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Visitatore Marcuzzo
Marco guarda che ha ragione Maurizio: io ho studiato solo incagli e non "insabbiamenti"....

 

Dovrò tirare le orecchie a Guglielmi allora :s68:

Dir, tu che hai vissuto la situazione dall'interno, cosa puoi dire dei due episodi?

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Sapete per caso se ci sono foto dell'insabbiacagliamento della nostra unità?

 

:s55: Buongiorno a Tutti! Anch'io sono interessato!

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Mi ricordo di questa notizia...ed anche del veleno che un certo tipo di stampa buttò addosso al Comandante dell'Unità.

Come si ebbe poi la certezza, l'incaglio avvenne per un improvviso colpo di vento e successiva aspirazione di sabbia da parte di alcune prese a mare, con conseguente diminuzione nella potenza motrice della nave.

 

Sono cose purtroppo imprevedeibili che non vanno assolutamente a scredito del Comandante e del suo Equipaggio!

 

Se qualcuno ha delle foto sarebbero interessanti, anche se ricordo le immagini passate in tv, il VV si presentava dritto e con la linea di galleggiamento variata impercettibilmente.

 

Ho cercato sul NOTIZIARIO DELLA MARINA di quel periodo ma non c'è nessun riferimento all'accaduto.

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  • 5 years later...

Rinverdisco questo topic, perché le mie foto non meritano un argomento a parte...A dire il vero, ero sulle montagne del nord Albania,ma poi a Kruja (consiglio di leggere "I tamburi della pioggia" -ambientato a Kruja- dell'albanese Ismail Kadarè, più volte candidato inutilmente al Nobel (d'altra parte, non l'hanno avuto nè Hemingway, nè Borges, nè altri a parer mio meritevoli...lasciamo perdere chi invece l'ha avuto... :sleep: ) dicevo, a Kruja ho trovato qualcosa che forse ha a che fare con questo forum. :wink: Si tratta dell'OPERAZIONE ALBA.

Allora, a Kruja c'è un museo , magari un cincino kitsch per i nostri sofisticati gusti europei, ma senz'altro didascalicamente valido, sulla storia dell'Albania: è stato creato dalla figlia di Enver Hoxha (nome che a qualcuno farà venire in mente qualcosa...)

Sia photobucket che Tinypic fanno le bizze. Intanto mando la premessa, per non riupeterla. poi vedrò... :dry:

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Hai ragione, scusa. Il combattimento di ieri con i siti di foto hosting mi ha probabilmente lasciato esausta.... :laugh:

ALLORA: sì, è un forte. Kruja è il luogo natale di Giorgio Castriota , ovvero Skanderbeg, Skanderbej, Skanderbeu...insomma, il Garibaldi albanese (vissuto parecchi secoli prima di Giuseppe...andiamo al 15. secolo...).

Ero stata in Albania nel 1983, in piena dittatura Hoxha, e ovviamente non si diceva che Scanderbeg è stato un baluardo cristiano contro gli ottoimani....benedetto da papi e, per goduria del nostro presidente, omaggiato da Vivaldi... e ritrratto fa Bellini

e ritratto da Bellini...

Ma all'epoca l'ateismo era obbligatorio per Cistituzione (era l'unico stato ateo per Costituzione); adesso, le croci, Madinne, Fatima, madre Teresa,e quanto altro sono decisamente superiori a quanto si vede in Trentino A. Adige...

 

Kruja ha resistito a un epico assedio, romanzato appunto nel testo di Kadarè che ho citato. :smile: Diciamo che la sua opposizione di venticinque anni controi gli ottomani ha dato una bella mano a impedire l'islamizzazione dell'Europa...all'epoca...

La costruzione che si vede sulla sulla destra è appunto la neo-fortezza/museo...

Modificato da malaparte
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  • 2 years later...

All'epoca della mega rissa ( meglio sarebbe dire risse ) ero imbarcato sul Vittorio VENETO, come capo gruppo Oleodinamici e capo segreteria tecnica G.N. nel grado di Capo di 1^ Classe Macchinista, il comando era retto da una figura di spicco, il Capitano di Vascello Franco FAVRE.

Il Veneto " A ' NAV'E " come la chiamavano noi dell'equipaggio, arrivava dalla precedente sosta ad ODESSA, in Ucraina, dove avevamo svolto vari tipi di esercitazioni con la Marina locale. e dove l'equipaggio aveva ricevuto un accoglienza calorosa,

.

Sin dalla prima sera, o meglio, dai nostri primi giri cittadini, appena arrivati a Novorossisk, ci siamo resi conto di una atmosfera ostile nei nostri confronti. La cittadina si presentava come l'Italia degli anni 50, grandi complessi edilizi, strade deserte, persone vestite in malo modo, in fin dei conti solo da pochi anni la Russia non era più Unione Sovietica, insomma era tutto un po' dimesso, con numerosi personaggi ubriachi nelle vie cittadine e nei parchi pubblici, con grandi monumenti enfatizzanti la Grande guerra patriottica. Nei locali venivamo serviti in maniera scortese e brutale, tutto di noi attirava la loro attenzione e conseguentemente la loro rabbia.

una catenina d'oro che sporgeva dalla maglietta, il braccialetto al polso, per non parlare dei telefonini che erano in nostro possesso e che i Russi di allora, non potevano permettersi.

Questa è la premessa di quello che sarebbe stata la tragica serata di lunedì 10 settembre 2001.

La prima sera, con tutto il porto a luci spente un paio di nostri sergenti, per tornare a bordo, il rientro era stabilito per le 23.00. attraversano un giardinetto, anch'esso al buio, nel farlo incontrano dei ragazzi locali, alcuni di loro , dopo un attimo, di corsa li superano vanno avanti un po', e subito dopo si fermano, a questo punto i nostri si trovano tra i Russi che li avevano superati e quelli che erano rimasti indietro, e che frattempo si erano spostati verso i ragazzi del Veneto. Volevano derubarli, i nostri si opposero, e nacque la mischia, dove chiaramente, essendo in netta inferiorità numerica, ebbero la peggio.

I due sergenti tornarono a bordo derubati ed insanguinati, tutti videro come erano pesti ,le sere successive le aggressioni continuarono, e fecero in modo di creare uno stato d'animo molto infuriato da parte dell'equipaggio. l'ultima sera, molti erano convinti che qualcosa sarebbe accaduto. Membri dell'equipaggio ed allievi Marescialli stavano rientrando a bordo, il varco di accesso al molo dove eravamo ormeggiati, era stato chiuso lasciando aperte uno spiraglio che permetteva all'accesso ad una persona alla volta, ( fatto di proposito?) sta di fatto che mano mano che il personale attraversava l'angusto cancelletto, dalle siepi uscì un numeroso gruppo di Russi con cattive intenzioni, a quel punto, tutti i presenti Italiani, si irrigidirono e fecero fronte comune contro questa minaccia, nella mischia uno dei ragazzi Russi venne accoltellato e rimase sul terreno.

Modificato da fiftynine
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